38. 「삼십팔」

Hope sentì uno strano calore colpirgli il volto.

Lentamente aprì gli occhi e, nonostante il torpore e un senso di forte vertigine, si rese conto di essere finito in una specie di sala operatoria d'ospedale.

Una lampada scialitica era puntata su di lui.

Con la vista ferita da quella luce fortissima, batté le palpebre.

Aveva un nastro adesivo sulla bocca e le braccia e le gambe erano imprigionate da enormi fasci di metallo. Provò a muoversi. Quello che non si aspettò di sentire fu il dolore e l'odore forte di sangue, il suo sangue, arrivare rapido al suo olfatto.

Con orrore si rese conto che qualcuno aveva praticato un'incisione sul suo braccio destro ed era per questo che si era svegliato, per il dolore avvertito nell'istante in cui era stato ferito.

Hope strinse gli occhi mentre una lacrima blu sfuggì, rotolò svelta il lato del suo viso, per poi raggiungere l'orecchio e bagnargli i capelli.

Poi udì dei passi e un individuo si avvicinò al campo operatorio: il primo dettaglio che notò fu l'orrenda cicatrice che gli percorreva tutto il volto, che dall'occhio sinistro arrivava al naso, per poi finire in prossimità dell'angolo destro della bocca.

All'apparenza sembrava un medico, dato il camice immacolato che indossava, ma aveva gli occhi più gelidi che lui avesse mai visto.

Incrociando lo sguardo con quello dello sconosciuto, un brivido di paura gli fece torcere le budella dello stomaco. No, pensò, non poteva essere lui...

«Ci siamo svegliati, a quanto pare, Pulgasari di Kaesong», esordì l'umano. «Immagino che ti ricordi di me, d'altronde eri presenti anche tu quando il tuo re mi ha lasciato questa».

Per rimarcare quelle parole, si sfiorò rapido la cicatrice con una mano guantata. Poi, con un gesto rapido gli rivolse le spalle e prese a rovistare su un carrello, facendo tintinnare gli strumenti adagiati su un lenzuolo verde.

Dopo vari minuti si girò ancora verso di lui: in una mano brandiva un bisturi, la cui lama scintillò sotto le luci della lampada, e nell'altra una grande siringa dal dubbio contenuto nella provetta.

«Ammetto che il regalo del tuo re, mi ha dato la forza necessaria per andare avanti», proseguì l'uomo. «Ho aspettato per anni di potervi eliminarvi dalla faccia della terra, e finalmente quel momento è arrivato».

Hope si dimenò ancora.

«Ascoltami, Foo... fu incidente!», tentò di spiegare.

Un attimo dopo l'ago gli penetrò nel braccio e lui gridò forte. Al contempo sentì qualcosa di bruciante percorrergli le vene e in pochi secondi lo stordimento calò sui suoi sensi, e diventò talmente debole da non riuscire più a muovere nemmeno un dito.

«No...» farfugliò in un debole sussurro. Stava per perdere ancora i sensi.

«Mi spiace davvero, ma se devo raccogliere campioni, è meglio che tu sia incosciente per me» disse strascicando le parole. «Il fatto che ti dimeni, mi impedisce di procedere con calma».

Le palpebre di Hope si fecero pesanti e, mentre la coscienza iniziò ad abbandonarlo, udì vago l'ultimo commento dell'uomo.

«Be', intendiamoci, c'è un'alta percentuale che tu non sopravviva alla biopsia: francamente me ne infischio».

* * *

Il re dell'Oltretomba emise un sospiro, poi contrasse le scapole. Era un gesto che spesso compieva sovrappensiero, quando era talmente nervoso da sentire su di sé il peso enorme affidatogli dal primo giorno in cui era stato generato.

Con un gesto rapido fece scattare le complicate serrature della porta antica e, prima di poggiare le mani su quelle ante e aprirle, si accertò che non fosse stato seguito.

Superata la soglia, attraversò i fatiscenti cunicoli del suo regno, il cappuccio ben calato sul capo, inserendosi nel via vai generale di spiriti e creature d'ogni genere e forma. 

Non desiderava essere riconosciuto; aveva poco tempo e doveva fare in fretta.

Giunto nelle prossimità del suo palazzo, non passò dall'entrata principale, bensì dal retro. 

Lì, in mezzo alle erbacce e all'oscurità, una porta segreta gli sbarrò la strada. Tirò gli anelli di ferro incastonati e fece appello a una buona dose della sua forza inumana per dischiudere anche quell'apertura. Nessun umano o creatura soprannaturale era in grado di riuscire in tale impresa, tranne lui... e i Si Ling, ovviamente.

Scivolò nel passaggio e risalì la ripida scala di ferro a forma di spirale.

Ogni suo passo riecheggiò nel silenzio mentre scese e scese sempre più, nel più buio e freddo dell'Oltretomba.

Arrivato a un ingresso intarsiato che raffigurava una gloriosa tigre bianca, la superò sforzandosi di non guardare nemmeno una volta in quella direzione, altrimenti sarebbe crollato e, al momento, non poteva proprio permetterselo.

Proseguì.

Dopo un paio di metri, si recò in una stanza dalla porta piccola, insignificante e dalla maniglia in rame. Una volta oltrepassata la piccola soglia, fermandosi dinanzi a una postazione zeppa di documenti, si tolse il cappuccio per lasciarsi riconoscere.

Il vecchio Custode, una bestia canina dal corpo in fiamme, chiamata Bulgae, si alzò per accoglierlo.

«Sua Maestà, è un vero onore avervi qui», disse la creatura con voce gutturale, inchinandosi. «Cosa può il vostro umile servitore per voi?».

«Cerco uno scrigno di un Persona», rispose, senza battere ciglio davanti a quel salamelecco. «Ofelia Ceva».

Si udì un trambusto provenire alle loro spalle.

Il re si volse e vide la nuova apprendista del Custode, gli occhi talmente chiari da sembrare specchi d'argento, un visetto a forma di cuore pallido come la luna d'autunno e un paio di corna rosse come il corallo sbucavano tra i capelli lunghi e biondi come il grano pronto a essere mietuto.

Lui riconobbe subito quella novella creatura: era Elisabetta Verzì, Lisa, ed era come il giorno in cui era morta, ancora troppo attaccata alla vita che l'aveva abbandonata e ancora combattuta per quella sua nuova natura, ormai legata in modo dissolubile alla morte stessa.

Nel momento in cui aveva appreso che Lisa fosse diventata un Qilin, una creatura simbolo di buon auspicio e che nasceva ogni cento anni da un'anima umana scomparsa ingiustamente, venerato alla pari dell'ormai scomparso Si Ling dell'Ovest, si era precipitato nell'Oltretomba di gran carriera. 

Nel recarsi, poi, aveva incrociato l'anima di Ofelia Ceva fuggire... e Lisa lo aveva afferrato per le spalle, impedendogli di inseguirla. 

Il re scosse il capo e la guardò con aria di accusa, perché alla sua vista la rabbia più vivida gli ottenebrava il giudizio. E così l'aveva affidata allo scorbutico Custode degli scrigni dei Persona, per punirla dell'azione nefasta che aveva compiuto: avrebbe imparato a caro prezzo cosa significasse mettersi contro di lui. 

«Ofelia», la udì sussurrare. «Le è successo qualcosa?».

Lui si limitò a fissarla, le labbra così strette da sembrare marmo.

A spezzare quel contatto visivo ci pensò il Custode.

«Cosa stai facendo?», eruppe Bulgae, raggiungendola e spingendola in direzione di una postazione vicina a un carrello colmo di pergamene. «Come osi rivolgerti in tale modo al nostro sovrano?».

«Ma io...», protestò lei.

«Pazza!», proseguì la Bestia. «Rimettiti al lavoro e ringrazia che ho deciso di prenderti qui a lavorare con me!».

La Qilin sparì alla sua vista.

Poco dopo il Custode tornò da lui.

«Mi rincresce molto, Sua Maestà».

Il re alzò una mano, cercando di fargli comprendere che non importava, e gli comunicò che avrebbe cercato da solo quello che gli serviva. Detto ciò si incamminò tra gli scaffali in fondo, gli scrigni sigillati di tutti i Persona esistenti e attivi nel mondo, suddivisi per iniziale e Stato di residenza.

Cercando, fece scorrere le dita su quei polverosi ripiani, alla ricerca di uno in particolare, l'unico con il nome di Kei tracciato sopra e indicato come Guardiano.

Quando lo trovò, esitò. Non gli era mai accaduto, una prima volta anche per lui.

La sua mente rievocò ancora ciò che aveva visto un giorno fa, e il dolore gli trafisse il cuore come una lama incandescente. Ora come ora non gli importava se lo avrebbe deluso, era già deluso di se stesso per essere stato così ottuso e di non avere colto i segni quando era il momento.

Kei non poteva più essere il Guardiano di quella Persona, lui se ne sarebbe sincerato.

Con un rapido movimento  strappò il talismano con il nome del Doakkebi dallo scrigno.

Poi strinse quell'amuleto di carta nella mano, usò la magia e lasciò che bruciasse tra le sue mani fino a ridursi in cenere. 

Poi aprì lo scrigno: nel momento in cui scostò il coperchio, l'ultima conferma ai suoi sospetti lo colpì con la forza di un'onda che si infrangeva contro le sponde rocciose della terraferma. Al che i suoi occhi si illuminarono di una luce dorata e la terra, sotto i suoi piedi, prese a oscillare. 

La verità era palese sotto il suo sguardo, ormai. E non poteva più negarla, nemmeno a se stesso. 

Era giunto il momento di agire. 

* * *

Qilin (pronuncia: Qílín)

Creatura della mitologia coreana, è frequentemente associata al punto cardinale dell'Ovest, al posto della tigre Bianca, ed è simile a una chimera con un corno in testa. 

È perlopiù considerato innocuo e la sua apparizione si dice essere presagio della prossima nascita di un re virtuoso o di un uomo saggio, mentre la sua morte o il ritrovamento del suo cadavere sono forieri di malaugurio. Può vivere fino a mille anni. È spesso rappresentato con il corpo completamente circondato da fiamme. 


Bulgae (pronuncia: Bul-gae)

Bestie canine del regno delle tenebre, dal corpo in fiamme, che inseguono continuamente il sole e la luna, provocando così le eclissi quando vi riescono. Il loro nome significa letteralmente "cane di fuoco". 

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