3. Capitolo III- Agonizzante
Con passi lenti e cadenzati, oltrepasso la soglia della porta in legno per entrare nel salone che, bagnato dal lume fioco delle lanterne inchiodate alle pareti bianche, appare ancora più sfavillante ai miei occhi.
Un grande candelabro, dai cristalli pendenti, rischiara di un'innata bellezza, al centro della stanza.
Una lucentezza biancastra pervade la pavimentazione in marmo.
Tavoli rettangolari costituiti da almeno sette sedie occupano l'ampio spazio; si intravede il legno bianco dai piedi di essi, ma il resto è coperto da una tovaglia color vaniglia.
Nello stesso istante, la mia attenzione viene catturata da una visione che mai avrei voluto avere...
Centralmente è situata una tavolata da almeno sei posti, vuoti; imbandita dallo sfarzo più assoluto: un servizio in porcellana, un'abbondanza di tessuti ricamati che non si può dire rendano disadorna la tovaglia, posate e calici in cristallo.
Alle estremità della sala ci sono quattro lunghe credenze verticali, con vetrinette in cristallo sulla parte superiore.
Elegantemente seduto, proprio lì, vi è il giovane De Winter.
Intento a porre nella bocca un pezzo di salmone.
Mastica lentamente, perso ad avvertire ogni singola sfumatura dei sapori che costellano l'alta cucina, - o forse, desidera trovare la nota dolente per il palato.
Quel giovane gentiluomo ha un'aria marcatamente altezzosa, austera e gelida.
La folta chioma è perfettamente sistemata ai lati della testa da una riga centrale che non impedisce ai ricci, anch'essi parte di una scultorea bellezza, di invadere una piccola parte della fronte.
Le braccia, avvolte - come il resto del corpo - in uno smoking identico a quello dell'altra sera, si protendono in avanti per consentire alle dita di chiudersi lievemente intorno al calice di vino.
L'alcolico oltrepassa l'epiglottide infiammando la bocca; ma l'uomo - con l'innata compostezza che riveste ogni suo movimento - trattiene le smorfie, lasciando dipinta sul volto una barriera di impenetrabile autocontrollo.
Il mio scalpitare, così incerto e goffo sulla pavimentazione, a sua volta mosso da una penetrante insicurezza, rumoreggia in un tacchettio che lo induce a sollevare lo sguardo.
Un brivido mi trapassa la schiena nello scorgere il modo in cui quegli occhi penetrano in ogni singola parte del mio corpo; pizzicano la fantasia a fiori che adorna, di una consueta semplicità, il mio abito.
Spingo una ciocca ondulata di capelli all'indietro, in un malcelato stato di agitazione; quasi ci tenessi ad apparire meno rivoltante ai suoi occhi.
Si sofferma attentamente su ogni singolo movimento proveniente da me; finanche sul modo in cui il tacco del decoltè si infrange sulla superficie liscia in un'andatura forzata, il cui unico scopo è colmare la distanza tra noi.
Fissa attentamente le ginocchia lasciate scoperte dal vestito, e issa un sopracciglio tingendo sul viso un'espressione di disgusto e superiorità.
Non sono di suo gradimento.
Ed eccolo, fa capolino quello sfarfallio che mi aggroviglia lo stomaco congiuntamente alle tante scosse che elettrizzano la schiena.
Sono un granello di sabbia nel deserto.
<< Sa-salve. Signor De Winter. >>, un saluto espresso in un tono flebile, nel pieno delle balbuzie; issa un sopracciglio.
Mi accomodo senza chiedere il permesso, perché devo discorrere di questioni delicate.
<< Ci tenevo a porgervi le mie più sentite scuse per quanto accaduto. Mi dovete credere, non era mia intenzione arrecarvi una tale offesa, io... >>, inizio a straparlare per poi lasciare in sospeso, avvertendo improvvisamente una secchezza di parole.
<< Immagino sia una sua consuetudine, infilarsi nelle camere altrui e offrire una presenza non richiesta a una persona di un lignaggio più elevato del suo. >>, esordisce in tono sprezzante, inarcando l'angolo della bocca in un sorrisino sghembo << Ad ogni modo, desidero rimuovere dalla mia mente quella incresciosa vicenda. Può dormire sogni tranquilli, piccolo fiorellino di campo. >>, conclude in modo dolce e carezzevole, nel momento in cui pronuncia le ultime parole.
La luce sfavillante della gioia più pura mi irradia il volto; tuttavia, prestando attenzione all'appellativo che mi ha dato, il sorriso si smorza.
<< Come mi avete chiamata? >>, mi acciglio, disserrando la bocca.
<< Fiore di campo. Il suo vestito è così... floreale e particolare che mi è impossibile non constatarlo. >>, mi spiega il suo ragionamento virgolettando sull'aggettivo particolare in una nota di beffa.
Il fuoco di una miscela di indignazione e rabbia mi divampa sul viso, al punto che serro denti e mani in una morsa rabbiosa.
<< Questo abito per me è molto importante e, perdonatemi, non tutte siamo avvezze all'alta sartoria come le donne che immagino frequentiate voi, Signore. >>, gracchio con sdegno, alzando il timbro di un'ottava.
Ghigna apertamente, e un brillio di eccitazione illumina l'oceano dei suoi occhi.
<< Sono costernato dalla sua capacità di ribattermi. Non credevo ne fosse capace. >>
<< Sono timida, ma ciò non significa che io mi lasci umiliare da voi, Signore. >>, sento di sottolinearlo.
Ridacchia.
<< Certo prima era un perenne... - Sì signore! Scusatemi signore! - adesso, invece, posso dire che lei ha della personalità. >>, scimmiotta.
Si protende con il mezzo busto invadendo la parte di tavolo in cui siede una me inerme e pietrificata dall'imbarazzo.
Avverto le vibrazioni del suo respiro a un centimetro di distanza, mi ritrovo inchiodata a un mare funesto che, imperscrutabile e intenso, domina in quelle iridi cerulee.
<< Una personalità forse intensa. >>, conclude soavemente.
Chino il capo, paonazza.
Una risatina prorompe nel silenzio e, come diretta conseguenza, mi costringo a distogliere l'attenzione dalle rifiniture della tovaglia per rivolgerla a lui.
<< Adesso ha nuovamente indossato l'aspetto della ragazzina spaurita. >>, pronuncia con fare pensieroso e serioso << Mi chiedo quale sia... la sua maschera... >>, riflette in un tono a metà tra lo sgomento e la leggerezza << Sa... tutti ne abbiamo una. La società, le circostanze ci inducono a indossarne tante, di maschere, perché la verità produce sempre un suono sgradevole. >>, si dilunga nel darmi la riprova di un marcato cinismo.
<< Non la penso come voi. Non ci sono maschere che tengano di fronte alla trasparenza e sincerità. >>, affermo in modo acceso.
<< Lei, quindi, ha l'ardire e il coraggio di definirsi una persona trasparente e pura? >>, domanda con imperscrutabile serietà.
Domanda a cui non rivolgo alcuna risposta mentre, in un religioso silenzio, torno all'in piedi per accomiatarmi; il tutto sotto la supervisione rovente di Alexander.
* * * *
Narratore esterno:
Il sole, ottenebrato dall'imbrunire del cielo, ha portato via con sè le preoccupazioni della giornata, e anche la tensione palpabile di pocanzi tra la piccola Mary e l'altero Alexander.
Nello stesso albergo, serrata in una stanza, cullata da una danza di silenzio e assennato desiderio di scoprire una verità scomoda, vi è lei, supina su di un giaciglio.
Una donna avvolta in una lunga veste da notte in pregiato pizzo, dalle ciocche rattrappite in uno strano chignon, la pelle olivastra.
Luise, la nobildonna a cui Mary fa da dama da compagnia.
Precedentemente è riuscita ad appropriarsi di quel insieme di fogli in successione, legati gli uni dagli altri, custodi di terrificanti segreti a loro volta connessi alla ricostruzione del fantomatico Castello di Manderley.
Il palazzo avvolto nelle nebbie più fitte, soffocanti, inquietanti.
Il buio obnubila quasi interamente la stanza, ma il riverbero del chiarore lunare contrasta l'oscurità e si riflette sino alle pareti, sino all'uscio; tra luci e ombre è visibile solamente il giaciglio da cui si è alzata la donna, lo scrittoio a cui si appoggia e la candela collocata su di esso.
Grazie a quest'ultima è visibile la scritta sulla copertina verde del quadernino...
"Seconda seduta, terza seduta, quarta seduta, quinta seduta dallo psichiatra in seguito alla prematura scomparsa della moglie, Leonor De Winter"
All'improvviso la fiamma inizia a sfarfallare, segno di un affievolimento provocato da un vento gelido; proprio mentre un boato la fa trasalire.
Un secondo boato.
Un terzo.
Un quarto.
Si spegne del tutto.
Le tenebre, dalle fattezze mostruose, inghiottiscono la vedova in un istante.
Un istante sempre più lungo e logorante.
Il cuore accelera in una galoppata improvvisa.
Brividi di freddo corrono lungo la schiena come se fosse calato il gelo.
Ma no, non è il gelo...
Si fionda verso un altro pacco di fiammiferi tentando di nuovo di ricreare la fiammella, ma la mano tremula.
Tremolii asfissianti l'assalgono al pensiero che qualcuno possa essersi introdotto nella sua stanza e che ora possa trovarsi oltre la porta.
Un soffio gelido proveniente da chissà dove travolge la fiamma.
Domina la fiamma e domina la donna.
Il coraggio che la animava viene sostituito dal terrore vivido e terrificante che qualcuno possa aver aperto la finestra e aver prodotto quel rumore.
Il lungo cigolare della porta mossa dal vento fa trasalire Luise.
Ancora oscurità risucchia l'ambiente della suite.
Il cane abbaia in uno scatto rabbioso verso il nulla, o forse no...
Forse c'è davvero qualcuno.
Qualcuno che potrebbe incombere su di lei da un momento all'altro, dopo essere spuntato da qualsiasi parte, dall'armadio o dalla porta socchiusa che collegano la camera ad altri luoghi avvolti nelle tenebre.
Sente il suo respiro che, quasi, la avvolge in una morsa letale, e tutto ciò la pietrifica.
-Chi c'è oltre quella soglia? -
All'improvviso riecheggia un boato e poi il nulla. Rannicchiata sul pavimento, con le mani a coprirle gli occhi, le sembra di trovarsi in una bolla da cui non riesce a percepire nulla.
Il caro Willy riprende a ringhiare, ululare e abbaiare.
Le gambe, come se avessero vita propria, prendono a tremolare in una camminata rapida e agitata.
E in un attimo si ritrova nel salottino: divani ben ordinati, il tavolino al centro, la porta del bagno in fondo.
Sobbalza notando che la finestra è effettivamente aperta.
Rammenta con sicurezza di non averla lasciata tale.
Qualcuno potrebbe averla spalancata.
Si affretta a serrarla, nuovamente.
In seguito, dopo neanche un minuto, eccolo: un ennesimo cigolio provenire dalla porta laccata in bianco, situata in fondo al corridoio.
Non può essere.
Non può essere stata aperta dal vento, perché non avverte più nessuna frescura avendo chiuso.
Il panico inizia a invadere le sue viscere, lentamente ma con costanza; i movimenti diventano affannosi.
Ruota intorno a se stessa come una trottola impazzita; le pare che in ogni direzione si volti ci sia qualcuno pronto ad afferrarla, a piombarle addosso per soffocarla.
Un altro rumore, più vicino e agghiacciante.
Incomincia a correre verso il salone dell'ingresso, ma all'improvviso il ginocchio cozza contro il mobile in legno.
Sospinta all'indietro collide contro il muro, e avverte uno strano movimento all'interno della spalla, un dolore lancinante proprio lì.
Il sangue esce copioso da essa.
-Devi uscire di qui, Luise! Devi andartene Luise! Qualcuno ti osserva... -, pensieri incessanti martellano la mente della donna quando, per la prima volta, si ode uno stridio.
Sobbalza ancora, ancora e ancora.
È ossessionata dall'idea che qualcuno la stia osservando, pronto a incombere su di lei e soffocarla nel modo più atroce.
Vogliono farle del male.
Avvolto nel buio, quello strano individuo sta facendo di tutto per palesare la sua presenza, per spaventatarla.
- O forse... - un pensiero che la trafigge come una spada.
Lo scrosciare dell'acqua spezza la bolla di silenzio che la circondava.
Lei è qui, non in bagno; non divide la stanza con nessuno.
A questo punto è chiaro: una persona è entrata nella sua suite.
Si affanna per raggiungere quella direzione, nonostante la paura.
Presa da spasmodici sbattimenti di ciglia, da strani coordinamenti muscolari, la mano si posa su quella maledetta maniglia, ben consapevole che questo qualcuno l'attaccherà.
Potrebbe farlo tra qualche minuto.
Tra qualche secondo.
Potrebbe farlo adesso.
Un ennesimo brivido accompagna l'apnea persistente e il battito frenetico.
Apre, con una lentezza esasperante, e - come da presentimento - la vasca è stracolma di acqua che trasborda.
Il fumo fuoriesce da essa e rende l'ambiente nebuloso, lugubre; deve essere bollente.
La vista si annebbia per via dello sforzo e della paura.
<< Dove sei? Ti prego, lasciami stare... lascia-mi... >>, il fiume di parole si arresta vedendo l'immagine riflessa nello specchio.
Occhi neri e lineamenti contratti.
Un solo istante in cui tenta di reagire, di voltarsi e colpirlo; ma lui la afferra per la gola e spinge violentemente il suo volto verso la vasca.
L'acqua bolle e arde sul suo viso.
Mugugni e urla strazianti.
Il fuoco arde la pelle.
Bruciori sempre più opprimenti, laceranti.
Tenta di scalciare per discostarlo da sé, perché la sensazione è insopportabile; tuttavia risulta tutto vano, rattrappita così com'è è impossibile liberare il collo.
Il fuoco seguita a corrodere e gli ansimi si intensificano, ogni istante sempre di più.
Fino a quando, finalmente, tira fuori il suo volto ustionato e fumante, annebbiato da un malessere che le sta spegnendo l'ossigeno.
Prima di serrare gli occhi, vede solo delle pozze nere, labbra carnose, capelli rasati, muscolatura accentuata.
Poi esala l'ultimo respiro; quello fatale, che spegne il soffio della vita per sempre.
* * * *
In una totale dissonanza con la crudeltà di quanto accaduto nelle stanze di Luise, il terrazzo che da sul mare è allietato da animi festaioli.
L'alta aristocrazia impegnata a parlottare e bere Bourbon, tra lunghi abiti sfavillanti dai più frequenti colori rosso e nero, smocking tra il nero e il blu.
Con il volto catturato dal mare il quale, nella sua calma innaturale, è espressione di quell'eterea bellezza che è l'imitazione della nobiltà; con le braccia tese in avanti, in prossimità della ringhiera in ferro, vi è lui.
Alexander, preso com'è dall'estasi contemplativa di quella bellezza naturale e di quella quiete.
Se ne sta in una barriera di imperscrutabile armonia, ma stranamente pensieroso.
Lo scalpitare dietro di sé, lo induce a deviare per un attimo la traiettoria delle pupille per incontrare un uomo, vestito in una discreta raffinatezza: capelli rasati, lineamenti marcati, ciglia e occhi neri, labbra carnose, completo blu.
È lui, lo stesso individuo che ha commesso la peggio bassezza che un essere umano possa compiere.
Se ne sta accanto all'uomo di ghiaccio.
<< Ti stavo aspettando. >>, sibilla con estenuante lentezza, in tono asciutto, proprio il nobile.
<< Signor De Winter, ho fatto quello che mi avete detto, tuttavia ci sono state delle complicanze... >>, informa apaticamente.
Sospira.
<< Adesso non è opportuno che tu me ne parli qui. Spero solo che tu non abbia tirato la corda. >>, risponde cripticamente, incatenandolo al suo fiero volto di marmo.
<< Ho fatto tutto quello che era necessario, mio Signore. >>, si giustifica cacciando fuori il quadernino che Alexander prontamente afferra.
<< Alcune verità premono per venire alla luce, ma necessitano di essere soffocate da un velo di silenzio. >>, parla cautamente con fare inquietante.
Dopodiché fuoriesce quella, l'ultima frase:
<< Porterò la ragazza a Manderley, non ho altra scelta. >>.
Tutto è parte di un grande disegno dal significato incomprensibile, un significato agghiacciante e doloroso che coinvolge Mary.
NOTE:
Ed eccoci giunti al capitolo III.
Commentate se vi è piaciuto, credo che ci sia molto da dire per tutti gli interrogativi che lascia.
A presto per il capitolo IV! :*
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