8. Un allegro colloquio con la morte (parte 1)
Bastò il pensiero.
Quando ogni singolo cultista in quella piazza si portò le mani alla testa e cominciò a gridare, Axsa credette che qualcuno avesse appena lanciato un incantesimo su larga scala. Anche Alerdhil stava subendo gli stessi effetti degli altri, però, e vedere i suoi lineamenti storpiati dalla sofferenza le fece perdere un battito.
«Che cosa state facendo? Smettetela subito!»
Una voce baritonale portò l'attenzione di Axsa verso la statua e solo allora si accorse che i cinque paladini dello spirito dell'amore erano coscienti e in stato d'allarme, tutti con le spade estratte e gli sguardi su di lei.
Credevano fosse colpa sua, quindi? Come biasimarli, visto che era l'unica a non star gridando e, oh... la situazione era così assurda che neanche si era accorta che il suo corpo aveva preso a emanare una luce bluastra. Si guardò i palmi e capì che i paladini avevano ragione, anche se lei non aveva la minima idea di cosa stesse accadendo.
La lacrima sotto all'occhio bruciava tanto da ferirla e Axsa cadde in ginocchio mentre ancora gli uomini le stavano chiedendo spiegazioni. Si sostenne con le mani sui ciottoli bagnati e li udì appena correre verso di lei, troppo impegnata ad ansimare nella disperata ricerca di ossigeno.
Aveva usato troppo potere quel giorno e percepiva le forze abbandonarla attimo dopo attimo, mentre ancora i cultisti gridavano, unendo i loro tormenti a quelli del cielo in tempesta.
«Dobbiamo fermarla o li ucciderà tutti!»
La voce grave udita poco prima si era fatta vicina e lo sguardo appannato di Axsa scorse le gambe di uno dei guerrieri proprio davanti a lei, l'argento dell'armatura che risaltava davanti al fondo del mantello variopinto; sentì il fastidio della lama di una spada dietro al collo, ma non riuscì a reagire.
Una recondita parte di lei quasi ne era felice: forse era meglio così, se davvero l'emissaria stava facendo del male a tutta quella gente senza neanche sapere come o perché.
«No, aspetta! Io l'ho già vista! Lei è la maestra del sommo Alerdhil e anche gli adepti di Varodil sono influenzati dall'incanto. C'è qualcosa che ci sfugge.»
Una seconda voce allarmata s'insinuò tra loro e il suo proprietario doveva aver bloccato la mano armata del primo, perché la bambina sentì la spada allontanarsi da lei. In quel momento, la magia della lacrima si concentrò tutta nella gemma e un'onda d'urto scaturì da essa, tanto travolgente da far cadere a terra gli uomini davanti a lei.
I colori svanirono dal mondo, così come i suoni. Le palpebre dell'elfa oscura si fecero troppo pesanti e tenerle sollevate divenne impossibile.
Era la sua guancia quella che aveva appena toccato l'umido suolo della piazza? Cos'era quella sensazione di vuoto? Perché la testa era così pesante?
Axsa non riuscì a rispondersi, perdendosi in un'unica imprecazione silenziosa mentre ogni senso veniva avvolto dalle tenebre.
Il cielo, però, da qualche istante aveva smesso di piangere.
Non più melodie di liuti tra le immagini che si susseguono rapide. Solo calore e silenzio.
Una pioggia di sabbia fine, immobile in ogni parte del mondo.
Galadar, Varodil, Serendhien... nove spiriti in cerchio sotto al manto di Alanmaeth.
Una grotta oscura, illuminata da tenui luci magiche verdi. Scheletri, spettri, anime vorticanti intorno a una grossa gabbia appesa al soffitto; al suo interno, una donna pallida abbigliata di nero, occhi lattei privi di iride o pupilla fissi verso l'alto.
Stelle in movimento, circondate da fumo e oscurità; scie di caos a raffreddare gli animi mortali.
Una clessidra stracolma di sabbia, piegata di quarantacinque gradi accanto a un'altra con la medesima inclinazione; entrambe rilucono d'oro, ma il vetro della seconda è segnato da innumerevoli crepe e non vi è nulla al suo interno, a parte un singolo, piccolissimo granello.
Una gemma a forma di lacrima, i bordi sfaccettati che riflettono il viso stanco di una bambina, no, di un'anziana dalla pelle nera. Mani tremanti a stringerla in esse.
Gelo. Fuoco. Vento. Magia. Potere. Morte.
Tempo.
Axsa faticò a riaprire gli occhi e sentì irritanti brividi percorrerle le membra. Aveva dormito, aveva sognato, ma non era affatto riposata.
Si trovava in un grosso letto tra morbide lenzuola di seta che profumavano di buono; un odore familiare che le cancellò i pensieri per un piacevole istante, fin quando non si costrinse ad abbandonare il cuscino di piume e mettersi seduta.
Gli armadi e le librerie di legno scuro, le pareti e il pavimento di marmo nero erano illuminati dalla luce vibrante di una candela, solitaria sulla scrivania dall'altra parte del letto. I contorni degli oggetti erano macchiati di ombre, ma non il viso di Alerdhil, seduto sul tondo sgabello e chino sullo scrittoio a leggere assorto da un tomo gigantesco.
Axsa si perse a scrutare le bionde sopracciglia aggrottate, lo sguardo concentrato e il corpo dell'elfo, nascosto in modo insopportabile da quella stupida tunica che rimandava a Varodil.
Quella era la sua camera da letto all'interno del tempio e, sebbene Axsa l'avesse sbirciata spesso, ci mise un po' a razionalizzare e ricordare cosa avrebbe potuto condurla lì in quel momento. Qualcuno – forse lei stessa – aveva attaccato i cultisti prima che fossero riusciti ad ammazzarsi a vicenda, poi era svenuta.
Alerdhil sembrava stare bene e la bambina ne fu felice; lo osservò in quella quiete innaturale, tanto profonda che riusciva persino a sentire i battiti del suo cuore, e formulò innumerevoli domande da potergli porre per attirare l'attenzione. Nessuna, però, le sembrò adatta al momento e restò zitta fin quando fu lui stesso a girare il capo e piantare le iridi azzurre nelle sue.
«Ben svegliata, te la sei presa comoda, eh!»
Le labbra dell'elfo si allungarono in uno dei suoi sorrisi ambigui e ad Axsa sembrò di vedere lo spettacolo più bello del mondo.
Quanto cazzo le era mancato.
Si stropicciò il naso e tossì per riattivare la gola, poi si sporse sul bordo del materasso in modo che le gambe penzolassero.
«Perché sono nel tuo letto?»
Senza di te, avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece. Conosceva la risposta.
Alerdhil restò seduto, ma si voltò del tutto verso di lei. «Sei svenuta e rimasta incosciente per quasi due giorni. Prima, però, hai sprigionato un potere immenso che ci ha colpiti tutti, fermando lo scontro. Pensavo lo sapessi, ma sembra tu stia cadendo dalle nuvole.»
Axsa portò in automatico i polpastrelli a sfiorare la gemma sulla guancia e quasi si stranì nel sentirla fredda. Scosse la testa. «Qualsiasi cosa abbia fatto, non volevo.»
L'elfo corrugò la fronte e incrociò le braccia al petto. «Davvero? Non l'avrei mai detto.»
Lo sguardo interrogativo della bambina fu una risposta abbastanza eloquente da far subito continuare Alerdhil senza bisogno di parole.
«Abbiamo avuto tutti delle visioni vivide. Abbiamo udito la melodia di un liuto e due voci intonare il canto della creazione. Io già lo sapevo dai tuoi racconti, ma per molti è stato scioccante vedere la caduta delle prime due lacrime, la guerra tra gli emissari, la corruzione di Celenwe da parte del caos, l'ascesa di Sa'shandriel e Galadar. Abbiamo visto tutto come fossimo presenti ed è stato straziante. Abbiamo assistito mentre Galadar suonava il Requiem dell'abisso, abbiamo patito la sua sofferenza nel perpetrare il genocidio della gente di Reah.»
Axsa aveva ormai perso la capacità di respirare mentre ascoltava le parole dell'amico, sempre più tormentate a ogni frase. Lui si alzò e le si fermò davanti, costringendola ad alzare il mento per guardarlo.
«Devi essere stata tu a farci vivere tutto questo, perché poi abbiamo visto la caduta dell'ultima lacrima e il momento in cui l'hai assorbita in te. Ho sentito la tua angoscia, ho percepito i tuoi sentimenti tormentati, i dubbi, la paura. Come te, come gli emissari, io e gli altri cultisti nella piazza siamo stati maledetti per tutto l'arco di quell'esperienza e, quando siamo tornati noi stessi, nessuno aveva più voglia di combattere.»
Quella storia era incredibile, però aveva senso: Axsa aveva desiderato che quegli stupidi potessero capirla e in qualche modo la conoscenza li aveva trovati tutti. Ecco perché avevano sofferto tanto: la verità faceva male.
La lacrima racchiudeva il potere della creazione stessa e Axsa avrebbe dovuto stare attenta a ciò che desiderava, poiché controllarla non era affatto semplice. Si sentì persino sciocca per aver biasimato la gente che le aveva puntato il dito addosso, vedendola come la rovina di Endel: era probabile avessero ragione di temerla, visto che non aveva idea di ciò che avrebbe potuto fare con la lacrima se si fosse arrabbiata al punto di desiderare la fine del mondo.
Deglutì e si alzò in piedi sul letto per arrivare all'altezza dell'elfo e potergli mettere le mani sulle spalle. «Devo liberarmi di questa cosa, Alerdhil. Sono venuta da te per chiederti aiuto. Ho bisogno di spezzare la maledizione e svincolarmi una volta per tutte da Varodil, da tutti gli spiriti.»
Lui le carezzò la guancia, sfiorò appena la gemma e una scarica di potere si espanse tra loro, obbligandolo a balzare all'indietro per allontanarsi. Axsa si portò le mani alle labbra nel vederlo ingobbirsi e stringersi le dita che l'avevano toccata col volto tirato dal dolore, ma l'elfo si riscosse subito. Sospirò, annuì e indicò il libro ancora aperto sulla scrivania.
«Lo so, per questo ho studiato a lungo. Essere sommo cultista della magia ha i suoi vantaggi: ho ereditato una fornita collezione privata con molti volumi arcani interessanti, tomi che i più definiscono proibiti. Ho trovato un rituale che potrebbe fare al caso nostro.»
Il labbro inferiore della bambina prese a tremare privo di controllo, gli occhi a bruciare mentre lo sguardo diventava liquido. Alerdhil doveva averlo notato, poiché lo sguardo serio si allargò in un sorriso sincero e il tono acquisì un po' di allegria.
«Io sono tra gli incantatori migliori di Endel, ma c'è un motivo per cui quei riti sono proibiti e sono certo che la mia magia non basterebbe a portarli a compimento senza rischi. Però, tu sei la portatrice della lacrima di Alanmaeth e non c'è forza maggiore esistente in questo o in altri piani.»
Era qualcosa di pericoloso, quindi, ma l'elfo aveva parlato sicuro e incoraggiante e Axsa non ebbe la forza di lasciar perdere, non dopo due secoli di sofferenza. Infine sul suo cammino si era accesa una piccola speranza e lei ci si sarebbe aggrappata con tutta sé stessa.
«In cosa consiste il rituale?»
Alerdhil afferrò il libro, sfogliò un paio di delicatissime pagine e poi lo mantenne aperto, girandolo verso di lei in modo che vedesse. C'erano scritte in rune che Axsa non riconobbe e l'immagine di una donna molto magra, nuda se non per un cappuccio a coprirle metà del volto, e con tra le dita una falce gigantesca.
«Evocheremo Ilimroth.»
«Cosa?»
Axsa quasi gridò quella piccola domanda stridula, provocando una spontanea risata nell'elfo, che le diede le spalle e riappoggiò il libro.
«È lei che custodisce le vite dei mortali. Non potrai mai mettere le mani sulla tua clessidra senza prima domandarglielo.»
Nonostante non tirasse un filo d'aria in quella piccola e buia stanza, ad Axsa sembrò che la fiamma della candela ondeggiasse, modificando le ombre nei lineamenti del sommo cultista e rendendolo quasi minaccioso.
Si lasciò cadere sul letto e fissò il vuoto. «Mi stai dicendo che dovrei chiedere alla morte di raddrizzare la clessidra? E perché mai dovrebbe farlo?»
Alerdhil negò e tornò seduto, accavallando le gambe una sull'altra e poggiando un gomito sulla superficie dello scrittoio. «Non credo che lei possa farlo. A maledirti è stato Varodil, del resto. Dovrai solo convincerla a mostrarti la clessidra e poi sfrutterai il potere di Alanmaeth per liberarti tu stessa.»
Axsa spostò lo sguardo su di lui per essere certa non la stesse prendendo in giro, ma forse era serio, a giudicare dal sorrisino sornione e dal modo noncurante con cui si sorreggeva la testa col braccio poggiato alla scrivania.
«Solo convincerla! È una parola! Come puoi dirmi che vuoi evocare lo spirito della morte ed essere così tranquillo? Non pensi sarà pericoloso?»
Alerdhil fece schioccare la lingua sul palato. «Certo che lo penso, per questo ho fatto evacuare il complesso. È stata una faticaccia, ma hanno creato un perimetro per tenere i visitatori lontani e loro se ne stanno andando via proprio adesso; resteremo io e te in tutti e tre i templi. I miei sottoposti non hanno osato ribattere e gli adepti di Deladan e Galadar erano ancora troppo scossi dalle visioni per andarmi contro. Ho detto loro che il rituale ti renderà una mortale normale e non sarai più una minaccia per Endel.»
Axsa arricciò il naso, dubbiosa se sentirsi sollevata o insultata da quell'ultima uscita, poi strinse le dita intorno alle lenzuola del grande letto e una domanda le sgorgò a mezza voce. «Hai fatto evacuare anche Aglor?»
Non aveva idea di quanto fosse cresciuto il piccolo elfo in quegli ultimi nove anni e in effetti non l'aveva visto nella piazza quand'era arrivata. Alerdhil s'irrigidì e prese a osservare le piastrelle lisce del pavimento. «Mio figlio non è qui, ma adesso non importa.»
Rialzò la testa e allungò verso l'alto gli angoli delle labbra. «Presto tornerà, in tempo per vederti libera, Axsa. Infine potrete crescere insieme.»
La bambina aveva percepito una lieve esitazione nel tono dell'elfo, una strana oscurità negli occhi semichiusi. Doveva essere successo qualcosa al piccolo Aglor, perché Axsa non aveva mai visto i muscoli di Alerdhil tanto tesi nello sforzo di fingere il sorriso.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top