2. Te ne devi andare.

Il giorno che segue una sbronza è un vero e proprio dramma.
La testa che pulsa, il bruciore allo stomaco, la nausea costante.
È così che mi sveglio dopo aver passato una notte al Pacha di cui non ricordo assolutamente nulla.

Strabuzzo gli occhi e sbadiglio, quindi sospiro nel vedere che porto ancora le scarpe ai piedi e che mi sono addormentata sul mio divano nero.
Ma un attimo.
Il mio divano è beige.
Non è mai stato nero.

«Ehi, Paris Hilton, te ne devi andare», una voce maschile che non conosco mi fa sobbalzare e mi alzo di scatto, facendo cadere a terra la mia borsetta che giaceva da qualche parte sul mio corpo.
Nessun essere mortale dovrebbe vedere ció che mi trovo davanti  perché credo di aver appena perso dieci anni di vita.

Un ragazzo mi fissa con i suoi grandi occhi verdi mentre tampona con un asciugamano bianco i capelli scuri e completamente zuppi. Delle piccole goccioline d'acqua si rincorrono sul suo torace scolpito e finiscono dentro la tovaglia che circonda il suo bacino per coprire la sua parte più intima.
Schiudo le labbra e mi ritrovo a desiderare di sfiorare quella pelle olivastra anche solo per un
secondo.

«Che hai da guardare? Sei ancora ubriaca?», ciò che esce dalla sua bocca rovina il mio sogno e strabuzzo gli occhi, ricevendo in faccia lo schiaffo della dura realtà.
Che diavolo ho combinato stanotte?

«Dove sono?», mi guardo intorno, spaesata e confusa, «E tu chi diavolo sei?».
Ruota gli occhi al cielo e sbuffa, quindi si gira e sparisce nel corridoio senza dire una parola.
Le sue spalle larghe, però, mi fanno venire in mente di chi si tratta.

È il barista!
Mio Dio, mi sono fatta il barista e non lo ricordo?
Non vorrei mai dimenticare una cosa del genere!

La mia gola si secca improvvisamente e ho un capogiro quando mi abbasso per recuperare la borsetta.
Cerco il mio cellulare e mordo le mie labbra nel trovare dieci chiamate perse di Addison e almeno trenta messaggi.
Merda.

«Oh, vedo che sei tornata su due zampe», il barista fa il suo ingresso per la seconda volta, ma grazie a Dio è vestito.
Indossa una camicia azzurra su un paio di jeans chiari e tiene i suoi occhi puntati sul mio corpo mentre arrotola le maniche.
Io non so cosa dire.
Sono ancora troppo stordita per riuscire a mettere due parole insieme di senso compiuto.
Però ci provo.

«Io e te abbiamo fatto sesso?».
Ma che cosa ho detto?
Non era questo ciò che volevo dire!
Il ragazzo scoppia a ridere e continua ad arrotolare le maniche della camicia, «Se avessimo fatto sesso te lo ricorderesti».
Sì, ha ragione.

Sospiro e sistemo meglio il vestitino nero sulle mie gambe, poi alzo lo sguardo e del barista non c'è più traccia.
Accanto alla porta c'è uno specchio e ne approfitto per darmi un'occhiata.
I miei capelli lunghi e biondi sono del tutto scompigliati e i miei occhi neri sono contornati da due profonde occhiaie.
Che faccia terribile.
Sono bruttina di solito, ma così esageratamente mai.

«Sei ancora qui?», e rieccolo.
«Tratti così tutti i tuoi ospiti?», incrocio le braccia al petto e gonfio le guance, cercando di reggere il suo sguardo.
«Ho un colloquio tra...», lancia un'occhiata all'orologio che tiene al polso e torna a guardare me, «Meno di un'ora. E tu te ne devi andare»
«Posso sapere almeno cosa ci faccio qui?».

Non risponde ancora una volta e s'incammina in fretta verso una stanza, io decido di seguirlo ed entro nella sua cucina.
C'è troppo sole e i mobili bianchi su cui riflette la luce non mi aiutano per niente.
Cerco gli occhiali da sole nella borsa e li indosso, provocando una risata del barista.
Riempie un bicchiere con del succo di frutta e me lo mette tra le mani mentre lui si appoggia al tavolo e morde un toast.

«Bevi, ti farà bene», suggerisce.
Ma ricordo che l'ultima cosa che mi ha dato da bere mi ha ridotta in questo stato, quindi decido di rifiutare.
«Mi dici perché sono qui?»
«Non reggi l'alcool», scrolla le spalle e ingoia, leccando via dalle labbra delle briciole.
Oh, porca zucchina.

«Ti ho preparato un Margarita e poi hai iniziato a delirare. Dicevi cose senza senso e mi hai toccato il sedere prima di addormentarti sul bancone. Eri sola e non sapevo cosa fare con il tuo cadavere, quindi eccoti qui», mi fa l'occhiolino mentre l'immagine di me che palpeggio i suoi glutei tondi e
sodi si fa spazio nella mia mente e mi sento avvampare.

C'è un limite nel perdere la propria dignità?
Vorrei saperlo.
Apro la bocca e la richiudo più volte, incapace di giustificare la mia violenza sessuale.

Il ragazzo finisce il suo toast e beve il succo che aveva preparato per me, poi prende un altro toast e me lo infila in bocca, «Adesso prendi questo e fai buon viaggio», mi spintona in direzione dell'uscita e traballo sui miei tacchi, rischiando di spaccarmi la faccia da un momento all'altro.
Afferra una giacca e chiude la porta del suo appartamento alle nostre spalle, poi mi fa un cenno col capo in segno di saluto e scende le scale in fretta.

Io cerco di non vomitare sul suo tappeto a causa della nausea improvvisa ed esco dall'edificio con
molta calma mentre mangio il toast al prosciutto.
Mi ritrovo in una delle strade più centrali di New York e sorrido nel vedere che da qui sono in grado
di tornare a casa senza perdermi.
Del barista, ovviamente, non c'è più traccia.

Il mio cellulare inizia a squillare e ingoio in fretta l'ultimo boccone prima di rispondere.
«Pronto?»
«Signorina Torres», è una ragazza a parlare, «Le ricordo che tra mezz'ora inizia il suo primo giorno come direttrice della casa editrice Cambel. L'aspetta una giornata piuttosto impegnativa per cui, come sua segretaria, le consiglio di essere qui presente tra tredici minuti al massimo».
La mia bocca si spalanca e un altro conato di vomito cerca di risalire dal mio stomaco.
Oh, merda.
«Mi scusi, ma che giorno è?».

Quella che deve essere la mia segretaria impiega qualche istante prima di rispondere, «È il primo di
Aprile, signorina Torres».
Oh, no.

                         🍸🍸🍸
Mezz'ora dopo, con i vestiti del giorno prima e con gli occhiali da sole incollati al naso, faccio il mio ingresso nella mia casa editrice.
Mia.
Io che fino ad una settimana fa riempivo i coni con del gelato!

Raggiungo il mio ufficio dopo essermi persa almeno tre volte tra i corridoi, quindi mi concedo un respiro profondo quando finalmente mi siedo sulla mia poltrona.
E adesso che devo fare?

Una ragazza con i capelli neri legati in uno chignon entra nella stanza e sorride cordiale, porgendomi la mano, «Buongiorno signorina Torres!», squittisce, «Io sono Meredith Reed, la sua assistente, ma mi presenterò meglio quando avrà terminato la sessione di colloqui. Come lei ben sa, siamo già in ritardo. Faccio entrare il primo candidato».

Colloqui?
Candidato?
Ma lei sa che non ho nemmeno una laurea e che è il mio primo giorno?
Fingo di non essere sconvolta e cerco di sistemare al meglio i miei capelli per avere un aspetto più autoritario e serio.
Le dirò dopo che non so fare un emerito cazzo.

«Signorina Torres, lui è Brandon Sullivan», alzo lo sguardo con un sorriso radioso che muore immediatamente sulle mie labbra non appena i miei occhi si posano su un viso che adesso riconosco immediatamente.
Il barista.
Anche il suo sorriso sparisce immediatamente, lasciando spazio ad un'espressione sconvolta.

«Licenziato», mi affretto a dire, indicando la porta.
La segretaria corruga la fronte, «Non può licenziarlo se non lo ha mai assunto»
«Beh, avanti il prossimo».

Non ho intenzione di assumere questo tipo.
Anzi, non ho intenzione di rivederlo per il resto dei miei giorni.
Gli ho palpato il sedere mentre ero ubriaca, dannazione!

Brandon si morde il labbro, visibilmente infastidito dalla mia reazione.
Stringe i pugni e passa il peso del suo corpo da una gamba all'altra, «Conosco il tuo segreto», dice di getto, come se fosse la parolina magica per salvarsi il culo. 
«So perché ti trovi dietro quella scrivania e conosco il tuo vero grado di preparazione»
«Il suo vero grado di preparazione?», la mia segretaria sembra sconvolta e capisco che probabilmente non sa che mi ritrovo qui per caso.
Brandon schiude le labbra e mi sfida con lo sguardo, pronto a parlare della mia ignoranza in materia, ma decido di bloccarlo nel primo modo che mi viene in mente.
«Sei assunto!», dico.
E ho appena firmato la mia condanna a morte.

Buongiorno!
Ecco a voi il secondo capitolo.
Vi avevo detto che sarei stata molto veloce con gli aggiornamenti per i primi capitoli e spero di riuscirci per almeno altri due!
In questo capitolo abbiamo la prima vera conversazione tra Sarah e Brandon. Cosa ve ne pare? Il finale del capitolo ci fa comprendere più o meno la trama di questa storia.
Che mi dite fino ad ora di Brandon? E cosa pensate dovrà passare Sarah a lavoro? Incapace di fare qualsiasi cosa e con quel tipo tra i piedi 😈😈
Beh, spero che la storia vi stia incuriosendo e che il capitolo vi sia piaciuto.
Fatemi sapere! ❤️
Un bacio e buon inizio settimana.

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