2. the library guy

Parlare alle ragazze del college per la prima volta, fu come parlare a mia madre del college per la seconda volta. La mia migliore amica, era già entusiasta di tutto quello che aveva potuto vedere e sperimentare durante le prime due settimane di università. Non riusciva a smettere di parlarne affilando quella sua vocina involontariamente stridula e gesticolando con le sue dita smaltate di colori diversi.

"L'università è grandissima e al suo interno c'è di tutto..." argomentava sorridente "...giardino, bar, biblioteca, negozio d'arte, libreria, la mensa, anche i negozi di gadget tipo felpe del college, taccuini del college, penne del college."

"Insomma, quello che vuole dire Alaska, è che è molto fornita e attrezzata per ogni eventualità" sintetizzai con fare annoiato. Il mio modo di esprimere la gioia e i sentimenti positivi, era radicalmente opposto a quello della mia migliore amica. Io tendevo a nascondermi e a non sperare troppo nelle mie aspettative, sapevo che qualcosa sarebbe potuto andare storto da un momento all'altro e la paura di essere delusa per l'ennesima volta, si impegnava a mantenere il mio cuore protetto da qualsiasi rischio.

"Le residenze non distano molto, sono solo a uno o due chilometri dal college. Molti si spostano in bici o in scooter e alcuni anche con l'auto, nel parcheggio c'è sempre posto" continuò ad approfondire Alaska dopo aver annuito in mia direzione.

"Gli appartamenti?" chiese India appoggiando il mento al palmo della mano. Lei, più di tutte, era notevolmente interessata alla situazione in cui sua sorella gemella Alaska fosse capitata. Pensai che fosse stato difficile per loro due dividersi dopo quasi vent'anni di convivenza, erano sempre state talmente affiatate, che la decisione di scegliere corsi di laurea diversi, in città diverse, aveva sconvolto considerevolmente tutte noi.
In ogni caso, nemmeno India era rimasta sola, con lei, c'era Lilith, che dopo un lungo periodo di indecisione e dubbi, aveva finalmente deciso di tuffarsi anche lei nel mondo della criminologia.

"Sono puliti..." rispose Alaska "...ci sono tre camere da letto doppie e una sala comune con cucina e tavolo da pranzo."

"Alaska adora le finestre!" ridacchiai ricordando alla mia coinquilina del suo folle amore verso le enormi vetrate della nostra sala da pranzo.

"Si vede tutto il residence da lì" spiegò in tono ovvio.

"E le ragazze che stanno con voi?" chiese poi Freeda sistemandosi il basco sulla montagna di capelli rossi. Ricordo di averla osservata e di aver pensato che fosse già entrata nella parte, voleva fare la regista e aveva scoperto che Santa Monica, sarebbe stata il punto di partenza ideale per raggiungere, con la preparazione migliore, la tanto sognata Hollywood.

"Non ci danno problemi" risposi facendo spallucce. Non che fosse vero, ma non avrei mai voluto che le ragazze pensassero che avremmo potuto sostituirle facilmente. Eravamo estremamente gelose l'una dell'altra e iperprotettive come la notte con le sue stelle, coscienti che, nonostante ci fossimo tutte impegnate a fare nuove conoscenze, la nostra amicizia, sarebbe sempre rimasta al sicuro dentro uno scrigno perché una catena come la nostra, non si sarebbe mai potuta spezzare. In un attimo, ci ritrovammo divise come non lo eravamo mai state, cercando di accontentarci delle brevi permanenze nella nostra città e delle nostre interminabili colazioni e merende al Malaboo, il café dove avevamo trascorso la maggior parte della nostra adolescenza e la maggior parte della nostra amicizia. Quella sera, eravamo lì con un bicchiere di tè freddo sotto ai nostri nasi, la luna piena e le lucine del bar che illuminavano la notte, a parlare come avevamo sempre fatto, a dimenticare repentinamente che il nostro tempo, ci stava scivolando dalle dita come la sabbia finissima delle spiagge di Malibu.

"Ree, ci sono bei ragazzi?" ammiccò Freeda usando il mio soprannome. Gli sguardi delle mie amiche caddero totalmente su di me nella speranza che rispondessi affermativamente. Alzai gli occhi al cielo ma sapevo bene che tornando su quel solito argomento, le ragazze dimostravano di tenerci a me come mai nessuno aveva fatto. Nella mia testa, mi ripetevo spesso che se avessi dimenticato quel ragazzo, il merito sarebbe stato anche un po' loro.

"Mh qualcuno" mormorai prima di essere interrotta da Alaska.

"É ancora presto per adocchiare, ragazze..." ricordò prima di prendere un lungo sorso dal suo bicchiere di tè "...siamo lì solo da una settimana e non abbiamo fatto altro che svuotare scatoloni."

"Quindi sono l'unica che ha già iniziato i corsi?" ridacchiò amaramente Dixie. Lei, era volata a Seattle dopo aver preso la dura decisione di intraprendere la facoltà di medicina. Era la genietta del gruppo, quella che ci passava i compiti di matematica e ci faceva copiare dal suo foglio durante i test di biologia; sapevamo che avrebbe sempre rinunciato a tutto pur di diventare un dottore e di vedere l'ospedale in cui era stato girato Grey's Anatomy.

La risata che scoppiò tra di noi, rispose alla domanda di Dixie che scosse la testa senza riuscire a scompigliare nemmeno un filo dei suoi capelli castani perfettamente lisci e ordinati.

"Che corsi hai iniziato Dee?" le chiesi io.

"Biologia e già mi sto pentendo di essermi iscritta" esclamò facendoci ridere nuovamente. Eravamo ancora felici, ancora allegre, ancora spensierate e ancora le stesse, notai.

"In realtà..." pronunciai pettinandomi un sopracciglio "...ci sarebbe un ragazzo carino" confessai suscitando la curiosità di tutte. Alaska si voltò verso di me sussultando e urlando senza contegno.

"Quello della libreria! Lo sapevo!" tra sguardi euforici e confusi, ebbi l'impulso di zittirla e guardarmi furtivamente intorno come se quello della libreria potesse spuntare da un momento all'altro, ma lui non era Ander, lui non era il mio ex ragazzo che avevo paura di incontrare per strada o di nominare ritrovandomelo alle spalle. Lui non era lì e quella, era la parte più bella.

Il giorno prima dell'inizio delle lezioni, accompagnai Alaska alla libreria per ritirare i suoi libri. Avrebbe dovuto comprare il materiale scolastico a settembre ma aveva sempre trovato la scusa per lasciarlo un giorno in più sugli scaffali di quel negozio. Alaska era sempre in ritardo.

Quel caldo pomeriggio di inizio ottobre, posteggiai la macchina esattamente di fronte all'entrata della libreria, in un punto non proprio strategico per le altre auto ma riuscii ad evitarmi eventuali lamenti aiutandomi con le quattro frecce. Misi comunque fretta alla mia migliore amica, che dopo aver sbattuto la portiera poco delicatamente, scappò dentro il negozio lasciandomi in macchina ad aspettarla.

La libreria dell'università era contornata da vetrate, chiunque ci passasse davanti, si sentiva all'interno di essa, circondato da scaffali e scaffali colmi di libri. Era dotata di tre banconi, uno posto al centro e gli altri due ai lati. All'entrata, sulla destra si scorgeva una scala a chiocciola antica di legno di abete che portava ad un soppalco. Lassù c'era il mio mondo, ovvero il materiale per dipingere, disegnare, scolpire, fotografare e via dicendo.

La sera che vidi per la prima volta il ragazzo della libreria, ero distrutta. Alaska mi aveva trascinata con la forza in palestra dopo anni che non praticavo attività fisica. Tuttavia, mi ritornarono in mente le mie corsette estive sulla spiaggia sulla quale giaceva la casa dei miei nonni, in cui il giorno appena nato mi faceva compagnia insieme alla musica sparata al massimo nelle orecchie.

Così, mi abbandonai sul sedile dell'auto mentre ascoltavo distrattamente una canzone alla radio. Fu quando voltai la testa a sinistra, che lo vidi.

Era seduto sul bancone laterale della libreria dandomi le spalle con un piede a penzoloni e l'altro appoggiato ad uno scaffale di fronte a lui. Con le cuffie nelle orecchie, riponeva con fare annoiato dei libri negli scomparti della libreria tenendo il tempo con la testa, facendo muovere leggermente i ciuffi dei suoi capelli rosso fuoco. Sorrisi divertita quando lo sorpresi a suonare una chitarra elettrica immaginaria, alienato completamente dal mondo, immerso nella sua musica, ignaro dei miei occhi che lo osservavano curiosi.

La sua sagoma, svanì velocemente dalla mia testa prima che, qualche giorno dopo, potessi scoprirne per la prima volta il viso.

Il mio libro di fotografia, era arrivato in ritardo e dovetti correre in libreria per ritirarlo prima che chiudesse. La mattina dopo, avrei avuto la mia prima lezione di quel corso e non intendevo assolutamente iniziare in svantaggio inoltre, avevo saputo che Mr. Meyers, non aveva poi un bel caratterino.

Quando misi piede nella libreria facendo risuonare le campanelle sulla porta, non vidi nessuno. Gli scaffali popolati da libri, erano illuminati da un paio di lampade vecchio stile che ravvivavano il locale di una luce fioca e giallognola mentre il lampadario principale, era stato spento lasciando la stanza in una piacevole penombra. Il rumore del legno sotto i miei passi lenti e incerti, venne interrotto da una voce che si materializzò improvvisamente davanti a me facendomi staccare di colpo gli occhi dalle mie scarpe.

"Stiamo per chiudere" mormorò il ragazzo dai capelli rossi sbadigliando. La prima impressione che ebbi di lui, non fu per niente positiva mentre con un sopracciglio alzato, lo osservavo smistare svogliatamente dei libri sul bancone centrale. Del resto, potevo capire la stanchezza di fine giornata, ma sbadigliare in faccia alle persone, non era esattamente il modo adatto di accogliere i clienti.

"Lo so, scusa..." dissi facendo finta di non essere per niente infastidita "...devo solo ritirare un libro, mi serve per domani mattina" spiegai avvicinandomi alla massiccia scrivania di legno.

"Nome?" chiese dopo avermi fissato a lungo. Durante quei minuti, riuscii ad intravedere meglio il suo viso e lo studiai in ogni particolare nonostante mi sentii in soggezione. Aveva dei grandi occhi verdi, pesanti e stanchi dopo una lunga giornata lavorativa; si notavano le occhiaie in contrasto con la sua pelle pallidissima e le labbra gonfie di un colore molto scuro. Il suo gigante maglione nero, metteva in evidenza il rosso fuoco dei suoi capelli, visibilmente tinti, un paio di spalle molto larghe anche se sciupate e la sua altezza che gli dava l'idea di non saper portare quel metro e ottanta. Il paragone che più gli si addiceva, era quello di un personaggio di un cartone animato, peccato che quelli veri, fossero più simpatici e probabilmente anche più gentili.

"River Moosey" lo informai interrogandomi con le sopracciglia sul suo strano modo di osservarmi. Si mise a cercare sotto il bancone alzando leggermente un angolo della bocca facendo trasparire un'espressione più dolce ed enigmaticamente intenerita. A primo acchito, ipotizzai che gli piacesse il mio nome malgrado lo vedessi schivo nei miei confronti e magari, anche in quelli di qualsiasi altro estraneo.

Io ho sempre amato il mio nome, mi ricorda lo scorrere impetuoso di un fiume, la corrente che trascina tutto con sé, le acque che non sono mai le stesse, come diceva qualche filosofo dell'antica Grecia, ha quel significato inespresso che fatica a diventare la mia filosofia di vita. Tutto scorre.

"Frequenti fotografia?" parlò il ragazzo facendomi tornare alla realtà poggiando poco delicatamente il mio libro sul bancone. Rimasi stupita alla sua domanda dal momento che non mi aspettavo un tale interesse. Non credevo proprio fosse uno di tante parole, credevo solamente che fosse bravo ad ascoltare la musica mentre poi, scoprii che era anche bravo a produrla.

Portai i miei occhi sulle sue mani aperte appoggiate alla copertina del mio libro, sembrava quasi che non volesse consegnarmelo se prima non gli avessi risposto quindi, annuii semplicemente.

"Anch'io..." affermò soddisfatto "...solo che spesso salto le lezioni perché sono occupato qui" aveva una voce calda, leggermente roca forse a causa della stanchezza. Scandiva poco le parole e aveva il vizio di pronunciare tutte le N come se fossero delle D, conseguenza di chi ha un forte raffreddore. Lui però, non aveva il naso chiuso, solo un modo strano di parlare, come strano era il suo modo di vestire -nero, largo e trasandato-, come strane erano le sue mani arricchite da massicci anelli e qualche piccolo tatuaggio sulle dita.

Digitò qualcosa sulla tastiera della cassa e mi mostrò il prezzo indicandolo con un dito nel minuscolo schermo poi, voltò lo sguardo verso una delle vetrate e osservò un punto indefinito aldilà di essa. Tutto d'un tratto, mi incuriosii e una marea di domande mi inondarono la testa.

"In che facoltà sei iscritto?" azzardai scegliendo la domanda più semplice mentre gli porgevo una banconota da cinquanta dollari.

"Nessuna..." disse "...i miei capi mi hanno, per modo di dire, abbonato al corso di fotografia. Adoro tutto ciò che abbia a che fare con la macchina fotografica o la videocamera, ma non ho la possibilità economica di frequentare i corsi in questa università."

Ascoltai annuendo lievemente non sapendo che fosse possibile frequentare solamente un corso, chiedendogli poi se anche lui alloggiasse nelle residenze del college. Mi disse che aveva un piccolo bilocale accanto ad un negozio di dischi a pochi chilometri di distanza dai nostri appartamenti. Infine, infilò il mio libro in un sacchetto giallo e me lo porse allungando impercettibilmente un angolo delle labbra.

"Ci vediamo domani?" chiese atono.

"Non manco mai alla prima lezione" risposi voltandogli le spalle e proseguendo verso l'uscita.

Il giorno dopo, al corso di fotografia, lo rividi come previsto. Nessun saluto, ci scambiammo solo dei semplici sorrisetti come fanno due persone che si conoscono a malapena o che non si conoscono affatto. Alaska, accanto a me, essendosi accorta di tutto, si tirò sull'attenti come un cane da caccia impaziente di farmi il quarto grado su come avessi conosciuto quel ragazzo e se mi interessasse. Senza alcun dubbio, risposi negativamente. Lui non era Ander, nessuno sarebbe mai stato come Ander e quella, non era esattamente una cosa da cui avrei potuto trarre vantaggio. Dovevo dimenticarlo e forse, il ragazzo strano della libreria, avrebbe potuto aiutarmi.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top