7. all monsters are human

[...]

"Che succede?" si preoccupò Michael venendomi incontro. Il vento si era alzato in maniera spropositata insinuandosi tra i miei capelli fin troppo violentemente per i miei gusti.

"Ho posteggiato la macchina nel parcheggio infondo alla strada..." spiegai guardandomi le punte dei piedi "...avevo completamente dimenticato che..."

"Ti accompagno io" mi interruppe con sicurezza voltandomi le spalle e iniziando a camminare. Sapeva in che situazione ero incappata così, con un cenno della testa, mi invitò a raggiungerlo e non appena mi ritrovai accanto a lui, mormorai un piccolo "grazie" al quale rispose con un sorriso.

Il parcheggio dov'era indisturbatamente parcheggiata la mia piccola auto bianca, era conosciuto per la gente poco raccomandabile che lo popolava dopo il calar del sole. In quel luogo, erano ambientate le peggiori leggende metropolitane che non smettevano mai di far accapponare la pelle degli studenti dell'Otis College. Solo Dio sapeva quale percentuale di quelle storie fosse vera ma sicuramente, nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di scoprirlo da sé.
Non capii se il mio cuore stesse battendo per la fatica che stavo sopportando per cercare di mantenere la stessa velocità di Michael o per il timore di non ritrovarci circondati da una bella compagnia.

"Ti accompagno fino al parcheggio a costo che poi mi riporti alla mia moto" puntualizzò facendo finta che l'avessi implorato di venire con me. E poi, ognuno per la sua strada, pensai.

Il parcheggio era apparentemente deserto, ma questo, non mi tranquillizzò affatto. La mia auto, riposava solitaria insieme ad un altro paio di macchine sparse per il vasto cortile mentre, sulla destra, sotto un grande albero, la presenza di una schiera di moto e un furgoncino bianco non ci fece prevedere nulla di buono.

"Per fortuna non c'è nessuno" sibilò Michael facendomi rabbrividire mentre raggiungevamo a passi incerti la mia auto. Strinsi le mani attorno agli spallacci in denim del mio zainetto osservando l'espressione cauta e indagatrice del ragazzo accanto a me. Un silenzio raccapricciante faceva da sfondo al mio fiato che creava delle nuvolette di fumo e al rumore degli anfibi di Michael che sfioravano l'asfalto inspiegabilmente umido. Raggiunta finalmente la mia auto, mi sentii immediatamente più leggera e il mio cuore, smise di battere prepotentemente. Cercai le chiavi nelle tasche del cappotto e cliccai il bottone di apertura delle porte, non vedevo l'ora di ritrovarmi al sicuro nella mia macchina. Aprii la portiera e vidi Michael fare la stessa cosa di fronte a me prima che un verso disumano in lontananza, ci fece trasalire. Ci immobilizzammo di scatto bloccando qualsiasi muscolo e rimanendo con il fiato sospeso. Attanagliai le dita attorno allo sportello con gli occhi spalancati nella direzione di Michael mentre lui, sembrava concentrato a rilevare altri rumori provenienti da nord.

Quando fece un passo verso il muretto di cemento che separava il parcheggio da un burrone, non ci pensai due volte a seguirlo, come se un forte coraggio fosse cresciuto bruscamente nel mio petto. I battiti del mio cuore si affrettarono ad accelerare e un'improvvisa euforia elettrizzò ogni singola vena del mio corpo. Dopo esserci scambiati uno sguardo di approvazione, ci abbassammo e spiammo oltre la recinzione, scoprendo l'hobby brutale che quei pazzi praticavano dopo il tramonto. Una cinquantina di persone, erano riunite attorno ad una grande gabbia circolare ululando e gridando parole incomprensibili mentre con una mano alzata al cielo, sventolavano banconote sporche e stropicciate. I miei occhi, esaminavano curiosi la scena finché non si soffermarono su quello che c'era all'interno della gabbia. A quel punto, sia io che il ragazzo accovacciato accanto a me, capimmo su cosa tutti avevano scommesso. Due uomini, uno di fronte all'altro, tenevano al guinzaglio un cane ciascuno, quelli si dimenavano, ringhiavano, abbaiavano furiosamente e quasi, sfuggivano dalla presa dei loro padroni che, con rimproveri furiosi, tentavano di tenerli a bada. Un lungo fischio, mi fece sobbalzare spingendo simultaneamente la mia mano a tapparmi la bocca per sopprimere dei respiri fin troppo affannati.
Tuttavia ciò che vidi dopo, mi spinse ad aggrapparmi alla giacca di Michael che, tanto quanto me, guardava la scena sconvolto. I due cani furono slegati e, senza lasciar passare nemmeno un secondo, si fiondarono l'uno contro l'altro dando inizio ad uno scontro violento e implacabile. Si mordevano, si graffiavano, si tiravano forti zampate al volto e alla gola mentre le urla attorno alla gabbia, si gonfiavano ogni minuto di più.

Le mie mani stringevano forte il tessuto che avevano intercettato un momento prima e i miei occhi spalancati, non riuscivano a non smettere di guardare quell'atrocità. Senza alcun controllo, si liberavano nell'aria dei suoni talmente forti e disumani che le mie orecchie, si rifiutarono di continuare ad ascoltare. Solo il battito accelerato del mio cuore rimbombava attorno a me dandomi la sensazione di essere rimasta sola in una grande stanza vuota. Mi smaterializzai dalla realtà continuando a mantenere gli occhi incollati a quello spettacolo barbaro e brutale mentre la mia mente, lottava con tutta se stessa per tornare alla realtà. Per un attimo, mi passò per la testa il pensiero di essere capitata in un brutto sogno dal quale non riuscivo a svegliarmi, come fossi bloccata in un'orribile paralisi del sonno.

Quando fui trascinata via da quello spettacolo violento e inumano, scoprii che era tutto vero e che lo scontro, si stava concludendo in un'enorme pozza di sangue. Michael mi afferrò per un polso e mi fece entrare velocemente in macchina prima di lasciarmi svegliare totalmente dal mio trans. Solo dopo qualche minuto, quando le ruote iniziarono a muoversi sull'asfalto, mi accorsi che qualcun altro aveva deciso di guidare al posto mio.

"Mi dispiace..." sentii ad un tratto "...non avrei dovuto avvicinarmi."

Lo guardai confusa facendo fatica a capire quello che aveva detto. Le mie orecchie fischiavano ancora ininterrottamente e sicuramente, non era il segno che qualcuno mi stava pensando. La luna era alta in cielo ma la notai distrattamente con la mente rivolta al tentativo di rimuovere le immagini di due cani che si scannavano davanti ai miei occhi. Quel rosso scuro e bollente, continuò a tormentarmi per anni in ogni singolo incubo che la notte mi rubava il sonno.

"No..." dissi flebilmente tirandomi su "...è colpa mia, non avrei dovuto chiederti di accompagnarmi" mormorai fissando un punto indefinito sul cruscotto della mia auto. Michael si era offerto di guidare fino alla sua moto, aveva detto che ero troppo sconvolta per essere pronta ad afferrare il volante e tornare a casa. Mi avrebbe fatto riposare altri dieci minuti, giusto il tempo necessario affinché potessi tornare in me e poi, tutto si sarebbe regolarizzato; così aveva detto lui, per niente convinto ma decisamente trepidante di vedermi rasserenata.

"Non lo dire neanche per scherzo, River. Se ti fosse capitato qualcosa non me lo sarei mai perdonato" confessò alzando il tono di voce. 

"Grazie" sussurrai guardando la luce della luna illuminargli il volto concentrato sulla strada poi, dopo aver ricevuto il suo solito piccolo sorriso come risposta, voltai la testa dalla parte opposta e osservai attraverso il finestrino. Quella sera, l'umidità era talmente elevata, che i vetri dell'auto si erano appannati non appena Michael l'aveva messa in moto. Un forte rumore mi fece nuovamente sussultare prima che potessi capire che si trattasse dell'aria calda che il ragazzo accanto a me, aveva acceso per spannare il parabrezza.

"Scusa" disse prima io che scoppiassi in una fragorosa risata; mi guardò inizialmente stralunato per poi imitarmi assottigliando gli occhi e scuotendo la testa. Tutto era tornato alla normalità. Restammo in un rilassante silenzio finché non lo vidi accostarsi ad un'Harley Davidson nera e tirare il freno a mano.

"Hey..." lo chiamai "...grazie per il passaggio." 

"Piantala di dire grazie" ridacchiò amaramente e un piccolo sorriso spontaneo, spuntò anche sulle mie labbra.

"Te lo meriti, mio eroe" ammiccai scendendo dalla macchina; lui fece lo stesso ridacchiando flebilmente e scuotendo la testa mentre con le chiavi in mano, si dirigeva verso la sua moto nera.

"A disposizione" rispose facendo il gesto del signorsì. Salii al posto del guidatore e lo osservai mentre schiacciava i suoi capelli rossi e sbarazzini con il casco che gli lasciava scoperti soltanto gli occhi, montò sulla sua moto e dopo aver dato un po' di gas scatenando il rombo del motore, con un cenno mi diede la precedenza e partii. Gareggiammo per qualche chilometro probabilmente per smorzare la tensione poi, svoltai a destra per imboccare il sentiero che portava al residence. Con la coda dell'occhio, lo vidi sparire dietro un negozio di dischi mentre il mio pensiero, tornava allo spettacolo al quale avevo assistito quella sera.

Quando entrai in camera in punta di piedi, Alaska era seduta sul letto davanti al computer, aveva detto che la temperatura si era abbassata ma solo grazie ai medicinali, così mi avvicinai e appoggiai le labbra alla sua fronte per accertarmi che avesse ragione.

"Sono sicura che sia solo una botta di freddo, Ally..." ipotizzai sentendola quasi del tutto fredda "...hai fame?" le chiesi ottenendo un sì come risposta. Indossai il mio pigiama, andai in cucina a preparare del ramen e poi ne portai due porzioni in camera. Mangiammo sul letto a gambe incrociate mentre guardavamo un film cult con Owen Wilson, Alaska particolarmente interessata nonostante l'avesse visto centinaia di volte, io con intermittenza, strizzando gli occhi quando l'immagine delle fauci di un cane, mi distraeva dalla realtà. Presto mi accorsi che tenere tutto dentro, avrebbe solo permesso che il ricordo di quella disavventura, mi tormentasse quotidianamente impedendomi di focalizzarmi sulle cose importanti. Raccontai l'accaduto alla mia coinquilina con la voce spezzata e giocherellando con il cucchiaio nel brodo della zuppa, ignorando i suoi occhi strabuzzati e leggermente gonfi per via dell'influenza.

Trascorsi delle notti infernali e degli attimi in cui gli occhi del ragazzo della libreria, non facevano altro che riportare a galla i latrati di due cani che rimbombavano tra le pareti rocciose di quel burrone in una serata umida e ventosa. Avevo un'intensa necessità di liberarmi di quel ricordo senza più fingere che fosse quasi del tutto acqua passata quando Michael mi chiedeva se stessi bene. Volevo raccontarlo a chiunque solo per convincermi di non star più mantenendo un segreto talmente asfissiante per la mia mente ed i miei polmoni. Pensavo che se tutti l'avessero saputo, sarebbe quasi diventata una cosa normale e facilmente sormontabile. Le uniche persone che però avrei potuto informare, aveva detto Michael, erano le ragazze, ovvero qualcuno che non avrebbe mai attraversato l'invisibile cupola che circondava l'entourage dell'Otis College di Los Angeles.

"River, lo sai che è illegale fare quel tipo di cose? E se vi avessero visti?" canzonò Freeda prendendo parola per prima. Le mie amiche erano rimaste sconvolte come da pronostico. Di sicuro, quella era la storia più lugubre e assurda di cui una di noi era mai stata protagonista. Erano passati più di una ventina di giorni da quella sera e io, non avevo ancora dimenticato alcun dettaglio.

"Non mi convince il fatto che lui ti abbia fatto avvicinare..." ragionò India come se ci fosse un motivo per tutto "...e se fosse una setta? E se lui ne facesse parte?" concluse sgranando gli occhi e facendo allarmare le altre. Non capivo cosa ci trovasse di tanto strano nella curiosità, perché era stata lei, nient'altro che la curiosità. Non sapevamo cosa ci aspettasse aldilà di quel muretto, infondo a quel burrone ma l'avevamo scoperto e avevamo capito, a nostro rischio e pericolo, che avevamo fronteggiato un mostro più grande di noi.

"India, non dire stupidaggini..." la zittii scuotendo la testa "...lui mi ha portata via da lì, sarei rimasta a fissare la scena finché non ci avrebbero scoperti, ero completamente sotto shock! É stata una fortuna avere Michael lì."

Vidi le ragazze rilassarsi dopo aver ascoltato il mio tono fermo e sicuro, conoscevano bene la mia capacità di fiutare le situazioni scomode e smascherare le persone con la puzza sotto il naso; se River era tranquilla, non ci sarebbe stato motivo di preoccuparsi.

Da quel giorno, ne' io, ne' le ragazze, ne' Michael, ne parlammo più, come se non fosse mai successo, come se fosse stato un brutto sogno.

Sopra il Malaboo, il cielo si stava scurendo pacatamente passando inosservato ai nostri occhi che studiavano teorie e prestavano attenzione a discorsi più seri e accattivanti. La gente cominciava ad affluire, puntuale come un orologio svizzero, per lo spettacolo jazz delle venti e trenta. A quell'ora, noi ragazzi ci dileguavamo verso casa lasciando il posto a donne colte e uomini di mezza età che sembravano essere usciti dai film di Mission Impossible. A volte qualche coppia cercava di ammazzare il tempo arrivando prima del previsto e ritrovandosi a storcere spocchiosamente il naso nel percepire la puzza di erba che i tipi del tavolo dietro al nostro, si trascinavano andando via. Quella sera di fine novembre, era rimasta anche la ragazza che suonava la chitarra indisturbatamente, quella che involontariamente riuniva la gente in quel café e ci faceva sentire parte di una famiglia. Iniziava a strimpellare timidamente dei motivetti conosciuti scoprendo che alla fine, tutti si sarebbero messi a cantare in coro creando un'atmosfera invidiata da chi si ostinava a frequentare altri bar di Malibu. Lei era sempre lì, sempre sola, che pizzicava le corde del suo strumento e aspettava che la sua solita tazza di tè alla pesca si raffreddasse. Non aveva amici ma tutti la conoscevano, si chiamava Lavanda.

"In ogni caso, non mi sembra un ragazzo molto affidabile" argomentò Freeda esprimendo i propri dubbi. Mi accorsi che le ragazze avevano continuato a parlare di Michael senza disturbarsi a chiamarmi in causa, ma ignorando del tutto il mio vagabondare nell'atmosfera materializzatasi attorno a noi.

"Non devo sposarlo, ragazze..." ridacchiai rientrando nella conversazione "...ma è stato carino ultimamente. Lo sfrutterò solo un po' per il progetto di fotografia e basta" scherzai cercando di non far trasparire troppo la sensazione di naturalezza e complicità che provavo in compagnia di Michael.

"Lo sfrutti solo per un paio di foto? Dai, lasciati andare!" cantilenò Dixie facendo ridere tutte. Era sempre la solita, la serietà per lei era un optional e se fosse stata al posto mio quella sera nel parcheggio, magari si sarebbe messa a scommettere anche lei e a fare amicizia con quell'esercito di barbari.

"Ricordati che lui pensa sia un appuntamento" mi avvertì Alaska richiamandomi con un colpetto di gomito.

"Lo so e mi sta bene" risposi fermamente dopo un attimo di silenzio. Ricevetti una sfilza di sorrisi soddisfatti e fieri come quelli di una madre che assiste al primo saggio di danza della propria figlia. Volevo far notare alle ragazze che ero stufa di rimanere la solita, piccola River di sempre, quella che doveva essere protetta e accompagnata in tutte le sue scelte. Ero in grado di costruirmi da sola la mia lancia ed il mio scudo, saltare oltre rocce appuntite e scostare rami e foglie dal viso. Feci capire loro che Ander era acqua passata e doveva scorrere via una volta per tutte.

...
Se pensavate  che questa sarebbe stata una semplice storia d'amore e amicizia, sembra che sia arrivato il momento di disilludervi o magari, potreste farlo da soli.
-Fudge

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