8. the scum of the earth

All'epoca, facevo parte di quella categoria di persone ossessionate con le condizioni climatiche, che controllavano le temperature prima di uscire di casa e analizzavano attentamente l'aspetto del cielo in ogni ora della giornata.
Quella volta faceva caldo, il sole bruciava ed i pochi gradi di fine novembre, quasi non si avvertivano nell'aria. Per poco meno di una settimana, il freddo pungente che mi costringeva a restare barricata in casa, sarebbe stato lontano da Los Angeles. Sarebbe poi tornato con il preannunciare del periodo natalizio ormai vicino.

Io e Alaska avremmo avuto entrambe lezione dopo pranzo così, mangiammo un panino su una panchina del cortile del college e ci perdemmo in chiacchiere come succedeva spesso.

Il solito mormorio degli studenti, riempiva l'ambiente in modo rilassante e intimo come se fosse un'azione abitudinaria. Per questo, non ci accorgemmo che qualcuno, a passo titubante e leggermente storto, si era avvicinato a noi. Quando la sagoma dello sconosciuto oscurò prepotentemente il sole, alzai gli occhi scorgendo delle lunghe gambe fasciate da un paio di pantaloni neri attillati, una maglia a righe e una birra quasi finita in una mano abbellita da anelli.

"Buongiorno signorine!" biascicò il ragazzo tentando un sorriso sghembo. Aveva un leggero velo di barba dello stesso colore dei capelli corti, sbarazzini e biondi, portava un enorme paio di occhiali da sole rotondi con le lenti di un giallo anni '80 che ci permettevano di intravedere degli occhi molto chiari e leggermente socchiusi per colpa dei raggi del sole.
Alaska si irrigidì nel vederlo ubriaco e dalle intenzioni offuscate ma, al contrario di come avrebbe fatto se fosse stata notte in un luogo desolato, non scappò a gambe levate.

"Cosa vuoi?" chiesi assottigliando gli occhi. Avevo già visto quel ragazzo da qualche parte ma non ricordavo esattamente dove, sapevo però che non c'era nulla di cui preoccuparsi. Probabilmente, il biondino stava ancora festeggiando dalla sera prima.

"Calma dolcezza, volevo solo presentarmi..." disse mettendo le mani in avanti "...mi chiamo Luke, Luke Hemmings" annunciò poi con sicurezza sorridendoci in modo soddisfatto. Lo fissammo entrambe interrogative cercando di capire cosa diavolo volesse da noi prima che Alaska, potesse rompere il silenzio scoppiando improvvisamente a ridere.

"Piacere Luke Hemmings!" esclamò divertita.

"Bene! Ora che ti sei presentato, potresti anche andartene, addio!" cantilenai sventolando una mano in segno di saluto e anche Alaska, lo invitò ad allontanarsi con un gesto secco della mano trattenendo a stento un'altra risatina.

"Andiamo dolcezza, non fare così! Sto solo cercando di fare amicizia" disse mettendo un finto broncio.

"Innanzitutto, non chiamarmi in quel modo" lo rimproverai per l'orrendo nomignolo sessista che mi aveva affibbiato.

"Okay, dolcezza" fece lui credendosi simpatico. La mia migliore amica mi osservò roteare gli occhi e sbuffare mentre scuoteva la testa in segno di esasperazione.

"E poi..." continuai ignorando la sua provocazione "...ti consiglio di fare amicizia quando non sei in hungover" terminai alzando le sopracciglia. Lui si voltò verso Alaska per intuire anche il suo puto di vista ma sfortunatamente, la trovò ad annuire energicamente mostrandogli un'espressione ironicamente dispiaciuta per lui.

"Io sono irlandese e gli irlandesi sono sempre in hungover!" affermò aprendo le braccia e rivolgendo gli occhi al cielo.

"Qui non siamo in Irlanda, signor Folletto. Se fossi in te, ascolterei il consiglio della mia amica" pronunciò la ragazza accanto a me con il tono dolce e cauto di una maestra che parla ad un bambino.

"Scherzi a parte, ragazze..." ridacchiò il ragazzo sembrando improvvisamente lucido e serio "...è vero che sono irlandese ma non sono ubriaco, ero solo venuto a scambiare due parole con voi. Che corsi frequentate?" chiese infine dopo aver fatto canestro con la bottiglia vuota della birra in un bidone dell'immondizia.

"Io moda, River design" rispose Alaska dopo aver notato la mia resa.

"River? Bel nome, ma io preferisco dolcezza" dichiarò con un sorriso a trentadue denti. Io sbuffai di nuovo sonoramente e lasciai cadere la testa sulla mia mano mentre il biondo ci informò, senza che glielo avessimo chiesto, di star frequentando i corsi di grafica e di star progettando un videogioco. Scambiò ancora qualche parola con la ragazza accanto a me ma io, ero troppo occupata ad infastidirmi per la sua invadenza e megalomania tipica degli uomini che credono di poter conquistare una ragazza con un semplice sorrisetto malizioso o con nomignoli sdolcinati pescati da romanzi rosa sopravvalutati.

"Quando Luke Hemmings parla con una ragazza, può andare in due modi..." la nuova voce che si aggiunse inaspettatamente alla nostra conversazione, attirò la mia attenzione facendomi alzare lo sguardo dalla punta delle mie scarpe per notare successivamente un Michael dagli usuali capelli rossi spettinati. Aveva circondato con un braccio la spalla del biondo e formato un sorrisetto accennato sulle labbra.

"...O la importuna o si vanta di essere il figlio del detective di Los Angeles..." ci spiegò lanciando un'occhiata al suo amico "...ovviamente ragazze, questo è un trucco per palesare la sua ricchezza economica. È così che rimorchia."

La fragorosa risata di Alaska esplose come un palloncino influenzando anche me ed il ragazzo biondo che osservava il suo amico scuotendo la testa e rivolgendo lo sguardo verso i suoi stivaletti da cowboy neri. Guardai Michael di sfuggita, senza aver ancora rilassato la mia espressione e lui mi rivolse il suo solito signorsì ricevendo come risposta un piccolo sorriso impietosito.

"Non stavo facendo niente di tutto ciò, sii fiero di me" rivelò Luke dando una pacca sulla spalla al ragazzo dai capelli rossi.

"Vuoi dirmi che non stavi cercando di rimorchiare?" chiese lui incredulo.

"La mia intenzione era questa ma..."

"Ma una di loro è troppo intelligente per te e l'altra ha un appuntamento con me venerdì" lo precedette a metà frase Michael. Alaska si voltò verso di me e mi rivolse un cenno malizioso all'idea del mio imminente rendez-vous. Speravo che né lei né tantomeno Michael, lo prendessero troppo sul serio, del resto non si trattava che di un semplice incontro dedito a scattare delle foto per un esame; ma il gesto della mia migliore amica, non passò inosservato agli occhi vispi e falsamente disinteressati dell'irlandese dall'altezza spropositata.

"Un secondo..." articolò Luke illuminandosi come se gli si fosse accesa una lampadina "...dolcezza esce con te?" chiese al ragazzo accanto a lui liberandosi dal suo braccio pesantemente accasciato alla sua spalla. Il nomignolo attirò però l'attenzione del rosso che si voltò verso di lui interrogandolo con le sopracciglia corrugate. Bastò un breve scambio di battute a quei due egocentrici teppisti, per disabituarsi alla presenza delle due sottoscritte sedute sulla panchina di fronte a loro ignorandoci come se ci fossimo magicamente dissolte nell'aria frizzantina dell'inverno californiano.

"Possiamo mettere fine a questo show?" li interruppi senza aspettare la risposta affermativa di Michael. Io e Alaska agitammo le mani in aria per far notare a quei due che eravamo ancora lì ma nonostante ciò, sperai di potermi velocemente spostare dallo scomodissimo centro dell'attenzione su cui in quel momento i miei piedi erano saldamente incollati: due ragazzi che parlavano di me come coprotagonista di un appuntamento in cui qualcun altro riponeva fin troppa fiducia, più la mia migliore amica che ispezionava con attenzione i movimenti delle loro labbra.

"Certo dolcezza..." mi stuzzicò Luke Hemmings per l'ennesima volta in una decina di minuti "...in ogni caso, io e il mio amico ci stavamo chiedendo se voi due voleste venire a cena con noi sta sera. Ve lo chiedo da perfetto americano, dimenticate l'Irlanda."

Delle due, ero io quella che teneva banco in quel momento quindi, mi sentii la responsabilità di declinare o accettare l'invito. Non avevo più alcuna intenzione di sopportare la parlantina dell'irlandese anche a cena ma d'altra parte, non mi sarebbe dispiaciuto passare un po' di tempo con Michael e questa, fu una situazione che per molto tempo, non cambiò.
Il ragazzo dai capelli rossi, infilò le mani nelle tasche dei pantaloni facendo esplodere i pugni all'interno di esse quasi come se ci entrassero a fatica, giocherellò brevemente con l'erba sotto le suole delle sue scarpe e poi, alzò lo sguardo verso di me prendendo a sorridermi dolcemente come per incitarmi a dare una risposta affermativa. Alaska lo fece al posto mio rifiutando categoricamente permanenze in uno di quei fast food dove i maschi si fiondavano quando non avevano alcuna voglia di preparare la cena. I ragazzi acconsentirono vigorosamente e poi ci salutarono senza troppi festeggiamenti, ricordandoci che sarebbero venuti a prenderci alle otto e mezza.
Ci portarono in una pizzeria vicino al college chiamata & other stories.

Durante il tragitto nella jeep di Luke, avevano continuato a ripetere euforicamente che in quel posto, facevano una pizza perfettamente italiana e la red velvet migliore di LA.

"Potete anche mangiare solo quella ma è assolutamente vietato uscire da lì senza averla assaggiata" affermò il biondo circondando con le dita affusolate il volante della sua auto dagli alti pneumatici.

La pizzeria era uno di quei classici locali che provavano con tutti i loro sforzi a sembrare anticonformisti ed elegantemente fuori moda. L'insegna azzurra a led, esaltava il nome del locale in una calligrafia corsiva che dava l'idea di star entrando in una boutique piuttosto che in una pizzeria; tuttavia, l'ambiente interno si mostrava abbastanza accogliente, con pareti di mattoni rossi e tavoli in legno wenge. Dal soffitto, cadevano lampade di diversi stili che illuminavano la sala non molto grande mentre, un sottofondo anni '80, creava un'atmosfera urbana e familiare.

Quando ci sedemmo non feci minimamente caso al posto che occupai, capitai fortuitamente accanto ad Alaska e di fronte a Luke celando una lieve insoddisfazione per la distanza, sebbene breve, tra me ed il ragazzo dai capelli tinti. Io, che fino a quel giorno, ero rimasta convinta dell'idea che fosse la persona più loquace e logorroica del mondo, mi accorsi puntualmente di essermi sbagliata: il suo amico biondo, era riuscito a pescare un altro punto a suo sfavore sbandierando riguardo i casi ai quali aveva lavorato suo padre ed esaltandolo implicitamente affermando che aveva risolto tutti i delitti avvenuti negli ultimi dieci anni dai serial killer peggiori della California. Non aveva tralasciato nessun dettaglio, nessun colpo di pistola, nessuno schizzo di sangue. Qualcuno, alias Alaska, sarebbe rimasto ad ascoltarlo senza battere ciglio e impaziente di conoscere tutti i particolari, ma non io. A quelle parole, le scene di qualche sera fa, ritornarono a tormentare la mia mente come un flash fulmineo, mi si nascondevano dietro gli occhi, diventavano realtà quando li chiudevo. Volevo che la smettesse di parlare di morte, delitti e assassini così, guardai Michael in un'espressione diversa, quasi supplicante come per fargli capire che non si trattasse più di noia e irritazione, ma dell'esigenza di muovere la conversazione in un'altra direzione. Lui mi fissò preoccupato per un secondo coprendo gli occhi verdi con sue sopracciglia incurvate, si bagnò le labbra scure e poi chiese al suo amico di parlarci invece del suo videogioco.

Sapevo che potevo contare su di lui, condividere quella disavventura ci aveva fatto realizzare che da quel momento in poi, tra noi due ci sarebbe sempre stata quella sera a nascondersi nelle nostre parole e tra le pagliuzze più scure delle nostre iridi, un'esperienza del calibro tale da tenerla sempre segreta e intrattabile come se fosse stata la data della nostra morte.

"É la trama il pezzo forte..." argomentò Luke puntandoci addosso i suoi occhi azzurri "...parla di un universo parallelo in cui le donne e gli uomini si sono scambiati i ruoli. Ad esempio gli uomini cucinano e puliscono, badano ai figli, fanno la spesa mentre le donne lavorano, vanno sulla luna, fanno i meccanici. Lo scopo del giocatore è quello di riportare il mondo al suo originario ordine risolvendo indovinelli, mini giochi, superando trappole e labirinti."

"Non ho mai sentito niente di più maschilista" lo interruppi ridacchiando più amaramente di quanto credessi di esserne capace. Pensai che probabilmente non avevo mai conosciuto una persona più ignorante ed individualista di lui, qualcuno doveva fermarlo e l'avrei fatto io se solo fosse stata una mia facoltà.
Mi sorprese invece, che Michael non gli avesse detto nulla e, dal momento che era il suo migliore amico, sperai vivamente che non fosse d'accordo con lui.
Il mondo non è di certo il posto migliore in cui vivere ma, se fosse stato realmente come lo percepiva Luke, allora non ci avrei pensato due volte a trasferirmi su Marte, magari lì avrei potuto fare il meccanico.

"Non è maschilismo ma un modo per rappresentare gli stereotipi" rispose Luke. Il mio sguardo su di lui si fece glaciale e freddo più dei suoi occhi che scoprii fossero di un azzurro limpido come il mare, forse l'unica cosa bella che aveva quel ragazzo.
Alaska e Michael rimasero in silenzio leggermente intimoriti che qualcosa potesse finire male. Al massimo sarebbe volato qualche piatto, pensai.

"I veri stereotipi, non sono quelli secondo i quali una ragazza non riuscirebbe ad aggiustare un'auto o ad essere la prima del corso di ingegneria. Questi sono stereotipi per idioti come te che nel ventunesimo secolo, incoraggiano ancora gli schemi mentali prefissati e i preconcetti della società" sputai animata dal mio spiccato femminismo ed idealismo non sempre ben accetti dagli altri.

"Io non li incoraggio" mormorò il ragazzo stranamente calmo come se avesse già dovuto affrontare l'argomento. Se la mia impressione fosse stata corretta, non mi sarei stupita che qualcun altro gli avesse già fatto la ramanzina, dopotutto se il pezzo forte del gioco doveva essere la trama, sicuramente non sarebbe passata inosservata.

"Lo fai se li metti al centro di un videogioco..." risposi convinta a mettere fine anche a quel dibattito "...te ne renderai conto quando noterai che i tuoi compratori sono solo maschi ignoranti e bambini a cui non frega nulla della tua amata trama."

Con quelle parole, smisi di parlare con lui per tutta la sera.
Ironico come ogni discorso iniziato da Luke Hemmings, portava sempre a far nascere dentro di me quei disagi interiori che la mia mente era abituata ad evitare come la peste. Quel ragazzo, faceva uscire il peggio di me e mi rincresceva che ciò dovesse forzatamente accadere in presenza di Michael.
Per tutta la cena, tra noi si avvertì un po' di tensione ma non abbastanza da fare calare il silenzio: Michael e Alaska continuarono a colloquiare loquacemente come al solito e Luke, non aveva nessuna intenzione di spostarsi dal centro dell'attenzione. Quello era evidentemente il suo habitat naturale e nessuno lo avrebbe mai privato di ciò, specialmente io.

La red velvet, aveva il gelato alla vaniglia al posto della panna ed era, effettivamente, la migliore che avessi mai assaggiato.

"Stai bene?" mi chiese Michael una volta usciti dal locale. Si affiancò a me infilando le mani nelle minuscole tasche dei suoi pantaloni neri e percorreva grandi falcate voltandosi spesso a controllare la mia espressione.

La serata era fresca ed io dovetti stringermi ulteriormente nel mio cappotto grigio ma la prossima volta, avrei optato per qualcosa di più pesante, d'altronde l'inverno a Los Angeles non era arrivato proprio in punta di piedi.

Durante il tragitto per raggiungere l'auto, incontrammo poche persone, nessuna macchina e qualche barbone ubriaco a tratti, Luke e Alaska parlavano di musica davanti a noi e camminavano velocemente come se io e Michael non ci fossimo, lasciandoci indietro nel nostro passo lento e rilassato.
Ogni tanto alzavo gli occhi e osservavo quello spicchio di luna che non era intera ma nemmeno a metà, quella faccia così indefinita e sconclusionata come una nuvola alla quale non si riesce ad associare alcuna sembianza, malinconica e pallida come la pelle del ragazzo accanto a me.

"Sì..." gli sorrisi incrociando il suo sguardo fugace "...e scusami per prima" sussurrai.

"So che può sembrare un idiota a volte ma non è il mio migliore amico per caso..." spiegò facendo spallucce "...suo padre non c'è mai per via del lavoro e quando c'è, non fanno altro che litigare... Praticamente ha solo me. Mi è sempre stato accanto, mi ha salvato dall'autodistruzione ed è stato lui a spingermi a lezione di chitarra. É un vero amico" concluse osservando le spalle del biondo qualche metro davanti a noi.

"Il dettaglio della chitarra me l'ero perso..." ridacchiai grata per aver scoperto un'altra piccola parte di lui "...ed è strano visto che parli dalla mattina alla sera" scherzai aumentando il tono di voce. Lui rise lievemente imbarazzato e abbassò la testa un attimo prima di intercettare una lattina di birra che giaceva indisturbata sull'asfalto, gli diede un calcio facendola rotolare fino alle scarpe di Luke che la passarono di rimando nuovamente al rosso accanto a me.
Fu così che finimmo a giocare a calcio con una lattina in mezzo alla strada alle due di notte.

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