3. Il toro rosso

Era riuscita a scappare da lui... per troppo tempo. Questa è la sola considerazione che la mente di Valeria riesce a formulare, stupita come è nel trovarsi di fronte l'uomo che al momento doveva essere distante da lei un oceano.

«Ti sono mancato?»

«Come puoi chiedermelo?»

«Tu mi sei mancata.»

Valeria vorrebbe scappare. Con le mani strette attorno alla ringhiera appare come un animale in trappola, ferito e deluso dal carnefice che le si pone davanti e che non esita ad avanzare. Pronta per correre dalla parte opposta della terrazza, la donna si contrae in se stessa, stringendosi nelle spalle in modo da nascondersi, e fa correre le unghie lungo il ferro del sostegno pronto a sorreggerla, nella speranza che l'uomo, così facendo, non possa toccarla e lei ottenga la giusta forza per difendersi da altre azioni.

«Fatti da parte.»

«Due anni che non ci vediamo e mi accogli così?... Avanti, Vale.»

Tramite queste parole la soddisfazione di riaverla vicino a sé sembra lasciare il posto ad una sorta di tristezza estrema, capace di fargli rivolgere verso il basso l'espressività degli occhi. Si domanda come sia possibile che possa essere reale e che proprio lui possa credere di provare come una sorta di delusione nei suoi riguardi quando dovrebbe essere l'esatto opposto.

Valeria vede per tempo la mano di lui sollevarsi nella sua direzione e la recepisce come a rallentatore, come se l'uomo la stesse testando per capire se scapperà. Ovvio che è ciò che intende fare, non è cambiato nulla. Fossero anche gli anni, i continenti, gli oceani... niente può riparare un torto.

Mattia Grimaldi. L'uomo che non ha da chiedere mai... e che si vede di colpo scappare quell'attraente ragazza dalle mani. La segue con gli occhi, sperando che la notte possa ancora renderglielo possibile dal momento che la donna retrocede, sempre di più, sancendo lei stessa il parametro di distanza.

«Non provare a toccarmi» sibila, alla stregua di un serpente mentre il buio la circonda e Mattia sorride appena. Rinunciatario, si vede costretto a riporre le mani nelle tasche e tirare all'indietro il collo, quanto basta da consentirle di capire se davvero disprezza tutto ciò che le sta offrendo, con una sorta di sfrontatezza rinata: volto fresco di rasatura, nonostante il lungo viaggio in aereo affrontato, abiti eleganti, pagati con tutti i prodotti venduti grazie ad una parlantina strabiliante, tipica di un avvocato e dunque attenente al corso di studi affrontati prima di diventare manager dell'azienda, un fisico attraente di cui è consapevole, visibile al di sotto dei tessuti attillati e delle gambe forti ma ferme, comandate dalla decisione di lei.

Valeria lo conosce troppo bene, tanto da non desiderare nemmeno far scivolare gli occhi lungo il suo corpo ricordando l'orrore a cui l'aveva condannata. Era una donna diversa, un tempo. Anni fa non era costretta a restare in guardia in questo modo, ad essere scattante, pronta agli attacchi. Non conosceva l'odio ma ora lo assapora da tempo e sa bene che gusto abbia, per questo motivo non perde il contatto con gli occhi di lui, alla stregua di una preda nei confronti del proprio cacciatore. Puro disgusto, eppure Mattia crede di poterlo abbattere.

«Avanti... se mi fissi in quel modo mi viene da arrossire. Siamo parenti ormai...»

«Che cosa vuoi?»

«Solo sapere come stai... se ti stai godendo la festa.»

«Difficile farlo quando sembra il ricordo di un incubo.»

«Così mi ferisci... credevo fosse tutto passato, che la distanza ci avesse fatto bene...»

Ancora quella sorta di delusa tristezza. Valeria ne è sconvolta ma non rinuncia a ciò che la rabbia le spinge a mettere in chiaro per sempre.

«Non passerà mai. L'odio che provo per te-»

Vorrebbe avere la forza di continuare ma la voce le si interrompe. Mentre era intenta ad articolare il suo disprezzo lui si era fatto più vicino, arrivando a compiere un'azione che lei non era stata in grado di fermare.

Mattia, in una delicatezza abbinata solo all'irruenza con cui era solito prendersi tutto ciò che non gli apparteneva, avente quasi il desiderio di non svegliare Valeria dal suo incubo personale, aveva teso la mano, aperto il palmo ed ora lo sta posando lungo il collo di lei in modo da farlo aprire sul suo torace, tracciando la riga di un percorso invisibile lungo la sua pelle, con la punta dell'indice.

Per poco lo segue con lo sguardo, prima di far tornare l'attenzione a lei in modo da constatare l'effetto di una simile traccia di passato.
Non resta deluso.
Nonostante l'aria battagliera ed i pugni chiusi lungo i fianchi dagli occhi di Valeria stanno scendendo delle lacrime. Difficile capire se di dolore o di rabbia ma nella luce della notte brillano come delle perle, rendendo ancora più prezioso il suo sguardo.

«Due anni che non ci vediamo ma ancora non mi hai dimenticato... Tutta questa rabbia, Vale... è per colpa sua se stai piangendo?»

"Sua", di chi? Della rabbia?

Nemmeno si era accorta di farlo, essendo appena stata vittima di quei pianti silenziosi comandati dal cuore ma impediti dalla mente. Fiumi d'acqua salata che arrivano ad una cascata e si infrangono senza fare alcun rumore. Non un minimo suono. Gemere di dolore sarebbe la colpa finale capace di non farle più perdonare se stessa.

Valeria si ritrae di scatto, il cuore in subbuglio, gli occhi feroci ma intimoriti e schiaffeggia quella mano, la spinge ad essere più lontana da lei e dal suo corpo.

La vista incanta l'uomo al punto tale da creargli un minuscolo sorriso stupito all'angolo delle labbra, nel quale è contenuto ogni ricordo.

Valeria era sempre stata bella ma ormai è divenuta una donna per cui è impossibile rifuggire al richiamo degli occhi lungo il suo corpo. L'aveva conosciuta che era solo una ragazzina, sorridente ma intimorita del suo aspetto, degli anni, se pur pochi, di differenza, perché quando si erano conosciuti l'età si metteva in accordo con l'esperienza, ed era così bella ma ora... ora il pensiero di non poterla avere, la sua furia, il rancore covato nel cuore, solo contro di lui, ha creato un legame tra loro due impossibile da bandire.

«Vattene» sussurra ancora lei, nonostante quella connessione, testarda ed esigente come non mai.

«Non mi hai risposto.»

«Non meriti alcuna risposta.»

Tacendo mentre si fissano attraverso il buio della notte, il loro legame prende vita come un'escandescenza di stelle brillanti, linee rotte, spezzate a tal punto che niente può riuscire a ricucirle.
Mattia è costretto a rinunciare fintanto che non troverà una soluzione per ricucire quello squarcio.

«D'accordo, Vale... me ne vado. Sappi, però, che sono tornato. Questa volta per sempre.»

Cerca di non mostrarsi ferita da quelle parole, tenta di rimanere in piedi e ci riesce. Ci riesce finché non è certa che se ne sia tornato nella sala, che abbia chiuso le alte porte completamente in vetro dietro di se, così da poter essere libera di tornare contratta nel proprio dolore, assieme ad un nuovo principio di pianto.

È patetico ma non può farne a meno. L'unica cosa che riesce a fare è mordere una delle nocche per non urlare. Lo ha fatto molto spesso, certe volte tanto a fondo da far scaturire il sangue all'altezza dei denti, ma ora un rumore la ferma e la conduce a sobbalzare sul posto.

Pensa che Mattia sia tornato, non è la prima volta che si rimangia la parola data, per cui è pronta a gridare, a svegliare tutto il vicinato se necessario, pur di far allontanare da se quel demone. Ma quando si volta, sollevando una mano per poterlo colpire ancora una volta, nel caso in cui tentasse di ri avvicinarsi a lei, è costretta a bloccare ogni sua iniziativa e rimanere immobile.

Il volto è lo stesso ed uguale a quello dell'altro uomo. Persino l'altezza è identica mentre gli occhi sono diversi, solo nella loro espressività. I capelli acconciati secondo un taglio più lungo, la barba appena accennata.

Valeria tira su con il naso, consapevole che il trucco agli occhi le sia inevitabilmente colato a dipingerle le guance di lacrime nere, come lo stoppino di una candela che nell'abrasione si mischia con la cera sporcandone il colore, unendosi alla densità dell'impasto, eppure non distoglie da lui lo sguardo, ricambiando la sua impassibilità con tutta se stessa.

«Stavolta sei davvero in ritardo.»

-

Una volta entrati nel soggiorno, la borsetta elegante di Vale è la prima cosa a volare nell'aria, cadendo sul divano in grigia stoffa, seguita poi dai pochi bracciali e dagli orecchini che vi spedisce a seguito.

L'uomo che la accompagna, e che è rimasto alle sue spalle per tutto il tempo del loro rientro, non proferisce alcuna parola, fissando a distanza lo sfogo della sua rabbia.

È esausta anche di indossare quelle patetiche scarpe con il tacco. Non ne ha bisogno, è pura apparenza ed una concessione che non doveva affatto dare a quella famiglia di sanguisughe.
Le scaraventa fino a farle arrivare nei pressi della cucina a vista, pensando di essersi liberata così di un grosso peso e forse lo ha fatto davvero, visto come il petto le balla un ritmo feroce, quasi non riuscisse a stare al passo con tutto il fiato richiesto dallo sfogo.

Nonostante la sollecitazione del suo respiro però Valeria recepisce il rumore inconfondibile delle chiavi di casa posate al loro posto con una calma teatrale, secondo un rito serale, captando per tempo il movimento successivo dell'uomo di allontanarsi dalla sala prima che possa scomparire del tutto.

«Questa è la tua soluzione? Mh? Andartene?»

Con lentezza, dopo un attimo di esitazione, l'uomo parte con lo sfilarsi dal polso l'orologio, riportando gli occhi verso quell'azione: non fissa mai in quelli di lei quando è in questo stato, tenendo la testa bassa per la maggior parte del tempo e Valeria sa fin troppo bene che non è debolezza.

«Credevo fossero questi gli accordi.»

«Ohh! Vedo che usi le nostre regole solo quando ti fa comodo.»

Lo ha ferito, questo lo sa bene, per cui non è strano il fatto che poco dopo lui la incenerisca con lo sguardo. Vale però non cede, perché quella rabbia la fomenta.

«Non sto scappando.»

«Davvero? Allora dove te ne stavi andando?» Nel chiederlo intreccia le braccia al petto, dondolando sul posto, affinché la tensione caricatasi addosso possa scaricarsi in un solo punto, quasi creando un buco nel pavimento. «Rimani ed affrontarmi.»

«Sei arrabbiata.»

«Puoi scommetterci che lo sono.»

«Non ho infranto nessuna regola.»

«Mi hai mancato di rispetto. Non era una delle fondamentali?» Lo sguardo di Diego si perde, di fronte alla sicurezza di lei. «Tuo fratello mi tocca... e tu non fai niente per ostacolarlo?»

«Ero troppo lontano.»

«E che mi dici della Ferrara, allora? Avevamo detto nessuna relazione sul luogo di lavoro.»

«Giulia non è niente di tutto questo.»

«Giulia, ma certo...» sbuffa Vale, stringendosi con più forza le braccia attorno.

Da quando Mattia l'ha toccata si sente nuda. Nuda e piccola, come un verme, e le sottili costole di cui è stato fatto il nero vestito, da lei stessa cucito, sembrano far trasparire degli invisibili buchi nella lana capaci di far passare un vento gelido.

«La Ferrara non è niente per me e se fossi stato abbastanza vicino lo avrei fermato. Sai che lo avrei fatto. Perché reagisci così?»

La gola della donna resa secca dal pianto fatica a farle uscire la voce, ancora troppo tremolante sui toni bassi, per cui Vale prova a trattenerla, affinché questo possa darle più forza ma non ci riesce per molto. Gli occhi di Diego sono su di lei e non lo fanno spesso.

«Perché tu arrivi sempre in ritardo» sussurra, consapevole di ciò che una frase del genere significa per entrambi. «Sei mio marito... dovresti essere al mio fianco.»

«Ci sono stato, fino ad adesso» sussurra Diego, continuando a fissarla negli occhi ma per lei è impossibile vederlo. Il pianto è tornato e la vista si è offuscata, in un mix di emozioni completamente diverso da quello che prima l'aveva smosso.

«Dovevi difendermi... dalla tua famiglia, da tutto quanto e non ci sei stato.»

Dalla porta di ingresso, Diego accorre fino a lei mentre viene smossa da un'altra violenta scossa di tremori. Tende la mano, senza che lei lo veda, ma la riabbassa poco dopo. Non può toccarla. È una delle loro regole, per cui è costretto a far procedere le parole, allontanando lo sguardo di lato perché lei è davvero troppo vicina. Con queste emozioni crollatele addosso, tanto irruentemente da sembrare di averle fatto perdere la rabbia, il confronto è complesso non potendo essere favorito dall'affetto.
Averla in questo stato, tremante e da sola nel proprio dolore, significa averla più lontana rispetto a quando gli urla contro con tutta la furia capace di smuovere interi mari.

«Scusami, sarei dovuto arrivare per tempo» sussurra, vedendo con la coda dell'occhio le mani di lei stringere più forte il nero tessuto all'altezza del gomito e poi la sua testa annuire appena, lasciando smuovere la cascata di lunghi e lisci capelli. Osserva per un attimo il dondolio della fronte, spiandola dall'alto vista la differenza delle loro altezze, per poi tornare alla visione del pavimento di sala. «Non lo farò più, te lo prometto.»

In confronto alle altre donne della casa, lei era sempre stata la più alta per cui lo intenerisce notare come la testa di Vale gli arrivi appena sopra la spalla. È alta e magra, ancora di più non appena si richiude in se stessa incurvando le scapole, come fa di solito, per poi sciogliere le braccia ed intrecciare le mani tra loro, giocando con la fede all'anulare.

Diego osserva quel gesto, chiedendosi se possa esserle di conforto.

«Hai una relazione, con la Ferrara?»

Una domanda così personale potrebbe essere fraintendibile ma lui capisce bene il motivo per cui la pone.

«No.»

«È uscita dal tuo ufficio sistemandosi trucco e camicetta.»

«Quando sei venuta a lasciarmi il tuo messaggio?»

«Sì.»

«Non l'ho mai toccata. Forse ti aveva sentito da dentro l'ufficio. Quelle porte sono carta velina, ho chiesto più volte a Emma di sostituirle.»

«Possiamo avere tutte le relazioni che vogliamo, ma non sul posto di lavoro.»

«Lo so.»

«Se mi stai mentendo mi deluderai molto.»

Lo so, vorrebbe ripetere lui, aggiungendo un inevitabile frase: so quanto significhi per te una bugia.

«Giulia Ferrara non è niente per me.»

«Va bene.»

«Va bene...»

Sussurrare in casa propria apparirebbe ridicolo, specie trattandosi di un ambiente così grande, specie perché poco prima si stavano urlando contro.

Sono soli, nessuno potrebbe sentirli, sono scappati dalla festa... eppure farlo li rende vicini. È la sola cosa che resta loro, la voce come punto di contatto, assieme ai silenzi che separano le parole.

Rimanendo immobile e in quella stretta vicinanza, Diego rivede suo fratello prendere il suo posto. Allungare le sue sporche mani e toccare sua moglie...

«Vorrai farti un bagno» commenta ad un tratto, seppellendo in un atrio oscuro della psiche quel demone corso ad una velocità preoccupante sotto la sua pelle. «Hai il trucco colato e devi essere stanca.»

E lui ti ha toccato, pensa con orrore, so cosa provi quando mio fratello ti tocca.

«Sì... devo solo prendere...»

«Ho cambiato gli asciugamani questa mattina, troverai tutto nel tuo bagno.»

In un primo momento, Vale rimane spiazzata chiedendosi quando possa averlo fatto... e con che frequenza entri a far parte della spartizione di casa che le era destinata, ma si rimangia ogni pensiero. Diego non è tipo da invadere la sua privacy.

«Grazie.»

«Chiama, se ti serve qualcosa. Sarò in camera mia.»

Vale annuisce con più decisione, spazzando via dalle guance le lacrime per poter essere più credibile e lui le lancia uno sguardo, solo per un attimo, senza che nemmeno lei possa farci caso, prima di allontanarsi per tempo dalla visione afflitta di Vale che lo ferisce più di uno squarcio.

Prendere le distanze. Queste sono le regole. Un matrimonio che non ha niente di condiviso. Camere, bagni, letti, spazi separati... nella casa campeggia l'unicità delle singole cose ed è solo nel soggiorno che si trovano uniti.
Quell'unico spazio dove tra di loro avviene un contatto.

-

La notte filtra dalle finestre della casa quando, vestita solo della camicia da notte e con i capelli ancora bagnati dalla doccia, Valeria avanza fino a raggiungere la porta della camera di lui. Un evento tanto raro che persino le pareti, chiacchierone amiche della luna, si zittiscono per osservarlo.

Notano lei posare un mano sul legno di quel laccato divisorio, rimanendo immobile ed in piedi per dei minuti. Normale chiedersi cosa la donna stia facendo, almeno finché non la si vede volgere lo sguardo verso l'orologio sulla parete della cucina, constatando l'ora tarda della notte e la possibilità che il proprietario della stanza sia già parte di un sonno profondo, in grado di esentarlo dalle parole che sta per emettere. Ci ha pensato molto nella doccia, sotto la corrente di acqua gelida, togliendosi il tocco di quella bestia di dosso, per cui vuole riferirgli quello che pensa, tornare la razionale donna di tutti i giorni, privata di quell'emotività in grado, in certi momenti, di farla impazzire ed essere il più possibile sincera.

«Probabilmente starai già dormendo ma ci ho pensato molto, per cui ho intenzione di dirtelo.... In un modo o nell'altro riesci sempre a sentirmi, tu. Volevo dirti che ho capito. Qualche ora fa ho esagerato. Puoi arrivare in ritardo quanto vuoi, è la tua vita, hai i tuoi impegni, non devi preoccuparti per me ed inoltre volevo anche dirti... che potremo fare eccezione per quella regola, se lo vuoi...»

Esitante, a malapena sorridente, Valeria picchietta le dita contro la porta, tentando di mettere come in fila le parole dall'elenco puntato che si era fatta.

«Intendo per Giulia. Questo magari te lo ridico quando sei sveglio, eh» ride appena, per poi prendere un profondo respiro e farsi forza, nel continuare. «Voglio dire che va bene se hai delle relazioni a lavoro. Quella regola, come tutte le altre, ormai è vecchia di sette anni. E sette anni di matrimonio sono tanti, sono pronta a venirti incontro!» Tenta ancora un tono ironico lei, finendo per fallire miseramente. «No, dico sul serio. L'avevo inserita tra le regole solo perché pensavo al fatto che se tu avessi avuto una relazione proprio sul nostro posto di lavoro allora sarei stata ancora più disonorata, guardata... da tutti gli altri. Ma io e te non abbiamo da dimostrare a tutti loro niente. Niente, Diego. Possiamo vivere la nostra vita, dobbiamo provare a farlo in mezzo a questo disastro.»

Il silenzio che la raggiunge dall'altro capo della porta la conduce ad avanzare confessioni ancora più profonde, credendo di non poter essere udita.

«Quando ti ho lasciato quel biglietto, questa mattina, ho visto conservata ancora la palla Temari di quel Natale. Mi ha fatto ricordare la piccola Gaia, tutti i lavori che ho dovuto fare a maglia per lei, ed il fatto che fosse stata la prima persona a parlarmi delle leggende del Piemonte. Mi ha raccontato dei fantasmi, delle streghe... ed anche la leggenda del toro rosso. Il toro che difese Torino da un drago che la stava attaccando, bevendo una potente mistura di acqua e vino. Tutti pensano che sia Mattia quel toro che portò onore e gloria alla città, ma per me non è così. Nella mia storia è lui il drago e tu il solo toro capace di ucciderlo, così da difendermi. Mi hai protetta per tutti questi anni, per questo motivo a me, a loro... non hai niente da dimostrare.»

All'interno della stanza Diego, in piedi alla finestra, nelle vesti notturne blu scuro della sera, lotta con tutto se stesso per non aprire quella porta e farla entrare, nonostante senta le mani di lei correre come una carezza lungo quel vincolo che li rinchiude in camere stagna.

La sta ancora proteggendo, non smetterà mai di farlo, per questo motivo non può arrivare fino a lei. Non può baciarla. Non può toccarla.

Prendendo un profondo respiro, Diego si volta verso l'unica parete libera della stanza e contro di essa pone i palmi aperti delle mani, cercando il sostegno necessario per allontanarsi il più possibile da lei, con tutto se stesso.

Aveva sempre saputo che Mattia era il drago della favola, sempre capito il perché combatterlo fosse tanto necessario, solo non era certo di essere lui il toro e Valeria Torino, essendosi sempre reso una casa per lei ed avendola sempre vista duellare con coraggio sul pavimento stabile che lui stesso le offriva, ma forse era meglio così.

Era certo che i genitori di Gaia avessero risparmiato alla piccola qualsiasi ipotesi di dolore, sapendo bene quanto la piccola adorasse le leggende ed in particolare quella del toro rosso che sorveglia la città. L'avevano risparmiata dal conoscere il finale, questo era chiaro, ma cosa ne era stato di Valeria? Lei, davvero, non sapeva come terminava la storia? Oppure conosceva il finale, aveva ben capito tutto ed attribuito i ruoli con precisione di causa?

Diego non può saperlo ed ha rinunciato da tempo all'idea di capirla appieno, perché niente della vita reale può davvero approcciarsi ad una favola, essendo presenti nel mondo solo caratteri troppo sfumati che lottano ogni giorno per mantenere la loro cattiveria o la loro bontà.

Solo una cosa rimane certa: al termine della leggenda il toro rosso è destinato a morire, assieme all'ignobile drago.

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