236. La caduta

È da mesi che Zellania ha smesso di seguirmi; credevo sarei stata sollevata, invece passo i giorni a scrutare il cielo e le notti a tremare, perché non può essere un caso che lei mi abbia lasciata stare poco dopo il mio raggiungimento del duecentotrentaseiesimo anno d'età.

Ci siamo, giusto? Era questo che intendeva Varodil continuando a ripetermi quel numero, non ci sono alternative. Tra l'altro, la mia mente si fa sempre più confusa e non ho idea se sia per via della vicinanza con la caduta o per la vecchiaia, anche se in teoria non dovrei sentirmi anziana.

Forse sono solo stufa.

Da due settimane sono sbarcata a Lebrook, guidata da una sensazione peculiare che, unita ai ricordi delle visioni provocate dai funghi allucinogeni del sottosuolo e al dipinto della moglie di Alerdhil, mi ha imposto di restare qui.

Ogni giorno è uguale al precedente: vago senza meta, attanagliata dall'angoscia, in attesa. Tutti i giorni sbircio cosa stanno facendo le altre due emissarie e ho scoperto che Zellania ha lasciato in pace me perché si sta divertendo a tormentare lei, però riesco a mantenere il contatto con loro sempre meno e, anzi, negli ultimi mesi è tutto confuso al punto che capisco solo dove sono e non cosa stiano facendo.

Neanche questo può essere un caso.

Circondata dal vociare delle persone affaccendate a caricare e scaricare le merci dalle imbarcazioni del porto, sono costretta a scorrazzare in giro tenendo il cappuccio davvero basso sulla testa, poiché la luce del sole estivo di mezzogiorno è così intensa da arrivare quasi ad accecarmi. Fissando la pietra grigia sotto di me, mi muovo senza sbattere contro alle bancarelle e agli edifici perché ormai conosco a memoria ogni angolo della capitale del regno di Rosendale.

Non so cosa mi abbia spinta a uscire dalle mura merlate che circondano la città per raggiungere l'immenso porto, ma ormai lascio che i passi mi guidino da soli, persa nel mio mondo confuso che quasi m'impedisce di prestare attenzione ai mille aromi mischiati insieme: spezie, pesce, salsedine... tutto si unisce assieme al borbottio costante in lingue diverse che solo i luoghi di scambi mercantili sono in grado di mostrare, contribuendo ad accrescere il mio disorientamento.

Incedo con lentezza, incespicando e camminando storta, coi raggi che mi feriscono la vista quando provo ad alzare lo sguardo e le persone che m'insultano, intimandomi di stare attenta a dove vado.

Perché sono qui? Di solito a quest'ora me ne sto rintanata da qualche parte, aspettando che il sole cali.

Non oggi.

Oggi il senso di oppressione alle viscere è come quintuplicato e accavallare i pensieri uno sull'altro è tanto difficile da far male.

A un tratto, le gambe si fermano perché a qualche metro da me percepisco una grande quantità di potere arcano apparire dal nulla. Purtroppo non riesco a osservare cosa stia succedendo, ma dalle affermazioni sorprese della gente intorno a me capisco che due uomini si sono appena materializzati da una fenditura oscura. Uno dei due sta gridando, disperato, e credo stia sbattendo il pugno contro una parete di legno, a giudicare dai suoni ripetuti e sordi che sento.

Porto una mano guantata di nero a sorreggermi la testa, mentre un capogiro improvviso azzera le mie percezioni, minacciando di farmi cadere.

Ho freddo.

Un gelo che viene da dentro e mi lascia spiazzata, gli occhi sgranati a fissare nuvolette di condensa che escono dalle labbra semi dischiuse, nonostante sia estate.

La luce sparisce, inghiottita da tenebre che persino io non riesco a superare, tuttavia almeno posso alzare la testa e la rivolgo al cielo, lì dove una palla di fuoco blu si sta facendo sempre più grande, precipitando al suolo, verso est.

Io lo so che si schianterà nelle montagne, io l'ho già visto.

La gente grida.

Non ho mai avuto così freddo e forse non sono neanche più viva, poiché non ho la pelle d'oca, non percepisco nulla, nemmeno il respiro, nemmeno il battito.

Solo buio, silenzio, e il fuoco blu che si schianta con violenza.

Strano, avrebbe dovuto fare rumore.

Forse sono io che ho smesso di sentire.


Ansimo e cado carponi, poggiando i palmi aperti tra alti fili d'erba. Mi sembra di star respirando adesso per la prima volta nella vita e fa male, il cuore mi martella nelle orecchie.

Che cazzo è successo?

Sono lucida, era anche ora! Liberata da quella cupa apatia che mi stava divorando da dentro.

Scrollo la testa e mi siedo, le gambe circondate dalle braccia in questo giardino infinito che riconosco all'istante, nonostante io sia stata qui solo da bambina. Alzo appena la testa, giusto per avere la conferma che sopra di me si estenda l'immensa distesa delle stelle di Alanmaeth, il suo mantello che ondeggia nella notte.

Qui è dove Meg'golun ha quasi cercato di uccidermi quando la nonna mi ha portata al suo cospetto dopo il mio esame.

La lacrima è giunta sul piano dei mortali, quindi perché mi trovo sotto allo spirito creatore?

«Possibile tu sia tanto stolta da non accorgerti di niente? C'è stata la caduta! La lacrima è su Endel e finalmente la mia Signora potrà rinascere!»

Sbatto le candide ciglia più volte nell'udire la voce infervorata di Zellania. Ha gridato, ma non sta parlando con me. Mi abbasso di più il cappuccio sulla fronte e guardo in quella direzione. Non sono affatto sola, poiché l'emissaria di Celenwe è a terra a diversi metri da me; le manca la gamba, ma la sua pelle pare intatta e non sento l'olezzo di morte che ricordo l'accompagnasse.

Davanti a lei c'è Eatiel, confusa, con le braccia al petto e gli occhioni azzurri strabuzzati. Poco distante da loro, infine, c'è anche un tozzo nano in armatura di cuoio; non l'ho mai visto prima, però in questo momento so che lui è Uril, l'emissario di Meg'golun.

Eatiel sospira, poi tende una mano per aiutare Zellania a rialzarsi. Quell'elfa deve avere qualcosa che non va nella testa e il nano pare pensare lo stesso, visto che ha incrociato le braccia al nerboruto petto, negando con la testa nascosta tra i cespugliosi capelli castani e la lunga barba.

«Cosa fai? Pazza!»

Zellania schiaffeggia la mano che Eatiel le sta porgendo e si trascina all'indietro sull'erba, strillando in preda all'isteria.

Nessuno pare avermi notata, forse perché qui è sempre notte e io non sono altro che un piccolo fagotto nero, raggomitolata su me stessa.

Uril compie qualche passo verso le due e abbassa le braccia lungo i fianchi.

«Lasciala perdere, quella è felice solo in mezzo ai cadaveri.»

Ha sbottato, irritato, con voce baritonale. Non riesco a credere che lui sia davvero l'emissario dello spirito del caos: me lo sarei aspettato più veemente, più sadico, più... più simile a un elfo oscuro, ecco.

Perché un nano tanto pacato?

Bah, capire gli spiriti è impossibile.

Eatiel annuisce e comincia a guardarsi intorno, mentre Zellania punta un dito contro a Uril.

«Tu restane fuori, stupido grassone!»

Che strano trio... un'elfa, un nano e un'umana, pare l'inizio di una barzelletta da taverna. Peccato siano emissari, come me, e non riesco a smettere di sentire qualcosa d'indefinibile che mi lega a loro, persino al tizio che non sapevo di conoscere.

Siamo maledetti, tutti e quattro, e questo mi basta per comprendere che non ho alcuna intenzione di combatterli, anche se Zellania ha già provato a far fuori me e anche Eatiel.

Come ho sospettato in passato, è imprescindibile che quell'elfa che pare smarrita diventi una mia alleata, però nel guardarla non posso fare a meno di ricordare il nostro unico incontro e il pessimo modo in cui si è concluso.

Le maledizioni sono legate agli spiriti che vegliano su ognuno di noi, quindi perché lei si mangia le anime dei morti, se è l'emissaria dello spirito del cielo? C'è qualcosa che non torna e non sapere cosa posso o non posso aspettarmi da lei mi mette ansia.

«Shi'nnyl?»

Dannato Varodil e tutta la sua stirpe, devono piantarla di chiamarmi con quel nome!

Eatiel mi ha scorta e si avvicina a me con aria incuriosita, rendendomi l'oggetto delle attenzioni anche degli altri.

«Stammi lontana.»

Parlo con rabbia, immobile, perché non voglio che mi veda, non voglio che mi riconosca, anche se non credo lei sappia che sulla nave che ho bruciato ci fossi anch'io.

Per fortuna, fa come ho chiesto e prende un grande respiro.

«Gli spiriti ci hanno portati in questo luogo, ma non capisco perché. Voi avete qualche idea?»

Cioè, davvero lei non lo sa? Il mio stupido destino mi martella l'esistenza da secoli, e ora che ci siamo questa se ne esce fuori con domande cretine?

Zellania deve aver pensato la stessa cosa, poiché è lei ad alzare la voce.

«Certo che sei proprio stupida! Ora siamo in guerra. È finita l'ora degli scherzi: chi prima arriva alla lacrima se la prende e sappiamo tutti che sarò io a vincere.»

Be', ho qualche dubbio a riguardo.

«No.»

È Uril a tuonare una negazione, sicuro, facendomi alzare un sopracciglio. Eatiel è rimasta ammutolita, mentre l'umana ha preso a scrutarlo con odio, assottigliando gli occhi verdi che paiono fiammeggiare.

«No? Pensi di essere abbastanza forte da impedirmelo, nano? E come faresti? Non sei neanche nella regione.»

Emetto un verso di scherno, poi la lingua mi si muove da sola.

«Neanche tu sei a Rosendale.»

Già, perché ho scrutato la sua posizione giusto ieri ed era a Reah, a zoppicare con fatica su per i sentieri dei monti splendenti.

Zellania alza le spalle e incrocia le braccia sotto al seno, rispondendomi con fare altezzoso.

«Ci sto lavorando. Devo attendere che la Signora degli inganni mi benedica con il suo potere più grande, poi sarò inarrestabile. Arriverò prima di voi, statene certi, e vi schiaccerò come insetti.»

È ammirevole la sua convinzione, ma ora non ha la minima idea di quello che io sono in grado di fare. Non so quale potrebbe essere l'ultimo dono di Celenwe, ma posso mettere la mano sul fuoco che non è paragonabile al fermare il tempo.

Il nano sbuffa.

«Fate come vi pare, io non ho intenzione di partecipare a questa caccia.»

«Cosa?»

Eatiel e Zellania hanno la stessa reazione incredula e io alzo la testa per poter osservare bene quel folle; davvero sta pensando di mettersi contro al suo spirito? Ho incontrato il caos una volta sola, ma è ovvio che litigare con lui non deve essere come battibeccare con Varodil.

Uril annuisce.

«Non è la mia battaglia. Gli spiriti possono continuare a fare i loro comodi lontani da me. Sono nato maledetto a causa loro, incompreso dai miei fratelli, temuto da quelli che dovevano essere miei amici perché Meg'golun ha deciso che io dovevo servirlo. Per quanto mi riguarda, può andare a farsi sodomizzare da un lucertoloide zoppo! Mi sono creato il mio angolo di serenità e non accorrerò a pestare tre sconosciute solo perché lui lo vuole.»

Che coraggio... non pensavo sarei mai giunta ad ammirare un nano; tuttavia, sono convinta che questo atteggiamento non gli porterà nulla di buono.

Sì, io ho sempre cercato di fare quello che volevo senza dare troppa retta a Varodil, ma la sua furia mi ha quasi ammazzata. Lo spirito della magia è nato da quello del caos e ricordo con vivido terrore il dolore che mi ha causato. Forse, Uril ha avuto un destino peggiore del mio. 

Zellania ha ragione a dire che i giochi sono finiti: se adesso ci rifiutiamo di correre dietro alla lacrima, gli spiriti non ci renderanno la vita semplice.

Mi alzo dall'erba e sospiro.

«Ci ho già provato. Credimi, non puoi sottrarti.»

Perché anche se era mia intenzione passare la vita assieme ad Alerdhil, alla fine sono stata costretta a girovagare per le tre Terre attendendo soltanto che arrivasse questo momento.

Il nano porta le mani ai fianchi e non cede, dalla gola fuoriesce un verso pregno d'arroganza.

«Senti, scricciolo, non è per offendere, ma non puoi paragonarti a me.»

Oh, certo che no... la gente non finirà mai di sottovalutarmi, a quanto pare. Se m'impegnassi, potrei mettere tutti e tre in condizione di fare una pessima fine, ma non voglio ucciderli, nemmeno Zellania. Il legame che ci unisce è forte e irrazionale e, comunque, qui siamo pura coscienza nel piano degli spiriti: non possiamo ferirci tra noi in alcun modo.

Zellania ride all'affermazione canzonatoria del nano ed Eatiel continua a girare la testa tra me e loro, forse incapace di decidere dove guardare.

L'atmosfera mite si riempie di tensione e l'aria si fa più fredda, le stelle contenute nel mantello di Alanmaeth perdono luminosità ed è senza fatica che scorgo giganteschi vortici di fumo prendere forma alle spalle del nano. Riconosco la figura umanoide di Meg'golun e i muscoli s'irrigidiscono; se non ce ne andiamo via da qui in fretta faremo una pessima fine.

Mi mordo le labbra e sposto lo sguardo sul nano: se non cambia idea, lui sarà il primo a perire, visto il modo in cui ha insultato il suo spirito. 

Alzo un braccio e lo indico.

«Non è di me che devi avere paura, adesso.» Vorrei gridare, consapevole che noi quattro siamo di certo i mortali più sfigati di tutta Endel, invece la mia voce si fa derisoria e maschero la rabbia crescente con una patina di falsa presunzione. «Il tuo spirito non sembra aver preso bene ciò che hai detto. Addio, Uril.»

Il mio congedo viene mascherato dal rumore d'innumerevoli grida che giungono da ovunque, ma io so che a generarle è il caos: il suo corpo fumoso ora è completo, mentre le stelle prigioniere di quell'oscura massa informe senza volto e dagli arti lunghissimi brillano più di quelle nel cielo.

Il nano si gira con lentezza, alza la testa a osservare il gigantesco spirito che incombe su di noi. Meg'golun allunga le filiformi dita verso l'emissario e l'agglomerato di voci c'investe con mille intonazioni differenti.

«Tu devi portarmi la lacrima.»

Il nano, però, stringe un pugno per colpire l'aria.

«Trovati qualcun altro!»

Non ho neanche un istante per deglutire, scandalizzata per la risposta, che un'onda d'urto ci fa crollare a terra. Io ed Eatiel veniamo spinte ai fianchi di Zellania, i nostri corpi ora sono vicini, le nostre grida unite. L'unico in piedi è Uril, però ha fiamme nere a ricoprirlo, bruciandolo da dentro.

«Inutile, ingrato mortale.» Le voci di Meg'golun ridono, piangono, urlano e strepitano, mescolandosi in infinite lingue. «È esattamente ciò che farò. Mi riprenderò ciò che ti ho donato. E voi. Anche voi dovete perire, in modo che io possa scegliere un altro emissario. Uno degno.»

«Cazzo!»

Trattengo il fiato ed è Zellania a imprecare al posto mio, mentre tutte e tre veniamo trascinate verso l'alto da qualcosa d'invisibile, forse pura magia spirituale. Fluttuiamo a mezz'aria con le braccia aperte e tese e vorrei tanto riuscire a condensare il mio potere per fare qualcosa, ma sono inerme.

Il nero corpo carbonizzato del Nano crolla nell'erba, ancora intatta, e lo spirito allunga gli arti verso di noi. Sento lacrime silenziose rigarmi le guance di fronte alla consapevolezza che questa è davvero la fine.

Dicevo di essere stanca di vivere la mia esistenza tormentata, ma mai avrei voluto concluderla in questo modo.

L'elfa e l'umana singhiozzano più forte di me, fino a quando una luce intensa mi costringe a chiudere le palpebre.

«Torna a fuggire tra i piani, fratello. Non ti permetto di influire sulle sorti dei mortali.»

 La voce sconosciuta di una donna fende le grida di Meg'golun con tono autoritario e, mentre ansimo col cuore ormai impazzito, riapro gli occhi per poter capire chi sia la nostra salvatrice. A inframmezzarci tra noi e il caos, c'è una donna molto magra; è scalza, le sue vesti rosse e bianche sono a brandelli e lasciando visibile parecchia pelle pallidissima, mentre dal cappuccio che le copre la testa spuntano lunghe ciocche di capelli rossicci. È girata di spalle rispetto a noi, quindi non posso guardarla in viso, ma comunque la mia attenzione viene subito catturata dall'enorme falce d'ossidiana che tiene tra le dita affusolate.

Di lei ho potuto guardare solo delle raffigurazioni, ma non ho difficoltà a riconoscere che è Ilimroth, lo spirito della morte.

È Meg'golun stesso a confermarlo, perché urla il suo nome mentre lei si staglia in avanti, pronta a fronteggiarlo. È minuscola se paragonata alla mole di galassie e fumo che compone il caos, ma io più di tutti so che le dimensioni non contano nulla.

Siamo sotto al mantello di Alanmaeth a osservare lo scontro tra il caos e la morte.

Incredibile come sia proprio lei a essere intervenuta, allontanandoci quindi da sé stessa.

Con la gola secca e la mente impallonata, aspetto l'impatto tra i due spiriti, ma non riesco a vederlo poiché Varodil si forma dal nulla davanti a me e m'ingloba nelle sue tenebre; mi libera dalla forza che m'incatenava gli arti e restiamo a fluttuare nell'aria.

Perché l'ha fatto?

Mi sembra quasi di sentirlo ansimare e, tra le vene vermiglie e il buio, scorgo che davanti a Eatiel è apparsa una donna con semplici veli bianchi a coprirle un corpo longilineo dalla pelle diafana e lunghi capelli castani mossi da violente folate di vento.

È Serendhien, senza dubbio, e anche lei sta proteggendo la sua emissaria mentre Zellania è da sola, il viso tirato in un'espressione angosciata. Nessuno spirito arriverà per proteggerla, poiché Celenwe è bloccata nell'arcipelago del caduto.

Resto senza parole, ma ciò che mi stupisce di più è che Eatiel allunga un braccio e afferra un polso della negromante, attirandola a sé, dietro a Serendhien che si fa persino più grande per proteggerle entrambe.

È proprio lo spirito del cielo e del mare a voltarsi verso Varodil e io non posso che trattenere il fiato, poiché i suoi occhi sono formati da pura luce e la sua voce è tanto dolce quanto affrettata.

«Dobbiamo portarle via, prima che sia troppo tardi!»

L'oscurità dello spirito della magia si fa più fitta e m'impedisce di vedere, mentre lui le risponde con tono saccente.

«Lo so, grazie tante! La sua volontà è troppo grande, Ilimroth dev-»

Un forte colpo metallico gl'interrompe la frase e una seconda onda d'urto ci trascina tutti all'indietro. Le scie di potere arcano di Varodil si affievoliscono e non ho dubbi che il gemito sofferente che mi riempie le orecchie provenga da lui. Il caos e la morte si sono scontrati, infine, ed è probabile che non sarei sopravvissuta all'impatto se non ci fosse stato Varodil a circondarmi con la sottospecie di corpo che si ritrova.

Be', era ora che facesse qualcosa di utile.

Zellania comincia a ridere senza freni e sento un tonfo, come se fosse appena caduta a terra.

«Sì, mia Signora, con piacere! Pagherò qualsiasi prezzo! Donami il potere di vincere! Donami la forza di farti rinascere affinché i morti possano infine camminare tra i vivi!»

Ha urlato con una convinzione al limite dell'isteria e la bocca mi diviene secca, mentre suppongo che Celenwe le stia concedendo l'ultimo dono di cui aveva parlato. Prima ho fatto l'arrogante, però devo ammettere che ho le viscere un po' contorte nel chiedermi quale potrebbe essere il culmine del potere dell'emissaria della non-vita e degli inganni.

È in un bisbiglio soffocato che Varodil mi parla, angosciandomi ancora di più.

«Ti conviene cominciare a fare il tuo dovere, Shi'nnyl, o per Endel sarà la fine.»

Grazie, ora sì che sono tranquilla; cazzo... è davvero giunto il tempo di fare ciò che vuole lui.

Alanmaeth, spirito della creazione
Meg'golun, spirito del caos, generato dalle stelle sfuggite da Alanmaeth
Varodil, spirito della magia, generato dalle ombre di Meg'golun

♪ ♫ ♪

Le figlie di Alanmaeth
Celenwe, spirito della vita, prima della corruzione del caos
Celenwe, spirito della non-vita, dopo la corruzione del caos
Ilimroth, spirito della morte

♪ ♫ ♪

I figli di Celenwe
Serendhien, spirito del cielo e del mare
Ninli, spirito del fuoco e della terra
Deladan, spirito dell'amore

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