33. Ciò che può perdere
21 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.
La fiamma di una candela sopravvive nella centralità del tavolo tremando e scomparendo appena, in certi istanti, allo scontrarsi con l'aria gelida che filtra dalle finestre. Vibra, si rende piccola in meno di un attimo, quasi da sembrare impaurita, prima di ritornare ferocemente eretta nel consumare se stessa, così come la natura del suo essere le ordina di fare.
Rimanendo a fissarla, Valeria non sa spiegarsi in quale, dei due istanti, la candela stia compiendo l'azione più giusta, se nell'auto conservarsi o se nell'auto distruggersi, perché non lo ha mai capito nemmeno per se stessa. Non sa se sia più giusto nascondersi per evitare di continuare a soffrire oppure continuare a combattere in modo feroce e credere di starlo facendo per vivere davvero, quando non si fa altro che morire. Riesce a pensare solo ad una cosa; la candela al minimo della sua altezza, ricurva nel proprio stoppino, mostra una proiezione di sé, la sua ombra, molto più estesa mentre nell'apice del suo splendore di fiamma l'ombra del tutto scompare e lei è da sola, a continuare a brillare.
«Io ho paura» sussurra, al centro del silenzio, prima di sollevare gli occhi dalla candela e fissarli in uno sguardo già intento ad osservarla. La voce diviene più dura, l'espressione più ferita. Valeria brucia, pur rimanendo contratta. «Paura di diventare come te.»
Sofia pare quasi non preoccuparsi di simili parole, continuando imperterrita a dispiegare le pieghe presenti lungo la tovaglia.
«Non mi è mai piaciuta la tua impertinenza» le dice ad un tratto, cessando di occuparsi di quella misera mansione di cui si era presa carico e smettendo così anche di fingere disinteresse.
«E a me non è mai importato di piacerti dopo tutto ciò che mi hai fatto... ma non voglio in alcun modo assomigliarti.»
L'altra appare divertita da una simile affermazione.
«Credo che non esista al mondo un modo per renderti simile a me. Se solo ci fosse stato, credimi, lo avrei usato.»
«Perché?»
«Perché non ti attieni mai alle regole, siciliana. Perché tu giochi sleale, sempre.»
«Sono così importanti per te le regole?» Domanda Valeria prima di sbuffare in un mezzo sorriso, fissandosi intorno. «Certo, perché lo chiedo...»
«Ti fai beffa del modo con cui sono cresciuta ma non sono stata io a chiedere la carità. Mi hanno insegnato a non supplicare e questo mi ha portato ad avere un orgoglio e una dignità che tu hai perso il giorno in cui ti sei buttata in ginocchio ai miei piedi, mettendoti a urlare calunnie.»
«Credi ancora che siano state calunnie?»
«Non importa ciò che credo perché non cambia i fatti. Hai già avvelenato questa famiglia a sufficienza.»
A seguito di queste parole Valeria rimane in silenzio e Sofia torna a dispiegare le rughe della stoffa, concedendo così a entrambe degli istanti dentro i quali scaricare la frustrazione.
«Mi hanno accusata di somigliarti...»
«Chi te lo ha detto? Mio figlio?»
Alla sola nomina indiretta nei riguardi di Diego, accompagnata come è stata da una sorta di ironia maligna, Valeria ripristina la propria grinta per poterla fronteggiare come si deve.
«Non è stato solo lui, anche Silvia lo ha fatto... e so che lo ha detto anche a te.» Il mutismo che ne consegue lascia sorridere Valeria in un modo più sinistro. «Lei la rispetti, non è vero? Perché credo che ti somigli per la sua storia.... sentirla paragonarti a me ti ha fatto male...»
«Hai finito con le sciocchezze?»
«Sono venuta qui per parlare, nient'altro.»
«La conversazione mi ha già stancato.»
«Eppure non voglio chiederti niente di ovvio. Non voglio sapere del tuo odio per tuo marito Davide, né tengo a capire quanto tu possa credere davvero che le mie siano state calunnie. Voglio sapere perché credi fermamente che non ci assomigliamo. Capire cosa possa renderci davvero diverse.»
«Non è ovvio, Valeria? È tutto questo. Ciò che io possiedo, la mia famiglia, le persone che ho intorno e quelle che dipendono da me.»
Le mani appesantite dagli anelli si sono ruotate mostrando i palmi aperti lungo il tavolo, quasi mettendo in mostra la loro purezza, ma Valeria non li fissa che per un solo istante: si osserva intorno, guarda le sedie vuote e numerose che le separano, ripensa alle quotazioni della società che suo marito sta acquisendo e solo per un microscopico istante riflette anche su Mattia, assente a quella tavolata pur essendo il padrone di casa.
«Mi dispiace, Sofia, ma sei sola proprio come me.»
E detto questo, Valeria si solleva dalla propria postazione senza aver toccato un solo pezzo di cibo ma dichiarando finito il pasto, assieme alla loro conversazione. Sofia invece mostra una leggera confusione in un primo istante che troppo presto viene rimpiazzata dallo snobbismo e da una nuova forma di provocazione, mentre l'altra se ne sta andando.
«Vedi di venire al matrimonio di Manila e Maurizio, domani. Ci siamo stancati tutti della tua continua irriverenza.»
Vale non dice una sola parola, evitando di replicare a qualcosa che ha già stabilito da tempo, prima di uscire di casa. La ritirata sembra ancora più difficile di quanto non sia mai stata. La pesantezza improvvisa delle proprie scarpe la conduce a incappare più volte nei sassi che decorano il giardino, in uno sforzo divenuto più non solo fisico. Trova la strada di ritorno, abbandona la villa piena di silenzi e finisce per convivere con un'altra forma di mutismo, ben più asfissiante.
Raggiunta la propria abitazione, Valeria apre con debolezza la porta di casa e l'oscurità del soggiorno viene rischiarata dalla luce lunare proveniente dalle proprie spalle. Un unico fascio di pallida brillantezza che illumina la carta lucida delle fotografie ancora abbandonate a terra, distrutte, mescolate, a creare un calderone di ricordi strillanti che non ha osato toccare dal giorno dell'incidente. Non le calpesta ma si fa largo all'interno della casa con una lentezza estrema, quasi volesse ritardare quel rientro in solitaria, essendo impossibile da sostenere.
Con le spalle ricurve verso terra, vestita di un semplice pantalone nero e una maglietta, lasciando le braccia distese lungo il corpo come pallidi rami di una betulla, Valeria rimane a fissare quel puzzle disordinato prima di spostare lo sguardo verso la camera di Diego rimasta aperta dal giorno del litigio. Non è tornato da allora, non è andato a lavoro... Valeria non lo vede da un intero giorno.
Stringe con forza gli occhi a quel pensiero, soffocando in se stessa il dolore ma finendo per rivedere solo l'espressione delusa e ferita di suo marito poco prima di lasciar andare tutto. Lei, quelle fotografie, quegli oggetti, la loro casa e andarsene, senza voltarsi, a seguito di quelle parole tanto dolorose da trascinarla a fondo.
Per la prima volta nella sua vita, Valeria sa che Diego non tornerà e per la prima volta un dolore feroce la attraversa, portandola a sedersi a terra. Non si tratta di un attacco di panico, ma le mani le tremano. Di colpo si accorge di stare già piangendo.
Retrocede facendo forza sui talloni e producendo un suono acuto nell'attrito tra il pavimento e la gomma delle suole, conclusosi con il tonfo della sua schiena contro la parete e seguito solo da un piccolo gemito. Valeria non dice di più, piangendo con le gambe al petto per quello che sente di aver perso, per quello che continua ad esserle davanti, a pochi passi da lei, e per sé stessa. Non si tratta di compianto né di pena per ciò che ha dovuto subire ma è un grido silenzioso, come tutti quelli che accompagnano il suo mutismo, che l'auto incrimina e le ricorda di essere sempre stata lei l'origine di tutto. Di averlo voluto, di esserselo scelto.
Valeria chiude gli occhi e ricerca un vuoto mentale, un luogo in cui tornare ad essere sola nel soffocare le proprie emozioni ma scopre di quanto sia sempre più difficile da trovare e di come anche lui pare essersi contratto in se stesso, ritirandosi nella propria grandezza per concederle il modo di vivere di sé stessa, per sé stessa.
23 Dicembre 1970, Cuneo (Langhe), Piemonte.
Un piccolo brindisi ed un incontro di calici accompagnano il sorriso di Diego intento ad unirsi alla loro cordialità prima di poter notare una macchina grigio metallizzata percorrere il vicolo sterrato conducente alla casa. Diego beve un sorso del prosecco millesimato, comprato pochi giorni prima in una bottega di pregio, e a seguito di quel piccolo gesto, deposto il calice, il suo sorriso sembra essere stato inghiottito dal liquido. Al suo posto si presenta la più totale apatia.
Valeria sta guidando con prudenza lungo il sentiero intervallato da cipressi quando scorge la figura di suo marito attraverso gli archi finestrati del soggiorno della casa di Cuneo. Non guadagna i suoi occhi ma capisce che si è accorto di lei. Con un'unica mossa parcheggia l'auto a fianco di quella di lui e ha a malapena il tempo di uscire fuori dall'abitacolo che Zampa le corre incontro.
L'animale l'accoglie con allegria innata che presto viene ricompensata con amore e dolci carezze. Diego la osserva da dentro casa ma si astiene bene dall'essere notato; si premura infatti per tempo di allontanare lo sguardo non appena Valeria solleva la testa. Occorre solo una semplice frase di scuse per far allontanare l'uomo dai suoi commensali per alcuni minuti e a Valeria un respiro profondo per allontanarsi dall'animale e ricordare a sé stessa ciò per cui è venuta.
Diego sta marciando verso l'ingresso. Valeria, ormai, si trova esitante davanti al portone della casa, indecisa nel credere che ciò che sta facendo possa essere completamente giusto. Si arma di coraggio e con pochi colpi decisi bussa alla porta.
Quando si apre, per lei è come ricevere una sferzata. Diego le si presenta dinanzi, con gli occhi a mezz'asta rivolti nella sua direzione a mostrare quasi un espressione infastidita mentre il corpo appare rilassato. Una mano appoggiata alla maniglia, un ginocchio appena piegato in avanti come se stesse già compiendo un piccolo passo per andarle incontro e l'altra mano che pende nel vuoto, picchiettando l'aria.
«Che cosa ci fai qui?»
L'astio non è affatto celato, doveva aspettarselo. Ma la verità è che niente sarebbe stato in grado di prepararla a sufficienza alla sua freddezza.
«Sono venuta per parlarti. Non sei più tornato a casa.»
«Avevo da fare.»
«Era qualcosa di tanto urgente da impedirti di vedermi?»
«Ti conviene andare via.»
Anche una frase del genere era stata scontata da pensare ma anche in questo caso Valeria non era stata in grado di prepararsi alla possibilità che giungesse tanto presto. La sua certezza si incrina, la voce le assume un tono strano, quasi acuto.
«Perché?»
«Perché non voglio parlare con te.»
Sì, questo le fa male. Molto male ed il dolore le provoca la rabbia. Intreccia le braccia al petto, fronteggiandolo e difendendosi da lui al tempo stesso.
«Hai detto delle cose, su di me. Sono qui per chiarirle.»
«Cosa non hai capito del mio "non voglio parlare con te?"»
«Niente, l'ho capito ma non mi interessa. Se due persone litigano cercano un confronto per chiarire ma sono giorni che mi eviti per cui la prima mossa l'ho fatta io.»
«Che brava.»
«Smetterai mai di essere cosi?»
«Così come? Disinteressato? Apatico?» Valeria capisce dal freddo bagliore che gli illumina gli occhi dove voglia arrivare. «Come ci si sente a non avere indietro nient'altro?»
Male, ecco come si sente, specie perché quell'assenza di emozioni proviene da lui che apatico non è mai stato. Ma non lo dice. Valeria tace, fissando suo marito a braccia incrociate.
«Puoi continuare, se vuoi. Sei arrabbiato ed io so gestire la rabbia.»
La richiesta incessante di un confronto sembra farlo ricredere, solo per un attimo. Diego se ne resta sulla porta a fissare sua moglie e Vale gli tiene testa continuando a chiedergli, silenziosamente, di lasciarla passare.
«Non voglio parlare con te di questo. Non oggi.»
«Stai festeggiando qualcosa? Posso entrare?»
«Si tratta di lavoro.»
«Se si fosse trattato di altro ammetto che mi avresti ferita.»
Diego inclina appena la testa indietro, ruotando sulla lingua, a bocca chiusa, delle parole che poco dopo escono con una lentezza omicida.
«Per tua fortuna non sono incline alla vendetta.»
«Diego, chi è alla porta?»
Una voce femminile e cantilenante si intromette tra di loro colpendo Valeria come un fulmine. Si sforza di sorridere mentre arriva a rispondere.
«Ne sei certo?»
La risposta è la confusione di lui che non viene, però, affiancata da altre parole. Questo perché non gli viene offerto il tempo per farlo, dal momento che l'invitata che lo aveva richiamato si sporge con curiosità e una lieve malizia dal profilo della porta. La donna è molto bella. Bionda, con la pelle chiara e ipoteticamente della stessa età di Vale, forse qualche anno in più. La siciliana deve inghiottire il proprio malessere nel riconoscere nell'estranea il tipo ideale del marito.
Per un istante l'idea di tornare alla macchina la persuade. Si sente di troppo e suo marito ha detto chiaramente di non volerla nella casa ma fuggire non è mai stato nel suo stile, specie sapendo quanto è importante ciò per cui sta lottando.
Con voce calma, nella ricerca disperata di una superiorità che non avverte quando Diego la allontana così, Valeria risponde alla domanda cantata piegando appena la testa all'indietro.
«Sono sua moglie.»
«La donna del contratto di divorzio?» Chiede quindi la bionda a Diego, ancora fermo nella stessa posizione. La sicurezza di Valeria si sgonfia come un palloncino bucato. «Scusami, non volevo essere irriverente ma sono amica di Giulio, il vostro avvocato.»
«Non importa e non cambia le cose: sono ancora sua moglie.»
In un'altra occasione Diego si sarebbe dimostrato fiero di una simile risposta e si sarebbe sbilanciato in un mezzo sorriso. Vale tenta di catturarlo, ma sfortunatamente niente è cambiato nel suo sguardo adesso e l'idea di averlo infastidito la fa star male.
«Direi proprio che mi piaci, cara. Io sono Lavinia.»
La mano tesa che la nuova conoscente le porge si dimostra essere una sorta di tregua a tutti i pensieri maligni che la siciliana potesse avere. Di colpo capisce la sua sincerità e l'innocenza che traspare la sua presenza lì.
«Valeria» le risponde, stringendo la sua mano sotto gli occhi ancora assenti del marito.
«Allora, Diego, lasci tua moglie fuori dalla porta o la fai bere con noi?»
«È astemia» risponde secco Diego, cambiando peso sulle gambe e poi allontanandosi dalla porta per lasciarla passare. Rimaste sole, Lavinia fa una piccola smorfia buffa verso Valeria, ruotando gli occhi al cielo.
«Non preoccuparti, non è colpa tua. Sono ore che ha la testa altrove.»
«Non mi vuole qui. Penso che dovrei andarmene.»
«E invece io penso tu debba restare. Continuavo a chiedermi cosa avesse, non ha fatto altro che fingere per tutto il tempo ma poi sei arrivata tu ed ecco fatto!» Lavinia schiocca le dita, quasi a simulare l'inizio di una magia. «Addio sorrisi finti e benvenuta verità.»
«Si tratta di lavoro, non voglio disturbare.»
«Abbiamo praticamente finito, non preoccuparti.»
Ed è sotto il suo sguardo di incoraggiamento che Valeria riesce a entrare nella casa e raggiungere il soggiorno, dove il resto degli invitati la fissa con curiosità. Con sorpresa, scopre tra loro anche Claudio.
«Messieurs, voici la femme de Diego. Il se joindra à nous pour célébrer la vente.»
La voce di Lavinia presenta Valeria in un francese dalla fonetica perfetta che però l'altra non comprende.
«Che cosa gli hai detto?» Le domanda mentre il resto del gruppo di soli uomini in abiti eleganti le sorride e solleva il calice nella sua direzione.
«Che sei la moglie di Diego e che stai per unirti ai nostri festeggiamenti. Abbiamo appena concluso un'importante vendita.»
«L'hotel?»
«Come lo sai?»
«Diego mi ha portata con lui al primo tentativo di accordo.»
«Allora dovresti anche sapere che io sono l'agente immobiliare che lo tiene informato sui beni con un'alta fonte di rendita futura e che quell'uomo», indica Claudio, sorridendogli con sfrontatezza, «è un genio in questo settore.»
«Claudio è bravo in tutto ciò che fa.»
«Ma non credo che sia il caso che tu ora ti ferma a parlare con lui di questo. Tuo marito si è rifugiato in cucina a preparare dei drink... sembra proprio che stia tentando di sfuggirti.»
Capendo l'antifona non se lo fa ripetere due volte. Ricambiando i saluti cordiali dei presenti si avvicina alla cucina prima di venire afferrata, con una presa ferrea intorno al braccio, da Claudio che la osserva in preda alla preoccupazione.
«Vacci piano con lui. È ferito e molto arrabbiato con te.»
«Non gli permetterò di tenermi lontana.»
«Attenta solo a non peggiorare tutto. Sono stati giorni intensi e tu non c'eri.»
Vorrebbe rispondergli che lei era nella loro casa, era a lavoro, era in tutti i luoghi che avevano condiviso da sempre. Era stato lui a non esserci per giorni. L'unica cosa a cui lei aveva rinunciato era stata costringerlo a stare in sua compagnia al matrimonio di Manila e Maurizio al quale non si era presentata.
Con una sola mossa, Valeria si libera dalla stretta e raggiunge suo marito in piedi di spalle, con la testa piegata verso il tavolo da pranzo al centro della cucina. Osserva i suoi gesti lenti, i muscoli delle braccia in tensione, il resto del corpo rilassato mentre si occupa di tagliare fette sottili di arancio e rovesciare i drink nei bicchieri presenti.
«Avrei voluto che fossimo soli» si sente dire a bassa voce, mentre è ancora intenta ad analizzarlo. «Ho bisogno di parlare con te ma non cinque minuti in una stanza mentre nemmeno mi guardi... non con altre persone a pochi passi.»
«Hai creduto che Lavinia fosse una delle mie amanti» parte a dire Diego, sollevando la testa dal tavolo e fissando di fronte a sé il muro che gli è dinanzi, quasi stesse parlando direttamente a lei. «Che l'avessi fatta arrivare fin qui per portarmela a letto, così da scaricare la tensione, mettere da parte i problemi, che tanto che importa? Quante donne sono passate di qui? I preservativi li ho.»
L'eco di un discorso avuto in precedenza rimbomba tra le parole di Diego piene di risentimento. Non ha il desiderio di smentirlo, solo di capire il suo punto di vista.
«Mi fa male pensarti con un'altra.»
«E questo l'abbiamo chiarito. La gelosia è un altro degli splendidi sentimenti che ci sono in gioco, la mettiamo insieme al risentimento e alla rabbia.»
Il fatto che stia disprezzando delle parole che a Valeria risultano ancora difficili da dire la carica di odio... perché non essere compresa, per lei, da che era bambina è sempre stata una sensazione nauseante.
«Se mi disprezzi tanto non dovresti essere così arrabbiato.»
«Ancora questa storia?» Chiede esausto lui, posando il coltello con cui stava facendo a fette l'arancio sul tavolo per poi voltarsi verso di lei con espressione stanca e infuriata. «"Se ti disprezzo", "se non mi vai bene", "se mi arrabbio", ma ti ascolti? Il fatto non è quello che provo io perché è piuttosto evidente ma quello che provi tu!»
«A me non sembra evidente.»
«Fai sul serio?»
«Chi prova qualcosa non abbandona così per giorni. Non ti lascia sola in una casa che avete condiviso da sempre senza dirti una sola parola! Senza cercare un minimo di confronto ma sparendo e basta!»
«Dovresti conoscere le conseguenze della rabbia» le fa presente, fissandola adesso con uno sguardo di fuoco.
«Sì e non mi importano, perché saresti dovuto comunque essere lì, con me, per chiarire.»
«Che cosa dovrei chiarire?»
«Che c'è intesa fra noi e che è terribile quando si infrange!»
Diego rimane in silenzio mentre quelle parole gli entrano sottopelle con la forza del loro grido. Sono parole importanti, significano qualcosa, e nella sua rabbia capisce di dover dare loro credito e ritirarsi dal combattimento quanto basta a mostrare solo una sorta di difesa.
«Non ho da chiarire niente. Quello che dovevo dirti te l'ho detto, ora sta a te.»
«Che cosa? Decidere se amarti o vendicarmi? Tu non c'entri niente con questa storia! Non sei tu! Non sei lui! E io non posso scegliere!»
«Non vuoi, il che è diverso ma sai che è necessario per decidere chi vuoi essere. E poi, non è solo questo, Vale.» Diego le è di fronte, a pochi passi. Lo vede deglutire, intravede quel lampo di concentrazione che gli attraversa gli occhi mentre tenta il modo migliore per approcciarsi a lei e dirle tutto, ogni cosa, così che possa capire dove si sono infranti.
«Non ho mai dovuto dimostrare niente a nessuno, non ne ho mai avuto l'interesse e non sono bravo a parlare di me stesso con gli altri.... ma con te l'ho fatto. Ora sono arrabbiato con te ma so di averti dato tutto. Ho tenuto la nostra foto, Vale, ogni giorno, sulla mia scrivania finché non è arrivato mio fratello e ho sentito il bisogno di nasconderla per proteggerci ed ho lottato, in ogni modo, per darti una scelta. Ti ho parlato di tutto ciò di cui ho sentito il bisogno di parlarti e certe volte non mi accorgo nemmeno di essere rimasto a fissarti perché mi sono abituato a farlo... E che cosa ho avuto in cambio? Niente, Vale. Non ho avuto quasi niente. Può sembrarti di avermi dato tanto ma per me non è stato così. Mi baci e per me significa molto. Mi racconti del tuo passato ed io ti sto a sentire, come tu sei rimasta a sentire me, perché ho bisogno di ogni minima cosa di te... ma mentre raccolgo tutto questo, Vale, addosso mi cade sempre una montagna di male. Quelle fotografie, i tuoi piani di vendetta, la rabbia, la gelosia, il bisogno di rivalsa vengono da entrambi, ce li auto alimentiamo, e distruggono sempre ogni cosa. Non può essere così. Non voglio che sia così. Voglio altro.»
«Da me?»
Diego vorrebbe urlarlo che sì, sì, dannazione, ha bisogno di lei come di nessuna ma non può farlo, non vuole aprirsi così, specie non gli permette di farlo la rabbia che gli suggerisce piuttosto di nascondersi, di impaurirla, di farle credere che con una sola piccola scossa il terreno le potrebbe franare da sotto i piedi.
«Sei in grado di darmelo?»
Valeria non lo sa. Ha il terrore di scoprire una negazione. Anche per lei è difficile parlare ma non vuole perderlo, in alcun modo, solo che la cosa la terrorizza.
«Se la risposta fosse no? Riusciresti a stare ancora con me, in quel caso?»
Diego rimane a fissarla, proprietario di un'unica risposta a quella domanda.
«No.»
La terra sotto i piedi di Valeria non ha mai tremato come in quest'istante. Il mondo le gira vorticosamente intorno e la paura la stringe come una camicia di forza, tanto stretta attorno al corpo da farle ciondolare indietro e in avanti la testa, in una sorta di disarticolato assenso dipinto dalla pazzia.
«Va bene... certo, lo capisco, meriti di meglio... lo hai sempre meritato.»
Le gambe dell'uomo sono ben piantate a terra in una solidità di valori, di certezze, che quelle di lei, tremanti, non detengono. Valeria cerca di inghiottire la saliva. La voce le è andata via, che reazione assurda. Suo marito le ha solo fatto capire di non poter rimanere sposato a lei se è l'amore ciò che manca nel loro rapporto, non è niente di inconcepibile, no? Ma il loro amore non ha parole, non ne ha mai avute, ed ora gli viene richiesto di parlare... con che voce? Valeria non la possiede e trema, si logora, all'idea di poter perdere tutto.
«C-credo di dover andare. Complimenti per la vendita dell'hotel, ti sei tolto un grosso peso.»
Lo dice ed è nel dirlo, nel capirlo, che Valeria sorride tristemente. Quel peso da cui privarsi poteva essere lei. L'hotel è sempre stato il suo paragone metaforico, la cosa che Diego ha preso tra le mani e ha curato per poi lasciarlo andare quando non poteva fare più niente per lui. Può ancora essere lei... e Diego è tutto ciò che può perdere.
Il marito non arresta la sua ritirata. La segue con gli occhi fino a che gli è possibile e così Valeria abbandona la casa. Non sa dove andare, non sa che fare. Le chiavi dell'auto le bruciano nel palmo della mano e l'abbaio di Zampa risulta essere un suono sordo, rinchiuso in un angolo del cervello, mentre le consiglia di restare, di non andarsene, di non salire su quella macchina e sparire. Una donna diversa non lo farebbe, ritornerebbe in quella cucina, di fronte al marito con cui ha condiviso metà della propria vita, e direbbe a quell'uomo tutto ciò che vuole sentirsi dire, ciò che sente, ma Valeria non è così perché lei non ci riesce.
Ha perso il ricordo di come fare, perché non parla dei propri sentimenti da una vita. Per quanto amore potesse avere per Gaia, ha vissuto anche la loro relazione con il dovuto distacco. Non l'ha mai considerata una vera sorella perché l'idea di ripartire, un giorno, vendicata la vendetta, l'aveva sempre portata a pensare di non doversi lasciare legami dietro per non soffrire ancora. No, Gaia non è mai stata una sorella per lei, l'ha costretta a non esserlo, ed è solo con le sorelle che Vale parlava di sé, di ciò che provava, della forza che la smuoveva, della sua felicità. E' passato troppo tempo e crede di non riuscire più a farlo, specie con un uomo risoluto come Diego. E il non riuscire dichiarerebbe nella sua testa l'idea di una fine.
Guida con questi pensieri, raggiunge come un fantasma il portone di casa propria, lo varca ed il telefono fisso inizia a suonare nel preciso istante del suo ingresso.
«Pronto?» Mormora appena, con lo sguardo perso nel vuoto.
«Vale! Per fortuna sono riuscita a contattarti!» Dall'altro capo della linea, Silvia le parla con voce concitata, vittima dei movimenti veloci che sta compiendo mentre tiene incastrata la cornetta tra l'orecchio e la spalla. «È un emergenza, si tratta di mia madre, puoi tenermi i bambini per qualche ora? Prometto che me li riprendo il prima possibile!»
Che cosa succederebbe se Valeria non riuscisse ad aprire il proprio cuore? Perderebbe Diego, e con lui ogni cosa.
«Certo, Silvia, non c'è alcun problema.»
«Ti ringrazio, Vale! Mi hai davvero salvato la vita! I bambini ti aspettano vicino all'ingresso, ho detto a Gaia di prendersi cura di Davide come sempre ma lo sai... il bambino è piccolo, fai attenzione che non lo svegli altrimenti ti toccherà ri addormentarlo.»
«Certo, Silvia...»
«Grazie di cuore! Ti aspetto allora!»
Che cosa le rimarrebbe? Niente. Nemmeno se stessa.
Quando raggiunge la casa degli Agnelli, Silvia, sul portone, le lancia un bacio veloce e fugge via, avvicinandosi alla propria macchina. Al posto di guida, Valeria fissa Gaia avanzare verso di lei con Davide, addormentato, in braccio e Edoardo seguire i due fratelli a passo stanco. Apre il portone della macchina continuando a guardare Gaia, il suo sorriso innocente, l'allegria con cui passa dalla zia al suo fratellino più piccolo come a dimostrarle di esserle diventata grande. Di saperlo tenere al sicuro come si conviene a una sorella maggiore. Angela faceva la stessa espressione quando teneva tra le braccia Carla.
Valeria è immobile di fronte a questo pensiero mentre Edoardo si è già seduto alla sua solita postazione sul sedile posteriore e Gaia è in piedi, di fronte allo sportello retrostante quello di Valeria, con ancora suo fratello piccolo in braccio. Vale fissa la loro immagine nello specchietto per lungo tempo.
«Zia, mi vieni ad aprire? Dobbiamo metterlo nel suo seggiolino!» Sussurra Gaia, sporgendosi verso di lei in quell'immagine riflessa, in modo tale da non disturbare il sonno del neonato.
Valeria continua a rimanere ferma, congelata alla sua postazione per ancora alcuni minuti prima di poter scendere. Apre lo sportello, si occupa di assicurare Davide alla sua seduta e poi osserva Gaia, tutta felice, saltellare nel compiere il giro attorno alla macchina per poter giungere al suo posto d'onore, accanto al guidatore. La mano di Valeria trema mentre afferra la maniglia. Quando lo sportello si chiude, vincolando i quattro dentro, fa un rumore assordante nelle sue orecchie.
Rimangono fermi di nuovo, la piccola guarda sua zia con curiosità per qualche istante, dopodiché rinuncia a capire cosa passi nella mente dei grandi, proprio come le ha detto pochi giorni prima di fare la zia che ora è persa nei propri pensieri.
La piccola prende a giocare con il cavallo a dondolo in legno che la zia le ha regalato, doppiandolo con una voce caratterizzante e piena di inflessioni canore. Vale ruota la testa a quel suono e spia il giocattolo prima di volgere la testa anche in direzione di Edoardo, notando il suo distacco, ed iniziare a parlare. Fissa entrambi, maggiore e secondo genito, nel farlo.
«Stiamo per fare una cosa, ma è un segreto. Non dovete raccontarlo né a mamma né a papà, mi promettete?»
«Che cos'è?!» Domanda pieno di entusiasmo Edoardo, sporgendosi e mettendo così in tensione la cintura nera di sicurezza.
«Prima promettetelo» chiede Valeria, con voce rotta.
«Promesso!» Esclama per primo il piccolo. Vale si rivolge a Gaia, che ha rinunciato al suo gioco. Nei suoi sette anni la guarda con innocenza, intuendo però che qualcosa non va nel cuore di sua zia.
«Promesso.»
Vale mette in moto la macchina, percorrendo la strada fino alla destinazione ideata. Le mani non le tremano più quando afferrano il piccolo corpo di Davide, facendolo scendere dall'auto, per accostarselo al seno. Il neonato continua a dormire addosso a lei mentre il resto dei fratelli scende cercando di non sbattere troppo forte gli sportelli dell'auto. Gaia è abituata a non camminare mano nella mano con Valeria mentre Edoardo compie il gesto, abitudinario con la madre, di porgere il palmo prima di lasciarlo precipitare in solitudine nel vuoto. Si illude che sia perché la zia tiene tra le braccia il loro fratellino, non potendo scendere al compromesso affrontato da Gaia da tempo nel capire quanto Valeria sappia essere fredda in termini emozionali.
Come un'adolescente nel suo periodo di ribellione, costantemente fuori dalle mura di casa, Gaia affronta il tragitto a testa alta per poi aprire con disinvoltura la porta del bar, lasciando passare tutti loro. Si avvicina al balcone e attende, però, che sia Valeria a ordinare.
«Un muffin al cioccolato bianco, con una spolverata di cacao.»
«Subito, signora» le risponde la cameriera, Greta, con un sorriso dolce. Valeria abbassa la testa verso i piccoli in piedi a fianco a lei.
«Voi volete qualcosa?» Una scossa di capo accentua la negazione da parte di entrambi.
«Accomodatevi, allora, ve lo porto al tavolo.»
«Ce la faccio» afferma Valeria, pur continuando a stringere Davide tra le braccia. Greta rimane a fissarla, chiedendosi in che modo, prima di smettere di preoccuparsene. La ragazza le sembra afflitta, quasi distaccata in una maniera inquietante per cui si occupa di afferrare tra i prodotti l'unico confezionato del bar e scartarlo dall'involucro di plastica. Posa il muffin al centro del piatto, ponendovi al di sotto un piccolo fazzolettino, e poi lascia cadere sulla capocchia una abbonante dose di cacao, sperando che la dolcezza del prodotto possa rendere più tenera la giornata a quella che le pare essere, a tutti gli effetti, una giovane madre.
Valeria afferra il piatto tenendo saldo Davide contro di se ed inizia a camminare tra i tavoli, seguita dai due bambini a piedi. Il locale è vuoto ma Valeria sceglie un punto preciso, uno specifico tavolo, e su di esso posa il piatto. Trascina lenta le sedie per il resto del gruppo, aggiungendone due ai lati della sedia con lo schienale rivolto al bancone, dopodiché dal centro sposta, con la punta delle dita, il piatto in direzione della sedia singola di fronte. Vuota, con lo schienale rivolto contro il muro.
Si siede dinanzi a quella sedia, con Davide addosso e il resto della compagnia che la imita, accomodandosi alle sedie preparate. Allunga il braccio, studia l'orologio al polso. Guarda la lancetta dei minuti che si appresta a raggiungere l'ora e poi lo ripone. Attende. Attende che l'uomo al quale è designata quella sedia li raggiunga.
I piccoli non chiedono, giocano tra di loro nell'attesa di quel momento mentre lo sguardo di Valeria si disperde nell'osservare il muffin di fronte a lei. Non sente niente. Non prova niente e la cosa non la impaurisce. Quando ha smesso di farlo? Quando ha iniziato a perdere se stessa dimenticandosi di chi è sempre stata?
Prima di sedere a quella sedia aveva creduto di non essersi mai smarrita del tutto e di aver conservato una sorta di raziocinio nel procedere secondo i suoi piani. Ci credeva davvero ma ora una sensazione angosciante, un senso di smarrimento, sembrano raggiungerla alla bocca dello stomaco.
China la testa verso quel dolore e non vede il piccolo che riposa ma la fede in oro che luccica al suo dito, nella mano che afferra Davide a sé. Un bagliore, l'oro riluce. Valeria lo fissa e di colpo, in quel caffè così vicino alla società, così vicino al pericolo, Diego la raggiunge come un pensiero.
La visione del marito nella sua mente la fa respirare; lo immagina in piedi al suo fianco, intento a fissarla senza giudicarla. La guarda e arriva a chiederle una cosa semplice quanto disperata. Le chiede amore. Le chiede di dare se stessa. Le chiede... di essere migliore.
Si solleva di scatto dalla sedia e il movimento fa svegliare il piccolo Davide che scoppia a piangere di colpo.
«Che succede?» Domanda Gaia e finalmente Valeria riesce a parlare con la sua voce. Le appartiene, è sempre stata lì.
«Dobbiamo andarcene.»
Il piccolo piange ma nessuno di loro ci fa caso. Troppo sconvolti dal cambiamento radicale nella zia i piccoli iniziano a seguirla di fretta mentre pare scappare fuori dal bar senza pagare ma lasciando intatto quel dolce sul piattino al tavolo.
Greta non crede che sia giusto fermarla, il pasto non è stato consumato e per giunta c'è di meglio. Riconosce Sanna mentre sta entrando all'interno del bar e capisce di non dover sprecare del cibo che presto sarebbe stato riordinato nell'esatto modo.
Valeria continua ad avanzare e nella fretta, a pochi passi dalla porta, si scontra con lo psicologo, intento a fissare il proprio orologio.
«Mi scusi» gli dice appena, tagliando veloce la strada per raggiungere la macchina. Avendo lo sguardo chinato l'uomo non ha visto il volto della donna ma nel suo tono vi ha riconosciuto una strana inflessione, pura agitazione, che si manifesta persino nel modo veloce che ha di fuggire. Coglie appena, con la coda dell'occhio, i bambini che tengono ancora il passo e salgono con lei sulla macchina, presto ingranata con una rotazione secca del polso, così da far uscire tutti loro da lì.
«Zia, ma quale era la sorpresa?» Domanda Edoardo, mentre la piccola Gaia tace, continuando a osservare sua zia. Valeria si sforza di sorridere, stringendo con forza il volante.
«Ve la faccio avere un'altra volta, mi sono appena ricordata di una cosa importante e devo andare a lavoro.»
«Il giorno prima della Vigilia di Natale?» Interviene Gaia, ricevendo contro gli occhi confusi di sua zia.
«Era una sorpresa per Natale, non è vero zia? Ci hai fatto un regalo!» Se ne esce con allegria Edoardo e Vale annuisce.
«E' così ma non dovete dirlo ai vostri genitori perché mi avevano chiesto di aspettare che sia Babbo Natale a portarvi tutti i doni. Credo che sia più giusto aspettare che si occupi lui di tutti i regali.»
«Perché dobbiamo andare alla società?» Domanda invece Gaia.
«Perché devo chiamare una persona e ho dimenticato l'agenda con il suo numero sopra.»
«Zio lo sa?»
«Zio non deve sapere sempre tutto.»
A questa risposta, Gaia allontana gli occhi dirigendoli fuori dal finestrino, in modo da dichiarare chiusa per entrambe la conversazione. Valeria lascia poi la macchina in moto facendo assicurare ai bambini di non toccare niente e sale all'interno della società percorrendo i gradini delle scale due a due.
Non aveva mentito alla piccola, ha davvero un numero a cui telefonare e quando lo compone si accorge di avere il batticuore. Forse solo per la corsa ma molto anche per il suono costante dell'attesa una volta inoltrata la chiamata. Il battito si regola su quel suono e l'attesa diventa una lenta agonia di rinascita.
-
Vivere da solo aveva da tempo condotto Paolo Sanna a comprendere che da certe festività era il caso di scappare a gambe levate. Lo aveva accennato anche a Mattia, in uno dei loro incontri; adorava il Natale ma non poterlo passare con la donna che, a tutti gli effetti, è stata la sua sola famiglia per anni lo deprime al punto tale da dover convivere, tuttora, con l'idea che niente sarà più lo stesso. Tornare al proprio studio lo aiuta, eppure sembra che niente sia mai abbastanza. La storia di Mattia lo affascina ma in certi momenti lo disgusta allo stesso tempo, tanto da fargli desiderare di non prestargli la minima attenzione. Se solo ripensa a come quell'uomo gli aveva raccontato la storia di Valeria...
Sanna si sfila gli occhiali dalla testa e richiude il taccuino nero che tiene in una mano prima di entrare all'interno del suo studio con fare stanco. Focalizzarsi sul lavoro è la sola scelta che gli resta eppure per quanto noiosa, cinica, sfibrante, sembra essere ancora in grado di riservargli delle sorprese.
Una donna è seduta sulla chaise-longue sulla quale lo psicologo porta avanti tutte le sue sedute e appena ha avvertito la porta chiudersi in un flebile suono ha sollevato la testa, in preda ad un senso di smarrimento che l'istante dopo si costringe a placare.
«Salve» proclama l'uomo in preda alla sorpresa e la donna pare chiudersi più in sè stessa, chinando appena il capo.
«Salve...»
Sanna osserva i lisci capelli neri della sua chioma scivolarle da sopra una spalla al petto, rimanendo colpito dalla bellezza femminile e gelida che traspare dallo sguardo di lei e dalla sua pelle pallida. L'uomo inclina la testa e, in preda alla curiosità, apre appena il nero quaderno che tiene in mano, sulla pagina prefissata dal cordonino di segnaletica, in modo da riuscire a leggere una breve frase scritta con calligrafia veloce. Richiude le pagine e sorride alla nuova arrivata.
«Noi... avevamo un appuntamento. Mi scusi ma non sono potuto essere in ufficio nelle ultime ore e la mia segretaria mi ha lasciato un appunto su questo taccuino che non avevo visto.»
«Se è un problema torno un altro giorno» la avverte mormorare, al che scuote il capo con sicurezza, andandosi a sedere al suo posto.
«No, no, non è affatto un problema. La prego, rimanga.»
La poca vista aggravata dall'incedere degli anni ha consentito a Sanna di leggere solo in parte ciò che gli è stato lasciato scritto per cui, aprendo la sua penna stilografica e selezionando la nuova pagina sulla quale iniziare a scrivere copioso i suoi appunti, lo psicologo legge anche il resto del messaggio, in un leggero stato confusionale.
«Qui c'è scritto che è stato l'avvocato Giulio Ruggeri a farle avere il mio numero.»
«Sì, è così... ma non l'ho scelta tramite suo suggerimento.»
Confuso, Sanna accenna a sollevare appena la testa e trova la donna, con maggiore sicurezza stavolta, intenta a fissarlo. I suoi occhi immobili tradiscono un'irrequietezza sicuramente presente anche nell'animo, nel ricciolo ad un angolo della bocca, nell'angoscia con la quale sembra le sia tanto difficile rimanere nella stanza.
«Mio marito viene regolarmente da lei da mesi per delle sedute» chiarisce, prima di mettere un punto ai sospetti che si stanno generando nell'uomo. «Mi chiamo Valeria Greco. Sono la moglie di Diego.»
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