29. Un unico filo

15 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.

Le persone possono essere private di ogni cosa. Di una casa, degli affetti, dei ricordi, del lavoro, dei sogni ma mai della possibilità di riscoprire se stessi non appena tutto sembra essere perduto. Silvia Agnelli ha toccato il fondo di un profondo baratro e ci è caduta dentro con un imbracatura molto pesante fatta di ipotesi e silenzi che si era calata addosso ogni giorno, negli ultimi quattro anni. Ne ha sentito l'impatto. Ha visto la terra chiudersi su di se mentre precipitava dentro i suoi incubi eppure, una volta raggiunta la fine, ha avuto la capacità di fissarsi attorno e chiedersi se fosse tutto lì.

Per questo motivo sfoggia la fierezza di uno sguardo rinato, percorrendo la strada per l'ingresso di Villa Grimaldi, perché ha trovato il coraggio di combattere e le risulta assurdo credere di dovere il merito alla persona più detestabile sull'intera faccia della terra.

Giunta all'interno della casa, supera Tommaso in piedi sulla porta di ingresso e si avvia verso il patetico tavolo delle torture attorno al quale vengono radunati come agnelli sacrificali quasi ogni sera. Come immaginava, Sofia è seduta a capotavola, con uno sguardo assorto e l'abitudine di rigirarsi i pesanti anelli tra le dita. Sbatte la borsa sul tavolo solo per interrompere quelle elucubrazioni e far sobbalzare la donna, ricevuta poi con un sorriso finto ma prontamente ricambiato.

«Sì, Silvia?»

«Spero di non recare disturbo, Sofia, sono venuta solo per informarti di persona.»

«In merito a cosa?»

La bocca di Silvia si allarga maggiormente e gli occhi brillano come braci. «Non ha funzionato.»

«Che cosa, di preciso?»

«Pensi che non sappia che ci sei tu, dietro a tutto?»

Questo simile interrogativo privo di ulteriori spiegazioni produce nella madre di famiglia un divertimento palese che la costringe a rivolgere completa attenzione alla nuova arrivata.

«Continua.»

«Ti dispiacerà sapere che sì, Isabella è venuta a trovarmi, ma l'ho messa presto in riga. Qualsiasi cosa stessi pensando di riuscire a fare non ha funzionato.»

«Hai sempre creduto che ti stessi facendo la guerra, Silvia...»

«Vuoi farmi pensare che non è così?»

Sofia sospira, prendendosi del tempo prima di spiegarle a fondo il proprio punto di vista. Distrattamente, si cura anche la piega dei capelli terminanti alle spalle con due sole dita, incentivando la stiratura mossa a resistere all'umidità della stanza, dopodiché torna a parlare.

«Non ho mai apprezzato Claudio, essendo il figlio illegittimo del mio defunto marito, ma non ho mai provato alcuna forma di odio verso di te. Anzi, ho sempre pensato che mi assomigliassi. Sei una grande lavoratrice, adori il tuo lavoro e fare carriera ed oltretutto sei una moglie devota, una madre autorevole ed un pilastro solido per la tua famiglia. Non sei certo la persona che ha tradito dei due, ma temo che Claudio lo abbia ereditato dal proprio padre un simile vizio. Per quanto riguarda Isabella, invece, il mio rispetto verso di lei viene incrementato solo se messa a confronto con Valeria. Certo, nel caso di mio figlio è lei ad essere l'amante ma Valeria avrebbe dovuto essere di Mattia per cui direi che ha già giocato le sue carte.»

Silvia sgrana gli occhi dinanzi alla freddezza della padrona di casa, non riuscendo a vedere un limite nei suoi discorsi.

«Dici sul serio?»

«Sì, è così. Credo che Valeria lo meriti.»

Non volendo trattenersi più del dovuto, Silvia scuote la testa per scrollarsi dalla mente una simile storia e tornare concentrata sul discorso iniziale.

«Ad ogni modo, ho capito che Isabella era stata convinta da te a raggiungermi.»

«È vero, le ho parlato, proprio la scorsa sera. Eravamo in quel soggiorno, proprio da quella parte.» Lo indica pure con il dito ma a Silvia non interessa. Sono ben altre le sue domande e Sofia le interpreta a dovere. «Ti chiederai perché...»

Il silenzio è un assenso che la costringe a dover continuare a dare delle spiegazioni, cosa che per giunta detesta fare. Si solleva dalla sedia ed inizia a camminare lungo il tavolo solo per rendere utile quel tempo: il dottore le aveva detto che rimanere ferma per lunghi periodi non le faceva bene e dallo sguardo che Silvia le dona Sofia capisce quanto la conversazione possa andare avanti per molto.

«Ecco, Silvia, come ti ho detto non ti odio e penso, per giunta, che tu mi somigli. Per questo mi sono chiesta che cosa mi avrebbe spinta a reagire in una situazione simile. Ho saputo che hai lasciato tuo marito e i tuoi figli alle luci dell'alba per andare a casa di tua sorella. Questo mi ha spaventata. Mi sono detta che dovevi proprio esserti persa per abbandonare tutto ed andartene...»

«Non dovresti essere così sorpresa. Sei stata tu ad invitarmi ad ogni cena in cui era presente anche lei.»

«Perché sapevo come potessi essere l'unica in grado di contrastarla. Ero affascinata dall'idea che Diego l'avesse riportata da noi per avere un'alternativa a Valeria ma poi la scorsa sera, a cena, mi è colto il dubbio che l'avesse fatto solo per farla ingelosire ed avere sua moglie più vicina. La cosa mi ha disgustata al punto tale da capire che la mia migliore carta poteva essere un'arma a doppio taglio e che tu fossi la persona adatta a contrastarla. Spiacente che la cosa ti abbia infastidita ma vedendo Valeria tanto apatica la scorsa sera ho capito che era tutta una sceneggiata: quella donna finge maggiore disinteresse quando prova dolore e da come la trattava Diego ho capito che quel dolore non desiderava essere lasciato tale a lungo.»

L'altra continua a scuotere il capo, incredula di fronte all'ulteriore sconvolgimento dei suoi piani architettati negli ultimi giorni.

«Tutto questo è folle.»

«Lo è davvero? Eppure sembra abbia avuto ragione su tutto. Mio figlio e sua moglie sono diventati più vicini nel corso di sole due giornate e tu, fronteggiando la tua nemica, ti sei fatta più agguerrita all'idea di batterci entrambe.»

«Non penso di ritornare a casa.»

«Come?»

«Ho tenuto testa a Isabella ma non voglio tornare da Claudio. Credi che ti assomigli ma ti sbagli. Non ho mai accettato il suo tradimento, anzi l'ho contrastato con tutte le mie forze e mi sono battuta per lui, ho lottato e ho deciso di andarmene, anche a rischio di fare a pezzi la mia famiglia perché credo all'amore più che all'onore e al bisogno di dimostrare la verità ai miei figli invece che crescerli secondo una bugia che capiranno da soli, una volta grandi.»

Colta da un pensiero, Silvia sorride e rivolge alla donna tutto il rancore che le è rimasto a seguito del confronto con Isabella.

«Tu credi che ti somigli, ma non è così. Ti sconvolgerà sentirlo, ma la persona che ti è identica è Valeria... e da molto su cui riflettere il fatto che la odi. Riflettici: il suo essere a conoscenza dei tradimenti e finire per accettarli, il suo odio covato e nascosto per l'altra donna, il suo fare la guerra con tuo figlio a tutti i costi, quasi togliendoselo dalla testa ma rimanendo, rimanendo lo stesso, perché bloccata all'interno di un gioco familiare... ti ricorda niente?»

La matriarca ferma i propri passi, posando la mano con più forza contro il tavolo al fine di sorreggersi e di osservare, con tutto l'odio nascosto nel suo cuore, l'altra, mantenendo le labbra strette, le sopracciglia crucciate e gli occhi immobili ma gelidi, più scuri di un pozzo.

«Sì... è così che ti guarda Valeria, esattamente allo stesso modo.»

«Finiscila.»

«Non vuoi credermi? Non mi importa, Sofia. Non mi importa neanche di chi odi o chi disprezzi» aggiunge Silvia, sollevando le mani in segno di resa. «Sono stanca di essere l'ennesimo pedone per i tuoi giochi contro la mia amica e sono stanca di finirci in mezzo. Lascerò l'onore a qualcun altro e nel frattempo mi concentrerò solo su me stessa, come avresti dovuto fare tu quando te ne è stato dato il tempo.»

Sofia Grimaldi viene abbandonata alla sua solitudine con questa parole al seguito delle quali Silvia riesce a lasciare la stanza con la stessa fierezza con cui è arrivata. La donna rimane a fissare la sua dipartita e a pensare a ciò che avrebbe potuto essere, odiando il silenzio della sua vuota casa e a tutto il poco che ne è rimasto.

-

Un forte rumore fa sobbalzare Valeria di fronte alla fotocopiatrice: la porta dell'archivio si è chiusa di scatto e la cosa le fa pensare solo a Mattia. Abbandonando qualsiasi azione, si trova pronta, per istinto, a trovare un altro modo per fuggire dalla stanza ma si blocca non appena vede Isabella di fronte a sé.

Dalla faccia perfetta della ragazza colano lacrime e scintille di rabbia. La piccola Kelly, infatti, la fissa con un odio affatto mascherato e ogni paura scivola via dal corpo di Valeria, venendo sostituita dal fastidio.

«Dobbiamo parlare. Sono stanca di tutta questa situazione» sputa fuori la bionda, avanzando come una furia fino a lei mentre l'altra rimane immobile, a fronteggiare statuaria l'ira della donna.

«Non ho da dirti niente.»

«Allora mi dovrai ascoltare.»

Valeria ride. «Dovrei? E perché? Perché ti scopi mio marito?»

«Perché tu e la tua amica mi state accusando di ogni cosa, quando non sono la sola colpevole.»

Capisce in meno di un secondo il riferimento a Silvia, ma se la mente si sofferma qualche istante a pensare a come l'altra potrebbe aver reagito al fastidioso incontro con Isabella la mente non lo fa, portando la bocca a rispondere con prontezza a quel confronto.

«Non ti deve interessare chi altri accusiamo o cos'altro diciamo. Non sarebbe dovuto interessarti niente ma sei rimasta più coinvolta del dovuto e ti va riconosciuto questo merito.»

Dinanzi simili parole sprezzanti, Isabella rimane con la bocca aperta, gli occhi stretti e le guance solcate di lacrime, incrociando poi le braccia al petto per mostrarsi coraggiosa e inflessibile, nonostante il suo animo difficilmente ostile.

«Sai che cosa c'è, Valeria? Sono andata di persona a parlare con Silvia perché avevo intenzione di scusarmi. Ieri notte mi hai visto parlare con Sofia, stavamo discutendo di questo. Mi ha fatto capire quanto fosse necessario farlo e accetto ogni parola di ciò che Silvia mi ha detto... ma a te non devo chiedere scusa di niente. Non sono stata la terza donna di un matrimonio perché il vostro non può considerarsi tale. Che cosa accidenti siete, vuoi dirmelo con chiarezza? Vuoi avere il coraggio di dire quello che già so?»

«Attenta, Isabella...»

«A che cosa? Dovrei avere paura del modo con cui mi stai fissando?»

Un tempo ne avrebbe avuta, perché Valeria ha uno sguardo folle, sorridente ma furioso, concentrato ma quasi delirante, eppure ora non l'ha più perché è decisa a portare avanti parole che avrebbe dovuto dirle da tempo.

«Diego non sarebbe venuto da me, se avesse trovato in te ciò che cercava. Sai almeno che cosa vuole? Sai di cosa ha bisogno? Lo conosci davvero?»

«Vuoi farmi credere di essere l'amante fortunata. Di tenere in mano il suo cuore» sussurra Valeria, facendosi avanti con passi lenti nei suoi tacchi alti, in modo da fronteggiare la ragazza. «Credi ad un vantaggio che non hai, dovuto a cosa? Qualche pomeriggio passato con lui dentro un letto? Non mi interessa che cosa avete condiviso, ma stai attenta. Non hai idea di che cosa io e lui abbiamo.»

«Sul serio?» Sorride l'altra, facendosi anche lei più vicina e sciogliendo le braccia dal petto, in modo da essere pronta a portarle le mani al collo se quelle parole dovessero vomitare altre stupide frasi.

La stanza sembra squarciarsi a metà, dividendo la bontà solare di Isabella dalla cupezza lunare di Valeria.

«Vuoi sapere quello che so io, Valeria? So che non ti è mai importato niente di come si potesse sentire, altrimenti non lo avresti spedito da me nello stato in cui è arrivato certe sere. So che non lo hai mai ascoltato e puoi credere che, pur non facendolo, il tuo sia stato amore ma non è altro che attaccamento e, come tutto ciò che è in te, è insano. Cosa accidenti sei? Con che diritto vieni a raccontarmi ciò che è moralmente giusto? Avanti, dopo tutto quello che hai fatto!»

Vale se la ride della sua sicurezza, mostrando una sfilza di denti bianchi e canini affilati, prima di mettere bocca sul suo pasto e sbranarlo.

«Ohh, quindi mi conosci e sai i miei peccati, accidenti! Devi essertela proprio presa di essertene andata quattro anni fa per indagare su di me tanto a fondo.»

«Non ho fatto niente del genere, mi ha raccontato tutto Diego.»

«Ma che gran chiacchierone...»

«Con me lo è, sì, e sai che altro c'è? Dovresti smetterla. Quattro anni fa, prima di essere mandata via da Silvia, in una cena a casa Grimaldi, ti ho vista. Ho visto come giochi con le persone e la vera faccia che hai. Sai a cosa mi riferisco, giusto?»

«Oh, Isabella» sussurra Vale, con le iridi totalmente immobili su di lei e percorse da fiamme vive. «Tu non sai davvero niente di me.»

«Davvero? Ma io ti ho vista e ti ho sentita. Non hai idea del disgusto che ho provato quella sera per te, quanto ti sei odiata tu stessa? Credo molto. Credo che tu, più di chiunque altro, odi la donna che sei diventata ed è stata questa forma di pietà a non farmi raccontare a Diego niente, ma mi chiedo ora che cosa ne penserebbe a riguardo.»

«Mi stai minacciando di andargli a raccontare tutto?»

«Potrei farlo, sì.»

«E pensi che lui ti crederà?»

«Lo fa sempre, Valeria. Perché con lui solo io sono stata sincera.»

Ormai la siciliana non vede più distintamente il volto della ragazza di fronte a se ma solo un profondo rosso, incline alla follia. È la rappresentazione del pericolo, l'immagine della rabbia e il sangue di quella creatura feroce che per troppo tempo, dal bacio con Diego, si è nascosta all'interno del suo guscio. Ora è tornata lacerando con le unghie affilate la pelle che l'aveva avvolta e Valeria sente il pompare del sangue, sente la sua furia, sente il bisogno di spingere Isabella contro un muro e aspettare che crolli.

Non è solo gelosia, non è solo rabbia ma è puro terrore. Paura di vedere, in un solo attimo, il suo mondo crollare a pezzi. L'arte temari con cui ha cucito, filo per filo, il suo labirinto venire tagliata dalle forbici di un estraneo. È sentirsi persa a causa dell'ultima persona da cui avrebbe voluto provare una sensazione tale.

Tenta di controllarsi e di non diventare come tutto ciò che odia, smarrendo per sempre se stessa, e così pronuncia solo parole a voce molto bassa, sibilata, ma forti come se fossero rimbombate nell'eco di una fredda caverna, dove sembrano essersi nascoste da tempo.

«Tu provaci. Non hai idea del potere che ho, perché tu non sai. Credi tanto di farlo ma non conosci niente, Isabella. Povera cara... quanta fatica che hai fatto a portarlo dalla tua parte, quanto bisogno hai avuto di annullarti per metterlo al centro di tutto. Io mi odio? Può darsi che lo faccio, ma tu sei finita per disprezzarti tanto da avere bisogno di fronteggiarti con me per credere di valere ancora qualcosa. Mi dispiace per il tempo che hai perso oggi e in passato, a quanto hai investito per avere lui in un modo privato... perché, vedi, io non ho fatto niente. Non lo ho amato come si deve, proprio come dici tu. Non l'ho scopato ogni sera dopo averlo sentito parlare dei suoi dubbi e delle sue difficoltà. Non l'ho guardato sempre con devozione eppure è nella mia mano», solleva la fede, a dimostrarlo. «Se solo tiro un unico filo, Isabella, tu sparisci. Prima d'ora ho evitato di farlo perché credevo che l'indifferenza potesse prevalere ma ora tu mi hai minacciata... e te ne sei venuta qui, tutta agguerrita, mostrando le tue motivazioni. Ho apprezzato che ci credessi davvero, ma sono state solo bugie. Un unico filo. Vuoi vedere? Stai a vedere.»

Valeria agisce all'immediato. Sicura di se stessa, abbassa la mano e parte a camminare con il rumore scandito dei suoi tacchi lungo il corridoio del piano. I lisci capelli ondeggiano come nere alghe, lo sguardo continua a rimanere serio, la camminata è scandita. Non guarda nessuno. Non si ferma a parlare con una sola persona. Arriva dinanzi la porta dell'ufficio di Diego e la apre senza esitazione.

Trova il marito all'interno, seduto dietro la sua scrivania come sempre. Sembra stia compilando dei moduli, Valeria non ci fa attenzione. Chiude la porta della stanza senza girare la chiave, fregandosene di chiunque potesse entrare nei minuti seguenti. Niente sarebbe in grado di arrestare i suoi passi mentre iniziano a procedere verso di lui, muovendosi di lato alla scrivania.

Udendo il rumore dei tacchi, Diego solleva lo sguardo notando la moglie avanzare. Si sofferma sulla decisione del suo sguardo e sul magnetismo che traspare dai suoi occhi, capendo quanto Maurizio potesse avere ragione: è un cataclisma, un urgano pronto a spazzare via tutto, eppure è impossibile privarsene.

Ruota la testa verso di lei ad ogni passo, seguendola con lo sguardo ed abbassando gli occhi verso l'azione che effettua nello sbottonarsi i primi tre bottoni della camicetta nera. Osserva il gesto in modo serio, prima di ritornare al suo sguardo. Ormai Valeria ha superato la scrivania e gli è di fianco, a pochi passi. Diego ruota la sedia verso di lei ed è in quell'istante che, abbandonati i bottoni della camicia e scoperto parte del seno, Valeria afferra tra le mani l'orlo della gonna a tubino, sollevandolo in una risalita lenta lungo le cosce.

Diego sgrana gli occhi, senza riuscire a dire e fare niente. Non perde un solo istante di un simile spettacolo mentre sua moglie continua ad avanzare e la gonna continua a risalire, lenta, lungo le calze nere e trasparenti e il suo sguardo.

Arrivata vicina, Valeria posa un ginocchio, poi l'altro, sulla sedia di lui e lo fronteggia dall'alto, lasciando che il proprio ventre sia a contatto con i pettorali del marito e la propria mano destra possa posarsi contro il mascolino collo, percorso dalle vene e leggermente piegato all'indietro, così da sorreggere il suo sguardo.

Con gli occhi incatenati tra loro, oscuro marrone contro la sua versione sgargiante, rimangono a fissarsi fin tanto che il corpo di Valeria non inizia, lento, a scivolare lungo il suo, arrivando sedervisi sopra. La mano che gli sorregge il collo e la nuca, esorta la testa di lui a seguire quella discesa in modo da mantenere alla stessa altezza delle labbra che poi, con agonia, la bocca di lei sfiora in una carezza leggera. Prima il labbro superiore con la lingua, appena, e poi quello inferiore, attardandosi nella piegatura verso l'interno, senza spingersi oltre.

Diego rimane immobile, senza costringerla a niente, socchiudendo appena gli occhi non appena anche l'altra mano della moglie arriva a posarsi lungo il suo collo.

Poi Valeria produce un unico movimento, ruotando il bacino contro di lui, in grado di accendere l'incendio appiccato con una sola scintilla, arrivando a separarsi dalla sua bocca in modo da potergli parlare.

«Licenziala.»

Diego ha bisogno di tempo per capire se quella voce è stata reale, ma appena la comprende arriva a sorridere come un ragazzino.

«No» le dice e le mani di lei rafforzano la presa, costringendolo ad aprire gli occhi per fissarla.
È terribilmente seria e sensuale, nella sua sicurezza, come non lo è mai stata.

«Non ci provare» gli intima, senza però muovere nessuna prevaricazione sul suo corpo. Diego se la prende da sola, posandole una mano sulla schiena e poi scivolando fino al principio di un suo gluteo per farle capire quanto faccia sul serio. Si muove persino al di sotto del suo corpo, sedendosi più comodamente con lei addosso.

«Se vuoi che la licenzi e non la veda più dovrai fare lo stesso con Antonio. Niente più incontri nei fine settimana. Niente di niente.»

Valeria inclina la testa come se quelle parole l'avessero appena schiaffeggiata e come se credesse di potere arrivare nel suo ufficio a dettare legge senza scendere ad un compromesso. Questo lo fa sorridere ancora di più e avanzare una provocazione con un tono di voce appena sussurrato.

«Il tuo Delon per la mia Kelly, dolce moglie, altrimenti non se ne fa di niente.»

È nel rossore seguente a quel soprannome a lei attribuito che Diego ritrova sua moglie dentro l'affascinante donna che gli è seduta in grembo. Una versione che non gli dispiace affatto ma che lo affascina ancora di più se accompagnata dalla donna che conosce da sempre e dalla quale ha bisogno di ottenere una risposta il più possibile sincera.

«Andata.»

-

All'udire il suono del citofono, Antonio si avvicina confuso al portone di casa sua premendo un unico tasto. Non passa molto tempo che passi veloci lungo le scale gli fanno rendere conto dell'impazienza del suo ospite.

Si passa una mano tra i neri capelli, scompigliandoli quanto basta per risultare presentabile ai canoni dello specchio che tiene appeso alla parete.

Era riuscito a chiudere gli occhi per due soli minuti prima di quell'imprevisto. Si augura, aprendo la porta, che non si tratti di lavoro. Rimane sorpreso nel trovare Valeria.

È bella da mozzare il fiato ed ha il respiro spezzato, a causa della velocità con cui ha percorso le scale, come se fosse vittima di un lungo bacio.

«Valeria... non ti aspettavo.»

«Non dobbiamo vederci più.»

Il tono è tanto categorico da sorprenderlo.

«Intendi-»

«Intendo mai più. Mi dispiace che sia andata così ma voglio smetterla adesso.»

Sapeva che un giorno simile prima o poi sarebbe arrivato per cui si posa con tranquillità allo stipite della porta, intrecciando mani e piedi mentre rimane intento a fissarla.

«Sicura?»

«Sì.»

«Hai per caso riscoperto qualche valore in tuo marito?»

«Io e lui abbiamo fatto un accordo e ho bisogno che lo rispetti.»

«Centra la sua amante?» Le domanda e nel silenzio arriva a sorridere. «Capisco. Lo hai fatto per un motivo, ti serve che rispetti l'accordo... ma non è solo questo, giusto?»

Dinanzi la completa assenza di lei decide di parlare senza schemi ma di mantenere un tono cordiale, come ci si aspetterebbe da due conoscenti di vecchia data e amanti per caso e pura follia.

«Avanti, Valeria... sei diversa. Tutti quei giorni che hai passato senza vedermi e ora questo, per non parlare dell'ultima volta. Eri arrabbiata sul serio e mi è piaciuto, ma per quanto stessi godendo non credere che non abbia notato la paura che ti ha raggiunta di colpo. Il tuo tenere gli occhi aperti, Vale... non lo hai mai fatto e l'ho sempre capito, non mi importava che scusa usassi, mi stava bene. L'ultima volta, però, non hai resistito e ci hai lasciato il cuore tra le mie lenzuola. Per me o per lui, non mi importa, ma non puoi dire che qualcosa non si sia cambiato.»

«Lo ha fatto» sussurra lei, il che lo fa annuire lentamente.

«Sì, lo ha fatto... e lo avevo capito, per questo mi sono preparato a questo momento. Torno a Palermo, Vale, da mio fratello. Ha bisogno di me per aiutare nostra madre e non ho intenzione di sottrarmi. Non era niente di urgente ma credo che sia arrivato il momento di dire addio.»

Anche lei arriva finalmente a sorridere, riuscendo ad essere di nuovo la vecchia ragazza di paese che spiava il ragazzo più grande e bullo della scuola avere le ragazze più belle. Ora quello stesso uomo le sorride in un modo divertito, prima di chiederle un ultima concessione.

«Che ne pensi di un abbraccio, come addio?»

Vale annuisce ed è così Antonio, per primo, a sciogliere i nodi con cui si era stretto in se stesso, per evitare mosse stupide o prive di rispetto. Un bel progresso, non essendosi mai controllato in passato. Stringe Valeria tra le braccia ed affonda il viso tra i suoi capelli, respirandone il buon odore, mentre lei lo afferra dietro la schiena stringendo la sua canotta, vivendo dentro il profumo di un futuro ricordo.

«Sei davvero fantastica, Vale. Forse mi sarebbe piaciuto avere una chance con te, magari una nuova vita... sarò a Palermo quando tutto sarà finito se vorrai fartene una. Ti basterà cercarmi e piombare da me come hai fatto sempre.»

Se la ridono entrambi in un addio d'amicizia che chiude una storia assurda, nata nel bisogno di avere il più stretto conforto in un momento di puro caos. Si erano capiti, incoraggiati, provocati e accesi in più di un modo, in più di una volta. Si erano compresi come vecchi amici e forse come caratteri troppo simili per essere compatibili ma aveva funzionato, ogni fine settimana, finché, come aveva detto lui, il cuore non era caduto dentro a delle lenzuola che per lunghi anni non avevano aspettato altro.

Valeria lo aveva trattenuto in sé, aveva sempre stretto gli occhi, aveva lasciato qualcosa di privato fino a che la rabbia ed il bisogno non avevano portato a galla tutto, conducendoli a separarsi in un martedì pomeriggio. Non rimpiange niente perché la vita è fatta di complicazioni e di sbagli, rimanendo felice di essersi aggrappata al sostegno di un uomo che le è rimasto fedele e che l'ha trattata con il giusto rispetto, capendo di aver finalmente trovato un modo per rimediare ai propri sbagli.

-

Diego aveva avuto bisogno di frenare il cuore, prima di uscire dall'ufficio a seguito di sua moglie. Era rimasto seduto alla sua sedia, con le mani serrate ai braccioli, senza credere a cosa stesse accadendo e a ciò che era avvenuto.

Senza riuscire a pensare, poi, si era alzato ed aveva raggiunto Emma, chiedendole dove si trovasse Isabella. Lei aveva suggerito la sala delle stampanti, avendola vista entrare, e lui così aveva preso a camminare.

Arrivato alla porta dell'archivio, apre la maniglia con sicurezza, entrando all'interno della stanza.

Isabella è di spalle, ma dal modo con cui queste si sollevano sembra in lacrime. Ogni pensiero torna in Diego precipitandogli addosso e dandogli prudenza nell'avanzare.

«Isabella...»

«No... Non devi dirlo, ho capito.»

«Devo, invece» le sussurra lui, mettendola di fronte alla necessità di entrambi di presenziare ad un epilogo. «È finita.»

A queste parole, Isabella si volta mostrandogli il suo volto afflitto e solcato dalle lacrime, la fronte crucciata e un profondo sguardo di rimprovero nei suoi riguardi.

«Stai facendo la scelta sbagliata.»

«Forse» sussurra lui, guardando la donna con cui, per anni, si è convinto di poter avere un futuro.

«Arriverà il giorno in cui ti accorgerai di quanto hai fatto male a crederle. È una pessima donna, Diego, ma è un ottima bugiarda. Vi sta manipolando tutti in un modo troppo abile.»

«Mi dispiace per quello che ti sta capitando, per averti chiamata qui e farti vivere tutto questo ma non avrei mai pensato-»

«No, Diego, ascoltami e ricordati» lo interrompe lei, facendosi avanti per poterlo fissare dritto in faccia. «Ricordati quello che ti ho detto ma non rimpiangerlo. Solo... correggilo, e scegli di percorrere un'altra strada, non appena sarai pronto. Una di quelle che ti portino lontano mille miglia da lei. Non hai bisogno di una donna simile, non hai bisogno nemmeno di me perché sei migliore di entrambe... specie dell'amante di un uomo sposato. A lei non l'ho detto, ma riconosco le mie colpe. Scusami... è stato l'orgoglio. Lei è così forte e io volevo solo tenerle testa.»

«Isabella-»

«No. Diego, ti prego, è già difficile così» mormora straziata la giovane, chiudendo le mani in dei pugni per poter rimanere dritta e composta, senza sgretolarsi in mille pezzi di fronte a lui. «L'unica cosa che desidero è che tu sia felice. Avrei rinunciato a tutto perché fosse così, perché meriti una donna che sappia donarti tanto. L'egoismo non potrà mai essere amore, perché lo sono la rinuncia, l'affetto, la passione e l'onestà. Se una donna ti aprirà il suo cuore e ti mostrerà tutto questo allora non lasciartela sfuggire, perché sarà quella giusta. Io non sono mai stata onesta, ma ho sempre amato e ho rinunciato. Valeria non ha mai fatto niente, ma se la tua formula d'amore può essere diversa assicurati solo che sia la più giusta e conoscila, davvero, fino in fondo. Non lasciarti indietro niente, specie cose di lei che ti possono fare paura perché sono lì i segreti. Dentro le cose che ha paura lei stessa a mostrarti.»

Le parole in lui, impronunciate, perdono ogni forma e non riescono ad intrappolare la donna che, in lacrime, scivola via dalla sua vita nel bisogno di essere dimenticata. Lasciando entrambi in un addio che impedisce qualsiasi cura e che disonora tutto ciò che c'è stato di buono in un amore, per molto tempo, limitato.

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