Capitolo 40
Damian si era lasciato alle spalle quella che credeva essere la fine del tormento di Donaueschingen, ma non aveva idea di come Rasputin avrebbe potuto reagire, né desiderava scoprirlo. La gonna grezza che batteva freneticamente sulle sue gambe e il petto agitato, che si alzava e abbassava, che seguiva il ritmo di ogni respiro strozzato.
Mentre correva lungo le scale del castello, ripensava agli anni trascorsi tra quelle mura e aveva come l'impressione di sentire la voce di suo padre che, levandosi, lo chiamava per nome. Allora, rabbrividendo, serrava la presa sull'elsa e pregava di non dover togliere la vita a nessuno, perché lui lo sapeva: tutti quegli uomini erano lì per caso; minatori di Münster, finti soldati che avevano seguito l'usurpatore d'argento.
Tuttavia, non era per loro che si sarebbe fermato.
E quando due sentinelle lo puntarono, quando sguainarono le spade per arrestarne l'avanzata, lui non si fece alcuna remore ad attaccare.
Come quel giorno di fronte al cancello, chiuse gli occhi per un istante e prese un lungo respiro. Poi li riaprì, sollevò il braccio che impugnava l'arma e, facendola scintillare nel riverbero mattutino, arricciò il naso. Non una parola, non un fiato. Andò loro incontro e fece roteare la lama in aria, tagliando le gole di entrambi.
Quelli caddero in terra. Le dita premute sulle ferite, le mani sporche di sangue, mentre la carotide, recisa, lanciava schizzi vermigli sulle pareti.
Delle urla gli arrivarono alle orecchie, ma Damian le ignorò e scese verso le segrete, continuando a mietere una vittima dopo l'altra. La radice di mandragora che pulsava forte, che sembrava un cuore perfetto al di là dello sterno, e le palpebre sollevate all'inverosimile. Smise di pensare e poi, nell'oscurità dell'ultimo gradino delle prigioni, si rese conto di essere a pochi passi da Erdmann e Adalric. Così annaspò. Una mano posata conto il muro e l'altra ben stretta sull'elsa, osservò il corpo della guardia uccisa e sentì la fronte sudata farsi bollente.
«Cosa sta succedendo?» urlò Adalric dalla sua cella, riuscendo a far vibrare la voce dopo Dore di assoluto silenzio.
A quelle parole, Damian parve come riscuotersi. Tremò, deglutì e poi, tergendosi il viso con un avambraccio, raggiunse il cadavere per cercare le chiavi. «Sono io» balbettò. «Sono venuto a farvi uscire di qui.»
«Damian?» Erdman quasi boccheggio. Batté una spalla sulla porta della sua cella e si spinse con il il viso contro la piccola grata. «Sei davvero tu?» domandò incerto, aggrottando le sopracciglia.
Lui non rispose, certo che i demoni avessero ricominciato a tormentarlo durante la sua assenza. Serrò i denti, si morse perfino il labbro e, trovate le chiavi, avanzò deciso verso la sua cella. Poi, vedendo il suo volto stravolto, annuì nella speranza di essere creduto. «Sono io» disse piano. Gli parve che stesse sull'orlo di un pianto disperato, così chinò lo sguardo e iniziò ad armeggiare con la serratura.
«Ti sei liberato di Rasputin?» azzardò Adalric. «Come hai fatto?»
Poi fu il turno di Erdmann; lo guardò crucciato, storse perfino le labbra in una smorfia indecisa e blaterò qualcosa come: «Nella Valle dello Schwarza sembrava che ti fossi arreso, che avessi deciso di consegnarti».
«Un trucco» mormorò. «Era necessario che mi avvicinassi a lui, altrimenti non avrei potuto raggiungere l'usurpatore d'argento.»
«Cosa c'entra lui in tutto questo?»
«È morto» disse. Riuscì a trovare la chiave giusta e, dopo averla girata nella serratura, spalancò la porta della cella. Non aggiunse altro e si affannò verso quella di Adalric, ripetendo lo stesso procedimento.
«Hai ucciso quel vile?»
A quella domanda, Damian annuì in silenzio. Poi, dopo qualche attimo d'esitazione, sussurrò: «Cibele, è stata lei a dirmi che sarebbe stato l'unico modo per liberarsi di Rasputin».
«E ha funzionato?» incalzò poco convinto, sentendo il rumore della serratura che si apriva dinanzi a lui.
«Credo di sì, ma non posso esserne certo. Io sono fuggito, ho fatto il possibile per correre da voi, per liberarvi.» Si strinse nelle spalle, immaginando che di lì a poco sarebbero sopraggiunte le altre guardie. Così si guardò indietro, indurì i muscoli del viso. Le sopracciglia aggrottate e gli occhi sgranati, rimase in attesa per qualche istante e poi spinse Adalric a voltarsi, lo liberò delle catene. «Dobbiamo andarcene alla svelta» disse, raggiungendo Erdmann e facendo lo stesso con lui. «Vi precedo. Voi seguitemi, sono armato» stabilì, muovendosi verso le scale.
E fu allora che dei passi lo immobilizzarono, che lo spinsero a retrocedere lungo il corridoio oscuro.
Adalric gli si avvicinò, perfino Erdmann cercò di pararsi di fronte a lui e ottenne un'occhiata di tralice.
«Stai indietro, fratello» sussurrò Damian. «Ho una spada, sono l'unico in grado di poter combattere.»
Lui fece per rispondere, socchiuse perfino la bocca, ma quando vide August posare un palmo contro il muro e inclinare il capo per guardare nella loro direzione, corrugò la fronte e trasalì confuso. «Avevi detto di averlo ucciso» balbettò.
Damian spalancò gli occhi, impallidì. Per un attimo ebbe come la sensazione di poter svenire e barcollò indietro, finendo addosso ad Adalric, che lo sorresse con la mano illesa. «Non può essere» biascicò. Fissò i suoi vestiti sporchi di sangue, poi lo sguardo d'onice. Deglutì a vuoto, terrorizzato, come di fronte a un morto appena risorto.
Il sorriso serafico, appena macchiato di rosso, disse: «Cibele, mi avete ferito profondamente».
E a quel punto, chiunque, in quell'angusto corridoio senza luce, capì di non avere di fronte l'usurpatore d'argento, bensì Rasputin.
Adalric mancò un battito, tentò di allontanare Damian da lui e digrignò i denti come un animale in gabbia. «Folle» lo apostrofò. «Siete solo questo se credete di potervi avvicinare a lui fintanto che avrò vita.»
Rasputin ridacchiò, superò il corpo della guardia e gesticolò appena, mormorando un: «È presto risolto, basterà uccidervi per primo».
Nelle orecchie di Damian echeggiarono le parole della vera Cibele e si fusero a quelle di Rasputin, mentre un brivido gli attraversava la schiena di fronte all'incubo dell'eterna fuga.
Lasciò che il tempo corresse a ritroso e si soffermasse sui giorni felici, quelli in cui sguainava la spada solo per divertimento e combatteva nei giardini assieme a Erdmann e Adalric.
Poi si voltò verso di lui. Le palpebre appena socchiuse, si sollevò sulle punte e cercò le sue labbra per baciarlo dopo tanto tempo. Non di nascosto, non alle spalle di suo fratello. Sentì le lacrime agli occhi, le percepì calde lungo le guance e poi si ritirò in un tremito.
Nelle orecchie, la domanda di Rasputin: «Questo cosa significa, Cibele?».
«Che il gioco è finito» sussurrò. Il respiro corto, lanciò un'occhiata a Erdmann e accennò un sorriso tirato. Infine, sollevando la spada, l'afferrò stretta a metà della sua lunghezza e, ferendosi i palmi, la fece penetrare a fatica nel petto, laddove pulsava la radice di mandragora.
Sentì un urlo nella testa, le vene gelarsi e irrigidirsi, come piene di una strana sostanza che non sapeva ben definire. Una seconda morte, la più dolorosa, che lo fece cadere bocconi in terra.
Adalric sgranò gli occhi, boccheggiò e chiamò il suo nome. Si chinò in terra, afferrò le sue spalle e cercò di scuoterlo invano, mentre Erdmann, immobile, riviveva il giorno dell'esecuzione.
Rasputin ringhiò un: «No!». Si mosse svelto nella loro direzione e tenne lo sguardo fisso su Damian. Per un attimo pregò che la sua anima non avesse abbandonato quel corpo, ma nulla faceva presagire il contrario; le pupille vitree, bianche, e la mandragora che aveva già preso a nutrirsi dei vasi sanguigni, che lentamente si aggrovigliava come un rampicante lungo la spada. «Quanta fatica inutile!» Si lamentò a gran voce. I denti esposti, si aggrappò all'elsa e, sotto lo sguardo sconvolto di Erdmann, ritirò la lama per gettare la spada in terra.
Adalric lo fissò sconvolto. Le labbra schiuse, il viso pallido e rigato dal pianto che gli scuoteva le spalle. Scattò verso l'elsa, intenzionato ad attaccarlo, a vendicare Damian, ma non appena la raggiunse si sentì chiamare da Erdmann con un:
«Fermati, Adalric».
Tremò sul posto e sollevò la testa. Poi, voltandosi, si rese conto che lui era sparito nel nulla.
Note:
Salve a tutti.
Anche questa storia è giunta al termine. Mi auguro che sia stata una piacevole compagnia, che vi abbia appassionato o che un po' vi sia piaciuta, perché ammetto che io mi sono divertita a scriverla. Il primo fantasy della mia vita, il primo che inizio e che porto a termine; complimenti a me.
Ho adorato tutti i miei personaggi, dal primo all'ultimo, e spero che anche a voi siano piaciuti.
Cosa ne dite di questo ultimo capitolo? Vi aspettavate che fossi tanto cattiva da sacrificare Damian? Non avrei voluto, ma l'insistenza di Rasputin doveva in qualche modo concludersi. Che dire, Damian non era tipo da poter cedere, né da convertirsi al male supremo, perciò questa era la sola e unica via - e poi non dite che non vi avevo avvisato, trama docet!
Lasciatemi un commento, inveitemi contro, fate ciò che volete, ma io aspetto un vostro resoconto. E ricordate la stellina di supporto, che a me fa tanto piacere.
Grazie di essere arrivati fin qui.
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