9. worshippers

Il giovedì erano tradizione le conferenze su Skype con le ragazze. Io e Alaska rimanevamo a parlare con loro per ore attraverso uno schermo come se fossimo realmente tutte lì, inseparabili dalla distanza e dai libri dell'università. Probabilmente sentivo più spesso loro dei miei genitori ma per questo, non mi sentivo affatto in colpa.

L'immagine sgranata di Dixie, si muoveva a scatti e riscontrava più problemi di segnale rispetto alle altre, nonostante ciò, aveva detto di non aver ancora fatto amicizia con nessuno se non con alcuni studenti che la salutavano per i corridoi e su cui poteva contare in caso di difficoltà nello studio. La facoltà era prevedibilmente difficile ma niente che avrebbe potuto allontanarla dalla sua passione per la medicina. Voleva fare il medico legale e tutte noi, eravamo certe delle sue incredibili capacità.

"Mi mancate" aveva piagnucolato e malgrado la sua figura risultasse poco chiara attraverso lo schermo del nostro computer, riuscivamo comunque a definire la sua espressione nostalgica e le sue sopracciglia folte e scure che le cadevano sugli occhi quasi nascondendoli. Io appoggiai la testa sulla spalla di Alaska sorridendo lievemente mentre tutte le altre, intonarono diverse parole d'affetto nel tentativo di sollevare l'animo di Dixie.

La mia coinquilina in seguito, cercò di punzecchiarmi raccontando loro di aver conosciuto un irlandese che aveva trovato particolarmente simpatico anche se leggermente maschilista, che ascoltava i blink-182 e che era il figlio del detective di Los Angeles. Io alzai gli occhi al cielo e sbuffai pesantemente facendo notare alle ragazze il mio dissenso per il biondino.

"Tutti ascoltano i blink-182" roteai gli occhi.

"Ma non tutti siamo figli del detective della città" ridacchiò Lilith scatenando il sorriso malizioso e soddisfatto di Alaska.

"Quindi è ricco?" constatò poi India facendoci ridere.

"Le SaintClaire non si smentiscono mai" le prese in giro Freeda alludendo alla loro falsa predilezione per i ragazzi di alta borghesia.

Le due gemelle erano sempre state fisicamente molto simili a partire dal loro caratteristico naso all'insù e dalla pelle chiara costellata di lentiggini. Avevano tuttavia due caratteri visibilmente contrastanti: un terremoto da una parte, una leggera pioggerella estiva dall'altra. India infatti, era la persona più calma e sensibile che avessi mai conosciuto, aveva undici anni quando iniziò a tingersi i capelli color lavanda e da quel momento, non aveva mai più smesso di farlo. Tutti i ragazzi a Malibu, la consideravano la modella della città malgrado non avesse esattamente i giusti requisiti per esserlo realmente. Era talmente bella da togliere il respiro, talmente timida e ingenua da non capire il perché molti ragazzi le andassero dietro.

"É perchè sei fantastica, India! Quante volte te lo dovrò ripetere?" le urlava Freeda notando la sua espressione confusa e innocentemente strafottente. Non c'era però molto da fare, India SaintClaire si ostinava a trascinarsi dietro tutte le sue insicurezze ogni volta che usciva di casa facendole tintinnare vivacemente come delle lattine attaccate alla macchina di due sposi.

Quel giovedì, ancora una volta, Freeda era rimasta nell'ombra spiccicando a stento qualche parola e ridendo distrattamente alle nostre battute pronunciate intenzionalmente per tirarla su di morale. Alla fine aveva rotto con il suo ragazzo ed era giustamente quello il motivo del suo rumoroso silenzio.
Noi tutte avvertimmo per tempo i nostri genitori, pescammo tra i nostri risparmi e facemmo il biglietto per tornare a Malibu prima del solito. Freeda aveva bisogno di qualcuno che la distraesse dal dolore che stava provando, dalla solitudine propria di quei giorni, che le telefonasse al posto di qualcuno che non era riuscito a sopportare i chilometri di distanza.
Il suo solito rossetto rosso ultimamente, non colorava più le sue labbra, il rosso naturale dei suoi capelli sembrava spento, non più vivido e lucente come lo era sempre stato ma l'unica nota positiva, ci aveva detto, era che non faceva altro che mangiare gelato e studiare interi libri, dare esami e portarsi avanti con il programma come se avesse il timore che anche quell'aspetto della sua vita, potesse andare a rotoli da un momento all'altro.

Per quanto riguarda Lilith beh, lei era rimasta la stessa, ossessionata con la pulizia e ipocondriaca al massimo. Con un velo d'irritazione, ci comunicò che le litigate con India, la sua coinquilina, non si erano mai interrotte ma al contrario, si erano moltiplicate. Niente di grave, bastavano solamente un paio di ore ed un barattolo di crema gianduia per farle riappacificare.

"Devi rilassarti, Lily..." le ripetè la sua coinquilina voltandosi verso di lei "...non puoi metterti a pulire dalla mattina alla sera!"

"Ma come faccio a non farlo se dimentichi sempre i pacchi di patatine aperti sul tavolo della cucina!" aveva risposto di rimando mentre noi ridevamo sotto i baffi osservando il battibecco dallo schermo del laptop.

Lilith era la tipica ragazza che si innamorava dei ragazzi che leggevano sulla metro, che indossava la gonnellina nera per andare a lezione senza mai sembrare volgare, che non toccava mai, nemmeno con un dito, i suoi capelli neri corvini sempre ordinati e perfettamente lisci. A Malibù era la mia vicina di casa, quella che mi lanciava sempre i sassolini alla finestra perchè voleva che cambiassi canzone quando ascoltavo la musica con il volume al massimo. La ascoltavamo insieme in due camere diverse tappezzate da poster diversi, in due case diverse, l'una accanto all'altra.

Quel giorno, con fare annoiato e tatticamente menefreghista, ricordai alle ragazze che il pomeriggio seguente, avrei dovuto incontrare il ragazzo della libreria per il progetto di fotografia. Non mancarono ovviamente le loro abitudinarie raccomandazioni tra cui, scherzando con le sopracciglia sollevate, quella di comportarmi da brava ragazza. Io lo ero sempre stata e loro ne erano più che coscienti. Al contrario, forse avrebbero voluto che lo fossi un po' meno, preferivano invece che non mi risparmiassi nulla, non vivessi ogni giorno di rimpianti e non mi abituassi a svegliarmi tutte le mattine disegnando sullo specchio nuovi pregiudizi su me stessa, soprattutto se lo facevo per colpa di Ander.

Non ho mai conosciuto nessun altro nella mia vita, che si impegnasse così premurosamente per farmi stare bene.

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