~Capitolo 2~
Un piccolo desiderio si insinuò nella mia mente durante quella notte. I miei occhi si aprirono di scatto alimentati da un'intenzione: fare un innocuo giro nel giardino reale.
D'altronde, dopo la morte della regina sarei potuta essere più libera, così pensavo. Mio padre ha sempre detto che il pericolo più grande fosse lei, per questo era così accorto, ma ha continuato a comportarsi con la stessa accortezza . E questo mi ha resa ancora più inquieta, iniziavo a temere che fosse stesso lui ad aver paura di provare la mia esistenza al mondo. So per certa che mia madre non avrebbe mai desiderato questa vita per me.
Non persi altro tempo, ormai ero decisa, mi alzai velocemente dal letto, afferrai il mio mantello e, di soppiatto aprii la porta. Quel cigolio era sempre stato un'emozione per me, sapere che adesso ero stata io a provocarlo mi entusiasmava.
Ho varcato la soglia della mia prigionia.
Il cappuccio mi copriva le buffe orecchie, a metà tra la finezza delle orecchie elfiche e la rotondità di quelle umane. Anche la mia visuale era offuscata a causa di quell' ingombro, ma questo non mi fermò dal continuare il mio tragitto verso la mia meta. In realtà, non conoscendo la disposizione dei corridoi, non riuscivo ad orientarmi verso il giardino.
Non conoscevo l'ubicazione di nessun luogo. Era come se stessi per fare i miei primi veri passi verso l'ignoto.
Dopo diversi scalini e lunghi corridoi, scorsi la luce irradiare dalla Luna attraverso dei finestroni; scorgendomi verso i vetri mi accorsi che il giardino era vicino, dovevo solo trovare la porta principale ed uscire.
Ecco il portone.
Lo aprii e uscii per la prima volta da quelle mura. Non ricordavo come fosse la prima volta che vidi il castello dall'interno, ma tenni sempre con me le emozioni che provai uscendo.
Una zaffata di aria fresca e brezza notturna mi pervasero le narici. Subito mi fiondai alla mia destra dove potei per la prima volta toccare e annusare i fiori che avevo sempre visto sbocciare ad ogni primavera dalla mia solitaria finestra. Il tocco di quei petali mi emozionò più di quanto emozionerebbe qualsiasi altro individuo in questa corte.
Rimasi lì in mezzo ai fiori, inebriata da quella sensazione di libertà. Saltuariamente un occhio mi cadeva verso la vera libertà, il portone esterno, quello che dava ufficialmente fuori le mura reali, dove la vita prosperava libera. Dove ero odiata e ancora più in pericolo.
La notte passò veloce mentre mi godevo la vista delle stelle, distesa sul prato. La luce della luna iniziò a dissolversi dando spazio al nuovo giorno e quello fu il momento di andarmene. Da lì a poco si sarebbero destati i servitori e io non dovevo per nessuna ragione essere vista.
Ripercorsi tutto il tragitto di corsa, con la paura impellente di poter essere vista , fermata da qualcuno o che al re potessero giungere voci della mia sconsiderata fuga notturna.
Raggiunsi la mia stanza, tolsi finalmente il mantello e ammirai il sole sorgere, sdraiata sul letto.
Un paio di ore dopo, udii i soliti tre tocchi alla porta che annunciavano l'arrivo della mia colazione, puntuali come tutti come tutti gli altri giorni. Prima di aprire la porta dovevo aspettare che il servitore se ne andasse per poter prendere il pasto. Tutte regole imposte da mio padre.
Presi il vassoio e trangugia il cibo davanti la finestra, ammirando le danze frivole degli uccelli in cielo.
Verso ora di pranzo sentii cinque tocchi alla porta, quelli che annunciavano l'arrivo di mio padre, stavolta era stato lui a portarmi il pasto; l'unica libertà che si era preso dopo la morte della regina.
《Idryll, figlia mia》si annunciava così tutte le volta appena aprivo la porta.
《Padre...》 c'era sempre puntualmente quale istante di imbarazzante silenzio.
《Ti ho portato il pranzo》 fece un fugace sorriso.
《Vedo》 risposi cercando di sembrare il più garbata possibile e cercando di non tradire nessuna parola o comportamento che gli facesse sospettare che io fossi uscita.
《Come è andata la tua mattinata?》 Cercò di conversare con scarsi risultati.
《Il solito padre, ho ammirato la vita all'infuori delle mura tramite l'unico spiraglio di libertà che ho》 la drammaticità estrema funzionava sempre. Ammetto che iniziavo a provarci gusto nel premere suo sensi di colpa. In qualche modo dovevo far passare il tempo.
《Devi stare attenta, non puoi stare molto alla finestra, te l'ho detto, è pericolo, qualcuno-》
《Qualcuno potrebbe notare la mia presenza》 gli feci eco, annoiata a avvilita. 《 Lo so, sono quasi venti anni che me lo ripeti》.
《E tu ancora non lo hai capito.》 mi rimproverò. 《 Lo faccio per te, Idryll, per la tua sicurezza》
Iniziavo a crederci sempre meno, ma allo stesso tempo temevo perdutamente che ogni singola parola fosse vera.
Poco dopo, si sedette sul letto, lasciando il cibo sul tavolo difronte. Mangiai mentre mi raccontava di alcuni attacchi subiti dal regno nemico. Mondre è sempre stato in guerra con un singolo regno, neanche mio padre sa precisamente il perché. Sono vecchi odi che si tramandano da generazioni e nessuno si pone mai il dubbio se ha ancora senso continuare a ripudiarsi.
《Ma ultimamente,》 continuava a raccontarmi 《gli attacchi si sono fatti più mirati. Nivera ha assoldato spie disseminate nel regno incaricate di creare scompiglio e sommosse interne nel tentativo di indebolire il regno, per poterlo annientare una volta per tutte.》Non mi aveva mai parlato così apertamente di questi problemi del regno, rimasi stupita. Mi raccontava storie su Mondre e Nivera, vecchie ballate, per lo più inventate dai bardi; il loro passatempo preferito è romanzare su vecchie storie che nessuno conosce più.
Iniziò un discorso sul passato che io non volli interrompere, ripensò ai tempi in cui mia madre era ancora viva, ma non la nominò. Raccontò solo la parte legata ad armistizi e battaglie.
Il tempo passò e mio padre si defilò con un'insulsa scusa come tutte le volte, si sentiva in colpa a lasciarmi, ma allo stesso tempo non poteva stare troppo con me. Il re veniva richiesto in continuazione. Sarebbe risultata sospetta un'assenza così prolungata, così diceva.
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