34. Il cappio
L'esitazione può essere un dono, come una condanna. Certe volte ti salva la vita mentre in altre ti fa perdere tempo, pur di tenertela stretta. Nel silenzio seguente una simile confessione Sanna percepisce molta esitazione, come una sensazione di equilibrio precario, un dondolio leggero che aumenta e diminuisce, aumenta e diminuisce, quasi in un'agonia costante.
Valeria Greco è nel suo studio e lui la sta osservando. Bella lo è per davvero, di una bellezza evidente caratterizzata dalle lunghe gambe e dal corpo sottile come una piuma eppure, se si guarda bene nel suo aspetto, alcune cose possono risultare quasi disturbanti.
Come il profilo sporgente delle sue clavicole, per esempio, possibile da tracciare fino alla terminante rotondità dell'osso, alla conclusione della spalla, o gli zigomi troppo affilati, gli occhi troppo sporgenti, il naso troppo aquilino e mille altre cose di cui Sanna si accorge poco alla volta.
Ciò che lo sorprende è come riescano a coesistere tutte insieme generando una sensazione di evidente bellezza, piena di particolarità, di cui entrambi i Grimaldi si sono mostrati degli estimatori. Ma non è tanto quell'equilibrio naturale a tenere in regola le cose quanto il fascino smisurato che quella donna pare maestra nello sfoggiare. Ne è intimorito e attratto.
«Valeria Greco, la moglie di Diego...» lo psicologo assapora il gusto di simili parole, prima di scuotere lento il capo in direzione della donna. «Mi dispiace ma se è venuta qui per avere informazioni riguardo ai miei incontri con suo marito allora non posso esserle d'aiuto. Sono protetti dal segreto professionale, mi capisce.»
«Non sono venuta per questo.»
«Per cosa è venuta allora?»
«Per un cappio che ho alla gola e che mi impedisce di parlare.»
Alla Vigilia di Natale una donna si presenta nel suo studio con un cappio intorno al collo e oltre alle parole quella corda sembra spezzarle anche il respiro. Sanna resta a fissarla e accavalla le gambe una sopra l'altra per poter comprendere appieno ciò che sta accadendo, chi si trova di fronte, la donna che è e quella che potrebbe essere. Perché c'è una netta distinzione tra le due, c'è per tutti ma Valeria... lei pare doverla ancora comprendere.
«Mi hanno parlato molto di lei. In effetti, in paese non si parla d'altro che della sua storia. Dei Grimaldi, di Mattia, di Sofia e di quello che le è stato fatto.»
«Non mi importa di ciò che dicono di me quelle persone.»
«E di chi le importa, allora?»
Valeria non riesce a parlare e lo psicologo osserva quella sofferenza con una sensazione crescente di pena, dinanzi al tentativo sempre più irrisolto della donna.
«D'accordo, ci arriveremo per gradi...» Avvertendola poco dopo ridere tristemente, lo psicologo diviene confuso. «La cosa la mette di buon umore?»
«Al contrario.» L'uomo continua ad essere tanto confuso da farla scuotere il capo, a caccia delle giuste parole. Aveva allontanato lo sguardo, persa nei pensieri, ma è costretta a tornare a fissarlo per dirgli la verità. «Non la prenda sul personale... ma lei è il volto di un incubo.»
Si riferisce a Pietro Grimaldi e alla sua somiglianza. Sanna ne è certo e per questo non si esenta dal cogliere un'opportunità succulenta.
«Anche suo marito lo è», parlando di somiglianze. Valeria sorride, in un modo triste che non coinvolge gli occhi, perdendo l'allegria priva del buon umore che l'aveva raggiunta.
«No, affatto.»
Sanna solleva un sopracciglio, trafitto dalla curiosità a una simile risposta tanto indicatrice, e nel frattempo lei deglutisce e raddrizza la schiena, dispiega i neri abiti tirando gli orli tra le mani, per poi tornare a parlare.
«Vorrei che prima di iniziare sapesse una cosa di me. Anni fa sono stata costretta ad andare da uno psicologo. Non mi è piaciuto e non credo che mi sia servito. Vorrei che stavolta funzionasse perché ho bisogno... di poter parlare di ciò che sento ma mi scuso, fin da adesso. Non sono una donna piacevole e non sono affatto gentile.»
Sanna sorride, a contatto con quelle spietate verità. «Detesto entrambe le caratteristiche in ogni persona, se non sono sincere.»
«Preferisce la schiettezza?»
«Più di ogni altra cosa.»
«Allora sono certa che lei vada d'accordo con mio marito.»
«Credevo avessimo deciso tacitamente di non avanzare domande su quegli incontri... è qui perché vuole iniziare un percorso con me. Dovremmo concentrarsi sulla sua persona, per quanto la curiosità possa mangiarla viva.»
Valeria ticchetta le dita su una gamba mentre lo psicologo continua a sorriderle, ben sapendo che anche loro due possono andare d'accordo più di quanto lei possa credere.
«Allora... da che cosa vuole partire? Infanzia, brutti ricordi? Ho un sacco di cose di cui parlare.»
«Che cosa ne dice allora di iniziare proprio dall'esperienza negativa avuta con il mio collega? Che cosa è andato storto e che cosa non le piaceva?»
Valeria abbassa la testa sulle dita che ora ha intrecciato al di sopra delle gambe in una posa composta, controllata, cercando di rimettere insieme i pezzi di se stessa con la giusta prudenza.
«Che cosa sa di me?» Sussurra, riparata dalla cascata dei neri capelli che le ha fiancheggiato il viso.
«Gliel'ho detto, ciò che dicono in paese.»
«La gente parla a sproposito, possono averle detto delle falsità.»
Sanna non sa se è l'approccio migliore per iniziare a parlarne, ma prova comunque un tentativo avventato.
«Allora, so anche ciò che racconta Mattia.»
Sorprendentemente, la donna sorride da dietro i suoi capelli. Lo psicologo capta quel leggero mutamento.
«Men che mai si dovrebbe fidare di ciò che racconta quell'uomo.»
«Stia tranquilla, non gli ho creduto un solo istante. Anzi, ero molto curioso su di lei da avere già avuto il desiderio di conoscerla.»
«Per quale motivo?»
«Perché anche suo marito mi ha parlato di lei.»
Vale risolleva lo sguardo, per poi deglutire prima di riabbassarlo.
«Lo so... mi ha raccontato che lo fate spesso.»
«Dunque dovrebbe anche fidarsi del fatto che possa essere arrivato ad avere una versione corretta del suo passato, eppure sappia che sarei molto interessato ad ottenerne una da lei.»
Un lungo silenzio accompagna la tacita richiesta che potrebbe cadere nel vuoto se solo Valeria non avesse la forza necessaria per prendersene carico.
«Vuole che le racconti che cosa è successo quella notte?»
La voce con cui lo domanda è molto bassa, quasi l'eco cavernoso di un suggerimento forzato. Non è spontaneo per cui lo psicologo è costretto a tornare sui suoi passi per poter chiarire il proprio punto di vista.
«Non posso sapere quale esperienza passata l'abbia condotta a credere che la psicologia possa non servirle ma a una cosa io credo per certo ed è il rapporto tra dottore e paziente. Sono qui per ascoltarla per cui se non se la sente di parlare di quella notte non la costringerò in alcun modo a farlo perché dovrà sentirsi libera di avanzare discorsi riguardo ciò che desidera. Io non la forzo, lei non si sente obbligata e la terapia continua.»
«Pensare al passato mi dà la nausea. Ho vissuto di quello per troppo tempo.»
«Allora di cosa vorrebbe parlare?»
«Non di quella notte. Di tutto, ma non di quella notte.»
«Sarò sincero con lei: certe parole evidenziano che il centro dei suoi problemi emozionali possa essere racchiuso tutto lì.»
«In che cosa? In quella notte di violenza? Può essere per una vittima che non ha somatizzato lo stupro ma io l'ho capito, dottore, tanto bene da sapere che non nasconde altro che l'azione di un animale. Non ho altro da interiorizzare di quella sera.»
«Eppure la vendetta, il "cappio" che ha attorno alla gola... non sono scaturiti da quella notte?»
Valeria dispiega l'intreccio delle mani, posandole di piatto sulla poltrona, a contatto con la pelle nera dell'arredo, per potersi sbilanciare leggermente all'indietro mentre è intenta a guardare oltre alla finestra dello studio.
«Vuole sapere che cosa è successo dopo lo stupro? Niente. Ho pianto. Mi sentivo lacerata e percepivo di aver perso sangue. Ho capito immediatamente di essere passata dalla parte delle vittime, di indossare sul momento un abito bianco che non mi avrebbe più rappresentata, e di dover fare qualcosa, l'ho capito subito. Quando mi sono alzata sono andata a denunciare alla polizia. Poi sono andata in ospedale. Mi ero detta che, assicurato alla giustizia, Mattia sarebbe finito come qualsiasi altro. Può capire, quindi, quanto lo abbia da tempo metabolizzato.»
«E la vendetta?»
«La vendetta è scaturita dopo aver scoperto che il cognome Grimaldi non faceva muovere un solo muscolo agli agenti.»
«Solo per questo è sorta, dunque? Una vendetta nata dal bisogno di aggiustare le cose personalmente?»
Lo psicologo sta percorrendo un sentiero difficile da ripercorrere con chiunque e nell'attimo stesso in cui ha capito che la donna davanti a sé non avrebbe accettato altro modo per affrontarlo se non drasticamente, senza giri di parole, si era sentito a pezzi. Non gli piace fare le cose avventatamente e odia anticipare progetti futuri, per cui deve prendere profonde boccate di respiro per poter continuare.
«Non vuole parlare dello stupro, d'accordo, parliamo del dopo. Chi l' ha accompagnata all'ospedale? Era da sola?»
«No, ero con mia sorella Angela.»
«Non c'era nessun altro?»
«No.»
«Cosa le ha raccontato per farla venire con lei? Le ha detto subito la verità?»
«Non ce ne è stato bisogno. Aveva capito tutto da sola, più o meno.»
«Che cosa intende?» Chiede lui, di fronte quella strana precisazione. Valeria era sanguinante e, molto probabilmente, anche in stato di shock e la sorella aveva frainteso.
«Non è stata la prima a raggiungermi... Diego è arrivato per primo. Una volta che Angela è sopraggiunta sulla scena ci ha visti insieme e ha creduto che fosse stato lui.»
«Diego era presente? Perché non l'ha accompagnata all'ospedale?»
«Perché non gliel'ho permesso.»
«E perché sua sorella credeva che fosse stato lui?»
«Perché gli stavo urlando contro, prima del suo arrivo.»
Lo psicologo vede la scena chiaramente: Valeria che si staglia su Diego ferita, con l'abito da sposa rovinato dalle mani di Mattia che lo avevano violato, arrabbiata con ogni cosa. Può credere di averla superata ma non l'ha fatto in alcun modo perché è probabile che la sua anima si sia dispersa in tanti piccoli frammenti separati nel tempo: alcuni, incastonandosi a quella notte, le hanno avvelenato il cuore mentre altri, impiantandosi, sono stati dei freni che le hanno impedito per sempre di vivere.
«Le parole che ha detto a suo marito quella notte... se le ricorda?»
Valeria annuisce con lentezza, continuando a fissare fuori dalla finestra il mondo che si decora di addobbi natalizi.
«Non sono mai andata fiera di quelle parole o di quelle che gli ho detto nei primi anni di matrimonio. Per molto tempo l'ho accusato di essere arrivato in ritardo nella mia vita. La notte dello stupro non ha fatto eccezioni.»
«Posso?» Sollevando la penna verso l'alto, lo psicologo chiede il permesso di annotare sul proprio taccuino delle considerazioni. La donna, dopo un primo istante di esitazione, annuisce lenta e arriva ad osservare il lento scrivere dell'uomo, separandosi per sempre dalla visione della finestra.
Probabilmente era alla sua attenzione alla quale l'uomo aspirava, mostrandosi così teatralmente lento nel comporre su carta il proprio pensiero.
Dopo averlo compilato lo fissa con una sorta di riflessivo orgoglio, prima di tornare da lei.
«Da quanto conosce suo marito?»
«Che cosa intende? Come data? Sono sette anni.»
«No, intendevo dire quando l'ha conosciuto, come, in che periodo?»
«Eravamo in una strada di Palermo, il giorno del mio fidanzamento.»
«Quindi l'ha conosciuto prima di Mattia o dopo?»
«Prima.»
«Dunque non era in ritardo.»
«Non quella volta, no.» Alla risposta, lo psicologo torna a scrivere lento i propri appunti. Valeria analizza la cosa dall'alto, abbassando le ciglia quanto basta a vedere solo la bordatura visibile di quei fogli e sollevando le sopracciglia con fare saccente, nel frattempo. «Mio marito non le ha parlato di questo?»
Dinanzi quella sorta di provocazione, lo psicologo sorride. «Oh, l'ha fatto, ma non se ne preoccupi. Come le ho detto per me è importante la versione che mi fornisce lei della storia, dal momento che il ritardo di Diego è lei a stabilirlo... e lei a dettarne le condizioni.»
«Che intende?»
«È stato lui per primo a venire da me, prima ancora che potesse farlo lei. In questo caso è stato in ritardo o in anticipo?»
«Le cose sono cambiate.»
«In che modo?»
«Tra di noi sono sempre stata io quella più incline a esporre il proprio pensiero, a protestare e a farsi sentire. Sono cambiate da quando i ruoli si sono invertiti. Mi ha offerto quel contratto di divorzio e da allora non fa altro che incasinarmi la testa.»
Sanna sorride in maniera dolce, lasciando alla penna il compito di scarabocchiare un angolo della pagina in dei motivi concentrici, al fine di concentrarsi. Valeria non nota quel mezzo sorriso, concentrata in altri pensieri che vengono raggiunti, poco dopo, dalla voce dello psicologo tornata a parlare.
«Non credo sia stata solo per una giustizia privata che è nata la sua vendetta. È accaduto altro, non è vero?» Sanna alza gli occhi verso di lei a quella richiesta, posando la penna cosi da mostrare apertamente un cuore, al centro del petto, ferito dalla storia di lei e da quello che sta per rivelarle. «So dell'aborto, Valeria.»
Vale deglutisce ancora una volta, calando lo sguardo per poi sollevarlo verso l'uomo, alla stessa velocità del battito d'ali di un colibrì. «Questo che cosa c'entra?»
«Credo che sia doveroso parlarne perché è una cosa drastica da affrontare, illegale e piena di sotterfugi a cui una donna deve ricorrere per poter sopravvivere secondo la propria volontà. Che cosa ha significato per te?»
Valeria ticchetta frenetica le dita sulla gamba, tornando all'ipnosi di quel gioco che cattura gli occhi dell'uomo, prima di essere percorsa negli occhi da una cattiveria che è pura autodifesa.
«Odiavo lo psicologo che ho avuto in passato perché lo aveva scelto per me Sofia, da dopo quella notte con Mattia e il matrimonio con Diego. Desiderava che fingessi meglio la mia felicità ma a quel tempo non ero ancora in grado di ingannarla. Non riuscivo a pensare a niente, non parlavo, ascoltavo quell'uomo che continuava a chiedere e basta. Certe volte rispondevo, altre nemmeno riuscivo a sentire la domanda ma lui non faceva altro che chiedere... avanzava domande impertinenti.»
«Vorresti che ci andassi più cauto, Valeria?»
«Sei passato dal "voi" al "tu" con una velocità invidiabile, ecco che cosa penso.»
«Che cosa vorresti? Che mi soffermassi sull'argomento ferendoti a morte, spulciandoti nella testa con tutte quelle domande impertinenti o che te lo chiedessi e basta, così da andare avanti?»
«Andremo davvero avanti?»
«Solo se tu lo vorrai.»
Valeria lo desidera eccome, tanto da aggrapparsi a quella convinzione per poter procedere. Parlare le risulta più difficile, così come abbandonare la falsa grinta di cui si era prontamente vestita per poter ritornare spoglia dinanzi gli occhi dell'uomo.
«Ho ucciso un bambino che mi stava crescendo dentro, come mi sarei dovuta sentire? Non ci penso da tempo.»
«Lo avresti voluto?»
«Non con Mattia ed ora non lo voglio.»
«Perché no?»
Mordendosi il labbro inferiore, Valeria si stringe nelle spalle, quasi con indifferenza.
«Dopo quello che è successo non li voglio... e Diego non può averne.»
«Non può avere figli?»
«Non gliene ha parlato?»
Lo psicologo scuote lento la testa, sfogliando lento le pagine del suo taccuino e andando all'indietro. Non può averne, riflette nella sua mente, collegando alcuni frammenti di storia nella loro conseguenza.
«Per questo non è stato messo a capo dell'azienda? Per questo hanno sempre preferito Mattia a lui?»
«Non sono certa della risposta ma credo che il motivo possa essere quello. I Grimaldi credono molto all'importanza di tramandare il proprio cognome e avere degli eredi, qualcuno a cui passare il loro patrimonio... non potendone avere, Diego è stato escluso dall'equazione ancora di più quando si è sposato con me.»
«E lui cosa ne pensa della sua condizione? È infelice di non poterne avere?»
«Credo che sia così. Sarebbe stato un ottimo padre, il suo lo ha cresciuto bene.»
«Lo stesso padre ha cresciuto anche Mattia.»
«Sul serio? Molte volte credo che Diego sia rimasto con il loro padre e Mattia con la loro madre, o peggio ancora con loro nonno e penso non sia del tutto sbagliato da credere, sono divisi da tempo.»
«Stiamo parlando solo da venti minuti ma ho avuto la chiara impressione che tu sappia distinguere i due fratelli chiaramente.»
«Non sono la stessa persona, non potrebbero essere più diversi.»
«Quindi quando discutevi con Diego quella notte, poco dopo che ti aveva ritrovata, stavi andando contro di lui, non contro suo fratello. Lo accusavi di essere arrivato in ritardo, l'ho capito, ma la mia domanda è... perché? Come potevi già chiedergli una partecipazione del genere? Vi eravate conosciuti in mezzo ad una strada e tu eri promessa al fratello...»
Valeria sorride tristemente, annuendo appena a quella domanda e ricordando un aneddoto affatto divertente.
«Proprio per quella affinità mia sorella aveva frainteso» sussurra a sé stessa, ma lo psicologo riesce a capire chiaramente, attendendo parole non più mormorate ma certe di loro stesse.
«Il fidanzamento con Mattia è durato un anno» afferma lei poco dopo, cambiando posizione sulla poltrona ed incrociando le gambe, in modo da dondolare il piede racchiuso in un nero stivale oltre la gonna grigio scuro terminante al ginocchio. «Durante quel periodo io e Mattia ci siamo conosciuti, frequentati, abbiamo visto molte cose insieme... ma vivere con lui mi dava occasioni di parlare da sola anche con Diego ed è capitato più di una volta che lo facessimo.»
«Di cosa parlavate?»
«Di noi stessi. Delle nostre giornate. Ricordo che eravamo così impacciati», Valeria sorride dinanzi al loro passato, prima di mostrare un'espressione silenziosa e tenera. «Mi piaceva e mi intimidiva il modo in cui mi fissava, ma non era una sensazione angosciante... adoravo sentirmi timida in sua presenza perché sapevo che anche lui lo era. Ci eravamo avvicinati al punto tale da non rendermi difficile scagliarmi contro di lui quella notte, rovesciando la mia frustrazione.»
«Lo amavi?»
«Come?»
La domanda l'ha completamente spiazzata, ma lo psicologo è serio nel fissarla, quasi quanto era serio Diego quei pomeriggi passati in piedi, uno di fronte all'altro, a parlare con lei al centro di un corridoio.
«Eri promessa sposa al fratello, ma parlavi con Diego e provavi qualcosa...»
«Non ho mai pensato di sposarlo un giorno. Quando mi chiese lui di farlo non sapevamo dell'altro che cose superficiali.»
«Ma volevi rimanere con lui quelle ore. Lo hai incontrato prima di Mattia, per cui non sarebbe sbagliato in termini di tempo e di scelta, o di cuore. Lo amavi allora?»
«Non lo so» mormora Valeria in un mezzo respiro privo di fiato. Ancora quel cappio a soffocarle le parole.
«D'accordo, non c'è fretta, lo capiremo insieme. Come ti senti per adesso? Ti va di continuare a parlare con me?»
Vale espira lentamente e annuisce, cercando per un istante inconscio un modo per sfuggire da lì. Sogna di alzarsi, percorrere la stanza a piedi e lasciare vagare lo sguardo e i pensieri, glielo permetterebbe? Il suo vecchio psicologo credeva in un dialogo diretto, privo di distrazioni. La esortava a mantenere la concentrazione non appena si distraeva un solo attimo. Per ora sembra andare tutto bene. Non osa chiedere a Sanna niente.
«D'accordo, allora andiamo avanti.»
Poco dopo le parole dello psicologo una leggera pioggia parte a battere contro i vetri dell'unica finestra alla quale Valeria torna a calamitare gli occhi. In un primo istante fissa il cielo grigio ricolmo di nubi, dopodiché lascia scivolare lo sguardo verso il declino di alcune gocce lungo la condensa, sorridendo con sé stessa di un pensiero che pare scaldarle lo sguardo.
«Ti piace la pioggia?» Le domanda l'uomo, seguendo l'attenzione di lei per poter constatare la situazione al di fuori dell'ufficio.
«No, affatto, l'ho odiata per un sacco di tempo... ma grazie a una bella esperienza l'ho rivalutata.»
«È stato grazie a Diego?»
«Da sette anni i soli ricordi che ho felici sono con Diego.»
Lo psicologo tace, rimanendo a fissarla. «È una frase molto bella... e piena di impegno.»
«È solo la verità. Mi sono capitate un sacco di cose brutte nei giorni di pioggia ma è bastato viverne una bella con lui per cancellare le altre.»
«Quali esperienze brutte?»
«La conferma della morte di mio padre da parte dell'esercito, per esempio, o l'incidente di mia sorella Angela.»
«Che cosa le è successo?»
«Camminava a bordo strada quando una macchina l'ha colpita rompendole qualche osso e molte costole. Zoppica da allora.»
«Zoppica?»
«Sì, dalla gamba destra.»
Sanna picchietta la penna sul taccuino, prima di annotarvi questo dettaglio. Vale ci fa appena caso, essendo tornata parte del passato.
«Ricordo che un giorno io e Diego ci eravamo trovati a metà di un corridoio, dentro villa Grimaldi, in un giorno di pioggia. Capitava spesso di incrociarsi in questo modo; anche se la casa era tanto grande da perdersi io e lui ci raggiungevamo sempre, anche senza volerlo. Quel giorno mi disse qualcosa su quanto fosse triste guardare il cielo spiovere eppure che ci fosse anche qualcosa di romantico nell'essere al sicuro dentro una casa a vedere il resto del mondo collassare e noi, protetti, resistere. Mi erano piaciute quelle parole, a quel tempo, ma non le avevo del tutto capite. Anni dopo ho finalmente provato la sensazione di essere al sicuro mentre fuori da una stanza il mondo si unisce a un diluvio ancestrale... e mi piace da morire.»
«Non ti eri mai sentita protetta, prima?»
«Non più dalla morte dei miei genitori. Riprovare quella sensazione è stato... rilassante.» Trafitta da una delusione, l'espressione di lei pare scurirsi per un istante. «Vorrei davvero che queste sedute funzionassero...»
«Me lo hai detto, Valeria» commenta con calma lo psicologo, rassicurandola sul fatto che nessuna delle sue parole possano cadere nel vuoto. «C'è qualcos'altro che vorresti dirmi?»
«... Soffro di attacchi di panico.»
«Quando sono iniziati?»
«Una notte, senza alcun senso. Non riuscivo a dormire.»
«Eri da sola?»
«Sì.»
«Stavi pensando a Mattia?»
«Pensavo alle conseguenze, dopo Mattia. Ho avuto mille pensieri... di essere stata io, per tutto quel tempo, la persona sbagliata tra noi due e più mi colpevolizzavo più avevo paura. Pensavo di essere designata a non avere un futuro, che nessun uomo mi avrebbe più voluta... un sacco di pensieri che mi hanno portata a reagire.»
«Come hai affrontato gli attacchi di panico?»
«In solitudine, chiudendomi in una stanza e cercando di regolare il respiro. Mi faceva bene vedermi allo specchio per poter ritornare in me. Altre volte pensavo a dei ricordi belli che potessero spazzare via l'angoscia.»
«Che genere di ricordi belli?»
«Delle scene del passato, i momenti con mia madre e mio padre, con le mie sorelle...»
«... Con Diego?»
«Sì... sì, anche con Diego.»
«A che ricordo pensavi quando si trattava di lui?»
«Non c'era bisogno di nessuna scena, nello specifico. Rivedevo solo il modo con cui mi fissava e immaginare che lo stesse facendo anche in quel momento instabile riusciva a tranquillizzarmi. Solo una volta-»
Valeria si interrompe a metà della frase. Il fiato le è stato risucchiato via. Lo psicologo alza la testa verso di lei con evidente preoccupazione.
«Sì?»
La incoraggia e Valeria chiude gli occhi, piegando il capo di lato.
«Una volta-», l'uomo le vede sollevare una mano verso la testa, per poi riabbassarla all'interruzione della propria voce. Attende i suoi tempi, aspetta che trovi il coraggio di ribellarsi all'indifferenza.
«Ricordo che una volta io e Diego stavamo semplicemente parlando nella sua casa, in uno di quei rari incontri che avevamo avuto prima di sposarci, e non so cosa lo spinse a farlo ma... Ma sollevò una mano, così», Valeria compie il gesto, risollevando il polso che poco prima aveva lasciato andare inanimato, «e mi toccò appena il collo, con la punta delle dita. Forse stava solo cercando di scostarmi i capelli ma non importava, perché in quell'istante mi ero accorta di come quel piccolo gesto fosse una cura priva di malizia. Mi aveva fatto sentire al sicuro e parte di qualcosa. Non l'ho mai dimenticato.»
I polpastrelli di lei sfiorano la pelle del proprio collo, sottile come carta velina e trasparente, pallida, seguendo un lento tracciato in discesa tra il lobo e la clavicola. Una carezza lenta, compiuta con lo sguardo diretto nel vuoto ma intrappolato in un istante.
Lo psicologo coglie l'importanza di quell'attimo esitando nell'avanzare ulteriori parole.
«Ti ricordavi di questo, durante gli attacchi di panico?»
«Anche, ma c'è di più... ho continuato a replicare quel tocco ogni volta che dovevamo baciarci. L'ho sempre accarezzato lungo il collo prima di avvicinarmi perché volevo fargli capire che anche con me era al sicuro. Mi piaceva sentirlo rilassarsi prima di dover portare avanti quella recita insieme e lui lo faceva, ogni singola volta.»
Sanna raddrizza la schiena e dondola un piede nel vuoto, sorridendo dinanzi quella sicurezza involontaria che la donna ha avuto nel parlarne. Non vorrebbe essere scontato ma ciò a cui sta assistendo è palese e lo sta divertendo molto. Parlare con Valeria gli garantisce quel respiro che gli manca ad ogni incontro con Mattia, perché gli fa comprendere come i sentimenti sinceri possono essere rimasti puri in questo mondo malato. Celati, certo, silenziosi e pieni di paura ma così commuoventi da vivere un'innocenza che si dichiarava persa.
«Allora parliamo di questo, adesso. Parlami della vostra "recita".»
«L'abbiamo concordata il giorno in cui avevamo capito che essere dalla stessa parte ci avrebbe portato più vantaggi.»
«Era stato lui a proporla?»
«La presenza di sua madre, pronta a darmi contro in ogni momento pur di farmi soffrire, era stata sufficiente a farci cercare una via di fuga sostenibile. Lui aveva proposto un accordo tra di noi, io avevo fatto le regole.»
«Come era il tuo rapporto con Diego in quei primi tempi?»
«A dir poco turbolento.»
«Sfogavi su di lui la tua frustrazione... per quanto sbagliata è stata una reazione naturale del tutto concepibile. Lui era la sola persona che ti era rimasta accanto e confrontarti con lui ti sembrava facile.»
«Sì.»
«Che cosa pensavi di lui in quei momenti? In quei momenti di rabbia. Ricordavi che avevate avuto un passato o ti sforzavi di trattarlo come un estraneo, affinché ti fosse più facile andargli contro?»
Valeria tace, divenendo preda del nervosismo al punto tale da condurre finalmente lo psicologo a calare le carte in tavola.
«Che cosa ti ha costretta a venire fin qui, Valeria? Non hai problemi a parlare schiettamente della violenza, di Mattia o di te stessa. Quel cappio, le emozioni che intrappola, ti legano solo a Diego?» Valeria tace ancora, sperduta dinanzi alla verità e con gli occhi lievemente più lucidi non appena li risolleva verso l'uomo. «Ti ha spinta Diego ad arrivare fino a me?»
«Devo poter parlare di ciò che provo. Devo riuscirci, altrimenti sarà tutto finito.»
Scivolate le lacrime, Valeria si procura presto di raccoglierle strusciando veloce il bordo di una manica lungo la guancia. A seguito e in maniera troppo veloce ne giungono di nuove che non si sforza più di ostacolare.
«So che non lo dice per scherzo. Prima il contratto di divorzio, ora questo. Lo capisco, non sono stata in grado di dargli niente, mi sento così in trappola!»
Diego è stato astuto e diretto, ecco cosa pensa lo psicologo, perché in nessun caso una donna come lei, con le sue esperienze e i suoi limiti, sarebbe tornata in seduta se non dinanzi a un ultimatum. Può vedere chiaramente il volto del Grimaldi imporsi con serietà di fronte a lei al fine di fermare la sua corsa auto distruttiva ma... credere davvero che possa lasciarla? No, Sanna non pensa che quell'uomo sia in grado di farlo, tanto che è certo che se solo stesse presenziando a questa neonatale seduta e la vedesse piangere correrebbe da lei credendo di aver già ottenuto abbastanza. Sanna lo conosce e se solo Valeria non avesse tanta paura si accorgerebbe del dolce e flebile inganno del marito. Lo psicologo né è convinto ma per il momento un simile pensiero è prematuro.
«Se sei intrappolata allora vedremo di uscire da quella trappola insieme. E se questa terapia riguarda solo il tuo rapporto con Diego allora non parleremo d'altro che non sia necessario. Sono stato irruento e ti chiedo perdono ma non serviva ad altro che a capire questo.»
«Mi è difficile...»
«Lo so», commenta Sanna, avanzando un dolce sorriso, «ma mi hai già detto così tanto...»
Dinanzi a quell'affermazione del tutto inaspettata, Valeria solleva il sorriso mostrando la resa del proprio pianto. La speranza l'ha raggiunta come una carezza nell'augurarle che ha ancora tempo per imparare ad essere una donna migliore o per tornare sé stessa, ricordandosi chi era.
«Non ho ancora parlato di niente...»
«Se lo credi davvero allora raccontami di un altro ricordo felice dei vostri primi incontri. Parlami di tutto ciò che rammenti, ogni dettaglio.»
A Valeria occorre del tempo, per mettere da parte la tristezza e per trasportarsi indietro negli anni, ma quando raggiunge l'oggetto della richiesta sorride lentamente, a testa bassa.
«La seconda volta che ci siamo incrociati eravamo a casa mia, a Palermo. Avevo visto Diego parlare molto spesso con mia sorella minore, Clara, ed ero incuriosita dal loro rapporto. Clara aveva solo otto anni ma amava essere trattata da grande e lui lo aveva capito subito. Era strano vedere un ragazzo approcciarsi ad una bambina tanto spontaneamente, mi aveva intenerito. Quando sono riuscita a rimanere sola con lui gli ho chiesto se fosse una sua missione personale farsi piacere da tutti... mi aveva risposto che amava la mia famiglia e che non ne aveva vista una più bella, che provava "una certa invidia".» La lingua di Valeria schiocca contro il palato in una sorta di dissenso per le lacrime che le stanno per risalire dalla gola, impedendole di parlare, e per la veridicità di certe parole. «Non gli avevo creduto finché non ho vissuto ciò che aveva lui e tutto ciò che gli mancava, capendo quanto potesse davvero tenere alle mie sorelle e a quello che avevamo. Nessuno aveva mai parlato tanto bene della mia famiglia. Per me è stato importante.»
Distendendo l'indice, Valeria raccoglie dal bordo dell'occhio il tremolare oscillante di alcune piccole lacrime, cancellando dal proprio viso il luccichio di quel poco di acqua e sale intrappolato tra le ciglia.
«Mi ero detta che la gentilezza dovesse essere di famiglia. Anche Mattia aveva parlato molto bene del nostro modo di vivere.»
«Ma non era la stessa cosa?»
«Avevo capito presto che i discorsi di Mattia si arrestassero solo alle parole. Diego le mette in pratica, amando, essendo presente, dimostrando, continuamente, quanto ogni sua frase detta possa essere vera. Mattia parlava ma più lo faceva più mi dava la sensazione che il suo animo fosse una caverna spoglia in cui rimbomba solo l'eco e un grande buio nasconde il fondo, così da non mostrarti mai verso cosa ti stai avventurando.»
«Avevi paura di lui?»
«Certe volte, quando smetteva di fingere. In altre si nascondeva piuttosto bene.»
«Eri certa di sposarlo?»
«Lo avevamo concordato. Ogni cosa era decisa, serviva per la mia famiglia.»
«Ma lo volevi?»
Valeria batte il piede a terra, trafitta dal nervosismo e poi, lentamente, scuote il capo dando voce al proprio respiro. «No.»
«Stavi per sposarlo.»
«In quell'anno in cui l'avevo conosciuto lo avevo amato e non ero certa che le mie sensazioni negative nei suoi riguardi potessero essere reali. Mi ero detta di essere ancora troppo ingenua per capire cosa potesse davvero nascondere il cuore di un uomo. La notte dello stupro stavo provando il mio abito da sposa, c'erano dei festeggiamenti, una mia amica mi aveva scattato delle polaroid. Guardandole mi accorsi di non volerlo più fare, di avere ancora troppi dubbi e di non sentire così sincero quell'amore. Trovandolo lungo la strada mi ero decisa a parlargliene ma lui mi aveva vista con quell'abito e mi aveva agguantato un braccio, prendendomi poi con la forza.»
«E da quel giorno non hai fatto altro che odiarlo.»
«Si può amare un uomo così?»
«Un tempo lo avevi fatto.»
«Un tempo mi ero fatta ingannare da una bugia.»
«E che cosa hai provato quando è stato Diego a proporti di sposarlo? Ti aveva garantito anche la vendetta, mi sbaglio? Che cosa hai provato quando te l'ha chiesto?»
«Sollievo. Mi sono sentita di colpo al sicuro. Lui mi stava tendendo la mano mentre ero a terra, umiliando me stessa e maledicendo la mia imprudenza, eppure non mostrava pena. Era come se mi stesse dicendo che a tutto può esserci un rimedio.»
«Allora perché quelle regole? Se provavi quello che provavi con Diego perché ti sei sentita costretta a trovare un modo per tenerlo lontano?»
«Perché nonostante tutto non era affatto facile. Farmi toccare, vivere in quella famiglia, credere ad un torto riparato. Sentivo che se solo l'avessi accettato come marito io e la mia storia saremmo scomparse per sempre. Non potevo accettarlo, Mattia mi aveva ferita e stava continuando a farlo mostrandomi un volto che non mi aveva mai rivolto, la sua vera natura, ad ogni occasione alla quale dovevo essere presente. Ed era come se certe volte Diego non vedesse o si sforzasse di non farlo.»
«Quindi hai mantenuto le distanze per rabbia?»
«Non solo, ho avuto anche molta paura. Diego è un uomo facile da amare, ma amarlo avrebbe significato rinunciare a tutto.»
«Ed ora che sei qui ci stai rinunciando?»
«Non so se sono completamente in grado di farlo... ma sento che non è più una priorità.»
Sanna ticchetta la penna contro le pagine di appunti, creando un altalena con all'estremità la punta e la chiusura sferica della stilografica, per poi sporgersi in avanti verso Valeria, socchiudendo il suo taccuino, in modo da avere le mani ferme, i pensieri bloccati, per poter concedere a entrambi un momento di pura riflessione.
«Che cosa odiavi più in Mattia, dopo lo stupro?»
«Il modo con cui mi toccava. Come mi tocca ancora.»
«Come lo fa?»
«Mi trascina con forza e ha il vizio di posare il suo palmo poco sopra il mio seno, incastrandolo tra la sua origine e il collo. Sembra quasi che voglia sentire il mio battito.»
«È troppo personale, è questo che ti disgusta?»
«Mi disgusta che mostri come del sentimento nel farlo.»
«Sentire il battito è qualcosa di romantico, un gesto che calma... un gesto che compi con Diego, posandogli la mano sul collo. E a Mattia non vuoi permettere di fare lo stesso.»
Confermare sarebbe inutile. Sostenendo solo per alcuni istanti il silenzio di lei, l'uomo torna a parlare con calma.
«Non vuoi aprirgli il tuo cuore perché gli hai permesso di arrivarci in passato ma a Diego non lo vieti, anzi sei tu ad avanzare una simile situazione perché ti senti libera di farlo, perché sei al sicuro e perché, messa da parte l'idea di poter essere dimenticata, ti sei accorta che il marito che hai è lo stesso ragazzo con cui parlavi quei giorni. Lo conosci da sempre, non è mai cambiato ed ora ti destabilizza che abbia osato tanto nel chiedere il divorzio e nel metterti alle strette. Ti ha impaurito, ma di una paura che non conosci davvero perché non è solo terrore dell'abbandono. Sei destabilizzata, confusa e ti senti coinvolta in qualcosa che è solo vostro, privato. Come quei vostri primi incontri dei quali nessun altro sa.»
Per rassicurarla di certe notizie scioccanti, lo psicologo continua a sorriderle e a parlare con il giusto tono di voce che non possa scaturire in lei una sensazione di panico.
«Vesti emozioni nuove, Valeria, più mature ed è ovvio provare per loro un certo timore... ma la verità è che non è cambiato niente. Ora come ora, Diego è ancora al tuo fianco e puoi toccarlo, puoi rassicurarlo, puoi parlargli. Ti dirà quello che ti ha già detto: che ama la tua famiglia, tanto che ha continuato negli anni a proteggerla e ad assicurarsi che stesse bene, che crede nella sicurezza che possono offrire certe giornate di pioggia, tanto da aver condotto anche te ad innamorartene, ma soprattutto che ancora vede quella che sei. Non lotterebbe tanto, altrimenti. Se ti considerasse una donna diversa da quella che ha sposato rinuncerebbe a te più facilmente e non ti mostrerebbe che odio in quello che prova.»
Le frasi stanno scorrendo sul volto di Valeria come acqua fresca di sorgente in una giornata di pura afa, come un sollievo a seguito di un enorme agonia, e lei beve da esse quasi non potesse nutrirsi di altro o non lo volesse.
«Siete ancora gli stessi. La stessa ragazza e lo stesso ragazzo che parlavano in segreto, mantenendo intorno a loro una sfera privata. La domanda è un'altra: se siete ancora gli stessi che sono nati e si sono conosciuti durante quegli incontri, allora che cosa vi ha fatti sopravvivere tanto? In tutto questo orrore che cosa vi ha mantenuto, per una piccola o più grande parte, puri? Perché io lo vedo, Valeria, e lo so. Parlamene. È qualcosa che già sai. Lo hai capito oggi più che mai. Liberatene e dimmi la verità. Non la racconterò a nessuno e tu non tradirai niente, né te stessa né tantomeno il tuo passato.»
Ma Valeria non riesce. Si agita e trema appena lungo la seduta. Vorrebbe sfuggire, ogni cosa che prova è troppo, quella stanza amplifica tutto, ma sente di averne così bisogno. Sente di dover parlare così da non esplodere.
«Parlami, Vale. Dimmi la verità.»
«Ho amato Diego fin da allora. Da quei primi incontri. Da quel giorno in strada» espira fuori in un attimo, svuotandosi di colpo e cessando di tremare.
Lo psicologo fissa la sua resa, osservando l'istante esatto in cui quel cappio si allenta dal suo collo lasciandola respirare aria nuova, da troppo tempo vietata, e gli occhi di lei luccicano a quel nuovo respiro. Brillano... di pura felicità.
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