Capitolo 23
Mentre scendeva le scale, che portavano alle segrete del castello, Adalric non poté fare a meno di pensare che il diversivo della Silfide fosse stato provvidenziale e ringraziò il fato per averlo messo sulla stessa strada di Dietricha. Senza di lei, si disse, non sarebbe né sopravvissuto all'attacco di fronte alla fossa comune, né riuscito ad arrivare fin lì, a un passo da Erdmann.
Guardò le sue spalle e serrò i denti, indurì i muscoli del viso, deglutì a vuoto. Le orecchie ben tese e le labbra strette, s'impose il silenzio e restò in attesa, certo che quella tranquillità sarebbe potuta essere interrotta da un momento all'altro. E, mentre la nostalgia gli carezzava il petto, la vide fermarsi sui gradini di pietra. Sgranò gli occhi, scattò con la mano sull'elsa della spada e si maledì per averle permesso di andare per prima.
Lei s'impose un indice sulle labbra, sfiorando appena il naso sporco di sangue, e si voltò nella sua direzione. Prima che potesse dire qualcosa, lo zittì con un soffio. Mosse qualche altro passo verso il basso e fece capolino in corridoio, prima di ritirarsi nella scalinata buia.
Le fu subito dietro, l'afferrò per una spalla e si avvicinò al suo orecchio per mormorare un: «Che succede?». Tentò perfino di alzarsi sulle punte, di spronarsi oltre con il corpo e guardare al di là del muro cui si posava il palmo di Dietricha; tuttavia fu subito ammonito con un:
«Non farti vedere, Adalric».
S'immobilizzò. Udì il rumore delle suole sul pavimento grezzo delle prigioni, il tintinnio di un mazzo di chiavi e poi un lamento che si levava e diventava più forte. Allora corrugò la fronte. I denti che stridevano tra loro, si trattenne dal grugnire un'imprecazione e arricciò il naso nel riconoscere la voce di Erdmann.
«So cosa stai pensando, ma non possiamo gettarci a spada sguainata in questo posto» sussurrò, grattando con le unghie sulla parete. «Sarebbe sciocco, ci prenderebbero subito.»
«Non puoi far venire qui quella creatura?» chiese, sbottò, quasi la pregò.
Lei scosse la testa. «Anche questa sarebbe una mossa azzardata» disse. «I soldati si stanno concentrando all'esterno del castello, nei giardini, da quando la Silfide ha alzato il vento. È solo per questo che siamo riusciti a entrare.»
«Ma dobbiamo sbrigarci» obiettò crucciato. «Se Rasputin venisse chiamato per risolvere il problema che hai causato, per noi sarebbe comunque la fine. Ammesso e non concesso che riuscissimo a liberare Erdmann, i soldati tornerebbero comunque di guardia all'interno del castello e ci troverebbero, ci ucciderebbero all'istante.»
Iniziò a mordicchiarsi nervosamente il labbro superiore e restrinse lo sguardo. «Sto pensando» annunciò sottovoce.
«Non c'è tempo per pensare» borbottò.
Schiuse appena la bocca per rispondere, ma non riuscì a dire niente, perché subito si sentì sospingere verso il muro. Con la coda dell'occhio, lo vide muoversi lungo le scale e trattenne il respiro, strinse la spada di Erdmann tra le dita, rabbrividì sul posto. «Fermo» bisbigliò.
Poi, lui scomparve dalla sua vista e raggiunse il corridoio. Si mosse di fretta, sguainando la spada per puntarla verso la guardia senza emettere un fiato. Il sorriso teso, stampato in faccia, e il cuore impazzito che gli batteva nel petto.
Dalle scale, Dietricha udì un chiaro:
«E tu chi saresti? Come sei arrivato fin qui?».
Sbiancò e sgranò gli occhi, chiedendosi se sarebbero mai usciti vivi da quel posto e se davvero Rasputin avesse già fatto qualcosa per occuparsi della Silfide. Senza rendersene conto, voltò la testa verso l'alto e poi, quasi calamitata dal fragore delle spade, mosse un paio di passi più in basso. Spostò lo sguardo verso il corridoio, batté le palpebre una sola volta e posò la schiena contro il muro. Il respiro corto e la presa ben stretta sull'elsa, inspirò. Poi si decise a uscire allo scoperto e fu allora che lo vide: piegato in terra, schiacciato sulle sue stesse ginocchia, oppresso dal corpo della guardia, proprio come una formica. Mancò un battito e spalancò la bocca per emettere un gemito strozzato.
E Adalric annaspò, grugnì. La fronte pallida, coperta di piccole gocce di sudore freddo, puntò una mano suo addome per puntellarsi e spingersi via, ritirando la spada in un debole fiotto scarlatto.
Dietricha trattenne a stento le lacrime, gemette e si affrettò a raggiungerlo, mentre la guardia cadeva su un fianco. «Adalric» lo chiamò. Gli vide sollevare una mano sporca di sangue e si tenne a distanza, con la voce rotta in un singulto. Serrò le labbra e se le morse subito, inducendosi al silenzio. Poi chinò lo sguardo, lo vide trafficare con la sua cintura e raccogliere le chiavi delle prigioni in un moto d'ansia.
«Dobbiamo sbrigarci, lo hai detto tu» mormorò frettolosamente.
Annuì, lasciando che le orecchie venissero invase dall'ennesimo lamento di Erdmann, e poi si mosse lungo il corridoio, avanzò spedita laddove pareva non brillasse neppure la luce di una candela. L'odore stantio, di muffa, le riempiva le narici, la nauseava; eppure non riuscì a fermarla, sembrò quasi spingerla ad accelerare il passo. «Erdmann!» lo chiamò a gran voce più e più volte, guardando a destra e a sinistra, attraverso i piccoli spiragli delle celle vuote fin quando un colpo non la riscosse.
Adalric indicò una porta chiusa e disse: «È qui». Sentì le dita tremare, il rumore delle chiavi che battevano tra loro, e provò a inserirne una alla volta, fin quando non trovò quella giusta. «Resisti, amico mio. Tra non molto sarai fuori di qui!»
Poi ci fu il silenzio, lo stridere dei cardini, lo strusciare del legno sulla pietra grezza e ancora la voce di Erdmann, che vibrava nell'aria e scivolava fuori:
«Non fateli uscire, vi uccideranno».
Note:
Salve a tutti.
Quando ho iniziato a scrivere questo capitolo è successa una cosa strana e buffa allo stesso tempo. Ho notato che, prima di vivere a Donaueschingen, la famiglia principesca su cui ho deciso di scrivere aveva un castello top medievale da un'altra parte nella Foresta Nera.
Magnifico, per carità, se non fosse stato che, per un attimo, ho creduto di aver letto male la città in cui si trovava la residenza, la data e compagnia bella. Insomma, per un attimo ho creduto di aver scritto ventidue capitoli di aria fritta e solo dopo quasi ventiquattro ore di attenta analisi ho potuto placare la mia inutile ansia per arrivare a leggere le date di costruzione e abbandono.
Sono una stupida idiota.
Il fatto che ci sia un altro castello, però, mi sarà d'aiuto nella trama. Grazie mille, nobili della Germania e grazie mille Foresta Nera.
Tornando seri, il capitolo mi ha fatto penare comunque, nella sua stesura. Sembra, non sembra? Ditemi comunque cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere ricevere un vostro commento e, magari, una stellina di supporto.
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