12. i fall apart

In piedi su una dannatissima fune.
Ci si mette un solo secondo a perdere l'equilibrio e in quell'unico secondo, non puoi capire cosa ti ritroverai di sotto, se un metro, un chilometro, un infinito di caduta. Perché si può crollare anche per sempre, per tutta la vita e non sapere mai di che consistenza è fatto il suolo. Era bastato un secondo ai miei occhi per distrarsi, al mio piede per sfiorare la corda e cadere nel vuoto, un secondo per scorgere lo sguardo di Ander in mezzo alla gente variopinta dalle luci colorate della discoteca, un secondo per riconoscere i suoi occhi grigi come il cielo di settembre, i suoi capelli scuri come la pece che gli cadevano sulla fronte.

Ci incatenammo con lo sguardo come non avevamo mai fatto prima d'ora.

Capii che sarebbe stato asfissiante avere lui come ultimo volto di quell'anno, sarebbe stato più facile chiedersi dove fosse e con chi ma non saperlo mai. E invece quella volta, non fu più un indovinello. Cinque minuti e trecentosessantacinque giorni sarebbero passati in un attimo in un libro che aveva il suo nome ed il suo viso sulla copertina. Eppure, sapevo che ogni volta, con l'incrociarsi dei nostri sguardi, la mia mente avrebbe ripercorso sempre quelle pagine, avrebbe rivisto sempre il suo nome come inchiostro inciso, indelebile.
Mi era impossibile voltare pagina, mi era impossibile incenerire tutto quello che era stato perchè lui, così com'era, sapeva di eternità, come un soffio di vento quando chiudevo gli occhi, come un accordo di chitarra che echeggiava nell'aria quando avevo già smesso di pizzicarne le corde.

Le ragazze lo sapevano che stavo crollando, mi vedevano crollare. Forse avevano scorto quel ragazzo prima di me e non avevano avuto minuti per avvertirmi, e come io avevo avuto poco tempo per accorgermi di aver perso il controllo, loro avevano avuto poco tempo per tirarmi per un braccio e riportarmi in equilibrio su me stessa.
Alla fine, è solo una frazione di secondo e poi torna tutto come prima, come se niente fosse accaduto. Lui fece un altro passo, ed era già nuovamente nascosto dall'ammasso di gente che si dimenava a ritmo di musica.

Una delle ragazze mi chiese se stavo bene e flebilmente, mentendo, risposi di sì. Loro ricominciarono a ballare spensieratamente ma i miei pensieri, iniziarono a muoversi in un moto vorticoso incasinandomi la testa, rendendo i miei muscoli inattivi, le piante dei miei piedi salde a terra, gli occhi inespressivi che fissavano un punto indeterminato.

Non sapevo quanto tempo fosse passato, probabilmente una decina di minuti.
Fui trascinata via da quella confusione mentre la mia mente rimase immobile senza accorgersi di quello che stava succedendo intorno a me. Salimmo sulla macchina di Lilith e subito dopo, ci ritrovammo sedute sul marciapiede di fronte al museo della città con una birra che passava di mano in mano e di bocca in bocca.

"Avete rinunciato alla festa di Capodanno per niente. Io sto bene" dissi freddamente.

"No, tu non stai bene. E devi smetterla di fingere che sia tutto a posto quando non è palesemente vero" sbottò Alaska infuriata. Io sapevo che aveva ragione, sapevo che con quel tono duro e severo, voleva farmi capire che a me ci teneva. Così rimasi in silenzio, riflettei, riaccesi quell'interruttore che avevo spento incoscientemente allo scorgere quegli occhi color fumo, mi alzai in piedi e mi disposi di fronte a loro con l'imponenza del museo di Malibu alle mie spalle.

"É vero, non sto bene e forse non starò mai bene. Non faccio altro che crollare ogni volta che lo vedo, torno ad essere la ragazza depressa e pateticamente innamorata di lui, quella dei primi tempi, quella che di notte continuava a sognare di non essersi mai lasciata con il suo ragazzo..." sputai. Le ragazze mi ascoltavano attentamente e scorsi persino degli occhi lucidi e delle sopracciglia corrugate.

"...Io non so più cosa fare, letteralmente. Non so se esplodere una volta per tutte, non so se lasciarmi uccidere da tutto questo. Mi sento come se volessi sdraiarmi per terra e aspettare che il mondo smetta di girare. Ho davvero finito tutti i fiammiferi, ragazze, li ho finiti tutti."

Il mio respiro si fece più pesante e la mia voce più spezzata ma non mi azzardai a iniziare a piangere. Troppe lacrime avevo versato per quel ragazzo e mi crebbe nello stomaco una grande paura di pronunciare ancora il suo nome mentre il suo viso, era perennemente fotocopiato sotto le mie palpebre.

Freeda si avvicinò a me e posò le sue mani sulle mie guance.

"Troveremo una soluzione. Tutto questo passerà, te lo prometto" sussurrò.

"E come?" scossi la testa per niente convinta che quella situazione sarebbe andata a finire bene.
Lilith ci raggiunse dopo aver invitato le altre, con un gesto della mano, a seguirla. Tutte si posizionarono attorno a me dandomi una forza immensa, inimmaginabile.

"Ricordati di Michael" disse incredula sollevando le spalle.

"Cosa?" feci io corrugando la fronte.

"Pensa a come ti ha fatto sentire Michael, pensa che quando tornerai a LA, lui sarà lì" precisò India dopo aver rivolto un'occhiata a ciascuna delle ragazze come per trovare l'approvazione.

"Già, magari ci vorrà del tempo ma lui potrebbe aiutarti" affermò infine Dixie.

Soppesai le loro parole, lo feci davvero e non con superficialità. Soppesai poi i miei pensieri, quelli più profondi che saltavano fuori anche se solamente un bicchiere di vino scorreva nella mia gola e mi addolciva le labbra.
Ero stanca di quel dolore ed ero stanca di quel vuoto nello stomaco che cercavo di nascondere con i miei maglioni colorati e con il mio cappotto grigio, ma ero soprattuto stanca di fingere. Volevo finirla di ripetermi che potevo farcela se invece la mia mente mi ripeteva giorno per giorno che non sarebbe cambiato niente. Volevo affrontare la realtà dei fatti una volta per tutte, anche a costo di implodere dentro me stessa con tutti i miei rimpianti e i miei fallimenti.
Basta, mi ripetei.

"A me non frega niente di Michael..." dissi allora atona ed inespressiva "...è stato un errore, dovevo respingerlo ma non l'ho fatto. Quel bacio è stato solo un dannatissimo errore, un errore che non mi farà mai dimenticare Ander. Ed è inutile che io sbagli altre volte continuando ad uscire con lui, continuando a pensare che ci sia qualcosa, perché non c'è niente, niente che possa farmi voltare pagina. Sono bloccata in questo circolo vizioso dal quale non uscirò tanto presto, ne' con il ragazzo punk della libreria, ne' con nessun altro."

In quel momento anche io ero furiosa, furiosa con me stessa, furiosa con il mio cuore che non si fermava un attimo.
Volevo che smettesse di battere per poi ricominciare a farlo per qualcun altro o semplicemente per me stessa.

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