Capitolo 29
Chiuso nello studio di Rasputin, Gabi aveva passato ore a provare l'impulso di sabotare il suo piano. E malgrado non fosse la prima volta in cui dovesse tenere a freno il proprio istinto, quella gli parve più difficile di altre, perché sapeva quanto quei miseri chiodi piantati nel terreno fossero decisivi.
Perciò, camminando avanti e indietro sul tappeto, continuò a guardare il soffitto e si tormentò il labbro, le mani, perfino i muscoli del collo, roteandolo a destra e a sinistra fino a far scrocchiare la colonna vertebrale per un paio di volte. Poi, mordicchiandosi un'unghia, si decise a farlo: divenne un'ombra, fluì via e, nella notte, si confuse lungo le strade di Donaueschingen, raggiunse il cimitero, la fossa comune.
Fermo di fronte al burrone, riprese la sua forma fatta di sostanza e sentì la pelle delle braccia avvizzire, tendersi, sollevare i peli in un moto di rabbia misto a terrore.
Lo sguardo rivolto al suolo, agli steli verdi e al terriccio. Si mosse appena, si accovacciò e iniziò a scrutare tutto in silenziò, con il cuore in gola, mentre il respiro si faceva soffice.
Fu allora che li vide; la capocchia arrugginita, che premevano bene in delle conche dove sapeva che Rasputin avesse fatto forza con il martello. Accennò un sorriso soddisfatto e allungò una mano, carezzandone uno con i polpastrelli.
«È assurdo che lo abbia fatto davvero» mormorò. «Non posso crederci che si sia fidato.» Si lasciò andare a un sospiro, poi premette le unghie nella terra e fece forza, estrasse il chiodo. Arricciò il naso e se lo lanciò alle spalle, emettendo una risata leggera e affannandosi subito sull'altro.
Poi, una voce bassa lo interruppe. Chiese: «Cosa stai facendo?».
Lui gelò sul posto, con in mano il piccolo ferro arrugginito, e corrugò la fronte, sentendolo premere contro il palmo. Deglutì a vuoto, si voltò e posò un ginocchio al suolo. Lo sguardò confuso, socchiuse perfino le labbra di fronte all'uomo sconosciuto che posava comodamente la schiena contro il tronco del cipresso. «Chi siete?» domandò piano, cercando di mostrarsi il più umile e cordiale possibile.
Lui inclinò di poco la testa e storse la bocca in una smorfia. «Non ti ricordi di me, Gabi?» sbuffò, lasciando che il gracchiare di un corvo accompagnasse le sue parole. Vide i suoi occhi allargarsi appena, ma non aggiunse altro e mosse solo un passo in avanti.
«Agares» sussurrò, quasi esalò. Le palpebre sollevate all'inverosimile e le sopracciglia tese, contratte, come tutti i muscoli del suo corpo.
«Ti sorprende vedermi con queste sembianze?» Allargò le braccia, mostrandosi a lui nelle vesti di un anziano signore dai lunghi capelli biondi.
E Gabi trattenne il fiato, strinse la presa attorno al chiodo. Annuì in silenzio, ricordando il suo aspetto surreale, demoniaco, che lo faceva assomigliare a un Dio cornuto dalla lunga coda serpentina e il viso d'angelo. Poi si umettò le labbra, spostò lo sguardo verso gli steli d'erba e balbettò qualcosa come: «Perdonatemi, Signore, non vi avevo riconosciuto». Serrò i denti, lo sentì ridacchiare e dire:
«Vuoi parlare, forse? Nessuno te lo impedisce».
Indugiò per qualche istante, sentendo il sangue macchiargli il palmo e scivolare denso lungo le dita, ma poi si fece coraggio e sbottò. «Mi avete abbandonato.»
«Non è vero» lo corresse subito.
«Lo avete fatto, invece. Sono uno Spirito Impuro, faccio parte delle vostre legioni, eppure avete lasciato che Rasputin, uno stregone qualunque, si servisse di me a suo piacimento.» Sollevò il viso, sfidandolo col naso arricciato e gli occhi ardenti di rabbia. I denti digrignati, la voce che vacillava appena, ruggì un: «Perché mi avete fatto questo?».
«Rasputin non è uno stregone qualunque» disse. Scosse la testa e sollevò gli angoli della bocca in un sorriso rugoso. «Dovresti essermi grato per questa opportunità, invece ti mostri ostile come mai avrei creduto possibile. Mi deludi, Gabi.» Un sospiro, poi continuò: «C'è qualcosa che proprio ti sfugge. Il modo in cui comportarti, in cui assecondarlo, in cui apprendere e crescere...».
«Cosa potrei apprendere da un mortale?» sputò.
Agares sgranò gli occhi, lo fulminò e subito gli si fece vicino. «Innanzitutto ad aprire gli occhi, sciocco Spirito Impuro» lo apostrofò, scandì. «Stare vicino a Rasputin ti servirà a poter capire come manipolare altri spiriti, come poter controllare la tua legione.»
«La mia legione?» balbettò incredulo, gli occhi fuori dalle orbite. Spalancò la bocca, quasi non trovò la voce e la sentì morire in gola, dietro lo strano nodo che sentì formarsi in un gemito, un lamento.
Agares annuì, incrociò le braccia al petto e gli lanciò un'occhiata eloquente. «Credi davvero che avrei permesso a uno sciocco mortale, uno stregone inesperto, di tenere con sé un mio Spirito Impuro al pari di un animaletto domestico?» Scosse la testa, poi disse: «No, Gabi, sarebbe stato inaccettabile, indecoroso, umiliante; non solo per te, ma anche per me, Duca degl'Inferi».
«Avete lasciato che lui mi evocasse, però, e che mi legasse a sé» mormorò.
«L'ho lasciato fare, sì» assentì. «E tu gli hai lasciato fare diverse cose, ti sei divertito a guardarlo mentre uccideva e torturava diverse persone, ti sei fatto punire nelle carni di un corpo che non hai per perdere sangue fittizio.»
Impallidì, si strinse nelle spalle, finì seduto in terra e, in un moto di frustrazione, tirò via ciò che restava dell'incantesimo del Grimorium Verum fatto da Rasputin su Adalric. I denti serrati, la rabbia nelle vene, puntò lo sguardo tra le cosce e sentì Agares sospirare pesantemente.
«Non è facendo questo che imparerai qualcosa. Andandogli contro, dico. Lui ti detesterà, non ti tratterà mai da suo pari e non ti darà mai l'opportunità di mormorarli nelle orecchie.»
«Volete che faccia questo, Signore? Volete che lo manipoli? A quale scopo?»
«Esperienza. Un vero Spirito Impuro dovrebbe saperlo fare a occhi chiusi, Gabi.»
«So farlo» borbottò, storse perfino il naso. «L'ho già fatto. Di questo si è lamentato in più di un'occasione.»
«Non è per fargli dei dispetti che ho lasciato ti evocasse. Devi poter generare una guerra» gli vece notare in un grugnito. Agitò una mano, poi sollevò lo sguardo verso i rami bassi del cipresso e piegò il braccio, rimase in attesa.
Gabi sollevò un sopracciglio. Gli lanciò un'occhiata di sguincio, chiese: «Cosa state facendo?».
«Voglio sapere tra quanto si accorgerà della tua inutile bravata» rispose atono.
Gabi si mordicchiò nervosamente una nocca e chinò la testa. Serrò i denti, sbuffò, poi chiuse gli occhi, sentendo il battito delle ali del corvo di Agares che si avvicinava e il suo mormorio lieve, i suoi ordini. Quando fu certo di essere ancora una volta solo con lui, tornò a guardarlo. Vide i suoi occhi farsi seri, decisi, e deglutì a vuoto, trattenne le domande in fondo al petto, si sentì dire:
«L'unica cosa intelligente che uno Spirito Impuro potrebbe fare, qualora non riuscisse a tenere a freno la sua voglia di combinare guai, è sviare il nemico».
Indurì i muscoli del viso, sentì un brivido corrergli lungo la schiena e socchiuse le labbra per dire qualcosa. Non trovò la voce, non emise un fiato, e si tranquillizzò quando Agares riprese la parola.
«I chiodi, Gabi. Mettili nelle mani del vostro nemico comune, e tutto andrà bene.»
Annuì in silenzio, poi chiuse gli occhi e scomparve in una nuvola nera.
Note:
Salve a tutti.
In effetti era un po' che volevo parlare del perché Gabi fosse con Rasputin. Anche se Agares è solo una figura di passaggio, un personaggio secondario, mi è sembrato carino farlo apparire per un dialogo con Gabi. Non escludo che apparirà di nuovo, perché adesso che scrivo queste note sono ancora in lavorazione sulla stesura. Chi vivrà vedrà, io intanto seguo il decorso della storia.
Come vi sembra, per ora? Le domande si stanno pian piano risolvendo?
E cosa succederà? Timori per i nostri eroi? Io sì, tanti. Non credo che Rasputin la prenderà bene. Loro sì che sono nati con la camicia, non come Randy Morgan d'Invisibile!
Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate un commento o una stellina di supporto.
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