4. 「 네 」
Come preda di un sinistro incanto, Ofelia si scoprì impossibilitata a muoversi.
Gli occhi neri del giovane brillavano come l'ossidiana colpita dai raggi del sole, ancora più evidenti per la mascherina nera che gli copriva la metà bassa del viso, mentre lei lo osservò avvicinarsi con elegante incedere. Le sopracciglia erano altrettanto scure e sottili, celate in parte dai capelli scuri e lucidi, dai cangianti riflessi blu provocati dalla luce artificiale nella pista.
Al suo sguardo, seppure allibito, pareva avere un'aria delicata, quasi angelica, ma anche terribilmente matura.
Ofelia aggrottò le sopracciglia, chiedendosi se lo avesse mai visto prima, dato che sembrasse avere un'aria familiare e ora lo vide per la prima volta da così vicino.
Le fu subito di reazione tentare di mettere in moto il cervello, adesso in tilt per colpa delle proprie emozioni, nel frattempo che il giovane percorreva il breve corridoio verso il suo sedile.
All'improvviso Ofelia udì ancora la dolce canzone di lui raggiungerla e serrò i pugni talmente forte da affondare le unghie nella carne morbida dei palmi, in un estremo bisogno di restare lucida e vigile, intanto che ogni pensiero le sfuggiva come la sabbia tra le dita.
In preda a quello sconvolgimento, il fiato iniziò a uscirle a fatica dalle labbra dischiuse.
Poi quella sensazione svanì di colpo: qualcuno le sfiorò il braccio, il tocco gentile di una amica, una carezza così leggera che quasi la commosse.
Batté le palpebre e si voltò.
Era Alice ad averla strappata a quello stato di confusione pura; l'espressione della ragazza si soffermò prima su di lei, per poi mutare da confusa a disgustata, in un semplice battito di ciglia.
Ofelia ricondusse l'attenzione allo sconosciuto, aggrottando la fronte.
Ora, anche lui aveva un'aria irritata, le sopracciglia scure come due virgole contratte sopra agli occhi magnetici, eppure non era più concentrato su di lei, bensì proprio sulla compagna di scuola ancora seduta al suo fianco.
Fu allora che Alice si sfilò il pattino e lo abbandonò sulla panchina.
«Andiamo via», disse agitata, indossando lo stivale bianco con una sveltezza micidiale.
«Come?», fece Ofelia mentre fu costretta ad alzarsi di botto dal sedile.
La ragazza non le rispose, si limitò solo a sottrarla alla pista, alla musica e al vociare loquace e festoso degli avventori.
Quando raggiunsero il sentiero, Ofelia esclamò: «Alice, ma cosa succede?».
Ancora, senza rallentare il passo, lei non la degnò di una risposta. Suo malgrado, seguitò a trainarla con forza verso l'ignoto, correndo come se avessero il diavolo stesso alle calcagna.
Furiosa e confusa, tentò di fare resistenza puntando i piedi contro il pietrisco bianco del sentiero.
«Si può sapere che ti è preso?», ritentò ansimante. «Sei impazzita?».
Finalmente Alice si fermò, le lasciò la mano e si volse. Il volto era pallido, lo sguardo lucido e il respiro affrettato.
«Ecco... tu lo...», farfugliò «lo hai visto?».
Nel notare quello stato, si accigliò.
«Cosa?».
«Quel... quel ragazzo...», riprese lei, «lo vedi, allora?».
«Certo che lo vedo!» eruppe. «Perché, scusa? Non dovrei?».
«Oh, accidenti... no, no, no», gemette, per poi deglutire forte. «Ti prego, Ofelia, dobbiamo andare al tempio, da mia nonna. Non siamo al sicuro qui!»
Ofelia inarcò un sopracciglio.
«Alice», incominciò con voce ferma «cosa c'è che non va?».
«È che... non so...», balbettò, tormentandosi le mani ed evitando il suo sguardo furibondo. «È difficile da spiegare».
Quella frase fu la goccia che fece traboccare il vaso.
«Difficile?», ripeté lei, sconvolta, urlando. «Prima mi trascini via e ora... te ne esci con questa nuova?» e le lanciò un'occhiata inceneritrice, scuotendo il capo. «Va' al diavolo, Alice. Me ne torno a casa».
Con un gesto repentino si volse, determinata a seguire i suoi intenti, ma la mano della giovane si chiuse sul suo braccio e le impedì di muoversi.
«Non devi restare sola!», la riprese con voce vibrante d'ansia. «Ti prego, devi venire con me al tempio!».
Nel scorgere la paura nella voce dell'amica, Ofelia trasse un respiro profondo.
«Per quale ragione?», la interrogò.
La ragazza accentuò la sua stretta su di lei e la scrollò con forza.
«Per favore, dobbiamo sparire da qui prima che ci raggiunga!», la pregò.
La sfumatura tesa nella sua voce, sempre allegra, la lasciò ancora più di sasso. Il panico di Alice era palpabile, così vero da raggelarle il sangue nelle vene.
Cosa poteva essere successo per ridurla in quello stato? E poi, possibile che la causa fosse quello sconosciuto?
Fece per dischiudere le labbra, facendo per domandarle di più, quando la canzone dolce di prima giunse ancora al suo udito e la stordì all'istante. Con il cuore impegnato in una corsa folle nel suo petto, deglutì e trovò il ragazzo alle sue spalle.
Era infuriato; lo comprese dalla luce pericolosa che emanavano i suoi occhi e dalla postura tesa del corpo snello.
«Fatti indietro», apostrofò Alice. «Tu non c'entri nulla».
Lei scosse il capo. «No!», urlò mentre era intenta a frugare nelle tasche del cappotto. «Non posso lasciartelo fare!».
Lo sconosciuto scosse il capo.
«Ascolta, non risolverai nulla comportandoti così», dichiarò, la voce soffocata dalla mascherina. «Fatti da parte».
Ofelia li fissò con gli occhi sbarrati.
«Per caso, vi conoscete?».
A quella domanda, il ragazzo tornò a fissarla e fu come se la sua mente si svuotò ancora d'ogni pensiero.
«Dwilo naelida, Dokkaebi! Dwilo naelida!».
Ofelia batté le palpebre, tornando al presente.
Alice aveva tirato fuori un amuleto colorato con un ciondolo, da cui dondolava una piccola campanella d'oro.
Si stupì molto di vedere la ragazza comportarsi a quel modo, e lo choc la invase con la potenza di un maglio d'acciaio.
Cosa le era preso? E cosa aveva detto?
Il suo sguardo sconvolto tornò a posarsi sul volto dello sconosciuto.
Per un istante, un breve e fuggevole momento, lui rimase immobile, limitandosi a fissare l'amuleto di Alice come se fosse sorpreso più che preoccupato.
Infine sorrise e scoppiò in una risata allegra.
«D'accordo, per questa volta mi faccio indietro», enunciò ermetico compiendo tre passi indietro.
Alice avanzò, continuando a far risuonare l'amuleto e a ripetere quelle strane parole in un tono da preghiera.
Al che lui la guardò di nuovo.
«Tornerò».
Dopo aver enunciato quella sola parola, abbozzò un inchino e se ne andò.
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