Capitolo 26

Davanti a lui si era scatenato l'inferno e non aveva potuto fare niente, neppure muovere un dito, mentre i suoi uomini venivano travolti dalla folata di vento che aveva sollevato la Silfide e si confondevano, si scagliavano l'uno contro l'altro, perivano in un miasma di sabbia che feriva loro gli occhi.

I polpastrelli che attecchivano al legno, le nocche sbiancate, si era artigliato contro il montante della finestra e aveva atteso che Rasputin arrivasse, che salvasse il salvabile. Ma poi, quando quella strana creatura dal corpo pieno di squame nere era comparsa nei giardini, aveva mancato un battito e, con le vertigini, si era ritirato di un passo nella stanza. Le palpebre sollevate all'inverosimile, il cuore in gola, l'adrenalina che gli pulsava forte nelle vene, si era ritrovato quasi a voler scendere in campo. Per un attimo aveva creduto di poter fare qualcosa, di essere il solo a saper guidare gli uomini di Münster, e aveva sfoderato la spada. Allora, aveva sentito le loro urla e si era voltato di nuovo verso la finestra.

Di fronte a lui, come stoppini spenti, li aveva visti immobili nelle macerie del selciato. Così, pallido come un cencio, non era riuscito a reggersi in piedi e si era lasciato trascinare verso il basso, laddove le gambe molli lo avevano spinto in un tonfo. Aveva tremato e poi si era aggrappato alle proprie spalle, mentre i denti, battendo tra loro, avevano serrato l'imprecazione che cercava di uscirgli di bocca.

Fu allora che la porta, aprendosi, permise alla voce di Rasputin di levarsi con un sonoro: «Maestà, perdonatemi dell'intrusione».

Lui tremò sul postò, batté le palpebre e si riscosse. Spostò lo sguardo sulla lama argentea che riposava al suolo, poi spostò le sue mani in terra e, con estrema lentezza, si sollevò in piedi. Sentì lo scricchiolio delle ginocchia, il cuore che ancora palpitava veloce in gola e il nodo bruciante sul palato. Infine chiese: «Perché non l'avete fermato?».

Si zittì subito, guardando la sua schiena dritta, e non riuscì a rispondere, conscio del fatto che, di lì a poco, sarebbe esploso. Allora deglutì, indugiò sul motivo a tronchetti dorati del suo farsetto scarlatto e socchiuse di poco le palpebre.

«Avete lasciato che un mostro disgustoso distruggesse i giardini del mio castello» sputò rabbioso. «Che uccidesse le mie guardie...»

Allora schiuse la bocca, lo interruppe e mormorò: «Il mostro di cui parlate è stato rispedito da dov'è arrivato, non dovete più preoccuparvene».

E lui indurì i muscoli del viso, osservò il cielo azzurro che splendeva oltre la finestra aperta, arricciò il naso con una punta di sdegno. Poi si voltò, lo guardò con biasimo, ruggì un: «Troppo tardi!».

«Ho fatto del mio meglio per rispondere all'attacco.»

«Mentite» scandì, sibilò. Mosse appena le labbra e sentì il proprio respiro accelerare quanto i battiti che gli squassavano il petto. «Io vi ho visto, ho seguito ogni vostro movimento. Eravate fermo, mentre i soldati cercavano aiuto e si scioglievano come cera alle vostre spalle. Quasi non ve ne siete accorto, continuavate a cercare non so cosa in mezzo alle foglie di un maledettissimo cespuglio.»

«Gl'intrusi» rispose, sollevando il mento. «Cercavo gl'intrusi, coloro i quali hanno evocato quello Spirito Elementale e quello ancora prima di lui.» Gli vide indurire lo sguardo e subito si affrettò ad aggiungere: «Si trattava di una Salamandra, una creatura del fuoco, e non ho dubbi che vi abbia mosso del timore, Maestà. Adesso, però, è tornata nelle viscere della terra e non può più farvi alcun male».

«Non m'importa dove si trovi, purché l'abbiate fatta sparire» grugnì a mezza bocca. Mosse dei passi frettolosi nella stanza, poi tornò indietro, raccolse la spada e la rinfoderò. Rabbioso, disse: «Gl'intrusi, le persone di cui avete parlato, hanno usato la stregoneria. Sono come voi, Rasputin, non è vero? Perché si trovavano qui?».

Lui tentennò, attese qualche istante prima di rispondere e poi, a malincuore, mormorò: «Temo che abbiano liberato il prigioniero».

Il suo volto muto all'improvviso, lasciando che le sopracciglia si scontrassero sulla sommità del naso. «Come dite?» chiese, ruggì. «E le guardie? La vostra magia? Com'è possibile?» scandì.

«Lo avete appena detto e visto con i vostro occhi, Maestà» gli fece notare. «Hanno fatto sfoggio delle mie stesse arti, hanno decimato i vostri uomini e sono fuggiti con Erdmann von Fürstenberg.»

«Questo non è possibile» sibilò a denti stretti.

Sollevò appena un angolo delle labbra, poi chinò la testa e cercò di mostrarsi rispettoso. Una mano vicino l'addome, disse: «Non dovete preoccuparvi del prigioniero. Perlomeno di questo, me ne sono già occupato preventivamente».

«In che modo?» chiese, mostrando un accenno d'incredulità dietro la fronte crucciata.

«Quando siete stato da lui per ricordargli la sua posizione, io l'ho marchiato dietro al collo con il sesto pentacolo di Saturno.» Tornò a guardarlo e allargò il sorriso, con una mezzaluna bianca dipinta in volto. «Da quel momento, i demoni hanno iniziato a tormentarlo nottetempo. E non ci sarà luogo esistente in cui potrà nascondersi, in cui loro non potranno raggiungerlo.»

I suoi occhi parvero brillare per un attimo, poi si oscurarono, coperti dalle palpebre. «E gl'intrusi?» chiese. «Li avete visti, Rasputin? Voglio le loro teste sul ceppo.»

Non osò rispondere, ricordando lo sguardo serio di Dietricha dietro le foglie verdi del giardino; era la sfida dell'animo composto di Cibele, si disse, che pareva anche la stessa di quel giorno in piazza, quando Damian aveva salito i gradini del patibolo per raggiungere la lama del boia.

«Cosa mi nascondete?» incalzò sottovoce, lanciandogli un'occhiata di sguincio. Lo vide deglutire, poi accennare un sorriso tirato.

«Assolutamente nulla, Maestà» negò.

Non credette alle sue parole neppure per un momento, tuttavia si limitò a storcere la bocca in una smorfia e arricciò il naso, volgendogli le spalle. Il respiro corto, si morse le labbra e s'indusse il silenzio per trattenere le parole in fondo alla gola.

«Se volete, posso comunque andare a cercarli per portarli da voi» azzardò.

Come riscosso, lui batté le palpebre. «Di cosa o chi state parlando?» mormorò.

«Di chi ha attaccato il castello.»

Schioccò appena la lingua sul palato e rivolse una seconda occhiata fuori dalla finestra, verso il selciato distrutto. «No, non importa» disse piano, abbassando le ciglia verso le guance. «Dopotutto avete parlato di demoni, Rasputin; e, si sa, i demoni sono creature infide, pericolose, implacabili. Dal canto mio li conosco. Siete stato voi a fermarli prima che potessero divorarmi a Münster, prima che arrivassi qui assieme al mio esercito e indossassi la corona. Quindi no, non c'è alcun bisogno che andiate a cercarli. Saranno loro a distruggerli, a strapparne le carni, a spezzarne le ossa» sussurrò. «Vedete, è quasi divertente: sono così sciocchi da non essersi neppure accorti di ciò che hanno fatto. Non trovate?»

Annuì appena, ingoiando la risposta che, stranamente, pareva averlo immobilizzato di fronte ai suoi occhi ossidiana.

Note:

Salve a tutti.

Cosa ne pensate del carissimo Re? A me, personalmente, piace tanto. Non so perché, ma credo che abbia molto da offrire e che nasconda un animo particolare. Forse non riuscirò a raccontare molto di lui, forse ci sarebbe bisogno di un vero spin-off sul suo incontro con Rasputin. Ah, la mia fissa per la linearità è così detestabile!

Vi è piaciuto il capitolo? Lasciatemi un piccolo commento o una stellina di supporto, mi raccomando.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top