10. force of nature

Passavo attentamente la matita nera sotto gli occhi guardandomi allo specchio del nostro piccolo bagno in camera mentre sentivo la vocina di Alaska intenta a blaterare qualcosa alla quale non stavo dando molta importanza. La interruppi facendole capire di non aver ascoltato nemmeno una parola, chiedendole se poteva prestarmi una delle sue camicie vintage, quella marrone di flanella. Lei sbuffò e dopo aver trovato il capo che volevo, me la lanciò addosso.
Fino a quel momento, avevo solo indossato una semplice maglietta bianca e dei jeans neri, tronchetti di pelle senza lacci e un velo di trucco in viso come facevo di solito.

Un forte rumore ruggente proveniente dalla strada, intercettò il mio orecchio portando simultaneamente il mio sguardo sulla mia coinquilina. Alaska mi guardò a sua volta senza stupore avendo immaginato immediatamente il rombo della moto nera di Michael che mi avvisava del suo arrivo.

"Andate piano" mi raccomandò al pensiero della moto che sfrecciava per le strade della città pilotata da qualcuno che non sembrava esattamente essere il ragazzo più premuroso del mondo. Sospirai annuendo lievemente prima di salutarla con un bacio sulla guancia, poi la vidi affacciarsi alla finestra e urlare al ragazzo della libreria che stavo scendendo. Afferrai velocemente il mio cappotto grigio, misi in spalla lo zainetto con la macchina fotografica e trotterellai giù per le scale del residence.
Quando attraversai il portone della struttura, Michael ancora in sella alla sua Harley Davidson, stava osservando il parco del campus pensieroso come se anche a lui fosse balenato il desiderio di fare quella vita: svegliarsi al mattino con un coinquilino, fare colazione nel bar del college, andare a lezione con un cappuccino caldo in mano per poi tornare al proprio dormitorio stanco, magari incrociando le lunghe ciglia di una bella ragazza; raccontare ad un amico com'è andata la giornata, addormentarsi con le cuffie nelle orecchie e lo stomaco pieno di chicken nuggets e patatine.

Mi immobilizzai per un minuto ad osservarlo lievemente divertita. Teneva in mano due caschi facendoli penzolare con tanta noia che pensai gli potessero cadere da un momento all'altro, la testa era leggermente inclinata all'indietro e le labbra schiuse in attesa, come se fossi in ritardo di almeno un'ora e lui si fosse già stancato di aspettare.

Attraversai il portone del dormitorio che sbattendo, produsse un tonfo tale da attirare la sua attenzione.

"La sua carrozza, signorina..." disse indicandomi la sua moto quando lo raggiunsi "...o forse dovrei chiamarla dolcezza?" mi provocò in un ghigno malizioso. Io alzai gli occhi al cielo e mi avvicinai a lui facendo finta di fulminarlo con lo sguardo prima di afferrare il casco che mi stava porgendo. A differenza del suo, uno di quelli massicci che lasciavano scoperti solo gli occhi, il mio copriva solo la testa e aveva la visiera.

"É minuscolo!" risi lievemente incredula dopo averlo allacciato.

"Era di Claire" rispose lui in tono ovvio abbassandosi la visiera.

"La tua ex?"

"É meglio che ti tieni, piuma. Non vorrei che volassi via" mi avvertì dando una risposta implicitamente affermativa alla mia domanda.
Salii agilmente sulla moto e circondai la sua vita con le mie braccia percependo la pelle morbida del chiodo che stava indossando.

"Vai piano, Michael. Non voglio morire oggi" urlai quando il rombo fece di nuovo frastuono otturandomi momentaneamente le orecchie. Sentii la sua pancia vibrare facendomi intuire di essere scoppiato in una fragorosa rista.

"Non mettermi ansia, Reev. Tu fidati di me" rispose poi voltando la testa verso di me.
Fu strano udire quel nome uscire dalle sue labbra, nessuno lo aveva mai usato e fino a quel momento, mi sembrò quasi fosse una sua invenzione che tutto sommato, suonava proprio niente male.

Il viaggio durò pochi minuti, nulla che non poteva essere affrontato a piedi. Pensai che avesse voluto solamente fare colpo su di me mostrandomi che sapeva guidare una moto alla perfezione esibendo il suo lato da duro. Tuttavia, fu divertente, avevo sempre adorato andare in giro con il motorino di Lilith d'estate per le strade deserte della nostra città. Le sensazioni erano le stesse: il vento tra i capelli, la velocità che dà l'impressione di star librando nell'aria, quel sapore di libertà che mi faceva sentire inspiegabilmente viva.
A novembre però, il tempo è decisamente più rigido di quello di giugno, luglio o agosto e la brezza invernale, infreddolì le mie mani scheletriche facendole nascondere trepidamente nelle tasche della giacca di Michael. Lui non sembrò stupirsi né irrigidirsi, potei anzi scommettere che se avessi potuto scorgere la sua espressione facciale, sarebbe stata un sorrisetto soddisfatto impercettibilmente accennato.

"Fumi?" gli chiesi parlando ad alta voce vicino al suo orecchio dopo aver curiosamente percepito, nelle tasche del suo chiodo di pelle, un oggetto simile ad una sigaretta.

"A volte..." fece spallucce "...quando sono nervoso mi rilassa."

Michael sarebbe stato un perfetto teddy-boy se solo non avesse avuto la fama di essere un fotografo geniale che lavorava in una libreria. In realtà, nella maggior parte dei casi, lo consideravo un ragazzo particolarmente instabile, impacciato e che quasi non si reggeva in piedi per la noia che gli faceva strisciare le suole e puntare gli occhi socchiusi verso le sue scarpe.

"Non compri i pacchetti?" ridacchiai. Il tragitto era già del tutto terminato quando finii di pronunciare quelle parole, ci eravamo fermati di fronte ad uno stretto palazzo incastonato tra altre case a schiera, fatto di mattoni grigi con finestre orizzontali disposte su quattro piani ed un portone nero con le vetrate. Scesi dalla moto prima di lui slegandomi il casco e porgendoglielo nell'attesa che facesse la stessa cosa. Il suo casco gli aveva schiacciato i capelli rossi scarlatti eliminando buffamente quel loro aspetto sbarazzino che tanto gli si addiceva. Ridacchiai brevemente mentre con fare imbarazzato, Michael se li sistemò con un movimento strano delle mani riportandoli alla loro caratteristica natura.

"Di solito li compro ma quando mi vedo con Claire, lei me li ruba sempre lasciandomene solamente qualcuna sfusa" spiegò distrattamente cercando qualcosa nelle tasche della giacca. Iniziò ad irritarsi quando la sua ricerca, si ostinò a non riportare alcun risultato nonostante avesse persino tastato più volte le tasche dei pantaloni.

"Stai cercando queste, per caso?" ironizzai sventolando le chiavi di casa davanti ai suoi occhi.
Notai che una parte di me, quel giorno, era inconsciamente in vena di scherzi e probabilmente, il motivo principale era che con quel ragazzo, riuscivo ad essere spontanea ed estroversa come non mi succedeva da anni ormai.
Lui mi osservò momentaneamente interdetto, sollevando le sopracciglia e tenendo le labbra socchiuse, poi sorrise scuotendo la testa e mi strappò le chiavi di mano facendo il finto arrabbiato.

"Per fortuna non tengo lì anche i preservativi" borbottò infilando le chiavi nella serratura del portone laccato di nero. Io risi e lo seguii all'interno del palazzo per poi iniziare a salire le scale fino al secondo piano.

L'appartamento di Michael, dava l'idea di essere stato acquistato su internet da uno di quei venditori a cui non interessava l'aspetto estetico e che destinavano il proprio locale a coloro che non avevano alti stipendi da spendere in case di lusso al centro di Los Angeles.
Michael aveva nascosto le crepe sul muro con delle fotografie giganti appese con due semplici chiodini, aveva distribuito qualche pianta qua e là che sembrava addirittura ben idratata e aveva raschiato l'intonaco dei muri per esibirne i mattoni rossi.
Entrando, mi ritrovai immediatamente al centro del soggiorno arredato con un piccolo divano coperto da un tessuto peloso e qualche cuscino di diversa fantasia; ai suoi piedi, una cassa di legno che fungeva forse da poggiapiedi, sembrava reggere alla perfezione il peso di una pila di libri e di un computer adagiati su essa. A destra, spiccava invece una semplice cucina rossa e spoglia accompagnata da un monotono tavolo in legno e poche sedie intorno ad esso. Di fronte a me, c'era inoltre una porta decorata con adesivi, foto e qualche disegno fatto a matita da qualcuno, pensai che conducesse alla camera da letto di Michael e magari ad un bagno.

"Faceva schifo quando l'ho affittato..." si giustificò alle mie spalle "...io e mio padre abbiamo cercato di renderlo il più accogliente possibile. Alcuni mobili li ha costruiti lui, era un tuttofare."

Continuai ad ispezionare l'ambiente positivamente stupita. Quel piccolo bilocale, rispecchiava alla perfezione la sua personalità grunge e trasandata.
Mi chiesi poi se avesse scattato lui stesso le foto in bianco e nero che aveva affisso sopra il divano così, ignorando i suoi occhi silenziosi puntati alle mie spalle, mi avvicinai e analizzai una delle due immagini. Raffigurava un ragazzo con il volto coperto da una nube di fumo che fuoriusciva dalle sue labbra squadrate e sottili, esattamente uguali a quelle di Luke. Sorrisi lievemente notando l'incredibile talento di Michael e chiedendomi se ce l'avesse anche nel suonare la chitarra, quella sdraiata tra i cuscini del divano. Nella seconda foto, il suo amico Luke mi dava le spalle e apriva le braccia creando una croce con il corpo mentre una felpa gigante, rivestiva il suo fisico slanciato. Era stata scattata all'imbocco di una galleria in una notte illuminata esclusivamente dalle luci soffuse dell'interno-tunnel e dai fari di un semaforo ai lati dell'autostrada.

"Non scherzavi quando hai detto che mi avresti fatto prendere un trenta..." dissi voltandomi verso di lui. Michael sembrò arrossire leggermente e abbassò la testa con un lieve sorrisetto imbarazzato. Lo vidi timido per la prima volta quando, la sua estrema sicurezza non prese il sopravvento facendolo apparire per l'ennesima volta, come tutt'altro che un bravo ragazzo.

"...Mi piace questo posto, è molto..." andai alla ricerca dell'aggettivo giusto ma la verità, era che soltanto un nome e un cognome in particolare, sembravano essere le parole adatte a descrivere quel luogo "...è molto te" confessai come se avessi raccolto un po' della sicurezza che lui aveva fatto scivolare sul pavimento scricchiolante di casa sua.

"Sono contento che ti piaccia..." disse osservandomi fiero di sé "...ho comprato dei fiori e qualche foglia per fare le foto" mi informò dopo aver fatto un profondo sospiro di sollievo. Non capii immediatamente il perché di tutta quella tensione che lo manteneva rigido e tremolante, sembrò quasi che avesse paura del mio giudizio. Arrivai alla conclusione che la mia intuizione fosse probabilmente esatta e per la centesima volta, mi stupii dello sfacciato coraggio che aveva mostrato nel rischiare che quel luogo non mi piacesse per niente. Voleva farsi conoscere e sicuramente, quello di presentarmi le sue familiari quattro mura, sarebbe stato il modo più efficace per farlo.

Si ripresentò con una busta piena di foglie arancioni e gialle, una rosa, dei petali colorati, una foglia di Monstera e altri piccoli fiori. Sarebbero stati perfetti per il nostro servizio, avevamo sentito dire che tutti avrebbero fotografato nei boschi, sui prati e in cima alle montagne, noi invece, tenendoci più alla larga possibile dalla superficialità, avevamo deciso di farlo in un appartamento verso il tramonto, circondati dai mattoni rossi e le travi di legno del bilocale di Michael.

Iniziammo facendo qualche semplice scatto ai fiori, li sparpagliammo su uno specchio per dare l'idea che si fossero moltiplicati, facemmo galleggiare i petali nel lavandino della cucina ricolmo d'acqua che lentamente, iniziò a sporcarsi di quei colori vividi e scattai delle foto alle mani di Michael, impreziosite dai suoi anelli, tra le foglie rinsecchite che aveva trovato. Alla fine, dopo avermi squadrata con sguardo critico ed esperto, disse che voleva farne qualcuna anche a me.

"Io non sono una modella" risposi incredula.

"Le modelle sono sopravvalutate" mormorò accennando un sorriso mentre era intento a cambiare l'obbiettivo della sua macchina fotografica.

"Promettimi che le cancellerai se esco male" lo avvertii puntandogli il dito contro. Non ci avevo pensato due volte ad accettare la sua richiesta e questo, mi lasciò piuttosto stupita di me stessa.

"Non uscirai male..." mi assicurò scuotendo la testa "...Luke ha una faccia di cazzo ed è decisamente troppo flaccido per fare il modello, però è uscito bene nelle mie foto" spiegò facendomi scoppiare a ridere.
Adoravo ridere e lui mi dava così tanti pretesti per farlo che improvvisamente, ebbi il timore di non riuscire più a farlo con nessuno che non fosse lui.

Così lasciai che mi fotografasse. Notai immediatamente che non mi trovavo per niente in imbarazzo anzi, sembrava tutto fin troppo normale e abitudinario. Michael non mi metteva più in soggezione come all'inizio, ora mi dava l'impressione che avrei potuto confidargli qualsiasi cosa.

Mi indicò di sdraiarmi sopra le foglie e iniziò a farmi delle foto dall'alto dicendomi a tratti, di inclinare la testa in varie angolazioni. Sembrava un professionista, le sue sopracciglia aggrottate lo rendevano talmente concentrato in quello che faceva, che mi diede l'idea di essersi isolato dal mondo per catapultarsi in una realtà in cui ciò che contava sul serio, era la sua macchina fotografica.

Quando un raggio di sole fece irruzione nel salotto attraverso la finestra, ci fiondammo verso di essa per cogliere quello spicchio di luce che, in pochi minuti, sarebbe svanito e giocammo con le ombre che la foglia di Monstera proiettava sul mio viso. Mi fece degli scatti vicino la finestra, mentre osservavo un punto indefinito nei petali della rosa rossa, dei primi piani con lo stesso fiore davanti al viso azionando anche il flash che avrebbe dovuto ravvivare il colore marrone dei miei occhi, qualche foto sdraiata sul divano, seduta sul tavolo della cucina e tra le lunghe tende bianche del salotto.

Quando la memory card diede segni di cedimento, non sprecammo nemmeno un minuto e ci adoperammo per scegliere gli scatti migliori.

Il sole era già tramontato da qualche minuto lasciando che il cielo, si sfumasse di un color blu acceso nell'attesa che la luna, si levasse alta nella sera con il suo esercito di stelle luminose.

Mi avvicinai a Michael dopo essermi stiracchiata le braccia e averlo visto sbadigliare, lui voltò la macchina fotografica anche verso di me e guardammo tutte le foto che avevamo scattato in un pomeriggio. Quelli iniziali non erano niente male ma qualcosa mi fece pensare che al ragazzo accanto a me, non piacessero affatto.

"Sono solo di riscaldamento..." dissi cercando di riaggiustare la sua espressione disgustata "...bisogna ancora modificarle e poi..." mi bloccai nell'osservare le mie foto.
Le ispezionai attentamente smettendo di parlare per soppesare la consapevolezza che non mi fossi mai vista sotto quella luce. Solo Dio sapeva in quale angolo sperduto del mondo avessi trovato una tale espressività, un'intensità negli occhi che, oggettivamente, non erano niente di che ma un semplice marrone spento, un color terra.
Lo scatto migliore era sicuramente quello in cui la rosa mi copriva metà viso ma le labbra, sembravano più grandi e carnose di quanto probabilmente fossero in realtà, il lievissimo strato di lentiggini era ben visibile e il colore delle iridi, schiarito in un nocciola vivo.
Mi lasciai sfuggire un piccolo verso di stupore nell'osservare quella ragazza che non avevo mai visto in vita mia, eppure ero io.

"Visto? Sei bellissima" mormorò Michael spezzando quegli attimi di silenzio. Mi voltai verso di lui e scoprii già i suoi occhi verdi puntati verso di me.

Non so quanti secondi rimanemmo completamente immobili a fissarci, mi sentii come se quel ragazzo, così fuori dal comune ma così disarmante, fosse riuscito a scoprire una parte di me di cui io stessa ignoravo l'esistenza.
Mi pietrificai con gli occhi nei suoi e le labbra semiaperte come se volessero chiedergli, da un momento all'altro, come diavolo avesse fatto.
Quando il suo viso si fece sempre più vicino al mio, immaginai di essere rimasta intrappolata nella mia mente, tra un sì, è giusto e un no, è sbagliato.

Ebbi solo il tempo di inspirare un'ultima volta prima che una sua mano, mi scivolasse dietro al collo facendomi rabbrividire al contatto del metallo freddo dei suoi anelli, le mie labbra furono incastonate dolcemente tra le sue facendo scontrare il suo respiro regolare contro le mie guance rosse e calde mentre le sue dita, mi tenevano salda a lui come se potessi scivolare via da un momento all'altro.

In quel momento non ci capii più nulla e non vidi più nulla. Le mie palpebre avevano deciso di lasciarsi andare, la mia mente di farsi cullare da quella sensazione che non avvertivo da tempo, il cuore uscii quasi dal petto, probabilmente più spaventato di me.
Infilai la mano tra i suoi capelli scarlatti scoprendo di non riuscire più a trovare il coraggio di staccarmi. Lo sentii giusto.

Fu una semplice serie di baci dolci e premurosi che non fecero presagire alcun secondo fine sebbene io, non ne fossi totalmente certa. Non ero nemmeno certa di ciò che sarebbe successo in seguito, non ero certa di quale canzone ascoltare prima di andare a dormire quella sera e non ero certa che quel ragazzo così strano e così sorprendente, sarebbe stato capace di lasciare che la fiamma che aveva acceso dentro di me, bruciasse meno pigramente di come faceva lui al mattino.

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