Capitolo 27

Il cuore di Helmine non aveva smesso di palpitarle forte nel petto da quando Dietricha era uscita per raggiungere il castello e l'ansia, divorandole le viscere, continuava a farle fare avanti e indietro accanto al tavolo tarlato. Ogni rumore, perfino il più piccolo, riusciva a farla sussultare in un moto di preoccupazione.

E perfino in quel momento, quando nel camino scoppiettò la brace, lei si trovò a fremere accanto alla sedia. Si sorresse allo schienale, lo strinse con le dita e si sbiancò le nocche, emettendo un sospiro strozzato. Poi udì lo scricchiolio della porta e trattenne il fiato, mentre dei passi sconosciuti accompagnarono la voce di sua figlia, che diceva:

«Sono tornata, madre».

In silenzio, si sedette e annuì. Mordicchiò appena il labbro inferiore, attese di essere messa al corrente della situazione e si tormentò le dita tra loro, mantenendo la testa bassa.

Erdmann si guardò attorno spaesato, poi si strinse nelle spalle e posò lo sguardo su Adalric, su Dietricha, infine sulla donna sconosciuta, che pareva tanto a disagio da volersi alienare in casa sua, perciò tentò di parlare per primo e mormorò delle scuse. Disse: «Perdonateci per l'intrusione, siete molto gentile a offrirci un tetto provvisorio cui poter riposare. Noi non abbiamo alcuna intenzione di mettervi in pericolo, né di esporvi o sfruttarvi in alcun modo. Nessuno saprà ciò che avete fatto per noi quest'oggi e vi assicuro che manterremo il segreto fin quando l'usurpatore d'argento non sarà cacciato dal Regno».

Il silenzio calò per qualche istante, ma poi Helmine deglutì e sollevò le palpebre, mostrando i suoi bulbi nivei con orgoglio. Si voltò nella direzione della porta per rispondere con un: «Non preoccupatevi». Accennò un sorriso tirato, cercò di mostrarsi cordiale, nonostante la preoccupazione che le correva nelle vene, e continuò: «Siete il Principe Erdmann, non è vero? Dietricha mi ha parlato di voi, ha detto che siete stato catturato ingiustamente e che la vostra vita è in pericolo tanto quanto lo è stata quella di mio marito. Se è per questo che vi ha portato in casa nostra, allora siete il benvenuto».

Un brivido gli percorse la schiena, gli carezzò le braccia e poi lo spinse a spostare lo sguardo su Dietricha. La vide annuire e subito lo spinse a rispondere, a dire: «Sì, la mia vita è in pericolo». Si umettò le labbra, fece vibrare la voce. «Nonostante sia riuscito a convincere l'attuale Re a non tagliarmi pubblicamente la testa per evitare una rivolta, per non riaprire una ferita ancora fresca, questi ha deciso di torturarmi e uccidermi nelle segrete. Vostra figlia è stata provvidenziale».

Helmine storse appena le labbra, ricordando come Dietricha avesse azzardato con la stregoneria. Si chiese se Erdmann sapesse tutto ciò e mormorò un: «Avete ragione, Principe, è stata davvero una manna dal cielo».

«Cosa vi preoccupa?» intervenne Adalric, lanciandole uno sguardo appena crucciato.

Lei voltò la testa nella sua direzione, regalandogli un'occhiata vacua. «Come dite?»

«Cosa vi preoccupa?» ripeté. «Da quando siamo entrati, nonostante le parole di Erdmann, continuate a tormentarvi le dita e a tremare come una foglia. Immagino che abbiate paura di essere scoperta, catturata e impiccata, ma se è così potete dirlo tranquillamente e ce ne andremo, ci nasconderemo nella Foresta Nera come abbiamo sempre fatto.»

«Non è necessario» disse Dietricha. «Non ora, non ancora. Domattina, forse, ma al momento Rasputin sarà sulle nostre tracce e cercherà proprio lì. Non immaginerà mai che il nostro nascondiglio sia proprio sotto il suo naso.»

Helmine si portò una mano al petto e posò un gomito sul tavolo, considerando per la prima volta la gravità della situazione. Si lasciò sfuggire un lamento e serrò le palpebre.

«Guardala, non è in grado di sopportare tutto questo» le fece notare, aggrottando le sopracciglia. La indicò con un cenno del capo e serrò subito le labbra, mentre Dietricha si lasciava andare a uno sbuffo frustrato. «Non puoi costringerla, non puoi piombarle in casa e gettarle addosso un peso del genere» continuò, sollevando una mano con il palmo rivolto al soffitto.

Lei si mordicchiò appena il labbro superiore, non disse una parola e lanciò un'occhiata a Erdmann. I muscoli del viso contratti, la preoccupazione dipinta in pennellate grezze, marchiata a fuoco nello sguardo. Disse: «Non possiamo rischiare, non possiamo uscire e non possiamo addentrarci nella Foresta Nera in questo momento».

Allora lui store le labbra in una smorfia, spostò il proprio mantello e mostrò le pergamene che riposavano strette all'altezza della cintura. «Possiamo farlo, invece.» Annuì convinto, accennò un sorriso titubante e si sentì fremere dall'eccitazione. Poi puntò Erdmann e subito dopo Dietricha. «Non tutto quello che c'era scritto nei libri di Rasputin era incomprensibile, sapete? Il latino, perlomeno quello, lo conosco.»

Helmine posò entrambi i gomiti sul tavolo, si passò le mani sul viso e scosse appena la testa. «Che Dio vi aiuti» mormorò, riuscendo quasi a comprendere ciò di cui stavano parlando ancor prima di sentirglielo dire.

E Adalric le lanciò un'occhiata veloce, si sentì quasi in colpa a continuare il suo discorso in un sussurro. Disse: «I pentacoli di Re Salomone sono abbastanza comprensibili».

Erdmann, dal canto suo, corrugò appena la fronte. «Di cosa stai parlando?» chiese. «Quale dei tanti? Li abbiamo visti insieme quando eravamo sulle rive del Titisee.»

«Ne ho usato uno per scacciare lo Spirito Impuro che era sulle tue tracce» accennò, stringendosi nelle spalle. «Ma ne esistono altri, per esempio quello che rende invisibile un essere umano.»

Dietricha sollevò entrambe le sopracciglia, poi emise un leggero suono di sorpresa. «Giusto» sussurrò. «Gabi me ne aveva parlato.»

«Chi sarebbe Gabi?» sbottò Helmine, alzando la voce e battendo un palmo sul tavolo. Gli occhi pieni di lacrime e i denti che quasi stridevano tra loro. «Di cosa stai parlando, Dietricha?»

Lei la guardò di sguincio, deglutì e si umettò le labbra, trattenendo la risposta in fondo alla gola. Non avrebbe saputo dargliela, anche perché aveva sentito quelle parole scivolarle di bocca e stupire tutti i presenti, perfino se stessa. Impallidì, tremò sul posto, aggrottò le sopracciglia e si artigliò alla camicia sporca di sangue. «Non è il momento, madre» gemette.

«Di cosa stai parlando? È ovviamente il momento. Esigo delle risposte e le esigo adesso» tuonò, sollevandosi in piedi e facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento grezzo.

Fu allora che gli occhi di Adalric si ridussero a due fessure, che le sue labbra si mossero da sole e che la lingua, battendo sul palato, emise un suono scocciato. Disse: «Non è vostra figlia, non trattatela come tale». Vide Helmine tremare, artigliarsi al bordo del tavolo e poi cadere sulla seduta in un piccolo sbuffo marroncino.

«Come sarebbe a dire?» chiese lei.

«La persona che avete di fronte a voi ha l'aspetto di Dietricha, la ragazza che avete cresciuto, ma è l'incarnazione del Principe Damian. Trattatelo come tale e rispettatelo, onoratelo, moderate i toni.»

Un singhiozzo scosse il petto di Helmine, si levò nell'aria, risuonò contro le pareti e contrasse il suo viso in una maschera di dolore. Le labbra tese, piegate verso il basso. Poi le mani che cercavano di coprire la vergogna e le lacrime lungo le guance. Un sussurro rotto: «Dietricha».

Note:

Salve, ragazzi.

Questo capitolo è stato molto veloce. Spero che leggerlo non vi abbia annoiato.

Nella sua stesura mi sono quasi divertita, anche perché dovevo arrivare a un punto cruciale, quello in cui Adalric si azzardava a dichiarare quello che per infiniti capitoli non aveva ammesso neppure a se stesso. La cosa mi ha divertita troppo.

Ma Helmine mi fa tanta, tantissima tenerezza. A voi? Il mio cuore, in parte, piange molto per lei.

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciatemi un commento e una stellina di supporto.

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