15. uncrowned queen

Ispezionando attentamente la mia immagine riflessa allo specchio, mi ripetevo che Alaska sarebbe stata decisamente fiera di me. Quello che avevo avanzato, non era semplicemente un passo più lungo della gamba ma era un passo assurdamente spropositato persino per gli standard della mia migliore amica che, tornata in città, non avrebbe aspettato un minuto prima di esclamare fieramente un "te l'avevo detto". Le mie dita smaltate di nero, scivolavano sulla gonna in tulle lilla lunga fino a sotto il ginocchio che avevo abbinato con una semplice canotta a maniche corte nera e delle scarpe stringate dello stesso colore. L'ottanta per cento di ciò che avevo addosso, portava con sé una scia dell'inconfondibile profumo frizzantino di Alaska e una manciata del suo buon gusto in materia che io non avevo mai avuto. Il tempo infinito che avevo impiegato per donare ai miei capelli dei leggeri boccoli, mi era sembrato surreale, al contrario dei cinque minuti che mi erano bastati a costruire sul mio viso un trucco semplice e naturale come piaceva a me.

Uscii di casa senza le chiavi della macchina decisa a raggiungere il college sfidando il rilassante freschetto californiano di una sera di inizio marzo. L'inverno era ormai agli sgoccioli e già da qualche settimana, si avvertivano i primi raggi di sole cocente della primavera ed un venticello leggermente più afoso che portava con sé grumi di polline e i petali dei primi fiori.

Quel giorno, la strada che ero abituata a percorrere con il sole e con un abbigliamento decisamente più sportivo, aveva risvegliato dentro di me una serie di sensazioni di cui non vedevo letteralmente l'ora di rimpossessarmi. Ero al mio posto, finalmente lo sentivo e del resto, non m'importava nulla. Capii che fino a quel momento, non avevo vissuto la mia vita a Los Angeles come mi ero prefissata prima di partire per il college, non avevo apprezzato del tutto quello che avevo provato nel mettere piede per la prima volta all'Otis College, non avevo compreso a pieno quanto quella città avrebbe potuto regalarmi e come il mio pessimismo cronico, avrebbe potuto maturare in vero orgoglio.

Ero una ragazza sola che passeggiava tranquillamente per i corridoi del suo college spostando lo sguardo da una grande fotografia all'altra. Qualche volto conosciuto mi rivolgeva cordialmente un saluto ed io, ricambiavo con i sorrisi più veri che avessi mai sfoderato negli ultimi mesi.

Odiavo quanto la mia migliore amica avesse potuto aver ragione, odiavo che mi conoscesse talmente bene, anche meglio di quanto io conoscessi me stessa. Quella strana spensieratezza era stata una sorpresa persino per me e nonostante fossi sola in una galleria di fotografie, la solitudine non mi faceva più paura. Non notavo dettagli, non mi interessavo alle opere ma ponevo tutta l'attenzione verso la confortevolezza che provavo passeggiando in una gonna di tulle per i corridoi di una galleria d'arte.

Quando una macchia rossa si intrufolò presuntuosamente nel mio raggio visivo, mi resi conto di non essere l'unica persona sola alla ricerca di vecchie sensazioni sepolte tra le ossa del proprio corpo. Il ragazzo della libreria, aveva sfacciatamente ignorato quello stesso dress-code che io avevo tanto odiato nei giorni precedenti ma che poi, mi ero impuntata a rispettare come se rappresentasse per me una sorta di presa di coraggio. I miei occhi nocciola contornati da una perfetta linea di eye-liner marrone, scrutarono le sue spalle larghe fasciate da una semplice maglietta bianca leggermente slabbrata e percorsero le linee delle sue braccia che si univano dietro la schiena in una mano che cingeva distrattamente il polso dell'altra. I suoi anelli brillavano visibilmente a causa del riflesso con le luci al neon della sala mentre i suoi occhi verdi, studiavano attentamente la fotografia di uno strano paesaggio di campagna. Continuai a camminare ponendo un piede dietro l'altro senza distogliere gli occhi dalla sua figura, lo fissai più intensamente come per attirare silenziosamente la sua attenzione e quando ci riuscii, le sue iridi si posarono delicatamente su di me lasciandomi scoprire il loro colore più chiaro sotto la luce fredda delle lampade al neon. Il mio sguardo non abbandonò il suo neanche quando lo invitai implicitamente a seguirmi nella sala successiva dove una serie di fotografie in bianco e nero, riempivano malinconicamente le pareti di quella che alla mattina, si popolava di studenti pronti ad affrontare una delle loro infinite lezioni.

Mi immobilizzai di fronte ad una grande stampa di un palazzo in mattoni nell'attesa che il ragazzo dai capelli rossi, si posizionasse esattamente accanto a me. Il suo profilo sovrastò il mio dopo pochi attimi e con mio grande stupore, quella volta non si soffermò ad ammirare la fotografia che aveva di fronte a sé ma il modo in cui il mascara mi accentuava le ciglia o la linea di eye-liner percorreva la mia palpebra, forse come la mia frangetta ormai lunga mi ricadeva sul viso o probabilmente come il leggero strato di cipria mi delineasse gli zigomi.
Michael guardava me e per una manciata di minuti, quello scatto in bianco e nero, era diventato invisibile ad entrambi, persino ai miei occhi che all'apparenza, sembravano star contando uno ad uno i mattoni di cui era fatto il palazzo raffigurato in foto.

Il tanto atteso slancio motivazionale, era balzato improvvisamente nella mia testa come un grillo quella sera e mi aveva letteralmente spinto a marciare in direzione dell'uscita dell'università verso una strada che mi avrebbe portata dalla direzione opposta a quella dove sorgeva pacifico il mio residence. I passi di Michael avevano indubbiamente deciso di fidarsi dei miei che sempre più, si allontanavano dal porto sicuro dell'Otis, dal mio quartiere e da quello dello stesso ragazzo che camminava accanto a me.

Passeggiammo in silenzio per un tempo interminabile, facendomi sembrare di essere stata catapultata in un universo parallelo in cui il ragazzo della libreria, non dava assolutamente l'aria di essere un logorroico irrefrenabile. Quello che la mia coscienza aveva immediatamente intuito, era però la consapevolezza di avere tra le mani la responsabilità, più che giustificata, di dover iniziare una conversazione con la persona che in quell'esatto istante, potei giurare fremesse dalla voglia di sputarmi in faccia tutte le sue ultime teorie.

I nostri sospiri facevano da sottofondo alle suole delle scarpe che strisciavano con la stessa svogliatezza sull'asfalto della strada deserta mentre il tulle della mia gonna, frusciava tra un movimento e l'altro.

"Ho rivisto il mio ex" pronunciai atona quando mi decisi a parlare. Dall'altra parte ci fu silenzio per un altro paio di minuti finché i miei occhi, posandosi nuovamente su di lui, non scorsero un lieve annuire prevedibilmente comprensivo e per nulla sorpreso.

"Quello di cui sei ancora innamorata" specificò al posto mio trovando da solo il motivo dei miei occhi che, per più di due settimane, avevano tentato di sfuggire ai suoi. Le mie inglesine si piantarono improvvisamente al suolo lasciandomi inaspettatamente interdetta e con almeno un miliardo di parole che continuavano a morirmi in bocca ogni volta che tentavo di farle uscire fuori. Mi fermai esattamente sotto un lampione osservando le spalle di Michael fare qualche passo in più per poi imitare il mio stato di quiete e riportare i suoi occhi verdi nei miei.

"Chi te l'ha detto?" pronunciai corrugando la fronte. Volevo vivamente escludere l'ipotesi che fosse stata la mia migliore amica a farlo, l'unica che nella realtà di Los Angeles avrebbe mai potuto sapere una verità simile, l'unica che le avrebbe provate letteralmente tutte pur di farmi stare meglio e rendermi le cose più semplici.

"L'hai detto tu stessa quel giorno alla serra... O almeno, me l'hai fatto intuire" disse facendo spallucce e permettendomi di liberare un sospiro di sollievo.

Tutto d'un tratto, quello che doveva capirci qualcosa, non era più Michael. In fin dei conti, lui aveva già trovato le sue risposte, ero invece io a doverle accettare davanti ai suoi occhi vispi e consapevoli di non essere mai diventati una costante nel mio cielo. La mia espressione confusa lo allarmò lievemente portando i suoi anfibi neri ad avvicinarsi di nuovo a me lasciandosi illuminare interamente dalla luce fioca del lampione.

"Ma se lo sapevi, perché mi hai baciata?" gli chiesi invertendo ufficialmente i ruoli. Michael si bagnò le labbra e infilò le mani nelle tasche dei suoi jeans neri prima di rispondermi sollevando le spalle.

"Perché volevo farlo. Sono cocciuto, quando voglio una cosa me la prendo" affermò ridacchiando fieramente. Mi era bastata quella frase per dissolvere la caterva di dubbi che si erano formati nella mia testa, una frase che, contro ogni mia aspettativa, mi aveva delusa portando la mia mente a tradurla come un "non m'importa se non ti piaccio, io quello che volevo, l'ho ottenuto". Percepii il calore impossessarsi delle mie guance e ogni granello di spensieratezza crollarmi catastroficamente dalle spalle mentre gli occhi curiosi del ragazzo della libreria mi scrutavano limpidi.

"Per caso desideri qualcos'altro o pensi di aver finito con me?" sbottai sarcastica assottigliando gli occhi e scuotendo la testa. Il ghigno divertito che si stava aprendo più e più volte sulle sue labbra, mi stava facendo davvero imbestialire. Non capivo cosa ci fosse di così tanto esilarante nella piega che stava prendendo la nostra conversazione.

"In realtà, pensavo che fossi stata tu ad aver finito con me..." mi ricordò sollevando le sopracciglia "...io ti bacerei tutti i giorni se solo me lo permettessi."

"Aspetta, cosa?" sgranai gli occhi rimanendo colpita dalla sua ultima affermazione.
Cercai di escludere con tutte le mie forze la probabilità che Luke non mi avesse mentito affatto, che il suo migliore amico sarebbe davvero potuto rimanere deluso da me se non gli avessi reso giustizia.

"Che c'è? Mi piaci, è illegale?" precisò con la sua solita naturalezza.

"No, è che io credevo che volessi solo..."

"Divertirmi?" m'interruppe mentre le mie corde vocali erano alla ricerca dell'espressione giusta per descrivere i miei pregiudizi. Intendevo esattamente quello che lui stesso aveva pronunciato, una sorta di distrazione come quella che da mesi cercavo anch'io. Inizialmente non ci avevo visto niente di male, mi avrebbe fatto bene trascorrere del tempo con qualcuno che riusciva a portarmi via dai gomitoli di pensieri che si appallottolavano disordinatamente nella mia testa, ma il problema che ogni volta si ripresentava martellante come il becco di un picchio, era sempre uno, sempre lo stesso. Ander rimaneva cicatrizzato egoisticamente sulla mia pelle, in superficie, come se sfiorandolo con un dito potessi sentirne il solco. Sarei solamente stata ipocrita ad ignorarlo, avrei giornalmente continuato ad illudere me stessa costruendomi una realtà rarefatta e inverosimile.

"In un certo senso" mormorai abbassando timidamente lo sguardo sulle punte delle mie scarpe nere stringate.
La differenza tra i suoi piedi e i miei, era logicamente esorbitante e non solo dall'aspetto delle dimensioni ma anche da quello stilistico. I suoi anfibi consumati e decisamente fuorimoda, erano in contrasto con le mie inglesine in pelle opaca perfettamente allacciate e in ottime condizioni come fossero fresche di acquisto. Mi resi conto che quelle scarpe non mi si addicevano affatto, che urlavano piuttosto il nome di Alaska per le strade e di certo non il mio, ma quelle di Michael con qualche numero in meno, mi sarebbero sicuramente calzate a pennello.

"Anche per questo mi evitavi..." ragionò a bassa voce "...mi hai fatto credere che non ne volessi più sapere di me, che non ti fosse piaciuto" confessò alludendo al bacio che mi aveva rubato pochi mesi prima. La sicurezza tipica del ragazzo dai capelli scarlatti, scivolò per terra insieme al verde dei suoi occhi che come i miei, presero ad osservare un punto indefinito sull'asfalto del marciapiede di quella strada.

"No, non è stato niente di tutto ciò..." lo disillusi attirando il suo sguardo su di me. Il verde muschio dei suoi occhi, schiaritosi con la luce del lampione e della luna particolarmente sfolgorante, si riposizionò nel marrone dei miei che si ostinava a rimanere tale sotto qualsiasi riflesso e condizione atmosferica.

"...É solo che non sono sicura di volermi tuffare in questa cosa se ho ancora lui in testa. Non voglio prenderti in giro, Michael."

"Ora che lo so, non potrai in nessun modo prendermi in giro..." ridacchiò facendo nascere anche sulle mie labbra un lieve sorriso intenerito "...ci penso io a fartelo dimenticare" concluse facendomi un'occhiolino.

La sua espressione rilassata calmava i miei pensieri come nemmeno la musica riusciva a fare più, avevo bisogno di perdermi nei suoi lineamenti pestati dal sonno e nel suo tono di voce profondo e calmo.
Quelli su cui mi stavo basando erano pochi elementi, troppo pochi, decisamente molti meno rispetto a quelli che avevo considerato prima di immergermi nella mia passata relazione. Accettarli significava accontentarmi e questo, significava andare contro me stessa. Tuttavia, mi ero prefissata che sarei dovuta cambiare e quella sera, avevo appena scoperto che per poter iniziare a farlo, avrei dovuto mettere coraggiosamente un piede fuori dalla mia confort zone e realizzare come le persone sarebbero potute riuscire a modificare i miei stati d'animo.

[...]
Mi sembra il momento di chiedervi cosa ne pensate della storia, quello che prevedete, quello che vorrete vedere in seguito, quindi sfogatevi e intasatemi di commenti esattamente qui>>>

Inoltre, vorrei fare i complimenti alla storia vincitrice del mio concorso a premi Your Loyal Reader e consigliarvela vivamente: angelagfs con Mrs Darcy.
Fudge

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top