Capitolo 9

Le palpebre abbassate, dormienti, e gli occhi che si muovevano veloci da destra a sinistra, mentre i rami tornavano a frusciarle addosso e le tiravano la gonna in pose scomposte. Ancora una volta, sola e persa nella Foresta Nera, distante dalla strada battuta, dal Breg.

Raggiunta una radura, sollevò il viso verso l'alto e schiuse le labbra, rabbrividì. Un fremito improvviso, che parve ridestarla, che la spinse a mormorare: «Dove sono?». La voce impastata, la gola secca. Si massaggiò il collo, spronò lo sguardo tutt'attorno a sé e si strinse nelle spalle, si frizionò le mani contro gli avambracci.

«Siete tornata da me, Cibele» mormorò una voce alle sue spalle.

Lei sobbalzò, per poco non emise un urlo e si voltò di scatto, osservando il volto pallido come la luna che aveva appena aperto bocca. Deglutì a vuoto, infine disse: «Vi sbagliate, il mio nome è un altro».

Lui sollevò un angolo delle labbra, mostrando i denti di perla. «No, non mi sbaglio.» Con quelle parole, le fece aggrottare le sopracciglia e la vide ritrarsi di un paio di passi.

Fu allora che Dietricha ricordò il volto contratto di sua madre e il nome dell'uomo che aveva ordinato l'esecuzione di suo padre. «Chi siete?» domandò.

«La stessa persona che vi ha permesso di tornare in vita, Cibele.»

«Rasputin» azzardò in un sussurro.

Sentendosi chiamare, chinò appena il capo. «Lieto che vi ricordiate di me, nonostante tutto» mormorò.

Lei tremò sul posto e sgranò gli occhi, sentendosi attraversare da un lungo brivido di rabbia. Le narici larghe, il respiro che pareva mancarle nel petto e i polmoni gonfi, troppo pieni, che le facevano girare la testa. «Siete un pazzo, un assassino. Avete ucciso mio padre, lo avete mandato alla forca» sibilò, fulminandolo.

Ridacchiò. «Cielo, non avrei voluto. Sono stato costretto, mi ha accusato pubblicamente.» Si strinse nelle spalle e inclinò appena la testa da un lato.

La sua fronte ebbe un fremito. «Pagherete per questo» scandì.

«In che modo? Volete punirmi voi?» Mosse un passo nella sua direzione e la vide retrocedere ancora. «Oppure volete accusarmi come ha fatto vostro padre?»

Dietricha restrinse lo sguardo e serrò i denti. Non una parola, non un fiato, solo il suono del suo battito cardiaco che prendeva ad accelerare e che faceva eco alle risate di Rasputin.

«Siete adorabile» disse, puntandole un dito contro. «Vi ho appena detto che sono l'uomo che vi ha riportata in vita, eppure voi ve ne state lì, immobile, a guardarmi come se niente fosse e a pensare a quel mucchio d'ossa di vostro padre.» Si nascose il viso con una mano, sospirò e spostò appena le dita per continuare a osservarla. «Mi divertite, Cibele.»

«Voi...» iniziò a dire, ma poi si fermò subito, mordendosi la lingua.

E lui la raggiunse, le si fermò di fronte per parlarle a un palmo dal naso: «Ditelo, avanti. Vi faccio paura, non è vero? Vi facevo paura anche prima che moriste.»

«Mi disgustate.»

Rise di nuovo e scosse la testa. «Sì, mi divertite davvero» mormorò tra sé e sé, prima che uno schiaffo lo colpisse in pieno viso. Chiuse gli occhi, li riaprì lentamente, infine sorrise e l'afferrò per un polso. Raggiunse il suo orecchio e mormorò: «Non voglio farvi del male, non più. Adesso siete perfetta, siete proprio ciò che desidero, siete Cibele».

«Il mio nome è Dietricha» sibilò, puntandogli una mano sul petto per allontanarlo. Lo sguardo di fuoco e la rabbia che le montava dentro. «Il vostro, invece, è quello di un uomo morto, ve lo assicuro.»

«Non fate promesse che non potete mantenere.»

«Chi vi dice che non le manterrò?»

Una mezzaluna dipinta sul volto, sussurrò: «Lo dico io, perché sono immortale».

Sgranò gli occhi e corrugò la fronte, trattenendo le parole in fondo alla gola, dietro il pesante macigno che pareva essersi posizionato lì per farla respirare a fatica. Allora socchiuse le labbra, tremò appena, si lasciò andare a una debole esclamazione e biascicò un: «Ridicolo». Gli occhi fissi nei suoi, continuò a fissarlo e cercò l'ombra della menzogna senza riuscire a scorgerla. Poi sentì la sua presa farsi più rigida e mugolò, restrinse lo sguardo, ritirò la testa nelle spalle. «Cosa volete da me?» balbettò crucciata.

«Collaborazione» disse. Si avvicinò alla sua mano, al palmo contratto che spuntava da sotto le dita chiuse in un pugno malfermo, e lo baciò. Lo toccò appena, ritraendosi subito dopo per lanciarle un'occhiata furtiva, di sguincio, e ignorò il suo disgusto. «Se seguirete le mie indicazioni alla lettera, mi mostrerò misericordioso con voi; se non lo farete, sarò costretto a farvi obbedire con la forza.»

«Che tipo di collaborazione pretendete da me?»

«Questo, adesso, non è necessario che lo sappiate.»

Cercò di liberarsi, ma riuscì soltanto ad abbassare la mano, prima di scandire: «La mia risposta è comunque "no"». E gli vide assumere un'espressione dura, infastidita, quasi meditabonda. Sentì il proprio cuore battere veloce, l'adrenalina incalzare, fischiare nelle orecchie fino farle girare la testa, mentre diceva: «Per un uomo come voi, per qualcuno che gioca con la vita delle persone solo perché si dice immortale, per chi ha voluto che mio padre finisse sulla forca, la mia risposta sarà sempre e solo "no"».

Così lui storse le labbra, arricciò perfino il naso e abbandonò la presa. Gli occhi ridotti a due fessure terse, sputò: «La vostra indole è cambiata, Cibele».

«Pensate che una persona possa essere incline ad assecondare i vostri desideri in una condizione come questa?» chiese, massaggiandosi il polso. «Siete un illuso, un folle, proprio come mormorano tutti e come credeva mio padre.»

«Voi parlate, per di più m'insultate, e lo fate anche grazie a una testa che vi ho donato io; non Dio e non vostra madre o vostro padre. Dovreste ringraziarmi, buttarvi in terra e baciarmi i piedi. Eppure non lo fate, non vi rendete conto di quanto quella testa sia importante e diversa da quella che avevate un tempo.»

«Cosa volete dire?» balbettò.

«Che un tempo mi avreste già seguito senza battere ciglio e che per questo non sareste stata Cibele fino al momento della vostra rinascita.» Vide il fremito delle sue sopracciglia, così continuò, disse: «È per questo che siete morta, perché avete già iniziato a collaborare con me».

Dietricha scosse la testa con veemenza. Gli occhi spalancati, si sentì attraversare da un lungo brivido e percepì la pelle accapponarsi. «Non è possibile, state mentendo» gemette. «Non avrei mai potuto accettare di fare una cosa simile.»

«Lo avete fatto, invece.» La sua voce le echeggiò nelle orecchie, mentre gli dava le spalle e iniziava a correre tra gli alberi.

Note:

Salve a tutti.

Se siete arrivati fin qui, resistendo alla tentazione di farmi la classica la classica domanda sul problema cronologico che divide "Mandragora" da Rasputin, spero che abbiate capito da soli la risposta che ho cercato di dare nel mio universo fantasy. In caso contrario, semplicemente, è un immortale che arriverà a vivere la sua vita fino al Novecento e sul quale potrei anche scrivere un eventuale spin-off in chiave fantasy - oh, quanto mi piace la figura che ho delineato in questa storia!

Insomma, dovrebbero essersi già notati nella punizione a Gabi i rimandi alla molto futura setta dei Chrysty, stessa cosa al discorso di Cibele. No? Beh, non siete costretti a conoscere la figura di Cibele, perché io stessa ho studiato il discorso di questa Dea solo per "Mandragora", perciò potete benissimo godervi l'intreccio e le note future.

A ogni modo, Cibele è la divinità anatolica della terra e della fertilità. Simboleggia la forza creatrice e distruttrice della natura.

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciatemi un commento o una stellina di supporto.

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