14. don't you cry tonight
I leggins neri e le felpe giganti facevano ormai parte del mio equipaggiamento giornaliero durante i periodi intensi di università. Stringendo lo spallaccio del mio solito zainetto di jeans, facevo strisciare le suole delle mie scarpe da ginnastica contro il marmo liscio dei corridoi del college, affiancando il passo svelto e deciso di Alaska. I miei pensieri si perdevano tra una nota di una canzone e l'altra mentre le cuffiette, rimanevano in equilibrio tra la conca inferiore ed il trago del mio orecchio come se fossero un prolungamento di esso.
Di fronte all'aula della mia migliore amica, mi accorsi distrattamente che la stessa biondina che prima stava cercando inutilmente di intrattenermi con un chiacchiericcio incessante, ora mi stava raccomandando di abbozzare almeno mezzo sorriso e di prepararmi psicologicamente alla maratona di film splatter che ci avrebbero atteso una volta tornate a casa. Mi aveva in seguito salutata con un bacio sulla guancia e mi aveva lasciata in mezzo alla calca di studenti che sarebbero dovuti entrare nella sua stessa classe.
Il mio passo svogliato, continuò a percorrere il lungo corridoio del dipartimento di design dell'Otis College alla ricerca della scritta 5F affissa su una delle innumerevoli porte alla mia destra. Una voce cantava ripetutamente "don't you cry tonight" nel mio auricolare sinistro mentre l'altro, andava a sbattere sulle mie dita penzolando lungo il mio petto. Contavo i dettagli come se fossi disperatamente in cerca di qualcosa, di un volto da identificare, una voce da riconoscere o una spalla contro cui scontrarmi improvvisamente facendomi scappare persino la cuffia dall'orecchio. Sussultai per lo spavento portandomi subito dopo una mano sullo sterno per massaggiare la zona dolorante. Il violento contatto che avevo appena subito contro ogni mia aspettativa, aveva indirizzato la mia coscienza a catapultarsi verso l'ipotetica distinzione di un fisico slanciato ma atleticamente spigoloso da cui, immaginai, non avrei ricevuto alcuna scusa.
"Cristo Santo, River! Pensavamo fossi morta!" esplose la voce irritabilmente sarcastica di Luke Hemmings. Una delle sue magliette a righe gli fasciava perfettamente il petto ed una piastrina cadeva indisturbata su di esso riflettendo nei miei occhi la luce del sole che entrava dalla grande finestra alla nostra sinistra. Scostai lo sguardo e feci per superarlo con un sospiro frustrato ma ovviamente, non me la sarei potuta cavare talmente bene. L'ultima cosa che volevo, era essere raggiunta dal suo migliore amico dai capelli rossi che mi avrebbe trattenuta in un interrogatorio al quale non avevo intenzione di partecipare, specialmente se la mia lezione sarebbe iniziata tra cinque minuti.
"Luke, non ho tempo adesso!" sbottai osservando i suoi occhi azzurrissimi e cercando di dimenarmi dalla presa delle sue mani che mi avevano precedentemente immobilizzato le spalle.
"Devi solamente ammettere che ci stai evitando di proposito" disse assottigliando gli occhi e incrociando le braccia al petto.
"Pagherei tutto l'oro del mondo per riuscire ad evitarti, Luke" lo sfidai scoppiando in una risata amara.
"Lecito..." affermò lui annuendo comprensivamente "...ma che mi dici di Mike?"
"Non sono affari tuoi" borbottai riuscendo finalmente a raggiungere la mia aula. Non ci pensai due volte, attraversai la grande porta e presi un posto a caso nelle ultime file lasciando il biondino ad interrogarsi sul mio comportamento in perfetta solitudine. Pochi istanti, e la lezione di geometria sarebbe finalmente cominciata per distrarmi dalle problematiche che tentavano di scavare fori d'uscita dalla mia testa costringendomi ad archiviarle nuovamente nei meandri più profondi della mia coscienza. Sfortunatamente, furono esattamente quei pochi istanti ad ingannarmi miserabilmente. La faccia tosta dell'inarrestabile Luke Hemmings, fece il suo ingresso dalla stessa porta che avevo già attraversato io per poi prendere silenziosamente posto accanto a me osservandomi con un sorriso beffardo. Lo guardai sconcertata massaggiandomi le tempie e arrendendomi al fatto che se quella mattina avessi incontrato Michael al posto suo, avrei potuto evitarmi i nervi a fior di pelle.
"Se sei abituata a trattare così la gente, dimmelo così risparmio una delusione al mio migliore amico."
"E come mai il tuo migliore amico non è venuto di persona a risparmiarsela?"
"Perché lui è troppo buono" fece spallucce guardando davanti a sé e scivolando ulteriormente sulla sediolina in legno.
"O forse è perché anche lui pensa non siano affari tuoi" contrattaccai rispondendo ad alcuni messaggi sul cellulare.
"Quindi è così, sei quel tipo di ragazza..." affermò provocandomi "...ti avevo sopravvalutata, dolcezza."
"Evidentemente non l'avevi fatto abbastanza perché non sono assolutamente come credi..." risposi guardandolo seriamente. Poco m'importava di convincere Luke che fossi una brava ragazza, quello che desideravo era che Michael non pensasse lo stesso e capisse il mio disperato bisogno di tempo e lucidità mentale prima di poter smettere di evitarlo.
"...Non mi sono assolutamente dimenticata di Michael, gli parlerò non appena sarà possibile" lo liquidai tentando di prendere appunti non appena il professore iniziò a spiegare.
"Neanche state insieme che già vuoi mollarlo?" sibilò maliziosamente al mio orecchio distraendomi dalle parole del docente.
"Stai davvero oltrepassando il limite!..." sbottai poggiando poco delicatamente la penna sul banco e fulminandolo con lo sguardo "...stanne fuori se non vuoi realmente vedere che tipo di ragazza sono."
"Questo l'ho già capito... Mi hai azzannato dal primo momento che ci siamo rivolti la parola, per questo ti decantavo" disse distogliendo lo sguardo. Io sollevai le sopracciglia, lo analizzai attentamente disporre da parte i mattoni con i quali aveva costruito il suo muro di protezione, simulai una smorfia divertita e continuai a prendere appunti mentre la mia testa, viaggiava in tutt'altra direzione.
"Ti piacciono le ragazze aggressive, Hemmings? Un po' in contrasto con la tua teoria maschilista sugli stereotipi della società" gli feci notare sollevando impercettibilmente l'angolo della bocca. I miei occhi incollati sulle pagine del quaderno, non si accorsero della sua espressione sicuramente scocciata, ma le mie orecchie, intercettarono percettibilmente un sonoro sbuffo fuoriuscire dalle sue labbra sottili contornate da un velo di barba chiara.
"Possibile che il tuo sia un continuo fossilizzarsi sugli stessi argomenti? Di che diavolo parlate tu e Alaska dalla mattina alla sera?" esclamò cercando di non superare con la voce il leggero mormorio che faceva da sottofondo alle spiegazioni di geometria.
"Uhm, sicuramente non di te" sussurrai mostrandogli un'espressione fintamente dispiaciuta.
"Invece noi parliamo molto di te, dolcezza" bisbigliò a sua volta avvicinandosi di nuovo al mio orecchio e sfiorando appositamente la sua spalla con la mia. La mia penna finì nuovamente sdraiata sulla superficie in legno ed io mi voltai verso di lui storcendo il naso e spingendolo lontano da me con una mano. Non ottenne mai la risposta che tanto sperava, decisi di dargliela per vinta e nel contempo, lo lasciai in attesa di un'ulteriore battuta da parte mia per il resto della lezione di geometria.
Con mia grande sorpresa, le successive due ore passate a prendere appunti accanto a lui, non mi dispiacquero affatto, anzi, finché non avesse nuovamente aperto quella sua boccaccia, la compagnia di Luke sarebbe potuta risultarmi addirittura accettabile. Rimaneva un mistero il fatto che non avesse abbandonato l'aula nemmeno nel momento della pausa in cui io, senza degnarlo di una parola, mi diressi verso il distributore automatico infondo al corridoio per rifocillarmi di caffè al ginseng.
"Non lo starai mica rivalutando?" mi aveva chiesto Alaska lievemente soddisfatta dopo aver ascoltato le vicissitudini di quella strana giornata universitaria.
"Per carità..." dissi sistemando il maglione blu della mia amica nel suo piccolo trolley da viaggio. Tra pochi giorni, sarebbe dovuta partire per andare a prendere suo fratello Ashton al centro di riabilitazione, firmare delle carte e tornare a Los Angeles con lui.
"...Parla troppo e sai quanto io sia intollerante nei confronti di queste persone."
"Non mi sembra che Michael parli di meno, Ree" mi ricordò la mia coinquilina poggiando le mani sui fianchi e guardandomi con le sopracciglia sollevate.
"Almeno dice cose interessanti" mormorai buttando lì una scusa campata in aria. In effetti, non capivo cosa avesse di speciale la parlantina del ragazzo della libreria. Il suo tono di voce era sempre talmente calmo e rilassato, niente a che vedere con quello del suo migliore amico irlandese, toccava tasti dolenti con una naturalezza esagerata e parlava come se mi conoscesse da una vita.
"Sì..." bofonchiò la mia migliore amica poco convinta della mia ultima risposta "...comunque, c'è una mostra di fotografia creativa giovedì sera, perché non ci vai?" chiese mettendomi tra le mani il volantino dell'evento.
"Mi stai già trovando qualcosa da fare quando non ci sarai?"
"Voglio solo che eviti di startene in camera a deprimerti" mi ammonì completamente consapevole che sarebbe andata a finire come pensava.
"Qua dice che c'è un dress-code elegante" borbottai usando come scusa la scarsità di vestiti adatti nel mio guardaroba.
"Abbiamo la stessa taglia, prendi i miei" mi intimò sentendosi già la vittoria in tasca. Sapevo che mi stava costringendo ad andare a quella stupida mostra per il mio bene, ultimamente non serviva esplicitare che la mia voglia di vivere fosse scesa fin sotto lo zero e l'impegno che avrei messo nel prepararmi ed uscire di casa quel giovedì sera, significava sicuramente fare il passo più lungo della gamba, ovvero tutto quello che Alaska avrebbe voluto che affrontassi: risvegliarmi dal sonno di soprassalto, una botta fredda e pungente con la realtà.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top