39. Vendetta
27 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.
Portare rancore è una malattia che avvelena l'animo. Valeria lo sa bene. Conosce quel sentimento da anni e ha avvertito ogni istante durante il quale questi si è introdotto al di sotto della sua pelle come un secondo respiro, come una voce strisciante e blasfema pronta a suggerirle azioni che prima di quel momento si era ritenuta incapace di poter praticare, fino ad arrivare all'istante in cui del proprio animo non era rimasta che una macchia oscura, incapace di sopportare la ben che minima luce.
Affrontare l'orrore di noi stessi fa paura e conduce, in ogni caso, a una resa dei conti con ciò che abbiamo smesso di essere.
Chiunque può credere che vendicarsi gli possa permettere di inseguire un ideale del tutto puro ma difficile è concepire quanto a fondo le mani si siano sporcate per poterlo realizzare. Solo da quest'ultima pratica ci si può rendere conto della persona che forse si è sempre stati, o verso la quale si era propensi ad essere, perché in un insieme di azioni e conseguenze il punto di ritorno minaccia di essere raggiuto. Nel caso non ci si sia accostati a una simile meta, allora anche l'arresto, poco prima del baratro, è considerabile come un ultima decisione spinta da un istinto irrazionale.
Quanto si è pronti a dichiarare se stessi e quando a presentarsi dinanzi agli altri, con la nostra vera faccia?
Nel corso della sua vita, Paolo ha incontrato molte persone, molti pazienti e caratteri difficili, con cui ha avuto a che fare per mesi, alcuni addirittura anni, per cui crede di essere pronto a ciò che sta per arrivare, con una sola eccezione. Così come la sua empatia lo ha condotto a disprezzare Mattia ogni qual volta lo psicologo riacquistava il diritto di guardare l'uomo con gli occhi di una persona qualunque, la stessa empatia lo ha portato ad affezionarsi al carattere battagliero di Valeria, accompagnando l'affetto all'ammirazione.
La paura che l'uomo prova è quella di non poter essere oggettivo, nonostante i molti anni di professione. L'idea di poter provare una sorta di preferenza per i propri pazienti nei primi tempi del suo lavoro lo avrebbe fatto scappare via così da correre all'ordine e dichiarare il proprio addio.
Solo l'anzianità gli ha permesso di comprendere quanto anche l'istinto sia importante nel suo lavoro di psicologo. Intravedere qualcosa, al di sotto di un primo strato di facciata, è importante quanto ciò che è reso visibile all'esterno per cui Sanna è pronto a ciò che ormai risulta necessario a entrambi di doversi dire, nonostante l'evidente esitazione di lei.
Lo psicologo volge il corpo all'indietro, allontanandosi dalla visione della strada, oltre la finestra, per poter fissare la schiena di Valeria intenta a tacere e osservare i quadri ad una parete.
Negli occhi dell'uomo c'è tutta la preoccupazione, la pazienza, il rispetto che può rivolgerle mentre in quelli di Valeria, per quanto il corpo di lei pretenda di concentrarsi sull'arte appesa ai muri tinteggiati di verde, sono rivolti a terra e percorsi da una dosa infinita di tristezza.
Avrebbero dovuto parlare da diversi minuti, ma nessuno dei due sembra preoccuparsi dello scorrere delle lancette. Sono in attesa solo della giusta dose di coraggio ma comprendere quanto possa tardare ad arrivare riempie entrambi di ulteriore preoccupazione.
«Vorrei iniziare la seduta di oggi chiedendoti scusa» parte a parlare l'uomo, destando il coinvolgimento in lei e portandola a rivolgergli il proprio volto. Sanna ci spia all'interno, prima di poter proseguire. «Ti avevo detto che questi incontri si sarebbero svolti solo a favore di Diego, della tua relazione con lui... ma oggi è necessario affrontarlo. Dobbiamo parlare di Mattia, Valeria, e della tua vendetta nei suoi riguardi.»
«Non mi hai mentito» riferisce lei, tentando di sorridere come meglio può. «Mi avevi già detto che lo avremmo affrontato... e che avevi delle teorie, al riguardo.»
L'uomo non tace né smentisce. Continua solo a fissare la donna con amore e tristezza, in uno sguardo che lo rende troppo simile a Diego perché lei possa sostenerlo.
«Vogliamo iniziare?»
Nessun cenno di consenso ma solo l'avanzare lento dei reciproci passi. Appaiono come due sfidanti di un'antica epoca mentre raggiungono le loro postazioni con volto serio, occhi bassi, respiro lento, sedendosi nello stesso momento. Sanna attende che lei torni a fissarlo negli occhi prima di aprire, al di sotto del suo sguardo, il taccuino con inevitabile abitudine, svitando la penna con fare attento. Non torna alla loro pagina ma recupera il ricordo di appunti passati, di parole che erano state dette da Diego durante i loro incontri, così da unire gli eventi.
Ticchetta le dita sul bordo superiore di quella stessa pagina. Sua moglie era solita dirgli che si trattava di un gesto che ripeteva spesso quando qualcosa non lo convinceva.
Prende un profondo respiro, prima di voltare di nuovo i fogli al segno stabilito e tornare a Valeria.
«Durante la nostra prima seduta abbiamo parlato di molte cose, il che mi ha permesso di conoscerti. Solo su un evento non ci siamo soffermati, per tuo volere.»
«La violenza» sussurra lei.
«Non intendo chiederti i dettagli di quello che ti ha fatto ma desidero solo capire se fossi consapevole o meno di ciò che ti stava accadendo.»
Occorre molto tempo prima che Valeria trovi il coraggio per rispondere.
«No.»
Inutile dire quanto sia necessario scavare più a fondo per raggiungerla.
«Parlamene.»
«Gli sono andata incontro per convincerlo a chiudere la nostra storia ma non ho avuto il tempo per parlare che mi aveva già spinta a terra.»
«Come ti teneva?»
«Per i polsi, mi aveva portato le braccia oltre la testa. Si aspettava che mi ribellassi ed in un primo momento l'ho fatto.»
«Poi non più?»
«Non so perché ma ho smesso del tutto. Mi sono estraniata. Lui era più forte di me e io non potevo fare nulla.»
«Ti sentivi oppressa fisicamente ed emotivamente, all'istante?» Sanna indica con la punta della penna il corpo di lei, direzionando la sua constatazione verso il suo torace. «Ho notato che tocchi spesso la zona in cui Mattia, per tua stessa informazione, è solito toccarti. Lo ha fatto anche quella notte? Continui a sfiorarti come un monito o è solo una sensazione di sottomissione?»
«Non me ne sono mai accorta...»
«Beh, lo fai spesso, quasi ogni volta si parla di lui.»
«Credo che sia dovuto alla sensazione di essere stata dominata sotto costrizione...»
«E non essere stata in grado di reagire con prontezza?» Valeria tace, lasciando il compito allo psicologo di abbassare la penna in modo da continuare il suo interrogatorio. «Ti sei mai odiata per questo?»
«Per molto tempo.»
Non poteva essere altrimenti ma il bisogno di Sanna di comprendere le dinamiche di quella notte lo spinge verso le domande più scontate per poi poterne avanzare di più complesse.
«Ho riflettuto molto su quando mi hai detto di non volere figli e che Diego non potesse averne. Mi ha dato come l'impressione che nel corso del tempo avessi rivalutato l'idea ma poi ti fossi posta un limite, non potendo con Diego. È così? Hai mai pensato a voi due come possibili genitori?»
«Sì, l'ho fatto. Ma non serve a niente farsi male per qualcosa che non si può avere.»
«Ma avevi detto di non volerne.»
«E non ne voglio, ma la possibilità di farne uno o più con Diego c'è stata. Ha reso accettabile così tanto della mia vita che ero arrivata a chiedermi se non potesse abbattere anche questo mio limite per diventare qualcosa di migliore, insieme.»
Sanna valuta attentamente le proprie parole, prima di poterle esplicare.
«Credi ancora che i figli siano qualcosa di migliore?»
«Pensarlo non è ovvio? Ma non ne voglio alcuno se non con Diego e non voglio nemmeno adottarli avendo il pensiero di non poterli amare veramente, non essendo miei.»
«Si, Valeria, pensarlo è ovvio, specie per una ragazza come te, cresciuta con tante sorelle. Ma non è sbagliato nemmeno arrivare a credere l'esatto contrario. Volevo solo sapere che importanza potessero avere per te.»
«Allora non è così lontano come pensa di essere dalle sue teorie.»
«Invece credo di esserlo, sto ancora cercando di capirti.»
Il dialogo tra di loro è come se si svolgesse secondo un collegamento privato che entrambi stanno inseguendo. Tentano di soffocarlo, così da procedere per gradi.
«Come hai reagito quando hai saputo che tuo marito non potesse averne? Avevi già pensato alla possibilità di un futuro?»
«Sono rimasta scioccata. L'ho scoperto dopo la nostra prima notte insieme e certe volte mi era capitato di immaginarlo, ma non ero sicura di volerlo davvero. Vedevo Diego come un padre perfetto ma rifiutavo ancora il pensiero di essere una madre.»
«Ti sei sentita imbrogliata dal fatto che non te l'avesse detto, prima di sposarti?»
«Perché avrebbe dovuto? Io non gli avevo detto molte cose e il nostro non sarebbe dovuto essere un matrimonio tipico.»
«Che cosa è un matrimonio tipico?»
«Uno di quelli pieni d'amore.»
«Ah! Credevo ti riferissi solo all'ideale di una famiglia.»
Valeria stringe gli occhi, tentando di reggere il confronto con l'uomo. «Mi sta chiedendo che cosa, di preciso? Se io abbia o meno l'ideale stereotipato della vita perfetta?»
«Sto solo cercando di capire cosa tu cercassi nella tua nuova vita e se tali aspettative, venendo a mancare, ti abbiano spinta a reagire in un certo modo.»
«Mi chiese lo stesso Diego, ma non ho niente da recriminargli.»
«E ad altri?»
«Ovviamente, sì.»
«Ovviamente.»
Se il male ha un origine allora ha anche un percorso da seguire: Sanna lo attraversa in punta di piedi, discendendo dalla sua sorgente.
«Dai racconti che mi hai lasciato emerge il tuo odio per Sofia Grimaldi e la tua propensione di declinare Mattia come suo unico figlio, escludendo Diego perché cresciuto dal padre. Ancora un legame genitore-progenie. Certe volte mi era parso come di pensare che il tuo odio non fosse del tutto destinato a Mattia, che hai già giudicato malato da tempo, pur senza che questo lo giustifichi interamente, quanto a quella donna. Che cosa pensi, Valeria? La tua vendetta coinvolge anche lei, ne sono certo.»
Ma Valeria non dice una sola parola. Si è chiusa ancora una volta all'interno del suo guscio e l'unico modo per tirarla fuori è ancora una volta con la rabbia e l'irruenza.
«Mi domando cosa abbia da essere recriminato a una donna di tali valori» commenta lo psicologo, attendendo l'arrivo furente dalla risposta affatto tardiva.
«Quali valori?»
«I valori con cui deve essere cresciuta» replica lui, stringendosi nelle spalle e avendo il coraggio di sfidare Valeria apertamente, tornando occhi negli occhi.
«Crescere in una famiglia ricca non vuol dire avere dei valori. Significa aver la possibilità di comprare dei meriti, assieme alla vita di altri.»
«Sei arrabbiata con Sofia perché ha tentato di metterti a tacere?»
«No.»
«Dovresti esserlo. Credeva di poter comprare la tua dignità.»
«Non lo sono. Ho ancora la mia dignità.»
«Allora sei furiosa con lei per averti portato via prima che i medici ti visitassero? Avrebbero potuto prevenire la tua gravidanza.»
«Lo ha fatto solo per non rimetterci la faccia. Sarei potuta tornare in ospedale giorni dopo e non l'ho fatto.»
«La stai giustificando?»
«Mai.»
«Anche il tuo distacco con Diego, l'arrivo di Isabella e di Antonio, sono coincisi con il periodo in cui è morta tua madre...»
«Questo cosa centra?»
«Ancora il rapporto tra genitore e figlio» commenta Sanna, serio come non mai. «Sto solo valutando le differenze.»
«Le diversità sono evidenti: la mia famiglia ha dei valori!»
«Non esito a crederlo. Cinque sorelle cresciute nel più onesto dei modi da gente raccomandabile che, seppure povera, era stata considerata oggetto di valore in una trattativa di matrimonio con una famiglia del nord tanto elevata economicamente. Dimmi, Valeria, quale era il rapporto con i tuoi genitori?»
«Lo sapevo. La psicologia tende sempre a finire così» commenta lei con rabbia, ma divertendo lo psicologo al punto tale che non gli risulta difficile risponderle con l'inclinazione data dall'allegria.
«Gli affetti più stretti, gli anni dell'infanzia, determinano la persona che siamo. Per poter comprendere il nostro presente è necessario tornare alle nostre origini.»
«Li adoravo e ho sofferto molto la morte di entrambi. L'allontanamento da Diego è accaduto proprio per via di questo; essendo parte della mia nuova famiglia, alla morte di mia madre avrebbe dovuto starmi vicino e non l'ha fatto.»
«Giusto, avrebbe dovuto. Ti hanno insegnato bene a stare vicino a chi ne aveva più bisogno e così ti sei allontanata da lui non trovando i tuoi stessi valori.»
«No. Mi sono allontanata perché ho capito che non aveva il dovere di possederli: mi aveva sposata, era parte della mia nuova vita ma la nostra era una recita e ci eravamo avvicinati troppo. Quando ci siamo allontanati ho capito che non avevamo, l'una sull'altro, alcun diritto.»
«D'accordo, Diego è un caso a parte, come sempre» commenta l'uomo, trovandosi ancora una volta a scindere due realtà.
Si chiede se Diego possa essere minimamente consapevole del potere che detiene nel cuore della donna perché da che è entrata in quella stanza, nella loro prima seduta, non ha fatto altro che difenderlo a spada tratta.
Certi problemi evidenti ci sono tra di loro, quello di non riuscire a parlare è l'esempio più calzante, ma Valeria non li rivela come panni sporchi davanti agli occhi di un estraneo e, dal canto suo, Sanna non se ne è mai del tutto curato. Crede che le questioni in sospeso, almeno con il marito, siano state affrontate e che il resto si sia risolto da solo, tra di loro, in ogni avvicinamento, o nel corso degli anni. Quello che è in suo potere di fare è risvegliare la coscienza di lei affinché possa rendersi conto che oltre all'amore per il marito vi sono questioni irrisolte che chiedono la sua attenzione.
«Faremo conto allora che la questione di tua madre e di Diego sia separata e abbia comportato altre conseguenze e torniamo a Sofia. Cosa ne pensi di lei come donna?»
«Suo padre l'ha cresciuta come un soldato. È ligia al dovere e ha un'armatura di ferro impossibile da superare.»
«E di lei come lavoratrice?»
«Impeccabile.»
«Di lei come madre?»
L'angolo destro della bocca di Valeria si solleva appena e un lampo le passa attraverso gli occhi.
«Ripugnante.»
«Ecco il guaio. La incolpi di questo. Non solo di quello che ha fatto ma di essere stata una pessima madre nel crescere Mattia così.»
«Sì, non ne faccio mistero.»
«Ma lasci nascoste un sacco di altre cose, Valeria. Ti stai vendicando. Non hai detto il tuo piano a nessuno, tantomeno a tuo marito. Gli hai voluto nascondere cosa potrebbe accadere al fratello ma ora mi viene da pensare che tu abbia sempre attribuito un valore al concetto di famiglia e abbia creduto che un giorno anche Diego sarebbe tornato dalla sua, apprezzando di nuovo la madre e tutto ciò che lo circonda. Non sarebbe sbagliato essendo la sua origine, ma tu detestavi l'idea perché hai sempre creduto al valore dei familiari al di sopra di ogni cosa e hai temuto che Diego ti lasciasse indietro.»
Lascia Valeria a riflettere sull'ustione che generano certe parole su di lei, essendo parte di una confessione che aveva appena accennato a rivolgere a sé stessa, per poi tornare a ragionare con calma sulla retroazione delle cose.
Mattia è un tipo paranoico, impulsivo e violento. Non accetterebbe di andare da solo in un altro bar in centro senza provocare una rissa come già ha fatto, dunque perché aveva ceduto alla richiesta di lei di partire tanto in fretta per le Americhe?
«Mattia non è dovuto partire per le Americhe solo perché glielo hai chiesto. Lo ha fatto perché crede di amarti e di dovertelo dimostrare, perché lo tieni in pugno. In che modo lo fai?»
«Non lo controllo.»
«Io invece credo di sì. Credo che tuo marito ti abbia sottovalutata o che tu, sentendoti al sicuro solo con lui, gli abbia mostrato sempre e solo la parte più debole mentre ti schieri contro il fratello.»
«Poco fa mi hai fatto capire di come il solo pensiero di lui mi soffochi.»
«Non dico che tu non ti senta disarcionata in presenza di Mattia, ma che riesci a tenergli testa più a lungo di quanto chiunque altro creda.»
I due continuano a fissarsi negli occhi e al di sotto della soffice nuvola bianca dei capelli di lui, lo sguardo dell'uomo tenta di essere il più sincero possibile mentre osserva nei suoi occhi neri spettrali.
«Ti rispetto, Valeria, ma ho anche paura di te e di quello che potresti fare. Mattia è un uomo disturbato, giocare con lui è come danzare sotto la lama di una ghigliottina dalla corda sfilacciata. Temi che anche Diego possa provare per te lo stesso? Hai paura tu stessa della paura che provochi.»
«Mio marito non ha mai visto quel lato di me. Non cerca, o non vuole cercare, il punto fino a dove saprei spingermi» sussurra e la sua voce, i suoi occhi neri persi, la sua malinconia, la rabbia che cela provocano un brivido lungo la schiena dell'uomo nell'essere trafitto da un milione di ipotesi.
Valeria non è mai stata la tipica vittima, ha reagito da tempo e ha combattuto quel suo sentirsi indifesa poco dopo l'aggressione, recriminandosi persino per quell'atto di mancata reattività.
Per una del genere, capace di manifestare costantemente la sua forza e la sua ferocia, non è facile provare pena ed è ciò a cui Valeria aveva sperato, senza tenere di conto che, allo stesso tempo, sarebbe divenuto sempre più difficile per suo marito amarla.
Diego ha intravisto molto di lei, più di quanto possa mai fare lo psicologo in delle semplici sedute, ed è grazie alla fiducia che ripone in quell'uomo, nei suoi ideali, nel suo affetto, che Sanna si spinge oltre la facciata glaciale della donna, convinto che possa esserci altro.
Lo ha visto persino lui, lo ha scorto quando, con un cappio alla gola, non riusciva a tradurre il battito del proprio cuore, l'ha vista quando ha ammesso come una condanna la sentenza del proprio amore lasciandosi sconfitta, vinta. Prosegue perché l'ha intravista ma capisce quanto una donna come lei possa essere davvero difficile da amare. La si può ammirare, come si ammirano le statue di imponenti autorità da lontano, ma avere il coraggio di dimostrarsi deboli in sua presenza... è una mossa che solo Diego ha compiuto, come il più sprovveduto degli uomini.
«Mattia è un ragazzo malato» ripete lo psicologo, continuando a fissare nei neri occhi di lei. «Crede ad una verità tutta sua e tu hai cercato vendetta verso di lui, verso la madre, recriminandola di non essere stata tale...»
Valeria continua a sostenere lo sguardo dell'uomo che si fa via via sempre più incerto. Nota la sua esitazione e si domanda quante volte aveva sperato di non vedere nel marito quello stesso sguardo.
«Che cosa hai fatto, Valeria? Che cosa hai detto a Mattia per convincerlo a partire?»
«Credevo che la tua sfida fosse capirmi, non farmi ammettere ciò che ho fatto.»
«Temo il mio stesso pensiero.»
«Non dovresti avere paura. Io non ne ho avuta» afferma lei, mostrando l'apoteosi della propria pena in uno sguardo dal sapore di rimprovero. «Avanti, psicologo... mostrami che sei in grado di fare.»
Tenta di dimostrarsi sicuro di sé ma inevitabilmente si trova a inghiottire una massa informe di aria, rivedendosi di fronte lo sguardo di Mattia e ogni conversazione avuta con lui.
«Hai fatto credere a Mattia qualcosa che non era vero.»
«Sì.»
Chiudendo per un istante gli occhi, Sanna ritrova il sorriso divertito di Mattia, la sua allegria accomodandosi al bar. Stringe con forza le palpebre, vedendo parte delle sue teorie volare nel vento come coriandoli.
«Gli hai fatto credere che tu lo amassi, solo per farlo partire per le Americhe.»
«Perché lo credi?»
«Perché non se ne sarebbe andato senza la rassicurazione del tuo amore. Aveva bisogno di sentirselo dire per andarsene e tu avevi bisogno che partisse, due anni fa.»
«Sì.»
«Perché? Che cosa è avvenuto nel '68?»
«Io e Diego abbiamo pensato alla vendetta sulle quote e per iniziarla Mattia doveva allontanarsi.»
«Ma la tua era in atto già da tempo, perché partecipare con Diego?»
«Perché quella era per lui e perché ero certa che non mi sarebbe bastata, le cose andavano avanti da troppo tempo.»
«Dal '64» mormora Sanna, facendo un conto veloce degli eventi. «Da sei anni... compreso il primo di assestamento con tuo marito, quindi da sette.»
«Sì, Paolo» afferma lei, rimanendo a fissare il modo con cui l'uomo posa ai lati del naso tutte le dieci dita delle mani, strizzando il condotto lacrimale di entrambi gli occhi con l'indice. Capisce di dover procedere. «Non so quanto mio marito possa averti detto della nostra vita o quanto ti possa essere chiara la coincidenza di simili date. In alternativa, forse preferisci non crederci ma posso confessartelo: la mia vendetta è stata dare in pasto a Mattia una bugia.»
Lo psicologo solleva la testa e si rende completamente partecipe di quella confessione, non avendo il coraggio di pronunciarla. Valeria corre il rischio di essere odiata, confessando per la prima volta ad alta voce ciò che ha davvero fatto.
«Mattia mi ha amata fin dal principio, non era una vendetta per ciò che poteva volere Diego già da una nostra prima conoscenza. Voleva me. Ha creduto di avermi con sé anche quella notte di violenza. Lo ha continuato a credere persino quando si era battuto con mio marito nei corridoi della Grimaldi. Decisi, nel '64, che non c'era più motivo per dar contro alle sue bugie e che il modo migliore fosse fargli pensare che fossero vere, per poi distruggere le sue verità una ad una. Ogni verità.»
«Che cosa gli hai detto, Valeria?»
Valeria tira la testa all'indietro, mostrando il viso che ora non ha più paura di nascondere.
«Gli ho detto che non avevo mai abortito dalla violenza e che avevamo avuto una figlia, proprio come aveva pensato da sempre lui. Ormai quella bambina ha sette anni. Poi un bambino, come era nei miei piani, nato appena quattro anni dopo la prima. E prima che partisse per l'America, come lui stesso credeva, che ne aspettassi un altro, a distanza di soli due anni.»
«Quali erano i loro nomi?»
«Gaia. Edoardo. Davide.»
Il cuore dell'uomo velocizza dinanzi la verità alla quale aveva sempre creduto messa così in mostra ai quattro venti. Valeria sorride tristemente, inclinando lo sguardo di lato.
«Fargli credere alle sue stesse bugie, per poi distruggergliene una per volta.»
L'ago della vendetta si ferma nella propria arte geometrica, lasciando scaturire nient'altro che sangue dalle proprie cuciture.
-
Diego segue con distrazione i giochi pirotecnici della piccola Gaia. La bambina sta facendo volare nell'aria qualche bambola prima di farla ricadere al suolo, verso il tappeto della sua camera. Sta costruendo una storia della quale lo zio non è partecipe ma solo spettatore, dovendo badare a lei fino all'arrivo di sua madre.
L'uomo si domanda se Silvia non sia uscita di fretta di casa per potersi incontrare in segreto con Claudio e sistemare tutto, fino a che qualcosa non attira la sua attenzione. Dall'armadio dei giocattoli, Gaia ha afferrato un nuovo oggetto e questo riluce, colpevole, sotto lo sguardo di Diego.
Questi corre in avanti, afferrando dalle mani della bambina il piccolo cavallo a dondolo.
«Dove lo hai preso questo?»
«È un regalo.»
«Da parte di chi?»
«È stata la zia a farmelo.»
«Come?» Domanda confuso lui, rigirandosi l'oggetto tra le mani più volte. «Tua zia?»
«Sì, me lo ha regalato.»
«Ti ha detto dove lo ha preso?»
«No.»
Diego viene trafitto dall'angoscia e dall'agitazione che di colpo gli fa tremare il cuore.
«Gaia, questo gioco non ti appartiene, dobbiamo ridarglielo.»
«No!» Esclama questa e Diego, per poter sopravvivere mentalmente ad una simile protesta, afferra la piccola per entrambe le braccia tentando di dimostrare la sua totale agonia per un simile istante.
«Gaia... questo non va bene, questo giocattolo non è tuo.»
«Ma è stata la zia a farmelo!»
«Nemmeno lei doveva prendere qualcosa che non le apparteneva. Quando te l'ha dato?»
La piccola sembra rifletterci un po' su, prima di collocare il giorno con una precisione imparziale.
«Era la domenica che l'altro zio è stato fermato dalla polizia e io aspettavo tu tornassi da me la sera. La zia me l'aveva dato mentre ero qui ad aspettarti, credo solo perché ero molto triste.»
Alla risposta di lei, Diego riacquista il ricordo di quella notte e della precedente ad essa: erano a Cuneo e prima di partire aveva trovato Valeria all'entrata del capanno.
Chiude gli occhi tentando di non pensare che un simile dono possa essere stato intenzionale, prima che un'ulteriore pensiero lo raggiunga in meno di un istante. Fulmina la bambina con uno sguardo di rimprovero, guardandola fissa come era solito fare suo padre prima di un importante litigio.
«So che le hai promesso di mantenere il segreto, ma è importante che tu mi dica quale è il segreto che hai con la zia, Gaia.»
«Ma un segreto non si dovrebbe confessare...»
«A me sì, tesoro. Hai visto quanto tengo alla zia e ho paura che tutti questi segreti non vadano bene per noi. Dimmi che cosa vi siete dette e giudicherò io se sia o meno importante.»
Il tono, lontano dal rimprovero esercitato platealmente da Claudio nel corso delle loro confronti, riesce a far scaturire nella bambina una remota possibilità di confessione. Si prende del tempo per riflettere mentre suo zio muore nell'attesa di una sua unica parola ed è solo l'amore indeterminato che prova per lui a convincerla.
«Non mi ha detto niente ma ha portato me e i miei fratelli in un posto. Era un bar vicino a dove lavorate. Ci ha fatti entrare e ha ordinato una cosa strana, un muffin al cioccolato bianco con sopra del cacao... zia non mangia dolci. Dopo averlo preso ci ha fatti sedere davanti a una sedia vuota, come se stessimo aspettando qualcuno, e è rimasta in silenzio per un po'. Poi si è alzata di scatto e ci ha fatti andare via, senza averne mangiato un solo pezzo!»
Diego non vede altro di fronte a sé, la testa gli gira. Si solleva da terra, avendo parlato con la bambina in ginocchio, mentre quel lieve malessere che avverte fa ruotare gli oggetti nella stanza.
«Grazie, piccola... non era niente di preoccupante» si sente dire mentre si allontana dalla stanza sapendo a chi fosse destinata quella sedia, in quel locale.
La firma di Mattia è scritta ovunque nella scena, ma perché Valeria avrebbe dovuto incontrarsi con lui? Per che cosa?
Come accaduto poco prima, però, un ulteriore ricordo si interfaccia tra i suoi pensieri: Diego rivede le note scritte a mano di suo fratello dietro una delle cartoline che Valeria aveva serbato al di sotto del letto. Apparteneva al giro in mongolfiera, al di sopra dell'Etna, nell'anno 1963.
"Affinché anche il nostro futuro figlio possa amarle quanto le abbiamo amate noi", c'era scritto.
Diego avanza fino alla stanza di Davide, trovandolo nel suo passeggino ad occhi aperti, intento a giocare con le mongolfiere che pendono dalla cappotta.
L'uomo si fa avanti e tende la mano con esitazione, ruotando l'ellisse più grande di quei piccoli giocattoli ondeggianti per poter carpire più da vicino il colore impresso nella stoffa, identico a quello della fotografia, e nel farlo nota il nome di sua moglie firmato dietro una delle nubi bianche che si intervallano ai palloni aerostatici.
Quando chiude di nuovo gli occhi spera di non riaprirli dinanzi ad altre bugie.
-
L'entrata di Diego all'interno dello studio di Sanna non passa inosservata ed è priva della calma che di solito la caratterizza. Il Grimaldi piomba nella stanza dell'uomo con il fiato corto, uno sguardo feroce e delle prove tangibili che rovescia sul tavolino centrale alla stanza, vicino all'uomo che, immobile, non si impegna nemmeno per concentrare la propria attenzione su quella nuova irruenza.
«Valeria gli ha mentito fin dall'inizio! Ha fatto credere a quel pazzo che i miei nipoti fossero suoi figli!» Grida fuori ma niente smuove Sanna che continua a fissare dinanzi a sé, con un indice premuto contro la bocca, le gambe accavallate e un piede a pendere nel vuoto.
«Lo so.»
«Come?» Chiede Diego, sgranando gli occhi, e a quel punto lo psicologo è costretto a chiarire la propria posizione e la presenza del fantasma di Valeria ancora impresso sulla lunga poltrona, avendo lasciato poche ore prima la stanza.
«Valeria viene in terapia da me, ormai da quattro giorni. Oggi me lo ha confessato.»
Diego non riesce a crederci. Sul tavolino ha vomitato la sua recente scoperta, avuta contro nel modo più traumatizzante con cui potesse riceverla, e l'uomo al quale ha rivelato tutti i suoi segreti la sta somatizzando come se fosse la più tranquilla delle osservazioni da fare, trattandosi di lei.
«Come può essere tanto calmo? Valeria sta giocando con lui!»
«Da sette anni, lo so, ma c'è una spiegazione per tutto. Vuoi sederti, Diego?»
«No... non voglio sedermi. Non credo di sopportare tutto questo» commenta, passandosi entrambe le mani nei capelli e tirando con forza le ciocche. Il suo tono disperato fa volgere lo psicologo nella sua direzione, con fare curioso.
«Con questo intendi dire che non puoi perdonarla?»
I passi di Diego si arrestano dinanzi la richiesta, le mani smettono di tirare ma la sua espressione si fa disperata nel rivolgersi all'altro. Riesce a sorreggere lo sguardo pacato dell'uomo per poco tempo, prima di abbassare di colpo le braccia e vomitare quello che pensa e scendere a patti con l'animo di lei.
«Ha usato i miei nipoti come se fossero merce di scambio! Non gli interessa di loro al punto tale da darli in pasto a lui!»
«Ma non l'ha fatto del tutto, vero? Altrimenti le cose ad oggi sarebbero diverse» commenta Sanna, rimanendo a sedere alla propria postazione ma fissando con attenzione il coniuge della donna che, pur abbandonando la stanza, ha continuato ad occupare i suoi pensieri con delle deduzioni. «Se non vuoi accomodarti allora parleremo così. Parto a dirti che è vero, Valeria ha usato tutti loro. Gaia, Edoardo, Davide, tutti e si era impedita di amarli per farlo. Aveva cercato costantemente un distacco con quei bambini perché li aveva considerati parte della sua vendetta personale ma non è riuscita ad andare fino in fondo.»
Sollevando appena l'indice, lo psicologo direziona lo sguardo di Diego sull'albero di Natale presente in un angolo della stanza e su un addobbo nello specifico: la palla Temari, da Valeria donata, risalta nel confronto con le altre catturando la confusione di Diego per quella novità.
Lo psicologo abbassa nuovamente la mano, tornando a parlare.
«Per tutto il tempo delle nostre sedute mi sono chiesto dove l'avessi rivista. Non l'arte Temari ma Valeria. Non riuscivo a collocarla e poi ho capito che era accaduto solo perché il nostro incontro era durato poco meno di un attimo: aveva portato i bambini nel bar di Mattia, aveva ordinato il dolce che tuo fratello era solito prendere ma poi era scappata via. Non ce l'ha fatta e nell'uscire si è scontrata con me, arrivato per una delle sedute con tuo fratello, prima di raggiungere il parcheggio con i bambini e andarsene. L'ho vista solo per una frazione di secondo.»
«Stava per presentare i miei nipoti a mio fratello, spacciandoli per loro figli, ed io la dovrei perdonare di questo?»
«Dovresti perdonare il suo tentativo e capire il perché non è stata in grado di portare la sua vendetta fino in fondo. Ci ha rinunciato, Diego. Non lo capisci? Ha mandato al vento la sua occasione... ha capito di non volerci più provare.»
Diego tace di fronte ad una simile sconfitta, tentando di capire se è in grado di reggere tutte queste informazioni un'unica volta.
«Ci ha pensato per sette lunghi anni, Diego. Ha fatto credere a tuo fratello la storia alla quale lui stesso, da solo, si era convinto a credere ma nell'istante in cui stava per riuscirci ci ha rinunciato del tutto. Non era pronta, perché aveva capito di amare quei bambini e di amare te, quindi di non poterlo fare.»
«Io.. non so se sono in grado di comprendere tutto questo.»
«Invece credo tu possa farlo, perché siete fin troppo simili. Non ti è mai bastata la vendetta delle quote, non è vero? Era solo un piano per tenere impegnata Valeria o per ridare valore alla spartizione societaria della tua famiglia una volta terminata la questione. Anche tu hai un piano diverso per tuo fratello ma mentre quello di Valeria spingeva per farlo andare a fondo tu hai richiesto il mio parere, hai cercato di capire come curarlo, gli hai dato una via di scampo. L'alternativa al tuo finale, però, non lascerà mai tuo fratello libero: ad attenderlo ci saranno tutti i casi di violenza da lui perpetuati e che tua madre non è riuscita a mettere a tacere oppure una cura medica specializzata, in impianti appositi. Confidi nella seconda, ma non hai paura di imprigionare tuo fratello dietro le sbarre purché possa scontare la sua pena. Speri solo che io possa comprenderlo abbastanza da poterti dire se la sua mente reggerà a tutto quello stress o se, troppo fragile, dovrà essere supportata da chi di dovere. Tua moglie ha solo cercato l'esatto contrario, incrementando la sua follia, ma ha rinunciato in nome dell'amore che sente. Puoi perdonarla?»
Diego rimane in silenzio, dinanzi ad una risposta che la sua mente grida ma che la sua bocca, testarda, ancora intrappola.
«Non ho toccato quel giocattolo per molto tempo, pur sapendo che si trovava dove Valeria l'ha preso. Apparteneva a mio fratello ed è stato la scusa che gli ha fatto afferrare quella pietra.»
«Sono certo che se Valeria avesse saputo che se si trattava di quell'oggetto non lo avrebbe toccato.»
«Come può esserne certo?»
«Perché la sto conoscendo, Diego, e so per certo che Valeria tenga a te più che a chiunque altro. Sapessi come ti ha difeso, qua dentro...»
Concepire che nel tempo che Diego non ha passato con lei sua moglie sia arrivata a dire certe cose di lui lo riempie di una strana emozione del tutto simile all'angoscia, non sapendo come reagire visto ciò che ha recentemente scoperto.
«Che cosa dovrei fare?»
«Le hai concesso tempo per capirsi. Garantisciti lo stesso, datti modo di riflettere a fondo su ciò che provi e quando sarai pronto parlane con lei. E' il metodo più sano con cui potrete affrontare le cose.»
Terminate le parole dello psicologo, Diego abbassa gli occhi verso il giocattolo dei suoi incubi, verso le cartoline che è riuscito a portar via di casa andandosene da lei e riflette su quanto possa ancora sopportare. Fino a dove sono in grado di spingersi, nella buona e nella cattiva sorte.
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