22. E così cala il gelo
12 Dicembre 1970, Vezza D'Alba (Langhe), Piemonte.
Raramente Gaia era riuscita a restarsene a casa con la scusa di qualche linea di febbre, ma il freddo improvviso a seguito della tempesta era venuto in suo soccorso donando colorazione al termometro. Con un sospiro abbattuto, sua madre aveva abbassato fino a terra le spalle e aveva scosso energica l'apparecchio, così da renderlo utilizzabile a qualche altro suo figlio in vena di prendersi un più convincente raffreddore. Era fin troppo chiara l'intenzione della piccola di saltare semplicemente la scuola e la madre aveva ceduto. Il motivo era che si sentiva triste: sua madre aveva ripreso a lavorare nell'azienda dalla quale l'avevano cacciata via ed in casa, con suo padre, sembrava non esserci una buona aria.
Persino adesso che Silvia sta uscendo a seguito di un saluto volante in direzione della figlia. Claudio dalla cucina non riceve nemmeno una parola di addio. Gaia li aveva sentiti molto litigare la scorsa notte: suo padre le aveva dato della venduta, parola strana per le orecchie della piccola, visto come aveva ceduto ai compromessi della vecchia Grimaldi e la madre, di tutta risposta, aveva urlato di meritarselo. Gaia non concepisce il perché. Sa che sua madre è una donna molto in gamba, brava come madre ma ancora di più come figura astuta all'interno delle controversie, persino quelle scolastiche. Sua figlia aveva capito da un dibattito con altre madri all'interno del presidio studentesco quanto Silvia potesse essere in gamba nel fare il proprio mestiere e nel non farsi mettere i piedi in testa da nessuno. L'aveva guardata con amore e rispetto, proprio per questo. Chissà il motivo per cui suo padre sembrava essersela presa tanto... non gli aveva rubato il posto di lavoro e, nel caso così fosse, sarebbe rimasto tutto in famiglia... Gaia proprio non capisce.
Poggiata con i gomiti alla finestra della sua camera, gioca con il piccolo cavallo a dondolo in legno che Valeria le ha donato, riflettendo su quanto manchi l'amore nella realtà. Suo padre Claudio che non vuole saperne di parlare e fare pace con sua madre. Valeria che non si trattiene più di un solo minuto con lei e Diego ogni qualvolta la piccola glielo proponga. Davvero, il matrimonio stava divenendo una cosa strana... e persino il freddo dell'inverno aveva ucciso Gerardo. La piccola sposta lo sguardo verso il suo fiore rinsecchito, sperando in un'altra primavera.
Questo sabato, già dalle sue prime ore, appare così triste. La mamma non era mai andata a lavoro in un simile giorno ma a seguito del temporale l'azienda aveva richiamato tutti i lavoratori per poter recuperare le ore perse, garantendo la retribuzione di uno straordinario.
Gaia avrebbe preferito che non andasse o che almeno Valeria venisse da lei: sua madre le aveva detto che anche la siciliana si sarebbe presentata a lavoro e questo aveva fatto sentire la piccola ancora più sola.
Sospirando di uno sconforto poco attribuibile alla sua giovane età di spensieratezza, la piccola posa il mento sul dorso della mano distesa dinanzi la finestra, fissando l'oscillare del legnoso cavallo su un immaginario sentiero verde, di pura prateria, riflettendo su quanto deve essere magico il mondo della fantasia. Si possono creare personaggi, paesaggi, vicende, amori, senza che l'odio possa mai raggiungerli. Per questo il mio cavallo deve essere così felice, pensa lei, deve aver abitato solo nella fantasia, non potendo sapere di quante eroiche e tragiche vicende quel cavallo era stato protagonista.
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Trovarsi di nuovo seduto al tavolo di un bar è spaventoso ed ironico al tempo stesso per Mattia. Se solo non fosse nel suo luogo privato, vicino alla sede, crederebbe di essere spiacevole a tutta la clientela ma per fortuna simili conoscenti di vecchia data gli sorridono con accondiscendenza, senza domandarsi il perché abbia prenotato da tempo cioccolata calda per due.
Era stata l'ultima cosa che Paolo Sanna aveva ordinato in sua presenza, per cui era anche stato automatico domandarlo alla cameriera. In versione doppia, se possibile, visto il desiderio improvviso di bere la stessa sostanza calda che tanto pareva aver destato quel giorno soddisfazione nel vecchio.
Ed eccolo arrivato; mezzo tremante, vestito nel suo pesante soprabito, con i capelli bianchi del tutto scombinati e sfoggiante l'esitazione di non voler entrare all'interno del locale con i suoi scarponi sporchi. La tempesta aveva generato un bel caos di fango e sporcizia per le strade e nemmeno la pallida stesura di neve delle prime ore dell'alba aveva ricoperto il tutto. Anzi, il contrario. Il pallore aveva accentuato la presenza bastarda e l'aveva resa ancora più evidente.
«Eccomi arrivato. In ritardo, come al solito» commenta Paolo avvicinandosi al tavolo e Mattia sorride, ticchettando le dita sulla cioccolata calda.
«Non è un problema, sono io ad arrivare sempre in anticipo.»
«L'hai presa anche tu?»
«Mi chiedevo che gusto avesse.»
«E l'hai assaggiata?»
Mattia sorride della domanda, chiedendosi cosa possa aver compreso il suo amico di tutto quanto. «Non ancora. Aspettavo te.»
«Spero allora che non si sia freddata nell'attesa.»
Mattia continua a sorridere e lo psicologo lo fissa affascinato. «Mi sembri felice.»
«Lo sono.»
«E come mai?»
«Questioni di cuore.»
«Sul serio?» Per poco è lo psicologo a ricevere il salto di un battito. «Ed io che credevo fosse vera quella tua storia di non essere più così interessato alle ragazze... che potevano usarti per il tuo cognome e tutto il resto...»
«Lo credo ancora, con una sola eccezione.»
«Davvero?»
Sanna è confuso e interessato, come sempre, eppure insolitamente rispetto alla gran parte del tempo trascorso in compagnia di Mattia si accorge come, al momento, sia la prima sensazione a prevalere: era certo che l'eccezione potesse essere Valeria, almeno fino a questo momento. Non riesce a giustificare la felicità di Mattia... da quello che aveva compreso della ragazza, offrire seconde opportunità non era tra le sue trattative.
«Sì, ma ancora non ne posso parlare, lei non vuole.»
«Che ragazza piena di misteri.»
«Eccome.»
Paolo si accomoda alla tavola, frizionando energicamente le mani tra di loro in modo da generare immeditato calore appagante per il freddo percepito alle prime ore dell'alba.
«Come sta la gamba?» Si ricorda di chiedergli e Mattia aggrotta la fronte.
«La gamba?»
«Sì, per il freddo e tutto il resto. Il fatto che zoppicasti il giorno in cui ti arrestarono, la frattura che ti è rimasta.»
«Molto meglio, grazie.»
«Menomale» commenta, per poi riempire di nuovo per primo il silenzio con discorsi in grado di mettere l'altro a proprio agio. «Questa mattina ho aiutato alcuni volontari a ripulire le strade. La tempesta ha generato un bel po' di caos.»
«Sembri molto infreddolito.»
«Sì, è così, ma tra poco mi passa. Di che cosa vogliamo parlare?»
«Forse non è necessario avere sempre un argomento di conversazione, magari possiamo sedere e basta.»
«Lo dici perché essendo sabato non vai a lavoro?»
«Dovrei essere presente ma ci pensa mio cugino a prendersi carico di tutto, oggi. Come hai detto, la tempesta ha generato un bel po' di caos: molte persone, costrette a lavorare ieri, si sono volute licenziare dall'azienda ed ora abbiamo un bel calo di personale, ad eccezione del piano gestito da mio fratello, che puro caso...» Paolo lascia cadere nel vuoto l'insinuazione di un presupposto, volendo sentire il continuo di quel fiume di parole. «Vedremo quindi come se la gestiranno tra di loro. A mio avviso non dovrebbe essere assunta gente nuova, non c'è da fidarsi e solitamente hanno poca esperienza.»
«Possono sempre imparare.»
Mattia storce la bocca, in un evidente stato di scetticismo. «Non lo faranno mai abbastanza per rimanere al passo.»
Paolo afferra un giornale dal tavolo, continuando a fissare Mattia stazionare con la propria cioccolata tra le dita mentre si occupa di separare le pagine della prima testata.
Inizia a leggere le notizie tranquillamente, partendo a sorseggiare per primo la bevanda ed il gesto attrae lo sguardo del commensale.
Imitandolo, Mattia posa la tazza in ceramica sulle labbra e beneficia di un primo lento sorso.
I minuti trascorrono in un silenzio che li vede intenti in occupazioni diverse: Paolo continua a leggere indisturbato mentre Mattia pare osservare le persone passeggiare oltre la grande vetrata, decorata con addobbi natalizi, del locale.
Entrambi concentrati, entrambi muti fino a che una breve risata da parte dello psicologo prorompe in uno sghignazzo capace di convertire il focus di attenzione.
Mattia lo analizza, prima di pretendere chiarimenti.
«Che cosa succede?»
«Niente... ho letto una storia e accanto a lei c'era una barzelletta. Sai quelle vignette grafiche che il giornale pubblica assieme agli spezzoni di certi autori? Oggi avevano raccontano una fiaba assurda e la vignetta la beffeggia. Devono essere stati due autori rivali» riferisce Sanna, passando oltre con le notizie, quasi non ne fosse rimasto alquanto influenzato.
«Che fiaba?»
«Una su un principe ed uno specchio. Suppongo una parentela con narciso, giusto per specificare.»
«Credo che sia una delle fiabe che mi leggeva anche mio nonno» sussurra Mattia ed è a quel punto che, da dietro il giornale, la bocca dello psicologo si tramuta in un sorriso... affatto sorpreso.
«Ma davvero? Un po' triste, non credi?»
«Non la ricordo molto bene.»
Sanna volge la pagina sulla quale i suoi occhi si erano soffermati, per poter tornare indietro al racconto.
«Un principe riceve in dono uno specchio magico da parte di uno stregone. Gli viene assicurato che ogni volta che si specchierà vedrà il benessere o il futuro minacciato del regno. Tutto fila liscio fino a che un giorno non nota all'interno del vetro la presenza di una figura estranea ed inquietante.
Indossa gioielli costosi, "i più brillanti che il principe avesse mai visto", ed ha affianco a se molte donne, "le più belle che il principe avesse mai visto", eppure sembra solo cercare un modo di fargli la guerra.
In lui il principe riconosce un nemico da analizzare a fondo, così da poterlo battere, ed è fissandolo che si accorge, giorno per giorno, di provare un'invidia atroce per tutto ciò che nota ma più tempo perdeva ad osservarlo più quella figura avanzava e minacciava il suo regno. Quando il riflesso, completatosi ad ogni passo di avanzata con maggiori dettagli, riporta la figura del nemico per intero mostra la fisionomia dello stesso principe. Solo allora, questi capisce di essere esso divenuto egli stesso, con la propria invidia, fanatismo ed ossessione del nemico, una minaccia per il proprio regno e si toglie la vita.
Quello che mi ha fatto sorridere è la conclusione. La fiaba termina con una frase piuttosto decisa: "il solo nemico era un altro se stesso".»
«Già... un altro se stesso...» mormora Mattia, facendo sollevare per un istante gli occhi dello psicologo verso i suoi riguardi.
«Come ho detto, una storia davvero molto triste.»
«L'invidia non è una cosa così fuori da ogni comune.»
Lo psicologo chiude il giornale dinanzi a se, fissando l'impassibilità di Mattia tornata a guardare al di fuori, verso il mondo nel caos di neve e fango.
«Tu dici?»
«Se solo il principe si fosse accorto di ciò che non aveva il suo riflesso avrebbe capito che non si trattava di un altro se stesso.»
«Ma è proprio questo il punto» commenta Paolo, fissando confuso Mattia. «Il riflesso era identico al principe.»
«No» commenta l'altro in un mezzo sorriso, «il principe aveva qualcosa in più. Ecco perché erano diversi.»
Paolo non riesce a comprendere a cosa il Grimaldi si riferisca ma una cosa è certa: non appartiene alla favola che, presa dal libro offerto da Diego, Sanna aveva fatto trascrivere sul giornale firmandosi con uno pseudonimo. Aveva dovuto persino aggiungere una vignetta autoironica, firmata con un altro soprannome, per lasciar andare in pasto a Mattia un'altra ipotesi di complottiamo e controversie. No, non apparteneva alla favola quella riflessione quanto, piuttosto, ad una verità del tutto privata che Mattia non vuole esternare.
La felicità lo ha reso silenzioso e, nota Paolo, il mutismo appare più difficile da abbattere dell'invidia stessa.
«A che cosa ti riferisci?»
«Lo scrittore di quel giornale deve aver lasciato molti particolari dietro di se, per entrare nel paragrafo» riferisce Mattia, per quanto lo psicologo, a sua insaputa, avesse potuto leggere la fiaba piuttosto attentamente.
«C'era dell'altro?»
Cambiando posizione lungo la sedia, Mattia annuisce appena prima di poter argomentare.
«Mio nonno me lo diceva sempre: il principe avrebbe dovuto semplicemente capire che il suo riflesso cattivo non esisteva. E c'è senza dubbio qualcosa in grado di distinguere un uomo da un riflesso, no?»
Il taccuino degli appunti all'interno della tasca della giacca brucia come lava sul petto dello psicologo mentre questi prova l'istinto irrefrenabile di afferrarlo e scrivere copioso. Si limita ad annuire, incassando il colpo di quelle che sembrano essere, almeno all'apparenza, parole dalla giusta coerenza mentale. L'altro ne è soddisfatto, avendo da sempre voluto trovare un appoggio sincero.
«Mattia... non ne abbiamo mai parlato ma come è il rapporto con tua madre? La prima cosa che ho saputo su di voi, arrivato in città, era proprio il carattere di lei. Dicono tutti che sia una donna molto decisa e forte.»
«Lo è» risponde Mattia, telegrafico.
«E le vuoi bene?»
«Molto.»
E tua madre vuole bene a Diego? Di più o di meno di quanto ne voglia a te? Ed è sempre stato così?
Sopperire le domande è parte stessa della difficoltà interna ad una simile ed incosciente analisi. Paolo non può spingersi oltre se non con estrema precauzione, cosa che gli anni gli hanno insegnato a fare piuttosto accuratamente almeno all'interno del suo ufficio e delle sue certezze.
«È davvero bello, sono contento per te.»
«Perché questa strana domanda?»
«Parli sempre di tuo nonno, credevo fosse stato lui a crescerti.»
«È stata proprio mia madre ad affidarmi a lui per così tanto tempo.»
«E tuo padre?»
«Di mio padre non parlo, era solo un bastardo.»
Deve ricordarsi con accuratezza ogni espressione, ogni forma di disprezzo o di amore capace di trasudare dalle parole del suo paziente così da riportarle per filo e per segno una volta prestata l'occasione. Esercizio abbastanza complesso ed insoddisfacente vista la complessa alterazione di umore alla quale Mattia si sottopone con abbandono. Pare non importargli niente di ciò che qualcun altro possa pensare nei suoi riguardi emozionali, rimanendo semplicemente esposto, in ogni suo sfaccettata complessità.
«L'invidia può essere un male piuttosto comune» conferma Sanna le sue parole, dandogli il supporto che sente gli occorra per poter continuare la conversazione, stavolta, nella migliore delle ipotesi, per delle ore. «Può esserlo ma non credo che chiunque possa essere in grado di essere un Grimaldi. È come se aveste un modo tutto vostro di agire o pensare.»
«Siamo stati cresciuti con freddezza. Io, Diego e perfino Maurizio... ognuno di noi è formale e distaccato nei confronti degli altri. Può essere difficile per chiunque in città crederlo ma Diego è il più distaccato di tutti.»
Per la prima volta, il nome del fratello era nato sulla bocca di Mattia spontaneamente. L'occasione è tanto succulenta da dover essere usata a dovere.
«Lo credi sul serio?» Domanda quindi Paolo, pur avendolo da sempre creduto. Diego sa rendersi distaccato da tutto, in una sorta di ligio dovere della propria autorità, ad eccezione che si tratti di Valeria.
«L'ho sempre pensato, ma in fondo è normale per uno come lui, non ci si aspetta nient'altro.»
«Che intendi dire?»
Mattia sorride e smette, persino, di accarezzare morbidamente la propria tazza. Tira indietro la schiena e ripone le mani nelle tasche dei pantaloni, mostrando apertamente il torace esposto, in un gesto di rilassata calma che Paolo ha visto compiere un milione di volte non a lui ma a suo fratello.
«Diego è solo un riflesso.»
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Nella propria camera da letto, da sola, Valeria fissa il tenue color caramello della parete al termine della stanza, affissandovi mentali pensieri da quelle che ormai sembrano essere delle ore.
Non appena si alza dal letto, i muscoli le fanno male dalla tensione che li aveva costretti a rimanere rigidi ed immobili per un vasto lasso di tempo. Ancora di più prova un lieve dolore non appena si inginocchia a terra per poter prendere da sotto il letto una pesante scatola.
Valeria scava a fondo tra gli oggetti di quello che sembra essere un malevolo scrigno dei peggiori ricordi, rovistando tra gli anni di una giovinezza che il tempo tenta di farle dimenticare.
Aggrappandosi ad essi e specie alle parole riportate su singoli foglietti di carta Valeria torna in se.
Le frasi risultano scritte in un corsivo nero piuttosto inclinato, gettate quasi su carta nella fretta di non essere dimenticate, e bagnate da vecchie lacrime rimaste nella presente alterazione ciclica, a tratti, dell'inchiostro.
Valeria le legge copiosa, passando da un foglietto ad un altro senza trovare ciò che cerca. Quando riprende la furente caccia, tra le braccia nude volteggiano ricordi disparati, dei più violenti: pomeriggi passati al parco delle Mangolie, altri trascorsi a studiare il profilo dell'Etna, ed altri ancora di piedi immersi nell'acqua salata di mari calmi.
Si tratta di ricordi composti di parole e sono essi ciò che Valeria cerca, uno in particolare che non trova.
Furente, calcia la scatola con un piede ottenendo come risultato un suo lieve spostamento all'indietro, causato dall'eccessivo peso.
La rabbia ed il nervosismo la obbligano a mordersi le unghie senza clemenza, almeno fino a che un nuovo pensiero non la costringere ad alzarsi di colpo in piedi.
Diego non era rientrato quella notte dunque senza la certezza di poterlo trovare, da un momento all'altro, all'intero della casa, Valeria avanza sicura verso la sua stanza, sperando che la velocità possa favorirla.
Odierebbe se lui facesse lo stesso, specie in un momento simile.
No, lui non si avvicinerebbe alla sua stanza e nemmeno Valeria dovrebbe entrare nei suoi spazi... ma ha perso ogni ritengo per riuscire a tenere quella regola salda.
Apre il cassetto in cui l'ultima volta aveva visto conservato, ancora all'interno della scatola, l'orologio del nonno di Diego, sorprendendosi in un primo istante che possa essere sparito.
Suo marito, per qualche ragione, deve averlo spostato.
Non se ne preoccupa e continua, riemergendo a mani vuote.
Preda dell'esaurimento, si passa le mani tra i capelli tentando di pensare: forse seguire il piano di Diego può essere l'unica soluzione eppure una parte di lei è certa che non possa bastare.
Una parte di lei... è certa che non le possa bastare.
«Avanti, Valeria, avanti» sussurra a se stessa, facendo scendere le braccia poi lungo il corpo, abbattuta all'idea di non avere più alcun potere.
Le rimane un'unica opzione, anche se non sarebbe voluta arrivare a tanto sapeva anche che prima o poi sarebbe successo.
Torna nella propria stanza e chiude la porta di Diego dietro di se, celandogli anche lei parte dei suoi segreti.
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Una volta giunta a lavoro, Valeria si accorge di come una strana calma abbia infestato i corridoi della società, troppo piatta per non destare preoccupazione.
Avvicinandosi alla postazione di Silvia tenta di ricevere dall'amica le giuste informazioni.
«Non hai saputo? C'è stato un drastico calo di personale, gli impiegati si sono licenziati in massa dopo la giornata di ieri. Non si sono sentiti tutelati dai Grimaldi, per la gran parte.»
«No, non lo sapevo, Diego non è tornato a casa stanotte. È già arrivato?»
«La luce nel suo ufficio è accesa. Non l'ho visto entrare ma immagino sia lì.»
Il ricordo della libreria nell'ufficio di lui, di quel libro, all'apparenza di narrativa, che gli ha visto sfogliare destano in Valeria l'istinto di scoprire di cosa si trattasse. Forse nel bisogno di conoscere maggiormente il marito o forse di comprendere i suoi segreti, non ne ha idea ma sente il bisogno di scoprirlo.
«Vado a vedere se ha bisogno di me» mormora in un borbottio in direzione dell'amica che annuisce, semplicemente, prima di seguire con gli occhi la sua avanzata.
Valeria invece getta uno sguardo attorno prima di giungere di fronte all'ufficio di lui, posare una mano sulla maniglia e fare forza. Quando la porta si apre la prima cosa che nota è il calore delle luci accese della stanza, dimenticate da quel totale blackout che li aveva costretti ad un buio perenne, poi la silhouette di una figura seduta di spalle, sulla sedia disposta per gli ospiti.
«Scusi, credevo di trovare Diego, passo più tardi» dice Valeria senza pensare, dal momento che la testa della femminile figura sembra essersi voltata appena di lato ma quando questa si alza dalla propria postazione Valeria è costretta a rimanere immobile, ferma ad osservare come il più antico dei ricordi possa prendere vita.
La figura si volta del tutto e finisce con il fronteggiarla, occhi negli occhi e sguardi fermi, da parte di entrambe.
Il tempo l'ha resa bella in maniera sfrenata o forse l'estetica risulta accentuata dalla brillantezza della vittoria. Valeria scorre gli occhi lungo il suo viso, si sofferma a notare come i morbidi capelli biondi siano cresciuti ben oltre le spalle pur rimanendole come nuvola soffice attorno, passando poi ai suoi occhi troppo docili e al suo corpo sportò con le spalle all'indietro, in una sorta di fierezza silenziosa.
«Perché sei qui?» Sibila Valeria, socchiudendo la porta con lentezza inquietante e facendosi più vicina. Schiena rigida, mento in avanti, sguardo fisso: un'espressione totalmente distante dalla docilità e che punta ad essere meschina nei riguardi dell'altra donna, all'apparenza più debole.
«Sono stata di nuovo assunta.»
«No.»
«Torno a lavorare oggi stesso.»
Valeria inclina la testa di lato in un mezzo sorriso e le sue labbra lo sussurrano tra quella piegatura d'ira: «no.»
La porta si apre di nuovo nel bel mezzo del breve silenzio a seguito del loro scontro e Diego sopraggiunge tra di loro, scorrendo gli occhi su entrambe.
Valeria è rimasta con la testa leggermente inclinata, il tacco di un nero stivale conficcato a terra per permettere alla punta della calzatura di volteggiare appena nell'aria, creando un dondolio nel suo corpo e facendo così oscillare anche il semplice abito, terminante poco sopra le ginocchia, in coincidenza con lo stivale.
Isabella, invece, ha le mani posate di piatto contro il profilo delle proprie gambe fasciate da un Jeans a vita bassa incorniciato da una maglietta azzurra e da una serie di collane. Due caratteri diversi e ben distinti dai quali, però, pare scaturire la stessa ostilità.
«Tua madre ha passato ogni limite» sussurra Valeria in direzione di suo marito, senza nemmeno fissarlo come si deve.
«Non è stata lei ad assumerla. L'ho fatto io.»
Solo in questo momento la testa di Valeria torna perpendicolare alle spalle con una mossa lenta e gli occhi, finalmente, si spostano su Diego, incenerendolo.
Diego regge il confronto, spogliandosi da quelle fiamme ben presto e semplicemente ruotando la testa verso l'altra.
«Isabella... sono felice di averti di nuovo tra di noi. Sai dove andare, presto ti presenterò al nuovo team.»
«D'accordo, Diego.»
Valeria continua a fissare suo marito, dondolando ancora più a fondo il tacco del piede, creando un leggero solco nella moquette rossa.
Non compie nemmeno un solo passo per spostarsi dalla traiettoria dell'altra quando, con insolita calma, le arriva vicino trasmettendole persino il maleodorante odore dolciastro dei suoi capelli che la siciliana tanto detesta.
Storce le labbra ma continua a fissare suo marito e a rimanere immobile, persino una volta che la porta si è chiusa.
Ora è pronta ad andare. Compie un mezzo giro per riuscirci prima che la voce di lui l'arresti.
«Non hai niente da dire?»
La domanda è una scintilla e quello che ne segue è un incendio.
Vale si volta nuovamente in direzione di Diego e senza pensare solleva la mano impartendo il primo colpo dritto sul suo viso. Diego la ferma per tempo afferrandole il polso ma lei non si lascia vincere. Scalcia, protesta, tenta di ferirlo in più di un modo ma bloccata sotto ogni ambito ad un tratto non le restano altro che le parole.
«L'hai fatta tornare nelle nostre vite, grandissimo bastardo!»
«Non urlare.»
«Non mi importa niente se ci sentono! Vuoi il mio totale distacco e poi la schieri in campo. Sai cosa significa questo? Tua madre non farà altro che organizzare nuove occasioni per vederci tutti e tre insieme e beffeggiarci!»
«Lo so.»
«E non ti è interessato di niente pur di riaverla!» Protesta lei continuando a scalciare e a muovere in agitazione ogni parte del corpo che lui intrappola, così da sfuggirgli.
«Calmati, adesso, e ascoltami.»
«A quelle cene non ci vengo, diavolo! Fanculo a tutti voi Grimaldi!»
Diego deve afferrarla di forza per trainarla via dalla porta dell'ufficio e celare le sue urla.
Peccato che nemmeno quella stanza, in cui hanno dormito insieme, basta per placare la sua rabbia, anzi... rivedere quel divano la fomenta.
«Eri da lei ieri notte, non è vero? A supplicarla di tornare.»
«Sì.»
«C'eri anche la notte in cui Antonio mi ha lasciato quel segno ed in cui non sei tornato a casa?»
«Sì.»
«E hai scopato con lei?»
«Tu hai scopato con Antonio, no?»
«Fanculo, sul serio!»
Valeria prova a rilasciargli di nuovo uno schiaffo dritto in faccia ma Diego la blocca un'ulteriore volta. La frustrazione la intrappola come preda.
«Dovresti ascoltarmi» le dice, serrandola ancora tra le braccia così da tenerla ferma. Lo guarda dritto negli occhi per cercare una calma che non riesce a raggiungerla nemmeno dopo larga attesa.
«L'hai riportata nelle nostre vite. Come diavolo pensi possa accettarlo?»
«L'ho fatto per Silvia.» Una simile risposta la porta a sgranare gli occhi per poi scuotere la testa, arresa alle parole che lui ancora avanza. «Deve andarsene da qui, prima che mia madre la manovri beneficiando delle quote. Ne abbiamo già parlato.»
«Un motivo in più per avere Isabella a portata di mano.»
«Vale.»
«Lasciami, vado a salutarla come si conviene.»
«Non stai andando da lei.»
«Che diavolo ne vuoi sapere?»
«Non lasciare la sede.»
«È sabato, Diego.»
«Lo so» sussurra lui, senza sciogliere la presa attorno a lei.
«Non sarei nemmeno dovuta essere qui. Magari lo avresti preferito.»
«Ho richiamato Isabella per spingere Silvia ad andarsene. Il modo con cui l'avete fatta licenziare anni fa non fu né onesto né privo di interesse. Tu più di chiunque altra dovresti capire quanto quella situazione per Isabella fosse rimasta aperta. Non cerca vendetta ma dialogo con lei. Da dopo il tradimento con Claudio, Silvia ha sentito più che mai il bisogno di dimostrarsi allo suo stesso pari.»
«Non è tornata a lavoro per questo.»
«Tu dici? Non è concentrata e manca di interesse. La sola cosa che fa è occupare il centralino per litigare con Claudio. L'ho sentita nominare Isabella in più di un'occasione. Magari crede di non essere tornata per questo motivo ma quante volte, dopo il parto, ha continuato a ripetere di non essere abbastanza bella? La colpa è stata anche del mio fratellastro di non darle certezze ma Silvia è tornata solo per sentirsi amata. Per questo ha ceduto a mia madre, è stata la prima a darle attenzioni.»
A seguito di una simile spiegazione, Valeria si libera dalla stretta di lui che, in un sospiro sofferente, osserva il suo lento distacco.
«Dove vai» mormora, senza chiederlo davvero, al che Valeria assume tutta la freddezza necessaria per tornare a parlare.
«Se questo è il tuo piano allora fa pure, lascia che Silvia ti odi per averla costretta a questa situazione. Nemmeno la tua è stata una mossa tanto leale o priva di interesse, ma puoi credere di essere migliore. Ad ogni modo non mi riguarda. Non parteciperò a quelle cene ed eviterò, in qualsiasi modo, di incontrarla a lavoro.»
«Dovrai venire alle cene. Per Mattia.»
Valeria se la ride di un divertimento alquanto oscuro. «Pensi davvero che tuo fratello si beva il tuo distacco? Potrai essere gelido quanto vuoi, potrai portare la tua amante a quella tavola ma Mattia è legato a me più di quanto tu creda. Può darsi che il piano sulle quote possa bastare a indebolirlo ma è tutto qui. Non si allontanerà più di questo ed è così che avrò la mia vendetta e tu il tuo divorzio.»
Ciò che ha detto lo pensa davvero: lei e Mattia sono legati troppo stretti per poter essere divisi motivo per il quale, in fondo, lei è sempre stata da sola nel fronteggiarlo.
«Bella mossa quella di far tornare in gioco la tua amante» commenta poi Vale, ragionando come si deve. «Si parlava di alternative di futuro ed hai colto la palla la balzo con la questione dei licenziamenti. In fondo, avevi anche ragione: non siamo cambiati per niente.»
Diego pondera le proprie parole, continuando a fissarla, prima di poter parlare con tono neutro.
«La questione dei nuovi impieghi mi porterà via molto tempo. Assicurami che non te ne andrai dalla sede.»
Valeria solleva le mani aperte all'altezza del proprio viso, a dimostrare un'innocenza che possa rendere le sue parole verità non appena le pronuncia con cattiveria:
«Promesso» riferisce, arretrando indietro nei tacchi dei propri stivali, strusciando appena le punte delle scarpe lungo la moquette, per poi andarsene dall'ufficio.
Una volta libera dagli occhi di lui, la prima cosa che fa è andarsene.
Esce in strada inforcando degli scuri occhiali da sole e ferma un taxi, dando l'indicazione di una strada piuttosto nota.
Quando Antonio apre la porta del proprio appartamento e se la trova dinanzi mostra la sorpresa di chi, in parte, viene preso in contropiede da una situazione piacevole ma inattesa.
«Che cosa ci fai qui?»
«È sabato, no?» Gli ricorda lei, attraverso le spesse lenti. Non occorre altro per arrogarsi il diritto di entrare all'interno della casa, una volta che lui, spostandosi appena di lato, glielo permette prima di poter donare ad entrambi la solitudine che cercano.
Giunta nella camera da letto di lui, Vale si toglie per prima gli occhiali, che poi abbandona svogliatamente sul comodino, per poi voltarsi verso Antonio non appena l'oggetto di lente attenzioni diviene lo stretto nodo del suo soprabito. Lo disfa con calma, lasciando poi cadere il cappotto a terra. Un palese via libera, lo scocco di inizio, capace di suggerire al siciliano l'istante in cui poter avanzare.
«Questa è nuova?» Le domanda, afferrando dal suo collo la sottile catena di una collana estranea dalla quale pende un bianco diamante come decoro. Valeria se ne disfa, aprendo il piccolo gancio ed abbandonandola al fianco degli occhiali.
«Lasciala perdere, ora.»
Antonio sorride, rimanendo a fissare la sua serietà, per poi beneficiare di quel lento spogliarello che prosegue fino ad arrivare alla lingerie.
A questo punto, tocca a lui fare lo stesso. Si spoglia sotto lo sguardo di lei con la calma in tensione di chi lo ha già fatto un milione di altre volte ma ancora non dimentica le emozioni che il prossimo contatto sembra suggerire.
Valeria lo spinge sul letto una volta completamente nudo e parte con il percorrere il suo corpo con lenti baci. Antonio chiude gli occhi per un istante, percependo la bocca di lei percorrere un sentiero lento che la conduce fino al sesso sul quale si attarda con maggiore forza, fino a far dimenticare ad Antonio ogni pensiero.
Il siciliano stringe nei pugni le bianche lenzuola del letto e spalanca la bocca in un grido muto di puro piacere mentre Valeria continua a risalire e scendere, stupendosi dell'immediata reattività del corpo dell'uomo. Un corpo bello che non comunica niente se non estrema passione ed il bisogno di rivalsa.
Il pensiero le fa allontanare la bocca dal prepuzio concludendo il bacio con il piccolo schiocco di labbra che porta l'uomo ad osservarla più lucidamente. Valeria è ancora vestita in slip e reggiseno ma non si preoccupa di spogliarsi ulteriormente quando di sedersi a cavalcioni su di lui.
«Vai di fretta?» Le domanda, vedendola scostarsi lo slip il necessario per farlo entrare. I loro occhi si incontrano nell'istante in cui Vale gli posa di piatto un dito sulle labbra, incentivandolo al silenzio.
«Shh» sussurra la morbida bocca di lei, poi il suo corpo femminile cala, arrivando a riempirsi del corpo di lui così da essere uno solo, e non c'è più spazio per le parole. Il fastidio iniziale è una sorta di punizione per la fretta dimostrata ma nessuno dei due se ne preoccupa. Chiudono entrambi gli occhi e si lasciano andare.
Ogni contatto che non sia puramente dato dall'approccio fisico viene perso. Antonio espira con forza per quell'allontanamento mentale ma poi, in parte disinteressato, inizia a spingere nel corpo di lei che risponde con maggiore ferocia.
Oggi è scatenata, pensa Antonio, beneficiando della furia di lei prima di decidere di ribaltare i ruoli.
Vale finisce con il seno premuto contro il materasso ed il corpo dell'uomo dietro di se, mentre ancora tengono gli occhi chiusi. Non pensa a niente che non siano le spinte furiose con cui lui cerca di entrare nel suo corpo almeno fino a che le mani di Tonio non si posano sui suoi fianchi, per poi risalire lungo la schiena.
La donna sgrana gli occhi, coinvolta in un ricordo irriverente che si è introdotto nella sua mente. Avverte una forte stretta alla pancia, un calore quasi ingestibile da arginare che la conduce a soffocare un grido contro il cuscino e affondare le unghie nelle coperte. Ha il cuore in tachicardia, preda di una reazione violenta che sfocia nella follia non appena Antonio posa una mano contro la sua nuca, stringendo appena.
Di istinto, Vale si volta e richiede un bacio. Uno di quelli che possano assicurarle di essere sola con lui, lontana da chiunque altro, così da poter chiudere di nuovo gli occhi. Antonio glielo offre ma poi... scivola di lato, lasciandole dei baci lungo il viso, prima di avvicinarsi al collo in maniera preoccupante.
Valeria si scosta, tornando con il respiro rotto contro la federa del cuscino e allontana Tonio esercitando pressione sulle cinque dita, tentando di spingerlo all'indietro.
Gli occhi di lei ora sono del tutto incapaci di chiudersi .
Scorrono, sconvolti, l'attenzione da una parte all'altra senza focalizzarsi su niente, guidati da un istinto violento che le chiede di non privarsene.
«Che cosa c'è?» Domanda lui, al che Valeria deglutisce con avarizia l'aria per tornare al parlare.
«Niente, voglio farlo così» riferisce, prima di rianimarsi e mettersi a sedere schiena contro petto su di lui che, d'impulso, la serra stretta tra le braccia togliendole del tutto il respiro. Non appena Tonio riprende a spingere, Valeria si afferra alle sue braccia, continuando a tenere gli occhi ben aperti, per poi gettare le mani indietro ed afferrarsi ai suoi capelli.
La violenza del loro scontro è divina. Tonio approfitta del suo corpo trafugandolo, continuando a spingere, scorrendo le mani ed afferrando i suoi seni per poi scivolare lungo il costato. Valeria sente il suo respiro contro il collo e non lo allontana. Fissa la parete dinanzi a se e lascia che tutte quelle sensazioni le precipitino addosso con violenza, accogliendole con una benedizione diversa rispetto al passato.
Permette, persino, che Tonio si liberi dalla presa ai capelli per farle passare un braccio attorno al suo collo. In questo modo Valeria, con il busto torto all'indietro, è a disposizione dei suoi occhi e della bocca. Tonio si piega in avanti, passando la lingua sui suoi capezzoli e sui suoi seni creando strisce lineari di saliva sull'epidermide coperta di pelle d'oca. Dopodiché spinge Valeria sul letto, affinché possa tornare distesa di schiena.
Stremata dal loro scontro, Vale lo accoglie tra le gambe serrandoselo addosso. Tonio ancora intento a leccarle i seni e spingere in lei, perso nell'odore che il loro scontro produce. Lo sente avanzare nel suo corpo con ferocia senza rallentare il ritmo, anzi divenendo sempre più violento al punto da non accorgersi, persino, dei mugoli che escono dalla sua bocca.
In quel delirio di sensi, Vale torna a sollevare le mani per poi posarle sulla sua schiena. Stringe a se quel corpo fasciato di muscoli, con la testa affondata nel cuscino vicino al suo collo, mentre produce quei suoni tanto erotici di profondo abbandono. Accarezza quelle spalle tornite e poi vi affonda le unghie.
Tonio protesta per il piacere, solleva la testa facendo mostra del completo delirio a cui l'ha condotto. È sempre lui, il ragazzo dai neri capelli, un accenno di barba e la pelle abbronzata ma quell'istinto animale di Valeria non la esorta a notarlo. Si focalizza solo sull'abbandono tremante del suo corpo, sul gemito che fuoriesce dalle sue morbide labbra:
«Vale...»
Lo bacia affondando in lui la lingua e mettendo fine a quel mugolio che stava per farle fuoriuscire il cuore dal petto, premendo ancora più affondo le unghie nella sua carne e lasciandogli dieci lunghi graffi lungo la schiena.
Antonio gode, chiudendo gli occhi e spingendo un'ultima volta in lei, privato completamente del fiato nel corso del loro bacio ed anche Valeria trema. Cerca, ruotando il proprio corpo contro quello maschile, il punto di non ritorno per perdere completamente se stessa e lo trova facilmente, ad occhi serrati, con la mente che violenta ancora tenta di separarla dal corpo.
Stavolta, non appena si dividono, risulta Antonio il maggiore, tra i due, ad avere segni addosso. Ricade esausto sulle lenzuola, mettendo in mostra i deliranti succhiotti lasciati lungo il seno di lei. Tre da un lato, due dall'altro. Alcuni vicini ai capezzoli ancora turgidi mentre altri, uno in particolare, vicini allo scollo del seno, poco più in alto della bocca dello stomaco.
«È stato diverso» commenta Tonio, in un respiro sofferente, rimanendo a fissare il soffitto.
«Tu credi?» Domanda lei, in una intonazione che tenta di mascherare qualsiasi sonorità.
«Non hai chiuso gli occhi, stavi pensando ad altro?»
«A che cos'altro avrei dovuto pensare?» Borbotta lei, infastidita dalle sue domande scomode. Si volta su un fianco, mostrandogli la nuda schiena, e Tonio si volta a fissarla, ancora con il respiro affrettato.
-
La gioia è un emozione difficile da intrappolare, eppure nello sguardo di Sofia Grimaldi traspare fin troppo chiaramente.
«Dici sul serio?» Chiede conferma a Maurizio, in piedi di fronte a lei ed intento ad annuire, a seguito. L'aveva trovata abbandonata sulla sua solita poltrona, intenta a guardare ben oltre la finestra l'impero di suo padre tenuto ancora in piedi a seguito della tempesta. Avrebbe giurato niente potesse risollevare tanto il suo umore da distrarla dai pensieri ma non aveva valutato la portata della buona notizia offerta in dono come un lauto pasto.
«Sì, è stato Diego ad assumerla. Mattia ancora non ne sa niente» conferma Maurizio al che la Grimaldi si solleva con calma dalla poltrona, acquisendo la dovuta compostezza una volta tornata in piedi.
«Allora è il caso che tutti lo vengano a sapere, non credi?»
Il capo dei camerieri, come attratto da quel pensiero maligno, si affaccia sulla scena al termine delle parole della padrona. È intento nelle proprie mansioni, tiene lo sguardo basso, eppure diviene un segugio non appena questa solleva appena la mano richiamandolo.
Animali e padroni. Schiavi e potenti, pronti a piegare il volere del destino affinché possa volgere a proprio favore.
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E così cala il gelo. Cala il gelo sulle pendici dei monti e scende a valle, raggiunge l'ingresso di ogni casa e bussa ad ogni porta nelle vesti di un cupo mietitore giunto per condurre a morte l'allegria. Cala il gelo e stermina la rugiada degli alberi, piomba sul mondo con un velo di brina alla stregua di un'immensa tela di ragno, giunta a coprire l'intera superficie terrestre.
Una gracile coperta trasparente, tanto spessa a tratti da divenire bianca, tanto crudele da non trasmettere calore... tanto ampia da coprire il tavolo delle cene, nel soggiorno della famiglia Grimaldi.
Schierati ognuno nella propria postazione, i protagonisti della scena tacciono in un comune silenzio che coinvolge un intreccio di sguardi. Sofia, a capo tavola, sorride divertita della situazione creatasi, scorrendo gli occhi su ognuno dei personaggi posizionati lungo la scacchiera. La complessità di un gioco di scacchi, l'instabilità delle pedine del domino: una piccola spinta e presto, una dopo l'altra, arriverebbero a cadere. Silvia, Manila, Claudio, Isabella, Diego, Valeria...
Sofia si attarda con lo sguardo su quest'ultima notando la sua disinvoltura nel presenziare alla tavolata: rifinita di nero pizzo e curata a regola d'arte, come le aveva chiesto di essere già dall'inizio del fidanzamento con Mattia, Valeria ha uno sguardo assorto nella carezza lenta che dedica all'argento delle posate. Non fissa nessuno, non sembra scappare ma rimane semplicemente impigliata nell'accurato decoro dell'argenteria, incuriosita dalla sua grazia.
«Bene, ora che siamo tutti direi di iniziare» commenta Sofia, dando il via ad una cena servita a base di carne al sangue.
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