11. the apocalypse

Lanciai un ultimo sguardo veloce a Lilith prima di aprire lo sportello e salire in macchina.
Le ragazze avevano invece preso i due posti dietro e già le sentivo discutere animatamente su una serie tv che avevano visto recentemente.
Il dito impreziosito da un anello gigante di India, attirò la mia attenzione quando, dal sedile davanti, si avvicinò indisturbato alla radio iniziando ad armeggiare tra i vari pulsanti dell'auto per scegliere la musica mentre Lilith, la rimproverava per paura che toccasse qualcosa di sbagliato.

Le vacanze di Natale, erano iniziate con un altro dei nostri caratteristici e abituali giri in macchina e con la speranzosa impressione che tutt'un tratto, sembrasse non essere cambiato nulla e forse era realmente come credevamo.

Una frase spagnola diceva che la distanza separa due corpi ma non due cuori e per la prima volta nella mia vita, ero certa che persino le frasi anonime trovate su internet spesso non si sbagliassero affatto.

La macchina sfrecciava a sessanta all'ora per le strade di Malibu con la musica alta che, al posto del vento, ci scompigliava i capelli e ci scompigliava i pensieri. Mi fece chiudere gli occhi, mi fece respirare l'odore di un'amicizia che non aveva mai fallito, che non era mai stata delusa, non era mai stata tradita.
Mi voltai verso Alaska e Freeda accorgendomi che le loro sensazioni coincidevano con le mie, mi sorrisero e mi dedicarono una frase della canzone che stavamo ascoltando, una che parlava della vita e degli amori estivi, quelli indimenticabili.
Io la urlai più forte, la urlai fuori dal finestrino per mostrare alla gente che eravamo tornate e che insieme, eravamo uno spettacolo oltre i limiti dell'immaginario.

Il porto solitario di Malibu, era la nostra meta. Arrivammo lì fermandoci a pochi metri dal confine che l'asfalto disegnava prima di farsi toccare dal gelido mare di dicembre.
Lilith spense la macchina e si appoggiò del tutto sul sedile in un sospiro di sollievo impercettibile. I finestrini erano ancora abbassati, la musica ridotta a un sussurro ed il tramonto, sfoggiava il viola mischiato con il rosa e uno spruzzo di giallo che contornava le nuvole. Malibu aveva i tramonti più belli che avessi mai visto.

Improvvisamente fu come se stessimo affrontando gli ultimi minuti prima della fine del mondo. Il cielo e il sole che lentamente si addormentava, erano le uniche cose che attiravano la nostra attenzione e ognuna di noi si isolò inconsciamente nel proprio mondo dove un unico pensiero, pareva essere uguale per tutte: che quel momento durasse per sempre.

India tirò su con il naso e i suoi occhi presero a brillare intensamente rivelando la sua spiccata emotività. Continuò comunque a sorridere mentre sua sorella seduta accanto a me, le afferrò la mano dal sedile posteriore.
In quell'esatto istante, un pensiero salì a galla nel mare della mia testa, la mia coscienza aveva deciso che quello sarebbe stato il momento giusto per smettere di nascondere qualcosa che speravo riuscisse ad uscire spontaneamente dalle mie labbra. Inspirai dal naso come se mi stessi preparando ad andare al patibolo, feci per iniziare a parlare consapevole che sarei stata la prima a rompere quel rilassante silenzio raro e per niente imbarazzante ma Freeda, mi precedette.

"Ho sentito Dixie ieri" mormorò facendomi fare un sospiro di sollievo.
Non capivo perché stessi avendo tanta difficoltà a raccontare un fatto del genere, non avevo mai avuto quel tipo di problema con loro: la paura di essere giudicata, di ricevere degli sguardi negativamente sorpresi o peggio, delle risposte campate in aria pronunciate giusto per non farmi rimanere male. Ero certa che loro non mi avrebbero mai trattata in quel modo, che ogni gesto nei miei confronti sarebbe sempre stato sincero, ma quella volta il mio istinto si era nuovamente diviso tra giusto e sbagliato. Quella situazione mi seppe tanto di eccezione alla regola.

"Cos'ha detto?" chiese Alaska riportandomi alla realtà.

"Che sta avendo problemi con il corso..." pronunciò la rossa come se ci stesse preannunciando l'inizio dell'apocalisse "...sapeva che medicina sarebbe stata difficile e impegnativa ma non così tanto. Ha pianto al telefono perché si è resa conto di non poter scendere ogni mese. Le manca la sua famiglia e le manchiamo anche noi ma potrà raggiungerci per Natale e Capodanno" disse flebilmente vedendo sgretolare una parte di noi.

"Potremmo salire noi qualche volta" propose Lilith cercando di sciogliere le nostre facce sconsolate e amareggiate. Le rispondemmo annuendo lievemente, per niente convinte ma grate per aver almeno provato a trovare una soluzione.

"Stiamo crescendo, ragazze. I giorni passano e i tempi cambiano. Arriverà il momento in cui saremo completamente diverse da quello che siamo ora" spiegò Alaska sfoggiando la sua tipica e spontanea saggezza.
Tutte la guardammo attentamente mentre lei si rivolse a me nel pronunciare le ultime penetranti parole. Mi incitò a dire ciò che avrei voluto nascondere a vita accorgendomi che quella frase, mi stava bruciando dentro come un sorso di scotch. I suoi occhi color menta mi fecero capire che non dovevo avere paura, che loro stavano ancora dalla mia parte e lo sarebbero rimaste fino in fondo. Non si meritavano il mio silenzio, avrebbero saputo calmare le mie maree.

Fissai il cielo alla mia sinistra, ormai il sole era quasi sparito dietro la superficie del mare, una barca a vela spiccava nella luce del tramonto facendomi immaginare che se fossi stata a bordo di essa, avrei avuto l'impressione che il sole mi potesse investire. Incantata, con gli occhi spalancati oltre il viso di Alaska e attraverso il finestrino dell'auto di Lilith, notai che il silenzio era calato nuovamente in macchina. Quella volta però mi stava gridando di spezzarlo.

"Michael mi ha baciata" pronunciai semplicemente senza muovere lo sguardo. La mano di Alaska scivolò cautamente sulla mia gamba sbloccando finalmente i miei occhi imbambolati. Li rivolsi a lei e ricambiai il suo sorriso orgoglioso prima che mi rendessi conto degli sguardi delle ragazze su di me.
La preoccupazione stampata a lettere cubitali sui loro visi, era ben visibile alle mie insicurezze ma anche alla me ragionevole che le conosceva bene quanto le sue tasche. Pensarono che forse non ero ancora pronta a quel tipo di contatto quando nella testa avevo ancora Ander.

"E tu che hai fatto?" chiese Freeda cautamente sgranando impercettibilmente gli occhi.

"Nulla" risposi abbozzando un sorriso. Dei sospiri di sollievo fecero capolino all'interno della vettura nell'istante in cui feci notare che non avevo avuto l'impulso di respingerlo. Mi era capitato un paio di volte dopo la rottura con Ander e quegli episodi mi avevano letteralmente distrutta, motivo della trepidazione delle mie migliori amiche. Nessuno era mai più riuscito a sfiorarmi dopo di lui ed ero al settimo cielo alla sensazione di essere riuscita a fare quel passettino in avanti rispetto al mio passato. Non mi andava di prendere in giro qualcuno, mostrare sentimenti per una persona quando in realtà li provavo ancora per il mio ex. Avevo bisogno di slegarmi da lui e riallacciarmi a me stessa, come si suol dire, avevo bisogno di tempo.

Il mio tempo non l'avevo ancora recuperato tutto da quel bacio, continuavo ad oscillare imperterrita su una fune ma sapevo che se avessi guardato in basso, sarei potuta cadere. Sapevo che se avessi guardato lui, avrei potuto ricaderci.

"Come ti sei sentita?" farfugliò Lilith dal sedile del conducente.

"Come se avessi trovato finalmente il modo di dimenticarlo" sorrisi ma il mio dubbio era un altro, il mio dubbio era sempre lo stesso.

"Ma?" chiese Freeda sapendo che non era lì che volevo andare a parare.

"Ma il punto è proprio questo, non voglio che sia il modo di dimenticarlo! Voglio che sia un qualcosa di naturale e spontaneo..." spiegai mostrando il mio irrefrenabile desiderio di provare finalmente qualcosa, finalmente qualcosa di vero "...quello che è successo a Malibu, rimane a Malibu, ormai. Sono stanca di trascinarmi Ander in qualsiasi posto vada, di metterlo a confronto con qualsiasi ragazzo incontri."

Sputai ogni pensiero che mi era rimasto fastidiosamente incastrato tra i denti. Quelle parole parevano incomprensibili persino a me stessa ma non rinunciai a sfogarmi con loro, il sedile dell'auto era il nostro cuscino di terapia e quella, era la mia seduta.

"Ree, non è detto che continuerai ad avere le stesse sensazioni per sempre. Dimenticati totalmente di lui, non respingere Michael perché può essere che le cose vadano bene tra voi due. Magari adesso ti senti sfiduciata ma è perchè tutto questo è nuovo per te. Rompere con Ander è stato un pugno nello stomaco, lo so. Adesso devi solo farti forza e rimetterti in piedi" disse Alaska. Aveva già pronunciato quelle parole, le aveva pronunciate quando quel venerdì sera ero tornata al residence senza musica nelle orecchie e un enorme punto di domanda che mi roteava attorno alla testa.
Quel giorno di dicembre invece, nella macchina color menta di Lilith, le aveva semplicemente ripetute facendomi notare che fosse fermamente convinta di quell'idea, guardandomi con una sicurezza che avevo già visto in giro, l'avevo vista nel ragazzo della libreria.

"Noi ti sosteniamo, piccola" mi sorrise Freeda mostrandomi uno sguardo particolarmente fiero.

"Se hai bisogno di qualcuno da cui tornare, ci siamo noi, sempre" mi schiacciò poi l'occhio India. Lilith fu l'unica a non dire una parola, mi sorrise semplicemente ricordandomi di non essere mai stata brava con le parole. In realtà invece, i suoi gesti significavano sempre infinitamente tanto per me.

Avevo sempre avvertito il loro amore, lo avevo avvertito anche a chilometri di distanza quando non ci univa niente se non un lungo filo immaginario. Se anche loro avessero avuto bisogno di me, avrebbero tirato un capo di esso ed io avrei iniziato a correre per il mondo riavvolgendolo fino ad arrivare a loro per condurle alla fine del labirinto che non era altro che la vita incasinata di ogni ragazza di diciannove anni.

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