1. city of angels

Da bambina volevo fare la pasticciera, adoravo i cupcake e le torte al cioccolato, quelle che dopo aver dato due forchettate, passavi il piatto a tuo fratello perchè a lui piacevano i sapori forti.

Da bambina volevo fare la cantante, sono cresciuta con una playlist infinita di successi anni '80, di funky e di soul. Ancora ne ignoravo il motivo ma sapevo che la musica mi rendeva libera.

Da bambina volevo fare anche la ballerina, la scrittrice e tutti quei "non mestieri" che tutte le mie coetanee nominavano quando un adulto si abbassava alla loro altezza e faceva loro la fatidica domanda. Compiuti quindici anni invece, dopo aver passato anni e anni ad evitare quella noiosa e ripetitiva domanda, realizzai che ciò che volevo fare nella mia vita, era girare video musicali. Dovetti dibattere più volte con la gente all'affermazione "ah quindi vuoi fare la regista!", poi mi arresi rendendomi conto che neanche se avessi realizzato il mio sogno, avrebbero capito quale fosse la differenza.

Nel clou della mia adolescenza, riuscii finalmente a sentirmi parte di un gruppo. Eravamo sei ragazze equipaggiate ogni giorno per nuove avventure, con nella mente decine di città da visitare e nel cuore, il desiderio di ammirare l'ennesima alba in riva al mare. Sempre in quel periodo, ritrovai un vecchio amico sullo stile di quelli che crescono con te e poi te ne dimentichi totalmente. Forse, ci eravamo innamorati e allora abbiamo trascorso tre primavere a fare cose da innamorati e a litigare perchè non eravamo più gli stessi bambini di una volta.

Le ragazze erano, e sono tutt'ora, la mia casa.

Quando casualmente io e le ragazze cominciammo ad uscire insieme, decidemmo che avremmo dovuto sperimentare insieme tutte le nostre "prime volte". Non avevamo mai tradito quella promessa, ma ebbi il timore che, terminato il liceo, qualcuna di noi sarebbe stata costretta a farlo. Eravamo ribelli e anticonformiste, sapevamo divertirci ed essere felici, accettando senza rimorsi la consapevolezza di essere ancora delle bambine, dei fragili piedini sulla sabbia, dei cuori solitari. Ognuna di noi, era un pezzo di puzzle, una matassa aggrovigliata agli occhi degli altri, un gomitolo ordinato e coerente per noi. Tasselli diversi ma complementari.
Loro, erano quel tipo di amiche pronte a scendere le scale di casa quando ti vedono sull'uscio, sono i genitori con i quali puoi parlare di sesso e alcol, le spalle su cui piangere, il portiere che ti apre se dimentichi la chiave, il giorno di Natale. Insieme, avevamo imparato ad amare la nostra città e a saperne apprezzare ogni angolo, rendendola nostra e indiscutibilmente insostituibile.

Non avremmo mai voluto lasciare Malibu con le sue spiagge, i suoi versi di gabbiani, il suo sole e i suoi posti più segreti che conoscevamo solo noi; ma dovevamo crescere, avere successo e procurarci da sole la nostra libertà, che non era semplicemente quella di salire in macchina e guidare con la musica al massimo, non era quella di andare al mare a dicembre, non era quella di ubriacarsi e ballare fino al giorno dopo; era quella di realizzare i nostri obiettivi senza avere la necessità che qualcuno ci dicesse di non arrenderci, quella di diventare chi avevamo sempre sognato, e di esserlo per tutta la vita.

La sera prima di partire per il college, non ci sembrava vero che dalla mattina dopo, non ci saremmo più incontrate nella stessa classe ogni giorno dell'anno: niente più pomeriggi interi a studiare e a distrarci tra libri, cellulari e palate di cioccolata, niente più scleri pre compito in classe e conferenze telefoniche tra voci agitate e indispettite dai voti bassi e ingiusti presi a scuola. Ci sarebbero dovuti bastare quei giorni al mese in cui tutte saremmo tornate a casa a Malibu, nel nostro café preferito, sotto il nostro cielo preferito.

Durante il viaggio verso Los Angeles, mi convinsi realmente che quella sera, aveva tutti i requisiti per essere una delle più tristi della mia vita, trascorsa a fare foto, cantare insieme, raccontarci vecchie storie, piangere come fossimo attorno ad un falò e il giorno dopo, non ci sarebbe stato più tempo per essere sincere; pensare a quanto ci saremmo sentite incomplete l'una lontana dall'altra, a quanto ci saremmo sentite complete quando ci saremmo ricongiunte. Per anni, avevano costituito la mia famiglia, la mia casa, l'ombrello sotto il quale ripararmi se piove e mi si gonfiano i capelli, le maniche della felpa pronte ad asciugarmi gli occhi se mi cola il mascara, la sensazione di non essere patetica quando confessavo loro di essere diventate la mia vita, il mio modo di essere, tutto ciò che mi rendeva me.

Quando Alaska mi aveva detto di essersi iscritta con me all'Otis College di Los Angeles, il mio cuore aveva fatto un sospiro di sollievo e contemporaneamente, anche un salto di gioia. L'idea di partire da sola e di lasciare una volta per tutte la mia città mi terrorizzava. Una parte di me, sapeva bene che la mia fragilità mi avrebbe dato del filo da torcere, che da sola non sarei riuscita a dare il meglio di me perché avevo sempre avuto bisogno di una spinta in più. Per tutti i miei amici, ero sempre stata la piccola e insicura River, così delicata da potersi sgretolare con una folata di vento invernale.

La mia migliore amica era, invece, il contrario di me: dolcissima con chiunque le rivolgesse la parola, ma potente come un tornado, come una fitta pioggia di fine estate. Aveva sempre la battuta pronta, l'idea perfetta e la soluzione conveniente per ogni tipo di problema; mi sentivo al sicuro accanto a lei, ecco perché, il timore di partire per il college, si affievolì con la consapevolezza che mi avrebbe fatto compagnia per i prossimi anni. Suo fratello maggiore Ashton, la adorava, diceva a chiunque che sua sorella fosse la persona più forte che conoscesse, indistruttibile, come i ghiacciai dell'Alaska. Lei lo ricordava così, come un grande poeta abile nello scegliere i nomi; poi finì in un centro di cura per tossicodipendenti.

Un giorno di ottobre, partimmo per la città degli angeli. Io e Alaska, dopo aver ammassato le innumerevoli valigie nel cofano e sui sedili posteriori della mia auto, saltammo su azionando la nostra solita musica pop-punk ad accompagnarci per le poche ore di viaggio. Dai finestrini, si preannunciava già una lunga giornata soleggiata e afosa tipica del sud della California e noi due, cercavamo di scacciare il pensiero che non avremmo potuto trascorrere il nostro tempo in spiaggia ma a svuotare scatoloni con le schiene sudate e i capelli aggrovigliati da un elastico. Avremmo condiviso una camera nella residenza dell'Otis College, insieme a centinaia di ragazzi provenienti da tutta l'America, o meglio, da tutto il mondo. La nostra università era prestigiosa, uno dei migliori istituti di design della California. Alaska, aveva iniziato a frequentare i corsi di moda mentre io, quelli di design e arti visive, spesso ci incontravamo a pranzo e regolarmente al corso aggiuntivo di fotografia. Dopotutto, eravamo rimaste le inseparabili compagne di banco del liceo.

Nei primi mesi di adattamento a quella nuova realtà, Alaska mi parlava sempre di ragazzi: ragazzi biondi, bruni, alti, con le lentiggini, con i tatuaggi, che suonavano la chitarra o che andavano a surfare il sabato mattina. I suoi occhi, mi guardavano di traverso come faceva sempre quando voleva che capissi che secondo la sua opinione, sarei dovuta andare avanti, dimenticarlo; ma ogni giorno, al mio risveglio, nella mia testa c'era ancora lui, indelebile come una cicatrice, presuntuoso come un fulmine, freddo e nostalgico come la neve. Lui che per tre anni della mia adolescenza, mi aveva fatto ritornare bambina e nello stesso tempo, mi aveva fatto crescere. Poi, finimmo per non sorriderci più, per non salutarci più, passando in pochi minuti da amanti a nuovamente sconosciuti.

Los Angeles, doveva rappresentare un nuovo capitolo per me e per Alaska, così come altre città, dovevano esserlo per India, Lilith, Dixie e Freeda. Tutti sapevano che saremmo sempre tornate a Malibu ed io, sapevo che avrei sempre cercato il suo viso tra le strade affollate, in mezzo al traffico del lungomare, ai concerti dei Neighbourhood.

Dedicato a Lonely Hearts Club,
che qualsiasi cosa succeda,
qualsiasi strada prendiate,
sarete sempre parte di me.
- Fudge

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