49. Benedetta

Ogni sogno è accompagnato dalle melodie del liuto. Sempre la stessa voce maschile, profonda, canta la genesi degli spiriti, la leggenda della disperazione di Alanmaeth e della caduta delle sue due lacrime sul pianeta; il monito sulla prossima caduta della terza lacrima e sulla guerra tra gli spiriti che questo comporterà.

Ormai, quando riposo, so già che quella voce canterà; mi piacerebbe che cambiasse repertorio, dannazione, ma no... potrei recitarlo a memoria.

Immobile a gambe incrociate sul letto, provo a meditare per raggiungere la quiete, ma è da giorni che sono nervosa. Immersa nel buio di camera mia, tengo gli occhi chiusi e mi sforzo, però è inutile.

La settimana prossima compirò cinquant'anni e sarò a tutti gli effetti un'adulta.

Davvero ironico.

Non dovrei odiare il mio corpo, eppure è così.

Una bambina, un'eterna debole infante. Ho perso le speranze, so che non cambierà mai nulla.

C'è solo una cosa che odio più della mia piccola prigione di carne ed è lui, Varodil, lo stronzo che ha deciso fosse divertente giocare con la mia vita. Perché lo spirito della magia è tanto infame?

Se potessi, mi piacerebbe disintegrarlo con le mie mani, ma gli spiriti non si possono ferire e il mio destino è ineluttabile. Prima o poi, lui pretenderà qualcosa da me, come se avermi maledetta non fosse già abbastanza crudele. La caduta delle terza lacrima c'entra qualcosa, per forza, ma quand'è che accadrà? Tutto questo non ha senso.

Non ho neanche mai potuto dirlo a nessuno, visto che sono diventata il simulacro vivente della benevolenza di Meg'golun. Dal giorno del primo e ultimo esame della mia vita, la nonna si è convinta che lo spirito del caos abbia benedetto la nostra famiglia con la vita e la giovinezza eterna, visto che lui mi ha definita immortale.

Come no, certo... se sapesse che il suo amato Meg'golun mi avrebbe volentieri ammazzata, se non fosse arrivato Varodil a salvarmi, mi butterebbe lei stessa nel pozzo oscuro per essere punita.

Non c'è elfo oscuro più lontano dalle grazie di Meg'golun di me, in questa fottuta città.

«Du'aset, sei sveglia?»

Apro le palpebre e mi giro verso la porta, che viene spalancata senza il mio permesso. Mio fratello appare sulla soglia, fissandomi nel buio con quel suo perenne sorrisino derisorio.

Sbuffo, incrociando le braccia al petto.

«Sai che detesto essere chiamata così.»

Narum ride, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando che la lunga treccia morbida gli finisca sul petto nudo.

«Certo che lo so, per questo lo faccio!»

Stronzo.

Ringhio, scrutando quel corpo aitante che ama mostrare come a urlare al mondo che lui sì che è adulto, non come la sua insulsa gemella. È alto, snello, con lineamenti affilati e occhi sottili; è tanto attraente da potersi vantare di giacere con una donna diversa ogni volta che ne ha voglia ed è solito girare per casa con addosso solo degli attillati pantaloni di pelle scura.

E pensare che era così sfigato, da bambino, e lo dimostra la cicatrice sulla sua fronte, che nasconde coi capelli; si vergogna del suo passato, lo so anche se non me l'ha mai detto.

Senza lasciarmi occasione di ribattere, scatta in avanti e si butta sul letto, bloccandomi la testa con un braccio intorno al collo e sfregandomi le nocche della mano libera sul cranio.

«Andiamo, non fare quella faccina burbera, Du'aset!»

Ride di gusto prendendomi in giro e non posso in alcun modo resistere alla sua forza; stringo le mani intorno al braccio che mi costringe e mi lascio sfuggire un gemito di dolore, perché lui non si sta facendo problemi a farmi male.

Continua a chiamarmi benedetta, lo stupido nome che mi ha dato la nonna dopo il nostro incontro con Meg'golun. È così falso... mi viene la nausea tutte le volte che qualcuno lo pronuncia.

Ringhio e per un attimo sento pressante il desiderio di mordere la pelle scura che mi sta costringendo in questa presa iniqua, ma è probabile che mi ferirei più io di lui.

«Se non la smetti, ti tengo senza energie per tre giorni.»

Narum mi molla all'istante e allarga le braccia, sogghignando.

«Sempre a minacciare... che sorellina ingrata!»

Mi giro per guardarlo e storco le labbra nel constatare che è rimasto inginocchiato sul materasso, tenendo le mani in alto in segno di resa anche se l'espressione divertita non ha lasciato il suo viso.

In un moto di stizza, poggio entrambi i palmi sui suoi addominali e provo a spingerlo indietro, ma è come fronteggiare un muro e non si muove di un millimetro.

Lui scuote la testa e quindi sono io che mi allontano, scendendo dal letto e dandogli le spalle.

«Perché mai dovrei essere ingrata? Sei solo venuto a disturbare la mia meditazione.»

Lo sento schioccare la lingua sul palato.

«Tu sei ingrata di natura, Shi'nnyl.»

Mi giro per poterlo scrutare di sottecchi e vedo che si è rialzato, col volto parecchio scuro.

«La gente ti venera quasi fossi uno spirito, eppure tu non apprezzi. Ti isoli dalla famiglia, non vieni ai riti... cazzo, quante volte ho dovuto trascinarti a cena?»

Stringo i pugni.

«Nessuno te l'ha chiesto.»

Lui mi indica, facendosi gobbo per avvicinare di più il dito a me.

«Ovvio che no, fai di tutto per allontanarti da noi. La famiglia è importante e possiamo contare solo su di noi, specialmente in questo periodo.»

Indietreggio e arrivo a toccare un muro con la schiena. Mi spaventa il fatto che tiri in ballo i disordini di questi ultimi mesi: la tetrade dovrebbe gestire la città, limitare i casini e lasciare che il caos si propaghi in modo equilibrato, ma tra le quattro famiglie c'è una tensione crescente. Continui incidenti, strani crolli nelle pareti della grotta, omicidi... Meg'golun è adirato, lo pensano tutti.

Narum si raddrizza e si porta una mano tra i capelli, spostando la treccia dietro alla schiena, poi sospira.

«Sono l'unico che ancora ti sta dietro, ma prima o poi mi stancherò.»

No, basta, questo è troppo.

Un calore prepotente mi sale dalla pancia fino alle guance.

«Mi stai dietro?» La voce mi fuoriesce fastidiosa e stridula, più del solito. «Ma se non fai altro che infastidirmi e controllarmi! Fai il bravo cagnolino di mamma e papà, mi impedisci di uscire. Sono rinchiusa da anni in queste quattro mura del cazzo come se fossi una bambina per davvero!»

Narum serra i denti e le iridi viola brillano di collera; ha i muscoli tirati, tesi, e forse vorrebbe colpirmi, ma sa che non può farlo. Dopo qualche cupo secondo di tetro silenzio, si volta di profilo e raggiunge la porta.

«Se non vuoi essere trattata come una bambina, non fare la bambina.»

È fortunato che non ho nulla di contundente a portata di mano, altrimenti gliel'avrei già scagliato addosso con la magia.

«Vaffanculo, Narum!»

Lui alza un sopracciglio e assottiglia le labbra, poi apre la porta e si ferma sulla soglia.

«Preparati. La nonna ha indetto una riunione tra un'ora e abbiamo ospiti. Vedi di presentarti.»

Ha parlato monocorde e, senza aspettare una risposta, esce sbattendo il legno con tanta forza che mi pare quasi di percepire le pareti tremare.

Che Varodil possa crepare nell'oltretomba! Questa vita non la sopporto più.

Ho indossato la tunica nera dai profili bianchi, quella cerimoniale, perché già sapevo che sarebbe stata una riunione importante. Mi hanno fatta sedere sullo scranno più alto, tra cuscini scarlatti, in modo che tutte le persone accomodate nel cerchio mi potessero vedere bene.

La nonna ci tiene tanto al mio ruolo di Du'aset, anche se mi ha sempre proibito di parlare.

Già... io servo solo per essere vista dai componenti delle altre famiglie, perché si ricordino che gli Inthuulurl sono stati benedetti da Meg'golun.

Mi viene da vomitare, sento proprio la bile tra i denti.

La nonna ha predisposto la spoglia sala circolare, quella rivestita di pietra, evocando dei fuochi blu verso il soffitto in modo da illuminare dall'alto, come nei riti.

Credevo ci sarebbe stata più gente, invece ci sono solo i più anziani di due delle altre tre famiglie della tetrade, oltre a mamma e papà, a mia sorella maggiore e a Narum.

Dove sono gli esponenti della prima famiglia? Dove sono gli Orgyls?

«Vi ringrazio per aver deciso di accettare il mio invito con così poco preavviso.»

La nonna è l'unica in piedi, al centro del cerchio, e parla con lenta pacatezza, muovendosi per enfatizzare con mani e braccia ciò che dice. Nonostante sia anziana, piena di rughe e coi capelli increspati, trasuda fierezza e sembra danzare nell'ampia tunica che la ricopre, spostandosi per dare la giusta attenzione a ogni partecipante della riunione.

Le espressioni degli ospiti sono imperscrutabili e non si prendono la briga di salutare, facendo intendere che vogliono arrivare subito al punto. A nessuno, del resto, piace stare in casa d'altri.

La nonna alza in modo teatrale le braccia, le allunga finché le maniche della tunica non le ricadono sulle spalle e le lasciano gli arti scoperti, due alberi spogli e tristi in un inverno perenne.

Aggrotto la fronte e distolgo lo sguardo; io neanche dovrei sapere cosa cazzo sono gli alberi o l'inverno, eppure lo so ed è assurdo che ci abbia pensato.

«Durante le preghiere, giusto qualche ora fa, il grande spirito del caos è giunto a me e ha parlato.»

Tutti si fanno all'improvviso più attenti e attendono con l'apprensione sulla faccia che la somma sacerdotessa smetta di metterci ore a dire ogni singola frase.

Ma lei ama che la gente penda dalle sue labbra.

«Cinque giorni, e Du'aset sarà adulta: quindi noi attaccheremo e sacrificheremo al grande Meg'golun il sangue che brama.»

Gli sguardi si spostano su di me, già irrigidita all'inverosimile e con le labbra tra i denti.

«Così lui ha parlato e detto: il sangue che l'immortale ha già versato è il sangue che io voglio; non un singolo dovrà sopravvivere

Ecco spiegato perché gli Orgyls non sono presenti: non sarebbe stato carino invitarli alla riunione per organizzare la loro fine.

Un vecchio dei Nieevok si porta una mano al mento e prende parola.

«Questo sarà sufficiente a riportare l'ordine?»

Mia madre ghigna e annuisce.

«Infine il caos si è espresso, non possiamo tirarci indietro.»

La nonna si siede al suo posto, alla mia destra, e la vera riunione inizia ora. Decidono le strategie da adottare, come muoversi per prendere la famiglia Orgyls di sorpresa, ma io non riesco a seguire neanche una parola.

Un senso di oppressione ignobile e impossibile da controllare mi obbliga a stringermi la pancia, mentre le iridi sono fisse nel nulla a scrutare immagini inesistenti: stelle, fumo, scie rosse di magia... tutto si interseca in figure grottesche, prive di logica.

Ho la gola secca e neanche una goccia di saliva per alleviare la sensazione.

Duecentotrentasei, ha detto Varodil; non l'ho dimenticato.

La nonna ha duecentotrentasei anni proprio adesso.

Questo attacco non va bene, accadrà qualcosa, lo so.

Perché mai Meg'golun dovrebbe volere il sangue della prima famiglia della tetrade? Lui dovrebbe essere impegnato con qualsiasi cosa comporti la disperazione di Alanmaeth e la caduta della lacrima, quindi cosa c'entrano i nostri stupidi dissidi interni?

No, non ha senso.

Lo spirito del caos non dovrebbe voler favorire la mia famiglia, dato che sa benissimo che Varodil mi ha portata lontana da lui senza avere il consenso.

Devo fermare questo genocidio, ma come? Potrei fingere che lo spirito abbia parlato anche con me, ma non sarebbe credibile e la nonna mi scoprirebbe subito. Dire semplicemente che non sono d'accordo? Sì, come no... mi danno già tutti molto retta, in effetti...

Sono solo un fantoccio da mostrare e neanche sono adulta; non mi è stato permesso frequentare le scuole, né vagare libera per la città. Non conosco nessuno, non ho complici di alcun tipo e l'unica persona che mi rivolge la parola è il mio gemello, che ho mandato a fanculo giusto un'ora fa.

Pensa, Shi'nnyl, pensa! Quante volte sei sgattaiolata via per richiuderti nella biblioteca proibita? Possibile che non riesca a trovare una soluzione?

«Ehi, sorellina? Sei ancora tra noi?»

Delle dita mi sventagliano davanti alla faccia e io sbatto le palpebre con rapidità, prima di alzare lo sguardo a incrociare quello di Narum, poggiato con l'altra mano allo schienale del mio scranno e inclinato in avanti, su di me, tanto che la sua treccia mi arriva sulle ginocchia.

Ho la bocca aperta, le corde vocali rigide.

Lui sorride, entusiasta, strizzandomi forte una guancia.

«Pare tu sia stata fonte d'ispirazione per un'impresa che sarà memorabile. Non vedo l'ora, se ne parlerà per secoli!»

C'è solo lui nella sala circolare assieme a me; la riunione è finita e nemmeno me ne sono accorta. 

Un rumore sordo di vetri infranti spezza la melodia del liuto nei miei sogni e mi desta all'improvviso. Mi metto seduta nel letto e mi stropiccio gli occhi per togliere gli ultimi rimasugli di sonno, prima che delle grida mi sbattano con violenza nella realtà.

Che cazzo succede?

È la vigilia del mio compleanno, tra poche ore ci attende l'attacco agli Orgyls, quindi perché sento questo casino?

Mi butto giù dal materasso di paglia e spalanco la porta con la magia, incurante di aver addosso solo una leggera tunica da notte di seta di falena fungina. I rumori vengono dal basso, così percorro pochi metri nel corridoio per raggiungere la ringhiera che si affaccia sul grande ingresso.

Trattengo il fiato, portandomi una mano alla bocca, perché non riesco a credere che sotto di me stia imperversando una battaglia.

I cadaveri di alcuni nostri servi sono già distesi, il loro sangue a bagnare i tappeti, mentre altri hanno le spade in pugno a fronteggiare quelli che riconosco come esponenti delle altre tre famiglie della tetrade.

Noi volevamo attaccare gli Orgyls tra qualche ora, ma le altre due famiglie devono aver tradito l'alleanza, precedendo le nostre mosse e cogliendoci nel sonno.

Infami.

Perché mi stupisco? C'è un motivo se in superficie ci chiamano elfi oscuri.

Mio padre è già in mezzo alla mischia e, mentre me ne resto immobile con le dita strette al legno della ringhiera, scorgo i miei due fratelli più piccoli sfrecciarmi di fianco e scendere dalle scale con le spade in mano.

Dov'è il resto della mia famiglia?

Il caos arriva da ogni direzione e io ho sentito rumore di vetri rotti, però nell'ingresso hanno sfondato la porta, non le finestre.

La sala circolare! Stanno attaccando la nonna!

Senza riflettere, corro lungo il corridoio per raggiungere l'altra ala della casa e m'imbatto in mia sorella Phaere che ha appena preso un bastone magico dall'armeria, dalla quale sbuca subito dopo anche Narum.

Ho visto che gli aggressori sono ben armati e indossano armature di cuoio, mentre noi non siamo pronti e, dannazione, mio fratello è a petto nudo. Ci guardiamo e lui esita, ma è Phaere a strattonarlo per un braccio per intimarlo a muoversi, prima di squadrarmi con odio.

«Tu... vattene!»

Scappa in avanti, lasciandomi sola col battito a mille.

No, perché dovrei andarmene? Sono un'incantatrice, posso combattere.

Seguo i miei fratelli che mi hanno già distanziata di parecchio e raggiungo le scale sul retro; dopo averle scese, entro nella stanza da pranzo e m'imbatto con orrore nel corpo esanime di mia madre, traforato in più punti da un incantesimo.

Ogni finestra qui è rotta, parecchi mobili distrutti, gli oggetti al suolo, ovunque, e procedo nell'oscurità mentre continuo a sentire sempre più lontane le spade, sempre più vicine le grida d'incantesimi.

Perché Narum è venuto da questa parte? Lui è un guerriero, non conosce la magia! Se davvero gli scontri si sono divisi in questo modo, non avrà speranza!

Costringo il mio corpo a uno sforzo immane per poter proseguire e raggiungo i grandi portoni della sala circolare proprio mentre la nonna viene sbalzata fuori con violenza; sbatte contro il muro a pochi passi da me e non riesco ad avere reazioni, nell'osservare un gigantesco foro oscuro e sanguinante proprio nel mezzo del suo petto.

Lei è morta, buttata a terra in modo scomposto, ma i suoi occhi vitrei ora paiono fissare me e me soltanto. Distogliendo lo sguardo da lei, avanzo, lenta, e infine mi affaccio all'uscio scardinato giusto in tempo per vedere fluttuare a mezz'aria sei tra incantatori, sacerdoti e sacerdotesse delle altre tre famiglie della tetrade; puntano le mani contro a mia sorella, impegnata a erigere uno scudo invisibile per proteggere lei e Narum. Dietro di lei, il mio gemello ha il corpo mezzo ustionato e una profonda ferita sulla fronte.

Il cervello mi si blocca, i pensieri svaniscono e in un attimo sono già entrata, ho puntato l'indice contro lo stronzo che sta al centro e ho condensato il potere arcano per privarlo delle energie.

A differenza loro, io non ho bisogno di parlare per far esplodere la magia dalle mie membra.

Quello crolla al suolo e l'attenzione di tutti si sposta su di me; mia sorella grida, ma io sento solo Narum chiamarmi per nome: Shi'nnyl, non Du'aset.

È proprio mentre gli aggressori stanno per lanciarmi addosso la loro furia, che mio fratello scatta verso di me e, tenendo la spada nella destra, mi afferra con la mano sinistra e m'innalza, stringendomi al suo petto con un braccio.

Corre e gira l'angolo della porta nell'esatto istante in cui una palla di fuoco travolge l'apertura, abbattendosi sulla parete davanti e carbonizzando il cadavere della nonna.

Le pareti prendono fuoco, ma ora mi accorgo che c'è odore di fumo che arriva anche dalla direzione in cui sta correndo Narum.

«Lasciami, non possiamo fuggire!»

La voce esce dalla mia gola isterica e io mi sento come allucinata, prigioniera di un incubo, un'esperienza che non sta avvenendo davvero.

Narum respira pesante, non riesce a rispondermi e tiene chiusa una palpebra a causa del sangue che gli sgorga dalla ferita, imbrattandogli la faccia, colando lungo il collo, il torace, il braccio, picchiettando a terra a ogni passo. Il suo corpo ha pesanti ustioni anche dove io lo sto toccando, ma lui non smette di stringermi a sé, proseguendo questa folle corsa con le labbra dischiuse.

Superiamo di nuovo la sala da pranzo e pare lui voglia dirigersi verso la porta sul retro; imbocca l'ultimo corridoio che ci separa dall'esterno, ma lì, come ad attenderci, ci sono Erordia e Shai'ri, le nostre vecchie compagne della scuola dei piccoli.

Non le vedo da almeno vent'anni, ma non ci metto nulla a riconoscerle anche se ora sono quasi adulte.

«Bene, bene... Non avevo dubbi che i gemellini avrebbero tentato la fuga.»

Dopo aver parlato strafottente, Erordia fa ondeggiare la lunga coda di cavallo che ha in testa e ci punta con la spada, mentre scie di potere spirituale circondano il corpo minuto di Shai'ri, coi capelli liscissimi davanti al corpo che contrastano con una pregiata tunica da sacerdotessa.

Narum impreca a mezza voce e gira i tacchi, fiondandosi dentro alla porta delle cucine, che chiude subito alle sue spalle.

Le due ragazze ridono a crepapelle, i loro passi si avvicinano con lentezza, e il mio gemello mi lascia cadere, indicandomi la botola che sta dietro a uno dei piani di lavoro, coperta da un tappeto.

«Vai, io le trattengo.»

Sussurra, dandomi le spalle e impugnando l'arma con entrambe le mani.

Sono così tesa che neanche sento la paura, ma quello che mi sta chiedendo non ha alcun senso e non ho intenzione di spostarmi da qui. La botola conduce alle cantine che, a loro volta, sono collegate all'esterno; non voglio morire, ma abbandonare casa non è contemplabile.

Posso battere quelle due stronze.

«Shi'nnyl!»

Narum grida, incazzato come non mai, girando appena la testa a guardarmi e fulminandomi con l'unico occhio aperto, ma io non mi sposto.

La porta scricchiola in modo sinistro, oscilla, trema, poi si accartoccia su sé stessa e viene buttata all'interno; alzo una mano e riesco a fermare il suo incedere prima che travolga mio fratello, poi la scaglio di lato e mi preparo.

Erordia appare dalla soglia, si fionda su Narum e incrocia le lame con lui; io non posso aiutarlo, perché sono costretta a erigere uno scudo per impedire a Shai'ri di trafiggermi coi suoi dardi di puro potere spirituale.

Senza parole, mi rendo conto che non sta pronunciando alcun incantesimo e crea i suoi incanti uno dopo l'altro: non mi lascia tregua. Non contenta, lei sogghigna, avanzando.

«Oh, Du'aset, Du'aset! Colei che è benedetta da Meg'golun in persona!»

Il suo finto tono dolce mi mette i brividi e indietreggio fino a sbattere contro a un bancone. Lei smette per un secondo di scagliare i dardi, preferendo travolgermi con la grande quantità di pentole e coltelli che erano lì appoggiati; guaendo quasi fossi un cucciolo di mastino delle profondità, scarto di lato, ma vengo colpita da più di un tegame e un paio di lame mi feriscono alle braccia.

Un frastuono spaccatimpani fa girare il capo sia a me che a Shai'ri e spalanco la bocca nel vedere che Erordia ha spinto mio fratello contro all'armadio dei piatti, distruggendolo e facendoglieli finire addosso, prima che sul pavimento.

Di certo Narum potrebbe batterla senza problemi, se solo non fosse tanto ferito.

Le risa delle due ragazze mi giungono come strilli di pipistrelli vampiro.

«L'ho visto anch'io Meg'golun, sai?» Shai'ri continua a sporcare l'aria con la sua voce vomitevole. «È venuto da me, mi ha detto che il tradimento è la chiave del successo e che sarò la nuova somma sacerdotessa. Non è grandioso?»

Infine i piani di quello spirito infame mi paiono chiari quanto le stelle che lo compongono. Meg'golun ha ingannato la nonna, facendole credere di essere ancora nelle sue grazie, poi ha dato istruzioni alle altre famiglie tramite Shai'ri per poter essere certo di arrivare a uccidere me: sterminare tutta la mia famiglia è il modo più facile, in fondo.

Sono disgustata e talmente disillusa che neanche richiamo più la magia.

Fanculo, come posso lottare contro a uno spirito?

Sono pronta a cedere, quando scorgo Erordia spezzare la guardia di mio fratello e affondargli la lama nello stomaco, da parte a parte. Gli tira un calcio e lui vola all'indietro, accasciandosi proprio accanto a me, immobile e rantolante.

Lo fisso con gli occhi sbarrati.

«Che spreco... almeno uno dei due era cresciuto bene!»

La voce di Erordia mi pare lontana, il cuore mi va lento, ma per qualche ragione il mio petto si alza e si abbassa frenetico, mentre racimolo l'aria dal naso con sibili strozzati.

«Basta giocare, uscite!»

Una calda voce maschile mi fa tornare con l'attenzione sulla porta, dove un uomo in tunica afferra Shai'ri per un braccio e la spinge fuori; Erordia la segue a ruota, dopo avermi scoccato un'ultima occhiata strafottente.

«Io l'avevo detto che prima o poi sareste bruciati entrambi.»

La ragazza sparisce e l'incantatore comincia a salmodiare qualcosa, muovendo le mani a formare spirali; tra esse si forma un calore soverchiante e io, senza pensarci, mi butto davanti a Narum ed erigo uno scudo invisibile per proteggerci dall'imminente palla di fuoco che c'investe.

In un istante, ogni mobile e parete comincia a bruciare e a mala pena scorgo l'uomo allontanarsi, lo sento dare fuoco a tutto ciò che c'è.

Tra non molto, della grande casa e della famiglia degli Inthuulurl resteranno solo le ceneri.

Non ho fatto niente, assolutamente niente per evitare questo destino.

«Ehi...»

Un verso trattenuto mi fa girare e abbassare la testa sul corpo del mio gemello. I capelli candidi sono insanguinati e giacciono sul pavimento di gelida pietra, scomposti intorno a lui; tiene le palpebre strizzate ed è una sottile fessura a permettermi di scorgergli l'iride; la ferita sanguina senza tregua e le ustioni paiono brillare sotto le ombre e le luci delle fiamme che ci stanno per inghiottire.

Mi butto accanto a lui, gli poggio i piccoli palmi sul petto nudo e lo fisso in volto senza riuscire a togliermi un'espressione di terrore, mentre lui non ha la forza neanche di compiere i movimenti più semplici. I nostri sguardi s'incrociano, ma lui non mi sta vedendo davvero.

«Sorel-lina, è... è colpa... tua...»

È un'affermazione? È una domanda? Non capisco. La sua voce è stata offuscata dai gemiti di dolore, dal sangue, e lui rimane con quella parola strascicata, lunga, esalata assieme a un respiro.

L'ultimo.

Col fumo che si fa opprimente e le fiamme che si mangiano il legno dei mobili e i tappeti, poggio gl'indici sulle palpebre di Narum e gliele chiudo, per sempre.

È colpa mia?

Sì, per un certo verso, ma no... è colpa dei subdoli giochi degli spiriti; è colpa di questa nostra società malata che inneggia il caos e gode del sangue.

Lo so, io lo capisco ed è terribile, perché sono ancora bloccata sul corpo del mio gemello e non riesco a essere triste o amareggiata, ma solo furiosa.

Perché io lo odiavo mio fratello, così come odio qualsiasi cazzo di cosa che si muove e respira.

Mentre le fiamme divampano, la follia o i pensieri deliranti mi portano a credere di percepire il suo corpo farsi più freddo sotto al mio tocco e vorrei davvero poter piangere o gridare perché, in fondo, forse Narum era la persona che odiavo di meno.

Ma, in tutto questo, pur conscia di essere circondata dai cadaveri della mia famiglia, non ho versato neanche una lacrima.

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