3. Requiem dell'abisso
Portarsi dietro quella montagna umana di nome Jaira era un'immensa seccatura. Tornata delle sue dimensioni naturali, la guerriera aveva subito dimostrato di essere troppo grossa per la maggior parte dei cunicoli, anche perché ben presto le miniere vennero sostituite dal territorio dei goblin. Se prima, ogni tanto, delle travi di legno erano state posizionate sulle volte o il suolo per rendere più agevoli alcuni passaggi, ora la via era formata da stretti corridoi scavati secoli prima, chissà da chi. Spesso gli umani e l'elfa si erano dovuto abbassare per proseguire, ma l'armatura completa della donna sfregiata rendeva lenti i suoi movimenti, prolungando quell'agonia.
Immersa in un cupo mutismo, Axsa aveva preceduto il gruppo nelle fredde vie della montagna per almeno due ore, prima di essere riportata al passato da un lontano suono di acqua corrente. Meg'xuku, la sua città natale, sorgeva in un'immensa grotta naturale con al centro un fiume sotterraneo e l'elfa oscura dovette bloccarsi sul posto qualche istante, quando davanti a lei si aprì uno spiazzo molto ampio con un rigagnolo che glielo ricordò immensamente; sorgeva persino da una piccola cascatella che spuntava da una delle pareti spigolose.
Mentre lei era imbambolata a riflettere sulle memorie, gli altri la superarono, parlottando sull'accamparsi per riposarsi e mangiare qualcosa. Stando in disparte, li osservò accendere un fuoco sul suolo roccioso e irregolare, poi accettò la razione che Eatiel le offrì solo perché così non avrebbe intaccato le sue.
Ascoltandoli chiacchierare a mezza voce, scoprì che anche l'altro gemello era morto ed era diventato il sedicesimo spettro dentro al corpo dell'emissaria dello spirito del cielo. Alla fine, entrambi gli uomini che si era portata in quella missione erano stati ammazzati, quindi, e sembrava che la persona più dispiaciuta della cosa fosse l'elfa.
Possibile che ad Axsa, invece, non interessasse? Erano morti per colpa sua, visto che avevano espresso il desiderio di tornare indietro e lei li aveva trascinati nelle profondità della montagna con l'inganno, ma non sentiva il minimo rimorso. Osservare il viso addolorato di Eatiel mentre ne parlava la irritò moltissimo e si chiuse di più in sé stessa. Dopo poco, l'elfa si assopì con la testa appoggiata alla spalla della guerriera, che si fece rossa per qualche minuto, prima di chiudere anche lei gli occhi.
Deboli, tutti quanti.
Ad Axsa sfuggì un verso sdegnato, poi andò a mettersi accanto alla piccola cascata naturale, poggiandosi con la schiena alla parete e abbracciandosi le ginocchia al petto. Ora che la grotta era tornata silenziosa, l'elfa oscura riconobbe i flebili versi dei pipistrelli, nascosti a testa in giù nell'oscurità della volta sopra le loro teste. Un suono piacevole che le ricordò gli anni da pellegrina assieme a Nuij.
Chissà se il punito era ancora vivo...
«Posso sedermi accanto a te?»
La voce di Allan la ridestò e lei si sorprese di non averlo percepito avvicinarsi.
«No, non puoi.»
Rispose di getto, con tono nasale, per nulla preoccupata dal sembrare antipatica. Il bardo, però, schioccò la lingua sul palato e si mise comunque accanto a lei. Già, aveva immaginato che una blanda interdizione non avrebbe funzionato col portatore del liuto arcano.
La bambina sospirò e si tolse il cappuccio dalla testa per poterlo guardare meglio. «Cosa vuoi?»
Pose quella domanda con una certa insofferenza e l'uomo parve pensarci un secondo, massaggiandosi il pizzetto, prima di risponderle. «Quanti anni hai, in realtà?»
Axsa si accigliò, incredula davanti a tanta impertinenza, però non sentì alcun moto di rabbia giungere dal ventre, come invece si era aspettata da sé stessa. Distolse lo sguardo e lo posò verso le due addormentate senza realmente vederle, poi si sforzò di parlare priva di un'intonazione precisa, per prendere tempo. «Non è educato chiedere l'età a una signora.»
Con la coda dell'occhio, scorse Allan restare immobile a fissarla e non resistette; nella testa pensò a un coloratissimo insulto, ma le labbra pronunciarono tutt'altro. «Duecentotrentasei.»
Il bardo socchiuse la bocca, in evidente carenza di parole, e ad Axsa venne da sorridere. Non riusciva a essere arrabbiata o scontrosa con lui, c'era qualcosa che glielo impediva e supponeva fosse colpa del liuto, ora legato alle spalle dell'uomo.
«Chiudi la bocca, hai un alito vomitevole.»
Decise comunque di prenderlo in giro, indispettita dal non avere il completo controllo sulle sue azioni e parole. Lui aggrottò la fronte e si finse offeso, incrociando le braccia al petto. «Ehi, non è vero! Non sei affatto gentile.»
Axsa sospirò e poggiò i palmi a terra per darsi la spinta e alzarsi, ma Allan le sfiorò un braccio, fermandola. «No, aspetta! Abbiamo iniziato il nostro rapporto col piede sbagliato e volevo scusarmi per aver creduto che tu fossi una creatura malevola. Mi sono lasciato corrompere dalle voci che girano sulla tua razza.»
L'elfa oscura restò con le braccia attorno alle ginocchia, racimolò parecchia aria attraverso le narici e assottigliò le palpebre, squadrandolo in viso. Le sue parole parevano sincere e non c'era traccia di cattiveria nell'espressione; come dargli torto? Lei stessa odiava gli esponenti della sua razza, quindi non ebbe difficoltà a confermare, ghignando per mascherare l'amarezza. «Quelle voci sono tutte vere.»
Restarono a guardarsi nel silenzio per qualche attimo, poi Allan sbatté le palpebre un paio di volte e riprese a parlare. «Così come Eatiel ha preso il dominio del cielo da Serendhien, Varodil ti ha concesso un dominio unico. Quando prima sei sparita e ti ho rivista alle mie spalle... non era un teletrasporto.»
Interessante; quindi lui aveva capito subito le particolarità del suo potere, eh. In fondo, non era così stupido come poteva sembrare, o forse era l'essere un incantatore a renderlo più scaltro della media degli umani.
Lei si era limitata a fissarlo, fingendo disinteresse con un'alzata di spalle, ma il bardo parve acquisire coraggio e continuò. «Ogni emissario ha una maledizione, me l'ha raccontato Luther, o meglio, il frammento dell'anima di Galadar. Tu sei padrona del tempo, ma non puoi crescere, è così? È per questo che hai abbandonato il tuo nome e hai scelto di chiamarti maledetta?»
Com'era possibile che lui avesse sviscerato i suoi segreti tanto in fretta? Come aveva fatto a capire tutto, se si conoscevano sì e no da un paio d'ore? Era stata lei a spiarlo per anni, mentre cresceva, eppure sembrava che fosse Allan quello più informato. Axsa ringhiò e si mosse rapida per saltargli addosso, inginocchiandosi sulle sue gambe per puntargli un indice al petto.
«Sei fastidioso, cantastorie. Come fai a conoscere il significato del mio nome? La gente di superficie non parla la lingua oscura.»
Lui s'irrigidì, forse colto alla sprovvista da quell'improvviso contatto, e si liberò in una risatina, umettandosi le labbra in un nervoso gesto spontaneo che mosse qualcosa nel basso ventre della bambina.
Una sensazione strana, stranissima, che in passato aveva provato solo nello spiare il corpo nudo di Alerdhil, anche se in quel momento, mentre erano vicini, tutto pareva amplificato.
«Io conosco molte lingue.»
Quella risposta la infiammò, ma non era collera. Inclinò la testa e gli poggiò entrambi i palmi sul petto per sentire maggiormente il calore del suo corpo, aprendosi in un'espressione maliziosa. «Non ne dubito.»
Era bello stargli sopra, anche se il menestrello pareva parecchio a disagio e sembrava persino che avesse cominciato a sudare.
Gli stava bene, sul viso, quella gocciolina che dalla tempia gli scese lungo la guancia.
L'uomo tossì, anche se era evidente non ne avesse bisogno, poi cambiò argomento, spezzando la magia. «Hai vissuto davvero a lungo. Hai visto l'inizio e la fine dell'ultima guerra o sei arrivata nelle tre Terre dopo?»
Noia. Axsa non aveva proprio voglia di parlare del passato. Scese dalle sue gambe e gli si sedette accanto, però restò vicina, in modo che i loro corpi non cancellassero quel piacevole contatto.
«Ho visto tante cose, non sono stata partecipe quasi di nessuna. Volevo studiare la magia, ma le accademie non accettano gli elfi oscuri, né i bambini. Ho provato a imparare incantesimi che modificassero il mio aspetto, ho minacciato un vecchio incantatore perché ci provasse, ma non ha funzionato. Tutto quello che ho potuto fare per decenni è stato viaggiare, chiudermi nelle biblioteche delle grandi città e leggere. Ho letto praticamente ogni libro e trattato di queste isole insulse.»
Anche se non voleva rievocare le memorie, le frasi fluirono in autonomia, come se lei stessa sentisse il bisogno fisico che Allan sapesse, come se solo lui al mondo potesse capirla. Non riuscì a reggere il peso delle sue iridi e prese a giocherellare con le dita, mentre le labbra non smettevano di muoversi.
«Sono una bambina e al contempo non lo sono affatto. Ho lasciato il sottosuolo alla ricerca di un modo per spezzare questa maledizione e ora so che ci sono vicina. Quando prenderò la lacrima, tornerò padrona del mio destino.»
Il bardo non si scompose e attese, riportando la quiete tra loro. Si scambiarono un altro sguardo e lui le sorrise, affabile. «Per caso ti intendi di politiche interne? Sai, prima ti ho mentito. In realtà io sono il secondogenito dei Darwen.»
Axsa si accigliò, ma in effetti la notizia non avrebbe dovuto sorprenderla, dato che aveva assistito quando lui si era impossessato del liuto, da ragazzino, e già sapeva che quella era la dimora dei sovraintendenti di Occhio di Mezzo. Si era aperto con lei perché voleva chiederle qualcosa, era evidente, quindi si mise più comoda, piegandosi un po' sulle sue gambe.
«Continua.»
Allan deglutì, prese un respiro, e cominciò a parlare senza alcun freno. «Ho rubato Luther quand'ero un ragazzino e non avevo idea che stringere il patto con lui mi avrebbe sottratto un pezzo di anima. Quando siamo lontani sento un profondo vuoto incolmabile e mi sembra d'impazzire. È come se si fosse impossessato della mia parte oscura ed è il caos quando lascio che quel potere venga fuori. Ho pensieri malvagi, vengo pervaso dalla smania di potere e più volte mi sono pentito di ciò che ho fatto.»
Si morse le labbra, i pugni stretti lungo i fianchi e le spalle sempre più gobbe.
«Sono scappato di casa perché i miei genitori avevano combinato per me il matrimonio con Kayleen Reah, la principessa del regno del drago dormiente e sorella minore di Othen. Lui ora non è qui, ma da un po' sta viaggiando assieme a me, Jaira ed Eatiel perché è stato ingiustamente accusato dell'assassinio di suo padre. È una lunga storia. Comunque, quando Othen ha scoperto che io non ho voluto sposare la sorella, ha dato di matto e io non sono riuscito a trattenermi: li ho quasi uccisi perché ho lasciato che l'oscurità di Luther s'impossessasse di me.»
Il tormento era ben leggibile sia nelle iridi nocciola, ora lucide, sia nel tono, nei muscoli tesi. Era stato faticoso raccontarle quelle cose e Axsa aveva ascoltato con attenzione, in qualche modo partecipe del suo dolore.
Era inspiegabile, ma l'elfa oscura sentiva di soffrire per la sorte del cantastorie. Forse perché quel dannatissimo liuto non sarebbe mai dovuto finire nelle sue mani, dato che la maledizione era destinata a lei.
Una in più, una in meno, cosa le sarebbe cambiato? Se non si fosse rifiutata di prendere l'artefatto, a quell'ora Allan sarebbe stato un uomo diverso, lo sposo di una principessa. Chissà come sarebbero cambiati gli eventi.
Sospirò, notando che lui pareva provato al punto da non riuscire più a dialogare. Stringendo un poco il tessuto dei suoi pantaloni, Axsa gli sorrise. «Prima mi hai chiesto delle politiche interne, perché?»
Come ridestato da un sogno, il bardo sbatté le palpebre e l'espressione s'incupì. «La mattina della caduta della lacrima sono andato assieme a Othen in udienza da re Helmund di Lebrook; cioè, in realtà siamo entrati di straforo nella sala del trono e diciamo che lui non l'ha presa tanto bene. Othen voleva solo chiedergli aiuto per riconquistare il suo trono, ma re Helmund ha cercato di arrestarci e mi ha riconosciuto, dimostrando parecchio astio nei confronti di mio padre. Non mi sono mai interessato della politica, però il suo comportamento mi è parso molto strano.»
Sembrava proprio che Eatiel si fosse scelta dei compagni davvero complessati. Axsa rifletté, richiamando i ricordi di quel periodo, poi annuì, spiegando con estrema tranquillità.
«Voi umani amate complicare le cose semplici. Ho vissuto parecchi anni a Occhio di Mezzo: è una città così piena di razze che era facile mischiarsi. La politica dei Darwen mi ha sempre affascinata e credo di sapere perché Re Helmund ce l'abbia con tuo padre. Fu una ventina d'anni fa, sì, ero lì quando la nave è salpata e mi sa che c'eri anche tu... comunque, c'è stato un incontro ufficiale tra il sovraintendente e il re di Rosendale e ricordo che al ritorno giravano voci su quanto Varon Darwen fosse nervoso. Da quel momento non ci sono mai più stati altri contatti con la Terra a est e, se mi dici che tuo padre è arrivato a combinare un matrimonio con l'altro regno, mi sovviene una spiegazione sola.»
Allan aveva già da un po' raddrizzato la spina dorsale e strabuzzò gli occhi, interrompendola. «Mio padre voleva mischiare la sua stirpe con una reale, buttando alla malora secoli di pace e neutralità. Che schifo.»
La bambina rise, senza traccia di cattiveria. Allan era fuori strada, perché lei avrebbe scommesso che Varon Darwen non fosse uno sprovveduto, né un arrivista. No... doveva aver notato quanto fosse pericoloso che un ragazzo tanto portato per la magia stesse vicino al liuto arcano e aveva escogitato un modo per farlo andar via da Occhio di Mezzo.
Si appoggiò sulle sue gambe, intenzionata a rivelargli cosa stesse pensando, però lui sembrava già molto turbato e preferì restare sul vago per non dargli il colpo di grazia. «Sono certa che ci sia dell'altro. Non voleva mischiare la sua stirpe, voleva allontanare te dalla città. Magari era preoccupato per i tuoi comportamenti, magari è stato traviato da qualcosa...»
Il bardo doveva aver capito ciò che lei intendeva, poiché alzò un braccio con lentezza e afferrò il manico del liuto, liberandolo dai lacci che lo tenevano ancorato alla schiena e spostandolo sul davanti, tra loro due.
Axsa perse un battito e indietreggiò, percependo un calore immenso scaturire dal legno scuro che la chiamava, irresistibile. Immersi in un silenzio teso, la bambina si tolse un guanto e toccò lo strumento, venendo all'istante accecata da una luce rossa e intensa.
Dopo la luce, ecco l'oscurità dell'abisso di Varodil. Perché richiamarla in un momento come quello? Non era in pericolo e le aveva già elargito tutti i suoi doni.
«Ehi, che sorpresa!»
Le vene vermiglie dello spirito della magia condensarono le tenebre proprio davanti a lei, dando forma a quel corpo insopportabile. La voce allegra le peggiorò l'umore e Axsa si mise a braccia conserte, ascoltando quale fosse il suo problema attuale.
«Come mai hai deciso di venire da me? Non ti ho richiamata.»
La bambina restò di stucco e si ritrovò a bocca aperta. «Come?»
Varodil parve interdetto e abbassò la testa, poi le scie di potere arcano iniziarono a fremere e il suo tono si fece dannatamente eccitato. «Oh, capisco. È stato il liuto a fare da tramite. L'insulso portatore è ancora vivo, quindi deduco che tu non lo ucciderai mai, vero?»
Quello strumento musicale era davvero il degno figlio di quello spirito infame. Perché portarla da Varodil? Axsa non capiva, ma annuì in risposta.
Lui si espresse in un lungo verso meditabondo, poi alzò un indice fumoso e si fece vicino. Una melodia lenta e triste si espanse ovunque in quello spazio che era sempre stato quieto e lo spirito lo ascoltò qualche secondo, prima di sussurrare: «Adesso mi aiuterai a fare un dono anche all'umano, visto che il liuto brama di esprimere il suo vero potenziale. Lo senti, mia piccola Shi'nnyl? Lo senti il Requiem dell'abisso?»
Come avrebbe potuto non sentirlo, dato che quelle note le si erano infilate anche nell'anima? Era terribile, era pericoloso. Non aveva idea del perché, ma Axsa sentì di non riuscire a compitare alcun suono, il cuore impazzito nel petto e i muscoli pervasi da tremori molesti.
«Questo è l'ultimo canto del liuto arcano, Shi'nnyl. È grazie al Requiem che Galadar ha spazzato via i suoi nemici, prima di prendere la seconda lacrima di Alanmaeth. Certo, suonarlo ha provocato l'immediata scomparsa di ogni forma di vita per chilometri intorno al mio vecchio emissario, però si sa che un grande potere ha bisogno di massimi sacrifici.»
Axsa già sapeva che era stata colpa di Galadar se la magia arcana era stata proibita nell'intera isola di Reah, ma comprenderne il reale motivo la sconvolse. Cos'aveva in mente quello stronzo di Varodil? Perché dare nelle mani di Allan una cosa tanto distruttiva? Voleva creare il caos? Voleva che gli errori del passato si ripetessero?
No, Axsa non aveva bisogno di un'arma di distruzione di massa per ottenere la terza lacrima e mai, mai avrebbe costretto il bardo a suonare una cosa del genere.
Quando la melodia si concluse, Varodil s'ingigantì fino a che le sue scie non riempirono ogni centimetro di quel piano di buio e rise, la voce rimbombante di una malignità che la bambina aveva sentito solo in bocca agli elfi oscuri, e a sé stessa.
«Se non sarai tu a ucciderlo, ci penserà in autonomia a levarsi di mezzo.»
Tornare nella sua fisicità fu estraniante e Axsa ci mise un po' a ricordarsi come respirare. Allan la stava fissando come se avesse appena visto un cadavere e lei sentiva un lieve fastidio all'indice destro. Abbassando lo sguardo, si rese conto che c'era una ferita sul polpastrello e sulle gambe lei aveva uno spartito pieno di rosse note disegnate col sangue; in alto, sull'intestazione, segni morbidi erano stati tracciati in rune che Axsa riconobbe come la lingua degli spiriti e fu Allan a parlare, traducendoli.
«Requiem dell'abisso.»
No, no, non andava bene. Il desiderio di bruciare quei fogli la colse prepotente, ma sapeva che non sarebbe stato possibile, che lo spirito della magia non l'avrebbe mai permesso. L'emissaria deglutì e spostò i grandi occhi a intercettare quelli dell'umano. «Te lo manda Varodil. Studialo, Allan Darwen, ma non suonarlo. Non suonarlo mai.»
Allan non le rispose e si concentrò sullo spartito, mentre lei si metteva il dito in bocca per farlo smettere di sanguinare. Non sapeva nulla di musica – si era rifiutata di studiarla perché sapeva quanto fosse importante per Varodil – però era stata proprio lei a comporre quelle note; la consapevolezza di essere stata un tramite dello spirito la irritò in modo considerevole e si ritrovò a mordere ancora più forte il polpastrello, invece che provare a lenire il dolore.
Smise di farsi del male, però, quando Allan le posò il palmo su un braccio, delicato, liberando una piccola domanda a mezza voce. «Cosa succederebbe, se invece lo facessi?»
Axsa lasciò stare la sua mano per poterla appoggiare su quella di lui, godendo poi della scossa di energia generata da quel contatto. Non voleva rispondere, non voleva dirlo in modo chiaro per paura che pronunciando quelle parole il peggio sarebbe potuto accadere subito. Di nuovo, restò vaga, conscia ormai che il portatore del liuto arcano era abbastanza intelligente per capirlo da solo.
«Già lo sai, ma non lo vuoi sapere.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top