Capitolo 17

D'improvviso, il legame che aveva instaurato con la Silfide venne meno e il suo sguardo si spostò spaesato sugli stoppini delle candele appena spente. Nelle orecchie, solo l'eco delle parole usate da Dietricha per l'esorcismo e il soffio deciso che pareva aver attraversato lo spazio per giungere fin lì, nello studio di Rasputin, dove il cerchio di sale si era spezzato.

E, mentre i fumi grigi dell'incenso risalivano verso le travi grezze del soffitto, la sua voce divenne un singulto. Disse: «Non è possibile, non può essere successo davvero». Batté le palpebre una sola volta, tastò le assi del pavimentò e rantolò in avanti. La fronte pallida, schiacciata al suolo, e i granelli bianchi che gli premevano sulla pelle. A denti stretti, emise un ringhio animalesco, frustrato, e trattenne un'imprecazione.

Per un attimo aveva creduto che Adalric, essendo in possesso della Clavicola di Salomone, si sarebbe potuto accorgere dell'importanza dei pentacoli di Mercurio. Così facendo, li avrebbe sfruttati a suo vantaggio e avrebbe raggiunto la conoscenza, capendo di avere di fronte a sé uno spirito Elementale. Magari lo avrebbe anche scacciato grazie al Grimorium Verum, ma avrebbe perso tempo e si sarebbe trovato con le spalle al muro, in fin di vita, prima di essere definitivamente inchiodato dall'incantesimo di Rasputin.

Ma lei, quella creatura, era tutta un'altra storia. Non l'aveva affatto calcolata, ritenendola superflua, ed aveva peccato d'ingenuità. Dopotutto, sapeva quanto fosse preparata, perché era stato lui stesso a farle affrontare quelle prove che Rasputin aveva scelto per lei poco prima del trapasso.

«Maledizione» borbottò. Fece scattare una mano, la schiacciò con forza contro il suolo e sentì lo stesso vibrare sotto il primo e poi il secondo colpo. Animato da una furia cieca, provò l'impulso di richiamare orde di spiriti da gettarle addosso in un tormento infernale; tuttavia si trattenne e serrò le labbra, zittendosi subito. Era certo che, se solo si fosse azzardato a prendere una simile iniziativa, sarebbe stato ammonito e punito in un modo tale da non provare neppure il brivido del piacere masochistico che spesso gli agitava le membra.

Poi si riscosse. Udì il rumore fastidioso dei cardini dell'ingresso e scattò a sedere sulle ginocchia. La schiena ritta, le guance rigate di vergogna. Si morse le labbra e rimase in silenzio, attendendo di essere raggiunto, mentre i passi si facevano vicini.

«Puoi interromper, Gabi» mormorò Rasputin, comparendo sulla soglia dello studio. Osservò le sue spalle immobili e non aggiunse altro, spostando lo sguardo a destra e a sinistra per scrutare l'ambiente. Le narici strette, piene dell'odore di salvia e incenso bruciato, corrugò appena le sopracciglia quando si accorse del cerchio interrotto con una linea retta.

Lui deglutì a vuoto, continuò a respirare con affanno e strinse le mani in due pugni chiusi sulle cosce. La testa bassa, l'orgoglio in pezzi, balbettò solo un: «Mi dispiace, Maestro, ma la Silfide che ho inviato non è più lì». Il silenzio che conseguì quella confessione parve distruggerlo, offenderlo, ancor più elle parole che subito dopo tuonarono nella stanza:

«Sei inutile, come sempre. Non ti smentisci mai, piccolo pezzo di sterco».

Gabi mugolò, serrò i denti e trattenne un singulto umiliato. Per la prima volta si sentì ferito dall'esplosione di nervi di Rasputin e vacillò, non osò rispondere, fece stridere le unghie sul calzoni scuri.

«Avevi solo un compito da portare a termine, eppure non sei riuscito a farlo. Dovevo ordinartelo, forse? Marchiarti ancora una volta? Oppure è questo il problema, Gabi? Desideravi una punizione, delle parole che fossero in grado di squassarti quell'anima nera di cui sei composto?» sputò, muovendo qualche passo nella stanza. Gli rigò attorno, fissandolo dall'alto e squadrandolo rabbioso. «Non ho intenzione di farlo, non ora e non per il tuo sudicio piacere personale» disse. «Mi disgusti troppo.»

Allora sollevò la testa e osò guardarlo negli occhi per provare a mostrarsi sincero. Le sopracciglia aggrottate, unite sulla sommità del naso, gemette: «Non è così, Maestro». E ancora: «Non dovevate ordinarmelo, non era necessario che lo faceste. Volevo solo aiutarvi, rimediare all'errore commesso e farvi vedere che valgo davvero qualcosa».

Una risata asciutta gli scappò di bocca. «Vali poco, se davvero non sai tenere in piedi neppure un rituale così blando» disse. «Un'Elementale dovrebbe essere un tuo simile, uno spirito, eppure non sei riuscito a convincerlo a restare.»

«È stata lei, la vostra creatura, Cibele, a scacciarlo» sussurrò a denti stretti. Indugiò su quelle parole, conscio che Rasputin avrebbe potuto arrabbiarsi con lui per il solo fatto di averla nominata; eppure non seppe resistere. Continuò, incalzò con un: «Non è stata colpa mia, non è stato quel piccolo uomo, quel mortale, a servirsi della Clavicola di Salomone. Lui è un ignorante, uno stolto. Si è lasciato proteggere da qualcuno che voi avete creato con le vostre mani».

«Cibele» ripeté, sgranò perfino gli occhi e rimase immobile a osservarlo. Lo vide annuire, con le guance rigate di lacrime, e per un attimo si sentì quasi mosso a compassione nei suoi riguardi. Poi indurì i muscoli del viso, deglutì e serrò i denti. «Come hanno fatto ad avvicinarsi? Perché avrebbe dovuto aiutarlo?» chiese nervoso, girando attorno al cerchio per raggiungere lo scrittoio. Guardò fuori dalla finestra, attraverso le imposte chiuse, e cercò uno spiraglio di luce tra le assi malmesse.

A raggiungerlo, fu la voce sommessa di Gabi, che azzardò con un: «Non lo so, forse perché avete fatto trasmigrare l'anima del Principe Damian in un corpo che si è avvicinato troppo a quel piccolo uomo fastidioso, Maestro». Gli vide storcere il naso con una convinzione labile e tentò di nuovo, disse: «Magari sono connessi, legati, uniti da qualcosa che non potete immaginare».

«Non dire idiozie!» tuonò. Batté un pugno contro il muro e poi si voltò nella sua direzione con il volto contratto, distorto. Le braccia distese lungo i fianchi e l'agitazione che prendeva a scuoterlo da capo a piedi. «Non possono esserlo, non più. Damian è morto, portava solo un nome importante e un legame stretto con la Foresta Nera. Mi serviva a quello, a rendere Dietricha la Cibele perfetta.»

Lui trasalì, non osò neppure alsarsi e sentì i muscoli della schiena intrecciarsi in un blocco unico fino a bruciare. Serrò le labbra, annuì in silenzio, poi udì ancora i suoi vaneggiamenti e lo vide muoversi avanti e indietro dietro lo scrittoio.

«Quelle parole me le ricordo ancora: così infide, così sicure, maledettamente fastidiose e sciocche» grugnì. «Stava per perdere la testa sul ceppo, eppure ha osato guardarmi dritto negli occhi, ha osato sfidarmi prima che il boia facesse calare la lama sul suo collo nudo. Eppure io sapevo già tutto, sapevo che stesse per dire un'assurdità. Credeva di poter insinuare il tarlo del dubbio in me, il grande Rasputin...» Fremette di rabbia, storse il naso in una smorfia e posò una mano sul muro, sorreggendosi. Infine cito: «"Qualunque cosa succeda, io sarò sempre Damian"». Allora emise un suono divertito, scosse la testa. «Ma non ha finito di dirlo, no, perché io ho dato il segnale prima che lui sputasse fuori quel nome.»

«Eppure avete lasciato che Cibele fosse consapevole di tutto quanto» mormorò Gabi, corrugando la fronte. «Perché lo avete fatto?»

«Per renderla una marionetta perfetta, per confonderla, per farle capire che non ha alcuna scelta. Morta e rinata, senza memoria, una mente composta di tasselli scelti dal sottoscritto.»

«Tutto questo vi si ritorcerà contro» sussurrò. Cercò di sfuggire allo sguardo di Rasputin, ma non riuscì a farlo per più di qualche istante e, poco dopo, udì il suono degli stivali farsi vicino, rimbombargli nelle orecchie, schiacciare il sale grosso. Trattenne il respiro, si sentì dire:

«Alza la testa».

Inspirò a fondo, poi lo fece e vide i suoi occhi di laguna farsi fiammanti come due lame pronte a trapassarlo. Deglutì a vuoto, non aggiunse alto e si lasciò afferrare per il mento fino a raggiungerlo in piedi.

«Come osi cercare di prevedere il mio futuro in modo tanto funesto, Gabi?»

«Lo faccio solo perché vi sono fedele, Maestro.»

«Fedele come un topo di fogna, come la peste che porti in casa mia, mentre due intrusi mi rubano il tesoro più grande» sibilò.

«Il vostro tesoro più grande è ancora immacolato» disse piano, con le palpebre appena abbassate. Neppure il tempo di aggiungere altro, che subito venne colpito da un manrovescio e finì in terra, sul cerchio di sale, dove annaspò e si mosse, agitando le mani per tirarsi a sedere.

Il disegno si scompose ancora di più, le candele spente rovinarono sulle assi e rotolarono su loro stesse, mentre la salvia, bruciando, riempì la stanza e le narici di Rasputin.

«Non hai alcun diritto di parlare di questo» ruggì.

Lui accennò un sorriso strano, cinico, e mormorò: «Siete voi che lo avete nominato, io ho solo cercato di rassicurarvi».

«Uno spirito che non sa convincere un altro spirito a restare dalla sua parte non ha alcun diritto di rivolgermi la parola» sbottò. «E adesso alzati, non rimanere lì in terra, sei ridicolo.»

Puntò un ginocchio al suolo, facendo scricchiolare le assi del pavimento, e poi si puntellò sulla coscia. A fatica, si sollevò. Mantenne lo sguardo basso e non riuscì più a guardarlo in viso, troppo umiliato e offeso dalle sue parole. Infine, sentì ancora la sua voce che diceva:

«Non andartene, metti tutto a posto prima».

Strinse i denti e arricciò il naso. Con le sopracciglia che quasi si scontravano sulla sommità del naso, si morse le labbra e non rispose. Fermo a un passo della porta, annuì in silenzio e obbedì. Tornò indietro, iniziando a raccogliere prima le candele e poi l'incenso. Non una parola, non un fiato, solo il cuore che pareva battergli veloce nel petto.

Poi, Rasputin se ne uscì con un: «Quanto sei servizievole».

Lui gelò sul posto, si fermò e sollevò lo sguardo per fissarlo. Ammutolito, provò l'impulso di gettargli addosso tutto ciò che stringeva tra le braccia.

«Devo forse pensare che tu sia davvero dispiaciuto per quanto successo? Oppure no, magari è stata la disfatta a renderti così triste.»

«Volete davvero saperlo?» chiese in un sussurro. «Magari v'interessa solo burlarvi di me, Padrone.» Inclinò appena la testa, mostrandosi stanco e amareggiato.

«Credo di non volerlo sapere, no» disse, accennando un sorriso. «Potrei inorridire, capendo che la tua è solo perversione e non vera tristezza. Magari desideri un'ennesima punizione, il sapore del sangue, il flagello sulle spalle o qualche altra punizione che dovrei adattare alla tua natura di spirito.» Infilò una mano nella bisaccia, poi la batté sullo scrittoio in un fragore arrugginito e guardò Gabi di sguincio.

«Siete voi il mostro, non io» sussurrò a testa bassa, lasciando che un brivido gli attraversasse la schiena. «Inchiodate quel piccolo uomo, poi tornate a prendervi Cibele e fermatela prima che sia lei a fermare voi. Non vorrei che doveste pentirvi di averla creata come Dio con il suo figlio prediletto.»

Note:

Salve, ragazzi.

Finalmente siamo tornati da Gabi, anche se ha di nuovo fatto un buco nell'acqua; ed è divertente dirlo, visto che si tratta del suo elemento naturale.

A ogni modo, il rapporto con Rasputin si fa sempre più complicato. Ma credo che abbia ragione, voi no? Lasciatemi un commento con le vostre opinioni, mi raccomando.

E, se il capitolo vi è piaciuto, non dimenticate di cliccare sulla stellina.

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