Capitolo 35
Dopo giorni di cammino, la Valle dello Schwarza non sembrava più un miraggio; al contrario, avendola proprio lì, a pochi passi di distanza, mentre la guardavano dall'alto del pendio, riusciva quasi a farli fremere sul posto. Ma il terrore di non trovare Dietricha, di non sapere dove fosse, era una morsa che attanagliava lo stomaco di entrambi e che paralizzava le gambe di Adalric.
Si sentiva impotente, con un grosso peso sulle spalle, come se fosse il solo a dover fare qualcosa per riscattarsi dopo quanto accaduto il giorno della sua esecuzione. E poi continuava a pensare al discorso di Erdmann, a quelle parole che non aveva più tirato in ballo e che, ne era certo, avrebbe potuto scomodamente da un momento all'altro. Perciò stentava a guardarlo, spingeva gli occhi lontano, spesso sulla strada e perfino sul corso d'acqua, come un quel momento, nella speranza che non accadesse.
«Spero che la smetterai, prima o poi, d'ignorarmi» sospirò alle sue spalle.
Lui batté le palpebre, si allontanò dal pendio e deglutì, rendendosi conto di quanto si fosse sporto. «Non so di cosa tu stia parlando» rispose alla svelta. Accennò un sorriso vago, poi gli fece cenno per essere seguito e individuò una strada per scendere verso lo Schwarza.
Erdmann corrugò la fronte in un moto d'irritazione e gli fu subito dietro. La voce bassa, disse: «Pensi che non lo abbia capito? Ci conosciamo da anni, da una vita, e per me sei come un fratello».
«A cosa ti riferisci?» chiese, sollevando la voce.
«Al tuo legame con Damian.»
S'irrigidì, sentì la terra sdrucciolare sotto la suola degli stivali e per un attimo pensò di poter cadere giù. Poi, però, mantenne l'equilibrio e, con gli occhi fuori dalle orbite, serrò le labbra. Inspirò a fondo, cercò di mantenere la calma e si lasciò andare a una risatina bassa, gutturale. «Cosa stai dicendo, Erdmann?»
«Sai bene cosa sto dicendo» rispose spicciolo. Lo raggiunse con un paio di passi e lo afferrò per una spalla, spingendolo a voltarsi. Occhi negli occhi con lui, scandì: «Non me ne importa un accidente, chiaro?». Gli vide sollevare le palpebre, poi le sopracciglia, e fu certo che le sue labbra avessero avuto un leggero fremito, prima di muoversi per dire:
«Stai scherzando, vero? Io e Damian siamo solo amici, proprio come me e te. Siamo cresciuti insieme, lo hai detto tu stesso, è normale che gli sia affezionato, che lo consideri un fratello...»
Le sue parole vennero frenate da un'imprecazione strozzata, poi dal grugnito che ne seguì: «Detesto le bugie, Adalric, e detesto ancora di più quando a dirmele sei tu».
Serrò i denti, smise perfino di fingere di essere divertito e si lasciò attraversare da un lungo brivido. Non rispose, distolse semplicemente lo sguardo e lasciò che a parlare fosse il leggero alone rosso sulle sue guance.
«Avresti potuto dirmelo» incalzò Erdmann, guardandolo di sbieco. «Perché non lo hai fatto?»
«Dobbiamo parlarne adesso?» sbottò, guardandosi attorno. «Qui, mentre scendiamo verso la Valle dello Schwarza?» Si scostò dalla sua presa, poi riprese a scivolare verso il basso, lungo la stradina piena di alberi che cadeva in picchiata.
Erdmann storse la bocca in una smorfia contrariata e poi, punto appena nell'orgoglio, gli corse dietro, sollevò la voce, iniziò a gridare: «Era mio fratello, per Dio!».
Adalric sbiancò, si guardò alle spalle e batté le palpebre. Le labbra appena socchiuse, osservò il volto contratto di Erdmann e non riuscì a fiatare.
«Come diavolo ti è venuto in mente?» continuò, sputò. Cercò la spada all'altezza della cintura e ringhiò, rendendosi subito conto di non averla.
«Calmati» balbettò. Lo vide capitolare nella sua direzione e subito tentò di spostarsi.
Le foglie umide e scivolose, però, non aiutarono nessuno dei due e li spronarono verso il basso della ripida discesa, verso lo Schwarza.
Adalric mancò la presa sul tronco dell'albero che aveva tentato di raggiungere, mentre Erdmann, nero in volto, gli finì addosso e sbuffò, grugnì, disse:
«Ti ammazzerei, se solo potessi».
«Addirittura? Hai detto che per te non c'era alcun problema, che non te ne sarebbe importato un accidente» si lamentò, cadendo in terra e battendo un fianco.
«Se ad avere quelle inclinazioni fossi solo tu, ovvio. Ma il fatto che mio fratello sia stato traviato e sia finito a fare chissà cosa...» Si bloccò, non riuscì a dire altro, guardandolo dritto negli occhi. I denti esposti, si artigliò al terreno e afferrò una manciata di foglie secche. «Questo non mi va giù, Adalric» scandì. «Mi hai mentito, anzi, mi avete mentito, per anni. Quanti?»
Lui non rispose. Aggrappato malamente a una radice esposta, tentò di non scivolare oltre e prese a respirare con affanno. Cercò di ricapitolare la situazione, ma non riuscì neppure a pensare. Balbettò solo un: «Non lo so».
Allora Erdmann gli lanciò contro le foglie, gli vide chiudere gli occhi e, rabbioso, provò a tirarsi in piedi. Scivolò ancora un po', così, furioso, iniziò a correre e prese velocità fino a raggiungere la Valle.
Adalric lo guardò da lontano, con il cuore ancora in gola, e si sentì in colpa, inadeguato, mentre i brividi gli percorrevano le braccia. Gli occhi umidi di lacrime, provò quasi l'impulso di restare a distanza, di non tormentarlo o disturbarlo oltre; tuttavia, non appena si accorse delle gocce d'acqua che si sollevavano dallo Schwarza per risalire verso l'alto, spalancò la bocca e gridò: «Attento!».
A quel suono, Erdmann aggrottò subito le sopracciglia. Sollevò istintivamente il viso verso la discesa e vide Adalric affannarsi per raggiungerlo. Non seppe spiegarsi quale fosse la ragione, ma sentì come la rabbia sparire lentamente, affievolirsi. Mosse appena le labbra, sussurrò un: «Ma cosa sta facendo?». Poi, vedendogli sollevare il braccio, si voltò di scatto e lo vide, raggelò.
Sulle rive del fiume, proprio come quel giorno al centro del Titisee, lo Spirito Impuro fluttuava a pochi centimetri dall'acqua. Un sorriso mefistofelico dipinto in volto, lo sguardo scuro e assente. Disse: «C'incontriamo di nuovo, Erdmann von Fürstenberg».
Per la seconda volta, cercò l'elsa della spada e andò a vuoto. Digrignò i denti, mosse un passo indietro. Gli occhi fissi su di lui, si sentì dire:
«Anche se fossi armato, ti assicuro che qualunque attacco nei miei riguardi sarebbe inutile».
«Cosa vuoi da me?» chiese in un sussurro.
«Da voi» lo corresse, spostando appena lo sguardo verso la discesa. Allargò il sorriso, si mostrò quasi divertito e mise piede in terra, avvallando la terra umida. «Entrambi, ovviamente.»
«Cosa vuoi da noi?» riformulò, cercando di mostrarsi più deciso.
«Condurvi da Re. Niente di più, niente di meno. Non ho intenzione di uccidervi, perciò non costringetemi a farlo e non mostratevi troppo ostili nei miei confronti come la scorsa volta.»
Sentendo quelle parole, il volto di Erdmann s'incupì. Per un attimo pensò di resistergli, ma poi, lanciando un'occhiata veloce ad Adalric e vedendolo correre nella sua direzione, si affrettò a mormorare: «Se mi consegnassi spontaneamente cambierebbe qualcosa? Io sono il Principe von Fürstenberg, l'unico uomo che l'usurpatore vuole uccidere. Il mio amico non c'entra niente, lui non serve a nulla e non ha motivo di essere condannato». Subito sentì Gabi schioccare la lingua sul palato e lo vide muoversi nella sua direzione.
Gli occhi fissi, la bocca storta con disprezzo. Disse: «Non cambierebbe nulla, perché lui si è infiltrato nel castello e ti ha aiutato a fuggire dalle segrete. Ha ucciso degli uomini, von Fürstenberg, e il Re cerca un colpevole, vuole un colpevole, esige un colpevole. Il Maestro non permetterà mai che la sua cara Cibele finisca prigioniera, meno che mai impiccata o con la testa sul ceppo. No, lei è troppo importante».
«Un capro espiatorio.»
Annuì, poi abbassò di poco le palpebre e si voltò rabbioso nella direzione di Adalric, intercettando il suo movimento impacciato con le pergamene. Corse verso di lui, mosse un paio di passi e poi, diventando ombra, gli apparve dinanzi. Le dita strette attorno al suo polso, scandì: «Tu, piccolo uomo, non lo farai di nuovo». Arricciò il naso, rinserrò la presa e udì presto il crepitio delle ossa.
Gemette, gridò, mancò la presa e vide le pergamene cadere in terra. Gli occhi sgranati, boccheggiò e fissò Gabi, mentre il cuore gli schizzava nel petto. «Maledetto» sputò.
Lui emise un debole mugolio, poi sospirò e lo lasciò andare. Si piegò in terra, raccolse le trascrizioni e le strappò con un gesto secco. «Sei solo una piattola, proprio come ha detto il Maestro Rasputin» borbottò a denti stretti. «Avrei dovuto farti fuori quel giorno, quando sei entrato in casa sua per mettere mano ai grimori.»
Erdmann si affannò in quella direzione, cercò di raggiungerli, ma pochi passi dopo si sentì afferrare per un braccio e trasalì. Le pulsazioni veloci, il petto che minacciava di spaccarsi. Indugiò con lo sguardo sulla schiena di Gabi e pregò per la sorte di Adalric, prima di girarsi. Poi, quando lo fece, trattenne un'imprecazione in fondo alla gola e deglutì.
«Non credevo che poteste essere ancora tanto lucido, Principe, non dopo tutti i mormorii dei demoni che vi ho regalato» mormorò Rasputin, il sorriso di perla ben in mostra. «Mi avete sorpreso, dico davvero. Siete stato forte, forse anche troppo per i miei gusti. Ma adesso basta, deponete le vostre armi invisibili e arrendetevi.»
«Perché mai dovrei arrendermi?» ringhiò.
«Perché Cibele non è qui a proteggervi e perché i demoni continueranno a seguirvi ovunque andrete.» Sollevò la mano libera, si toccò dietro il collo e schiuse le labbra per dire: «Non lo ricordate più? Ha già smesso di bruciare?»
Erdmann sgranò gli occhi, si portò le dita dietro la nuca e si carezzò la pelle che, da giorni, lo infastidiva con un atroce pizzicore. «Siete un mostro» sputò. «Cosa mi avete fatto?»
«Vi ho soltanto reso un magnete naturale, un magnete capace di attirare le creature infernali» rispose piano. «E posso liberarvi, ovviamente.» Gli vide allargare lo sguardo, sollevare perfino le sopracciglia in un moto di sorpresa e così, spingendosi in avanti, lo raggiunse a un palmo dal naso. «Dovete soltanto volerlo, soltanto chiedermelo, e io lo farò: vi libererò di questo supplizio fino alla fine dei vostri giorni.»
«Cosa pretendete in cambio?»
«Voglio sapere dov'è Cibele.»
«Allora potete benissimo consegnarmi al Re in queste condizioni, perché non ho alcuna intenzione di dirvelo» sibilò.
Rasputin digrignò i denti, lo strattonò a sé con rabbia e fu certo che avrebbe potuto trovare un modo per scucirgli la verità di bocca; magari con le minacce, magari con qualche tortura. Eppure non fece niente, si bloccò.
Alla sua sinistra, un forte boato. Poi la spaccatura nel pendio e una luce intensa, la stessa che aveva accolto Dietricha poche sere prima.
Note:
Salve a tutti, ragazzi.
Ci stiamo avvicinando alla fine della storia, ma non è ancora finita del tutto. Siete pronti? Cosa vi aspettate?
Io, al momento, posso dire che l'inizio del capitolo mi ha fatto passare dei momenti tragicomici di fronte al computer. La discussione di Erdmann e Adalric è stata al limite del drammatico e del divertente. Sì, insomma, non so cosa dire. Voi potete esprimervi, ovviamente, e mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
Ieri sono usciti i risultati del secondo turno 2019 dei Nuovi Talenti e Mandragora, la mia bimba, è arrivata al secondo posto nella sezione paranormale. Sono davvero felice! Allego qui per ricordo il piccolo commento ricevuto *saltella*
Prossimamente, anche l'intervista del Rose Awards Contest sul profilo di , dove è arrivata prima *saltella di nuovo* e dire che questa storia è nata come un esperimento! Che emozione, ragazzi miei!
Lasciatemi un commento e una stellina di supporto, mi raccomando.
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