16. gravity

[...]

Mi erano bastati degli scarsi diciannove anni per realizzare che le cose fossero sempre condannate a precipitare, era la forza di gravità e mi andava bene.
Lo scudo di protezione che imbracciavo tutti i giorni al mio risveglio, era talmente sproporzionato che non solo nascondeva ai miei occhi un sentiero probabilmente sicuro da ogni pericolo, ma anche qualunque mano che si allungasse coraggiosamente verso di me nel tentativo di aiutarmi. Avevo sempre pensato che ognuno dovesse combattere le proprie battaglie da solo, che la caduta sarebbe potuta essere inevitabile, ma come avrebbe detto Friedrich Nietzsche, ciò che non mi avrebbe uccisa, mi avrebbe solamente fortificata.

Sotto la luce fioca di un lampione, in una strada deserta a pochi passi dall'Otis College di Los Angeles, un ragazzo ambiguo dai capelli rossi, osservava con sguardo tenace una ragazza avvolta in una morbida gonna in tulle lilla. Io ero lei prima che per un attimo, mi immedesimassi nello sguardo curioso di un passante immaginario che, strisciando le suole delle sue scarpe sull'asfalto, si interrogava sull'espressione profondamente confusa della ragazza.

"Sei davvero strano, Michael..." pronunciai ritornando in me. Ero sconvolta dalla fiducia che quella chioma scarlatta aveva mostrato di nutrire in sé stesso nel cercare di convincermi che sarebbe riuscito a prendere il posto di Ander con semplicità e in poco tempo. Non gli avevo creduto neanche per dieci secondi ma le sue intenzioni quella sera erano chiare ed io volevo smetterla di avere paura di qualsiasi cosa mi si presentasse davanti agli occhi.
Al contrario, mi tornò in mente la voce convinta ma poco seria di Dixie urlare ai quattro venti che "si vive una volta sola" e fu in quell'esatto momento, che mi resi conto che quella convinzione nel suo tono di voce, poteva in realtà andare di pari passo con la serietà delle parole che aveva pronunciato.

"...Non ti disturba che non lo abbia ancora dimenticato?" chiesi a Michael mostrandogli tutto il mio stupore.
Le battute di cui ero al cento per cento convinta che avrei dovuto far uscire dalle mie labbra all'inizio di quella conversazione, iniziavano a rintanarsi timidamente nei meandri della mia mente pronte ad essere sostituite con altre. Dove mi avrebbe portato quella nuova avventura, non lo sapevo ma se mi avesse aiutata a voltare pagina, spostando la mia attenzione da una scatola di ricordi siglati Malibu ad uno ancora impacchettato dal nome di Los Angeles, avrei sicuramente deciso di cogliere la palla al balzo e mettere a tacere ogni singolo preconcetto che avevo volontariamente costruito su Michael. La verità era una sola, che quel ragazzo mi faceva stare bene e malgrado fosse stato decisamente fuori questione paragonarlo al mio fedelissimo fantasma dagli occhi vitrei, la mia coscienza mi spinse ad accettarlo come elemento fondamentale per riprendere i lavori delle mie mura di cinta.

"Penso che la mia autostima mi arriverà fin sotto i piedi..." fece spallucce "...ma avrò te in cambio, mi sembra un buon compromesso" terminò con la sua solita nota d'ironia ed un piccolo sorriso accennato che si formava all'angolo della sua bocca. I suoi occhi si tuffarono nei miei trasferendomi la pungente speranza che io potessi dargli il permesso di entrare a far parte della mia vita incasinata ma costellata di sogni nel cassetto e piccoli attimi di intensa felicità. Lo guardavo e una delle poche immagini che riuscii a distinguere nella mia testa, fu quella delle espressioni orgogliose delle mie ragazze, delle espressioni impacciatamente commosse di Michael nel vedermi scoppiare in mille colori quando mi trovavo in mezzo a loro.
Una parte di me, desiderava che lui vedesse che la gravità non si era ancora impossessata di tutto nella mia vita, come la spensieratezza mi calzasse a pennello.

"Sai qual'è un buon compromesso? Quello di avere un trenta assicurato ad ogni esame di fotografia" sorrisi influenzando maggiormente anche le sue labbra. Le sue guance si tinsero lievemente di rosso e scuotendo la testa, portò il suo sguardo sulle punte delle sue scarpe nel tentativo di nascondere un'espressione imbarazzata. In realtà, per me era molto tenero, alquanto instabile nell'alternare una sicurezza tale da convincere una nazione intera e una goffaggine puramente inconsapevole e infantile, ma pur sempre tenero.

Allungai una mano verso la sua e dopo averla afferrata, gli sfilai dolcemente il suo anello zodiaco facendogli prendere, per la seconda volta, il posto attorno al mio pollice. Michael osservò la scena con un ghigno soddisfatto e prese ad accarezzare le mie dita con il suo pollice.

"Fammi una promessa..." pronunciò ad un tratto assumendo una mimica seria e guardandomi intensamente negli occhi "...promettimi di non farlo solo ed esclusivamente per dimenticare lui, promettimi che proverai a farmi diventare il tuo punto debole..." continuò cullandomi con la melodia delle parole che aveva scelto "...se non fossi certo che tra noi scorre una strana elettricità, penserei che tu non abbia alcun motivo per voler stare con me, ma da sbruffone quale sono, penso che una parte di te sia attratta da quello che succede quando siamo vicini."

La strana elettricità, altro non era che la sua capacità di rasserenarmi.

"Te lo prometto, Ander è già un ricordo lontano" scherzai mostrandomi finalmente pronta ad affrontare quel viaggio insieme a lui.

"Cristo, già lo odio" imprecò roteando gli occhi.

"Anch'io" ridacchiai riprendendo un passo lento e rilassato verso una direzione che ci avrebbe portati dritti al centro di Los Angeles. Lui sembrò approvare l'idea e mi affiancò in silenzio sfiorando di tanto in tanto la mia mano che si nascondeva involontariamente tra il tulle della mia gonna.

"Ma già ami me, non è così?" ironizzò alzando la voce in un tono allegro e finalmente del tutto spensierato.

"Tu metti il turbo troppo presto" lo ammonii fingendo di non aver capito la sua battuta.
Il clacson delle macchine e dei taxi gialli, era ancora impossibile da percepire da quella zona della città. Intorno all'Otis non v'erano altro che quartieri per studenti, residence universitari, qualche parco qua e là e altrettanti college di diversa natura dal nostro. L'unico elemento che sembrava stonare in quella che sembrava una piccola città all'interno della stessa Los Angeles, era l'aeroporto che ogni tanto cercava di attirare la nostra attenzione con il rumore degli aerei in decollo e la loro estrema vicinanza ai tetti delle case.

"Può essere, ma che ti innamorerai di me è una garanzia" rispose osservandomi con un sorrisetto malizioso e le sopracciglia sollevate. La strada che stavamo percorrendo, si stava tramutando in un noioso e apparentemente infinito sentiero solitario dove i lampioni si incurvavano sul marciapiede asfaltato come se una profonda malinconia li distraesse dal loro compito di illuminare il buio della notte. Il giocoso botta e risposta tra me ed il ragazzo dai capelli rossi, mi metteva a mio agio come aveva sempre fatto, ma la volontà di toccare argomenti più profondi dopo un paio d'ore dal rintocco della mezzanotte, non intendeva sfiorare le menti di nessuno dei due. Rispondere a Michael con un'altra battuta ironica, non avrebbe di certo appagato il mio desiderio improvviso di animare la serata come se fosse l'ultima della nostra vita, così dopo avergli lanciato uno sguardo diabolico e aver pronunciato delle parole che gli fecero corrugare la fronte, iniziai a correre lungo il marciapiede della strada.

"Prima però devi prendermi!"

Il freschetto di inizio marzo iniziò a farsi sentire tra i miei capelli quando il vento prese ad insinuarsi tra essi. Tuttavia, era una botta di vitalità, un bisogno quasi disperato del mio corpo che da troppo tempo, era rimasto intrappolato tra le sbarre delle mie decisioni eccessivamente premurose. Sentii Michel urlare il mio nome prima di percepire le suole dei suoi anfibi venirmi dietro con la mia stessa velocità. Non gli avevo dato il vantaggio di nemmeno un secondo e nel voltarmi ripetutamente verso di lui, una risata spontanea scoppiava di rimando alla sua espressione sconfitta ma maliziosamente vendicativa.

Corremmo per isolati finché non riconobbi una scritta al neon azzurra sulla facciata di un palazzo. Iniziai a rallentare osservando un Michael sfinito alle mie spalle e con uno sguardo, gli feci intendere quello che il mio cervello aveva improvvisamente partorito. Passammo il resto della notte a mangiare la red velvet di & other stories alternando ogni boccone ad un sorso di rosé e finendo per guardare le prime luci dell'alba dalla grande vetrata del locale sull'orlo di una sbronza.

Quando decretammo che fosse arrivata l'ora di tornare a casa, ci trascinammo verso la fermata del tram con la stanchezza sulle spalle e gli occhi socchiusi per colpa del sonno. Un lieve dolore alla testa mi aveva abbassato leggermente la vista e i bicchieri di vino che avevo bevuto, mi diedero l'impulso di aggrapparmi al braccio di Michael per lasciarmi trascinare da lui che sembrava molto più propenso di me a reggere l'alcol. Sul tram, prendemmo i posti infondo nonostante l'unica compagnia che avevamo sulla carrozza, era quella di un assonnato autista. Spostai le mie gambe portandole su quelle di Michael facendo penzolare degli strati di tulle della mia gonna e appoggiai la testa sulla sua spalla beandomi del suono che le ruote del mezzo producevano sulle rotaie di ferro.

"Andiamo Reev, era solo una bottiglia di vino!" esclamò divertito vedendomi crollare su di lui come se stessi affrontando la peggiore sbornia della mia vita. Io iniziai incontrollatamente a ridere prima di trascinare anche lui in quell'azione consapevolmente stupida e insensata.

"Era di tredici gradi!" mi giustificai alzando lo sguardo senza smettere di ridere. Lui mi osservò sorridendo e posò delicatamente una mano sulla mia guancia per poi sfiorarla delicatamente con il polpastrello del pollice, mentre il contatto dei suoi anelli di metallo contro la mia pelle calda, mi creava brividi su gran parte del corpo.

"Sei bellissima" disse seguendo con lo sguardo i leggeri movimenti delle sue dita sul mio viso. Pensai che se non fosse stato brillo, l'insicurezza che a volte sopraffaceva la sua arrogante temerarietà, non gli avrebbe permesso di pronunciare quelle due parole con talmente tanta decisione. Quello che non capivo, era come facesse a pensare una cosa del genere quando davanti ai suoi occhi, v'era nient'altro che la figura di una ragazza totalmente acqua e sapone che a stento sapeva indossare una gonna e che si confondeva tranquillamente tra la gente. Non riuscivo a concepire la decisione di mettere sé stesso in secondo piano rispetto a uno sconosciuto che di me occupava ancora testa e cuore, accontentarsi di quel poco che avrei potuto dargli in cambio della mia presenza nella sua quotidianità e della legittimazione di potermi pensare in ogni momento e in qualsiasi situazione.

"Ma per favore!" uscì dalle mie labbra prima di spostare la sua mano dal mio viso e riprendendo a giocare con le sue dita tra le pieghe della mia gonna.

"Che c'è? È vero!" si giustificò alzando il tono di voce e trasformando la conversazione da rilassata a scherzosa. Io misi il broncio e presi a scuotere la testa come una bambina capricciosa alla quale era appena stata tolta la bambola per punizione, mentre Michael mi contraddisse annuendo energicamente con le sopracciglia sollevate e un ghigno altezzoso sulle labbra scure.

"Non è vero!" ribattei fingendo di piagnucolare.

"You're beautiful, you're beautiful it's true" cantò lui stupendomi con una voce particolarmente calda e intonata. Strabuzzai gli occhi mostrandogli senza vergogna di avermi preso totalmente alla sprovvista dal momento che non avrei mai potuto immaginare che il ragazzo sempre annoiato della libreria, si divertisse ad accompagnare gli accordi di chitarra con la sua stessa voce.

"E questa da dov'è uscita?" ridacchiai ancora profondamente sconvolta da quello che avevo appena sentito. Avrei voluto che non avesse smesso di cantare, avrei voluto sentire la sua voce inconsapevolmente melodiosa nelle mie orecchie ancora per un po', magari per tutta la durata di quella canzone o di qualsiasi altra canzone esistente.

"Allora, è semplice..." iniziò fingendosi serio "...queste si chiamano corde vocali" disse indicando un punto sulla sua gola.

"Scemo" mormorai poggiandogli una mano sulla faccia e spingendolo verso dietro. Inutile precisare che la mia forza quasi del tutto inesistente, non lo sbilanciò di un millimetro, anzi lasciò che le sue dita circondassero il mio polso per allontanare la mia mano dal suo viso.

"Fammi finire la spiegazione..." strizzò gli occhi cercando di riprendere la concentrazione "...se la pressione dell'aria emessa dai polmoni riesce a contrastare la tensione delle corde..."

"Ma non ti stai mai zitto, eh?" lo interruppi nuovamente facendo trasparire il mio disinteresse nei confronti della sua lezione di anatomia umana.

"Sono un logorroico del cazzo, nessuno riuscirebbe a zittirmi" fece autoironia iniziando a ridere e trascinando anche me. Vederlo aprire uno dei suoi sorrisi a trentadue denti per me era un'esperienza nuova, sempre abituata agli angoli della sua bocca che si sollevavano impercettibilmente in una smorfia dolce e quasi pigra. Mi piaceva vedere il contrasto tra i denti bianchi ed il colore scuro delle sue labbra determinato dal pallore della carnagione, le fossette allungate che si creavano sulle guance e gli occhi assottigliati che iniziavano a brillare di uno strano luccichio.

"Scommettiamo che io ci riesco?" lo sfidai alzando il mento.

"Ne dubito..." scosse la testa studiando il mio viso che si faceva più vicino al suo "...ci hanno provato in tanti e ne è risultato che sia una battaglia per..."

La fine della sua ultima parola gli si strozzò in bocca nel momento in cui si accorse di aver miseramente perso la scommessa. Il modo di zittirlo lo avevo semplicemente trovato infilando velocemente una mano tra i suoi capelli rossi e attirandolo a me facendo scontrare le nostre labbra in un bacio dolce ma coinvolgente. Ignorai il suo irrigidirsi iniziale sapendo che si sarebbe presto lasciato andare sorridendo soddisfatto tra le mie labbra, mentre un suo braccio attorno alla parte bassa della mia schiena, mi avvicinava ulteriormente a lui facendomi scivolare sui sedili in plastica del tram.

Quando misi piede in camera mia, dopo un'altro breve viaggio sulla moto di Michael, il sole era già alto in cielo e quasi non credevo a ciò che era successo quella notte. Sembrò di essermi appena svegliata da un sogno con la consapevolezza che non ci sarebbe stato il bisogno di raccontare alle mie migliori amiche che la ferma decisione che avevo originariamente preso nei confronti del ragazzo della libreria, era stata infallibilmente sostituita dalla corrente salata di Michael che sapeva evitare l'arenarsi delle mie incontrollabili irrequietezze.

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