6. Nessuno è solo

Lo spirito della vita si buttò giù dal ramo e atterrò con grazia senza emettere il minimo rumore.

«Salve, sorellina. Sono lieto di poter parlare con te.»

Axsa si portò un pugno chiuso al petto e boccheggiò, incredula. «So-sorellina?»

Una sola persona l'aveva chiamata così in passato e di certo non era Galadar; come cazzo si permetteva di rubare le parole del suo gemello? La bambina aveva la testa impallonata, l'odio ancora vivido nell'anima, assieme alla preoccupazione per la sorte del cantastorie.

Lo spirito le sorrise di nuovo, ma gli occhi erano privi di luce. «So che non ami essere chiamata col tuo nome di nascita e non ho intenzione di usare l'orribile parola con cui ti definisci. Io e te siamo legati, quindi ti considero un po' come la sorella minore che non ho mai avuto.»

Quella situazione era priva di logica. Axsa indietreggiò e scosse il capo continuando a scrutare quell'elfo che sarebbe persino potuto sembrare un mortale qualsiasi, se non avesse avuto l'erba al posto dei capelli. Era molto diverso da Varodil, da Meg'golun, Ilimroth e Serendhien, poiché non emanava la stessa aura pressante da creatura ultraterrena; tuttavia, in qualche modo Axsa sentiva di temerlo più degli altri, come se in lui ci fosse qualcosa di spaventoso. Forse, riflettendoci, lui la terrorizzava perché aveva seguito il suo stesso percorso ed era la prova di ciò che le sarebbe successo se fosse ascesa.

Ringhiando per mascherare l'angoscia, Axsa non riuscì a trattenersi dal gridare, la voce acuta e strozzata. «No, non ci provare! Cosa vuoi da me? Io... io devo fermare il Requiem!»

Galadar strinse le labbra e distolse lo sguardo, abbassandolo sui ciuffi d'erba per poi parlare desolato. «Una volta cominciato, il Requiem deve trovare una fine e il liuto arcano non si riterrà soddisfatto finché non avrà richiamato nell'abisso ogni vivente nel raggio di chilometri. Sorellina, tu non puoi farci nul-»

Lo spirito s'interruppe e sgranò le palpebre nello stesso istante in cui Axsa sentì nuovo dolore pervaderle le membra. Urlò, cadendo prona al suolo mentre si stringeva le braccia al petto in un vano tentativo di arginare la sofferenza. Qualcosa si stava lacerando, lo sentiva, e l'armonia dell'universo si era distorta, come se... come se una delle note del canto dell'esistenza avesse appena risuonato sbagliata.

L'agonia terminò in fretta e Axsa si sentì come svuotata, ansante, le iridi fisse tra le fronde di quegli alberi che non appartenevano alla sua Endel.

«Non posso crederci...»

La voce esterrefatta dello spirito della vita la riscosse, donandole la curiosità necessaria a mettersi seduta per poter tornare a guardarlo. Qualcosa era cambiato, poiché il sorriso sincero su quel viso dai lineamenti morbidi pareva brillare un poco di più e lui si rilassò, continuando a parlarle.

«Allan Darwen è riuscito dove io ho fallito. Ha lasciato che il liuto arcano suonasse il Requiem da solo e...» Gli angoli delle labbra si abbassarono, così come il tono. «Oh, il suo tempo sta finendo.»

«Cosa?»

Axsa provò ad alzarsi, ma non ci riuscì, le gambe molli pervase da tremiti incontrollabili. Stare inerme non le era mai piaciuto e ora più che mai sentiva di essere nel posto sbagliato. Anche se le costò molta fatica, decise di affidarsi a Galadar e di pregarlo, pur di raggiungere il suo scopo. «Portami da lui, devo salvarlo!»

Lo spirito aveva cominciato a osservare un punto indefinito verso l'alto e restò immobile per qualche secondo, prima di avvicinarsi a lei con passi lenti. «No. Allan Darwen è stato portato da Varodil e tu non puoi assolutamente andare da lui, non sotto forma di pura coscienza.»

«Perché?»

Axsa ormai era disperata e non riuscì a trattenere le lacrime che sgorgavano copiose a causa del vuoto che sentiva crescere in lei.

«Perché se andassi dallo spirito della magia in queste condizioni lui riuscirebbe a sopraffarti e ti obbligherebbe ad ascendere per prendere la lacrima di Alanmaeth. Tu non vuoi farlo, non è vero?»

Axsa non seppe come rispondere, divisa tra la ribellione e il desiderio di bloccare la sorte avversa del cantastorie che con prepotenza si era legato a lei. Galadar le teneva i verdi occhi addosso, era tranquillo e in qualche modo lei percepì che forse era una delle poche creature a poterla capire davvero. Del resto era quella la voce che, notte dopo notte, le aveva cantato la storia della creazione e il suo destino, anche se proveniva dalla parte di anima che lui aveva dovuto abbandonare nel liuto arcano.

Non riuscì a rispondergli e lui sospirò, abbassandosi per sedersi al suolo davanti a lei. «L'altra emissaria sta intercedendo per Allan Darwen proprio adesso, tenendo Varodil occupato. È forse l'unica occasione che mai avremo per poter parlare, sorellina, perché sono certo che lui verrà qui non appena si renderà conto che io ti ho richiamata nel mio piano.»

Si era messo alla sua altezza e Axsa non capiva cosa stesse succedendo, perché sentisse il cuore battere tanto rapido. Avrebbe voluto fidarsi di lui, percepiva il fortissimo legame che da sempre li aveva uniti nel destino di emissari dello spirito della magia, però aveva paura, un terrore che si tramutò in arroganza.

«E di cosa mai dovremmo parlare, eh?»

«Vuoi spezzare la maledizione.»

Galadar proruppe in quell'affermazione con una sicurezza tale da infrangere ogni possibile difesa della bambina, che aspirò aria dalla bocca in un verso sgraziato.

«Tu...»

L'elfo la interruppe. «Io lo so, perché è stato l'unico desiderio che ho avuto nei novantotto anni della mia vita. Ora sono uno spirito e posso plasmare le mie sembianze, quindi ho scelto di mostrarmi con l'aspetto che avrei avuto se Varodil non mi avesse scelto quando avevo appena ventitré anni.»

Sembrò riflettere un attimo, poi si passò le dita tra i capelli portandone una lunga ciocca davanti al corpo. «Beh, questi sono un effetto collaterale.»

Aveva voglia di scherzare? Non c'era traccia di divertimento nel suo tono, come se tutto ciò che stava dicendo fosse una semplice esposizione di fatti a loro estranei.

Prima che Axsa potesse ribattere, un vortice di foglie circondò lo spirito e le impedì di vederlo per un paio di secondi; quando le intruse si dispersero, davanti all'elfa oscura non c'era più un adulto, ma un piccolo elfo che dimostrava sette o otto anni umani, i capelli castani e le iridi di un nero intenso e profondo.

«Io ero così quando Varodil ha inclinato la mia clessidra e così sono rimasto fino a che non sono asceso.»

Persino la sua voce si era fatta infantile, completamente diversa da quando cantava, e Axsa spalancò la bocca, un braccio le si mosse da solo per allungarsi verso di lui; nell'istante in cui i polpastrelli gli sfiorarono la guancia, l'emissaria sentì una scarica di energia passare dallo spirito a lei e Galadar poggiò una mano sulla sua, mantenendo quel contatto.

Incapace di trattenersi oltre, la bambina si lasciò andare alla curiosità con ancora le lacrime a rigarle il viso. «Se eri come me, perché hai deciso di ascendere? Ti ha obbligato Varodil?»

Galadar negò con la testa in movimenti lenti e le strinse le dita con dolcezza, abbassando i loro arti. «C'è una sostanziale differenza tra noi, sorellina: io non sono mai stato egoista. Nel momento in cui la seconda lacrima è caduta, il destino mi è stato ben chiaro.»

Axsa strinse le palpebre e il volto le si scurì, tentò di divincolarsi dalla presa dello spirito, ma lui non glielo permise e continuò a parlare, serafico.

«La mia lacrima non si è schiantata in una montagna, ma in mezzo a un campo di grano, nel regno di Reah. I soldati del drago dormiente sono giunti a essa prima di noi emissari e l'hanno protetta. Il sovrano di allora riteneva di poter disporre di quell'immenso potere e ha formato un esercito per contrastare chiunque avesse provato ad avvicinarsi.»

Galadar abbassò lo sguardo, perso nei ricordi.

«Gli emissari di Meg'golun, Celenwe e Sa'shandriel formarono un'alleanza, così come facemmo io e quelli di Deladan, Ninli, Ilimroth e Serendhien. Intorno a noi si riunirono i sommi cultisti dei nostri spiriti e molte altre persone che avevano a cuore la sorte di Endel. Allora non era come adesso: Celenwe era appena stata imprigionata nell'arcipelago del caduto e il pianeta stava morendo, privato dello spirito della vita. Tutti i mortali ricordavano ciò che era successo con la prima lacrima, tutti erano a conoscenza della storia della creazione. Le leggende narrano di come io sia riuscito a prevalere sugli altri dopo quattro giorni e quattro notti di battaglie, ma gli eserciti si scontrarono molto più a lungo.»

Il piccolo Galadar fece una pausa, strinse di più le dita intorno a quelle di Axsa e il tono si abbassò, mentre lui non accennava a spostare l'attenzione dal basso, carico di quella che l'elfa oscura interpretò come vergogna.

«Ci furono così tanti morti, sorellina... i miei alleati emissari sono stati uccisi uno a uno e quando anche la somma cultista di Varodil, una mia cara amica, è stata sopraffatta dai servi di Celenwe ed è stata contagiata dalla malattia della non-morte, ho capito che c'era un unico modo per concludere quella guerra. Ho imbracciato il liuto arcano e ho suonato il Requiem dell'abisso, consapevole del genocidio che ne sarebbe conseguito. Solo coloro che erano già caduti e rinati come non-morti sono rimasti in piedi e tra essi c'era anche il principe di Reah. È stato lui a bandire Varodil e la magia arcana dalla regione, dopo quello che mi ha visto fare.»

Axsa ascoltò la storia con attenzione, ma ancora non comprese dove lui volesse andare a parare, né perché l'avesse definita un'egoista. Abbassò la testa per ricercare il suo sguardo e lui parve riscuotersi, raddrizzando la schiena e fugandole i dubbi.

«Endel aveva bisogno di uno spirito della vita e io sapevo di essere l'unico a poter ricoprire quel ruolo. Molti mortali sono stati sacrificati quel giorno e io ho messo da parte i miei desideri per far sì che quell'ecatombe non fosse stata vana. Presa la lacrima, non ho aspettato neanche un attimo per ascendere e riportare l'equilibrio sul pianeta.»

L'elfa oscura attese che Galadar finisse, sbatté le ciglia più volte per riordinare i pensieri e riuscì a liberare la mano dalla sua, portandola a un fianco.

«Tutto molto bello, ma questo cosa c'entra con me? Endel non ha certo bisogno di altri spiriti al momento e io non ho intenzione di seguire le tue orme.»

Lui annuì. «Lo so. Saresti un pessimo spirito del tempo e rischieresti di creare squilibri nel flusso.»

Il modo pacato e genuino con cui continuava a insultarla stava cominciando a stancarla, anche perché in cuor suo Axsa sapeva che lui aveva ragione; forse fu proprio quella consapevolezza a impedirle di scaldarsi troppo e sfogò il nervosismo facendo schioccare la lingua sul palato.

«Quindi cosa vuoi da me?»

Il piccolo elfo tornò eretto, poi parlò stringendo un pungo lungo il fianco. «Ti ho salvata da Varodil, però desideravo anche incontrarti di persona. Guardarti lottare per te stessa e per ciò che credi mi ha fatto capire che non posso più restare in disparte.»

Axsa emise un lungo verso meditabondo e si alzò per poterlo guardare in faccia, visto che per una volta il suo interlocutore era più o meno alto come lei. L'odio che provava verso gli spiriti era prepotente, ma Galadar faceva eccezione; lui non era come gli altri, tuttavia aveva ammesso di essersi disinteressato alle sorti dei mortali e la cosa non le andava giù. Avrebbe voluto rilassarsi e avere nei suoi confronti un atteggiamento da persona adulta e matura, però non riuscì proprio a togliersi di dosso quell'aria supponente.

«Non mi dire... adesso vuoi aiutarmi?»

Galadar non lasciò che il tono irriverente della bambina lo scalfisse e mantenne il sorriso. Schiuse le labbra per parlare, ma d'un tratto spostò la testa verso l'alto, aggrottando la fronte e rabbuiandosi.

«A quanto pare ora Allan Darwen è come noi: lo spirito della magia l'ha maledetto, ha inclinato la sua clessidra prima che l'ultimo granello potesse cadere e...» Abbassò le iridi scure su di lei, la preoccupazione a deturpargli la voce. «Ci ha visti.»

Le foglie tornarono a circondare il corpo di Galadar e s'innalzarono fino a ricomporlo nelle sue sembianze da adulto cespuglioso. Un'oppressiva agitazione s'impadronì della bambina, che si guardò intorno alla disperata ricerca di qualcosa che potesse risolvere i suoi dubbi.

«Come posso spezzare la maledizione?»

Pose quella domanda quasi mangiandosi le parole, affrettata, poi seguì con lo sguardo lo spostamento repentino dello spirito che si mise dietro di lei e mosse le mani nell'aria fino a che tra le dita non gli comparve un lungo flauto traverso argentato.

Voltò il capo di profilo, la guardò e assottigliò gli occhi, sorridendole un'ultima volta. «Non lo so, ma sono certo che i legami saranno fondamentali. Nessuno è solo, sorellina.»

Quella criptica risposta giunse assieme alle tenebre, poiché la luce dei raggi solari tra gli alberi si attenuò e l'oscurità prese a condensarsi in vortici di fumo proprio davanti a Galadar; dopo il buio, giunsero le scie vermiglie a tessersi nel corpo di Varodil e la sua voce proruppe divertita ma in qualche modo minacciosa, parlando nella lingua degli spiriti.

«Ma che bella riunione familiare. Non posso distrarmi un secondo che i miei due emissari si uniscono per complottarmi alle spalle!»

Axsa s'irrigidì e scorse Galadar stringere la presa sul flauto; nonostante tutto, le parlò melodioso, portandosi lo strumento alle labbra. «Vai, ora. Decidi cos'è davvero importante.»

Varodil ringhiò e si spinse in avanti, protendendo gli arti fumosi verso l'altro spirito; un battito di ciglia, e i sensi di Axsa vennero riempiti da un'unica nota acuta e da una luce abbagliante che la costrinse a coprirsi il viso con le mani.


Quando riaprì gli occhi, l'emissaria si ritrovò sospesa a mezz'aria sopra a Meg'xuku con un grande numero di elfi oscuri che stavano fluttuando nella sua direzione, armati. La scrutavano con visi arcigni e si fermarono all'improvviso quando si resero conto che lei era tornata nel suo corpo e si era accorta di loro.

La chiacchierata con lo spirito della vita aveva interrotto l'opera di distruzione e se la coscienza fosse rimasta un altro po' nel piano degli spiriti era probabile che non avrebbe più avuto un involucro mortale dove tornare.

Che fosse stato un piano ben congeniato per toglierla di mezzo?

No, non avrebbe avuto senso, e poi Galadar le era parso sincero nelle intenzioni; forse sapeva che quell'ammasso di stronzi non sarebbe mai stato una reale minaccia per lei.

Gli elfi oscuri parlottavano tra loro e ci furono lunghi attimi di quieta tensione in cui Axsa cercò di capire cosa ne sarebbe stato della sua vita da quel momento in avanti. L'odio verso la sua razza era forte in lei, ma al contempo la voce dello spirito della vita s'insinuava nei pensieri di vendetta, sussurrando ancora e ancora le ultime parole che le aveva donato prima del probabile scontro con Varodil.

Avrebbe voluto vederlo, in effetti, dato che non aveva idea di chi sarebbe potuto uscire vincitore in una battaglia tra la vita e la magia.

Gli spiriti potevano ammazzarsi tra loro? E a che scopo? Varodil aveva fatto un casino assurdo assieme agli altri per poter ridare a Endel uno spirito della vita, quindi era poco probabile si mettesse a far del male a Galadar. Allo stesso modo, Axsa era sicurissima che il vecchio emissario non avrebbe potuto ferire Varodil.

Già, quei due erano tutto fumo, senza alcun fuoco.

Axsa sospirò nell'osservare gli edifici della sua città natale ancora in piedi e gli abitanti impietriti nel vuoto qualche metro sotto di lei, forse esitanti nell'attesa che lei facesse o dicesse qualcosa.

Decidi cos'è importante, aveva detto Galadar, e la bambina non era più sicura che la vendetta fosse la prima delle sue priorità.

Non dopo aver parlato con l'ex emissario, non dopo aver scoperto che ora anche Allan condivideva il suo destino.

Avrebbe potuto rivederlo, quindi, e rendersene conto scaldò un poco il gelo che le aveva stretto il cuore in rovi avvelenati. Il cantastorie aveva suonato il Requiem, ma era vivo, era maledetto ed era adulto, lo sarebbe rimasto in eterno.

Cos'era importante, quindi? Ammazzare quella gente che neanche conosceva o sfruttare la lacrima per scopi migliori?

Lei voleva crescere e dare un senso alle emozioni.

Lì, nel sottosuolo, tra le tenebre di quella grotta inutile, stava solo perdendo tempo.

Shai'ri, la più in alto tra la gente che stava fluttuando, la chiamò e ribadì che Meg'golun l'avrebbe punita. Il loro atteggiamento, quelle parole... prima l'avevano fatta infuriare e invece ora Axsa provava una profonda pena, perché quei miserabili non avrebbero mai saputo cosa significasse vivere davvero.

Forse, lasciarli macerare nel loro odio sarebbe stata una punizione migliore rispetto al trucidarli tutti.

Con un nasale verso di sdegno, Axsa portò le dita di una mano a sfiorare la lacrima di Alanmaeth, sempre bollente, poi parlò. «Non siete degni nemmeno della mia furia. Io sono l'immortale, ricordatevelo e segnate questo nelle vostre lapidi di spregio. Segnate che il mio odio crescerà anno dopo anno e che infine tornerò a terminare ciò che ho iniziato.»

Mentì, li ingannò per il solo gusto di farlo visto che mai avrebbe rimesso piede lì sotto, però riempì ogni sillaba di determinazione.

Avrebbero dovuto trascorrere i decenni nel timore della sua memoria, ricostruire il loro tempio sapendo che da un momento all'altro sarebbe potuta giungere per raderlo al suolo di nuovo. Quel giorno non li avrebbe uccisi, ma era ovvio che la sua apparizione non sarebbe stata dimenticata tanto presto.

Le reazioni degli elfi oscuri furono molteplici e Axsa non se ne curò; sentì che se li avesse guardati per altri dieci secondi avrebbe vomitato dal ribrezzo. Chiuse gli occhi per abbracciare il buio e si concentrò sulla lacrima, sul potere di Alanmaeth, desiderando di andarsene e di trovarsi ovunque meno che lì.

Conosceva gli incantesimi di teletrasporto, però non era mai riuscita a padroneggiarli nonostante Alerdhil fosse tra gli incantatori migliori in quel campo.

Già, Alerdhil.

Il volto dell'elfo riempì l'oscurità della sua mente e una parte di lei ci si aggrappò. Da anni ormai non lo vedeva, anche se a volte lo aveva spiato con la magia; sarebbe stato bello raggiungerlo.

Nessuno era solo, no? La chiave era nei legami e persino lei ne aveva formato qualcuno che ancora non si era spezzato.

Forse Galadar aveva ragione.

Mentre il potere arcano si univa a quello spirituale intorno a lei, Axsa aveva in testa l'immagine del sommo cultista di Varodil e nemmeno si accorse che l'aria intorno a lei stava cambiando, passando dall'essere statica e stantia al profumare di terra e di acqua.

In un attimo si ritrovò bagnata, pesanti gocce calde a piombarle addosso, e quando riaprì le palpebre fu costretta a trattenere il fiato. L'orribile sottosuolo era sparito, sostituito da un vastissimo campo brullo che si estendeva in tutte le direzioni. Pioveva a dirotto, il cielo era scuro e le nubi fitte si scambiavano lampi frequenti e luminosi. I tuoni rimbombavano con ferocia e Axsa dovette stropicciarsi gli occhi, perché l'immagine di Galadar e Varodil in lotta tra loro sembrava stagliarsi nell'immenso a ogni nuovo colpo luminoso.

Era veramente stanca, altrimenti non si sarebbe mai immaginata una cosa del genere, poiché era ovvio che i sensi la stessero ingannando.

«Assurdo.» bisbigliò, alzandosi di quota per poter avere un quadro migliore di dove fosse appena apparsa.

Era sola, circondata dal nulla, ma più avanti in lontananza riuscì a scorgere una strada composta da ciottoli verdi.

«La via di smeraldo...»

Si era teletrasportata nei pressi di Teegate, quindi, vicina al complesso di templi dove Alerdhil viveva assieme a suo figlio. Aveva pensato a lui mentre il potere di Alanmaeth defluiva con violenza e quindi lo aveva raggiunto.

Perché non l'aveva fatto prima? Il suo vecchio amico era uno degli incantatori più potenti delle tre Terre e forse una delle poche persone al mondo che non la voleva vedere morta.

Sì, lui avrebbe potuto aiutarla, ne era certa.

Alerdhil avrebbe spezzato la maledizione.

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