220. Luther Allegro

Di nuovo questo strano studio pieno di libri e magia. Dalla finestra chiusa si scorge il mare in lontananza e i versi dei gabbiani emergono ovattati attraverso il vetro. Vedo la scrivania lasciata a sé stessa, vedo pergamene sparse su una panca e sul pavimento di marmo bianco, vedo le librerie e vedo lui, un ragazzino umano con corti capelli castani in un'elegante tunica rossa; si sta arrampicando sui ripiani alla ricerca non so bene di cosa, butta libri a terra e tasta il fondo del mobile.

Io non sono lì, però.

Cos'è, una strana visione? Non ho idea di cosa stessi facendo prima di ritrovarmi davanti queste immagini, né riesco in alcun modo a interagire o sottrarmi da esse.

Come se fossi bloccata in un angolo in alto, assisto impotente mentre il potere arcano scorre attraverso il corpo del ragazzino e mi rendo conto che lui non è la sola fonte di magia della stanza, poiché dietro alla libreria dove sta facendo la scimmia c'è un'aura in qualche modo familiare.

A giudicare dal mare oltre la finestra, dalle raffinate decorazioni sul mobilio dello studio e dalla preponderanza del marmo bianco ovunque, mi convinco che questa sia una dimora di Occhio di Mezzo e, dannazione, io ho già visto questa stanza.

Io so cosa c'è dietro quel muro.

«Láta.»

Aperto.

Il ragazzino pronuncia quella semplice parola in elfico e la libreria slitta di lato, liberando un anfratto nascosto. Lui pare perplesso e si avvicina con circospezione, poi il viso gli s'illumina di una gioia incommensurabile nello scorgere che proprio davanti ai suoi occhi c'è il liuto arcano.

Ops, Varodil mi aveva detto che avrei dovuto trovarlo e prenderlo io, dato che mi appartiene, ma me ne sono sempre fregata.

Quel fragile umano non avrà neanche quattordici anni... morirà se proverà a impossessarsi dell'artefatto dello spirito della magia.

Ora io non ho fisicità né voce, eppure sento l'impulso d'intervenire, di dirgli di tornare indietro, di non toccare quello strumento terrificante e fuggire il più lontano possibile.

Perché m'interessa? Non ha senso.

Da quando ho a cuore la sorte degli stupidi umani?

Lui è diverso.

Dopo una breve esitazione, il ragazzino allunga una mano e si blocca a pochi centimetri dal manico del liuto.

Forse tornerà indietro; lo spero.

È ovvio che anche lui stia percependo lo sconfinato potere che trasuda dal legno scuro, dalle corde d'argento, eppure non scappa.

Lo tocca e viene avvolto dalla magia che si sprigiona in onde, partendo dal suo fragile corpo. Le pergamene e i libri si sparpagliano, i mobili più leggeri vengono ribaltati e il caos imperversa senza freni.

Una grande sofferenza gli deturpa i lineamenti delicati e in qualche modo anch'io ne sono partecipe; non sento il mio corpo, ma so che ho il cuore in una morsa pressante, mentre pura e malevola angoscia minaccia di violarmi l'anima.

Resisti!

Vorrei urlare, vorrei aiutarlo in questa lotta impari e non poter in alcun modo intervenire mi pare la cosa più crudele che mi abbiano mai fatto.

Non è logico, non è razionale.

Io questo ragazzino non lo conosco!

«Accetto.»

Compie qualche passo all'indietro, dice quella piccola parola e tutto cambia: i vortici di potere arcano vengono risucchiati dentro di lui e l'agghiacciante suono di qualcosa che si lacera mi riempie i sensi.

Torna la quiete e il ragazzino sorride, afferra il liuto arcano per il manico e l'osserva, poi si porta l'altra mano al viso e si asciuga le lacrime che, però, sono rosse e dense.

Lacrime di sangue.

Lui se ne accorge, ma non si scompone e, anzi, pare rivolgersi al liuto con tono gioioso mentre il suo corpo è pervaso da tremori.

«Luther Allegro. Sì, ti si addice. Saremo grandi amici e vivremo incredibili avventure, me lo sento.»

È troppo tardi.

Rannicchiata nel vuoto buio e statico dell'abisso di Varodil, ansimo e mi stringo le braccia al corpo.

«Cos'era quello strappo orribile?»

La domanda mi sguscia senza controllo fuori dalla gola e lo spirito della magia emette un versetto di sdegno.

«Pare che un insulso umano abbia resistito al liuto arcano e abbia stretto un patto con lui, diventandone il portatore con ciò che ne consegue: il liuto si è preso un pezzo della sua anima come pagamento.»

Cazzo, sono troppo vecchia per questa merda.

Quanti anni sono passati dall'ultima volta che sono stata qui? Ho perso il conto, però ora è diverso. Ci sono finita a causa di qualcun altro, sì, perché io ero nel tempio di Varodil a Teegate, con Alerdhil, al sicuro.

Il corpo mi sembra un macigno e la cosa non ha molto senso, visto che in questo piano sono pura coscienza, ma non posso ignorare le sensazioni.

Mi raddrizzo e osservo l'agglomerato di ombre e potere arcano che se ne sta come seduto nel niente, sorreggendosi la testa con un fumoso braccio in una posa meditabonda.

«Ti avevo pregata di prenderlo tu, Shi'nnyl.»

Sospiro rassegnata, poi incrocio gli arti al petto e alzo le spalle.

«Il mio nome è Axsa. Shi'nnyl è morta quasi due secoli fa.»

Le vene di potere scarlatto pulsano più rapide.

«Axsa, Shi'nnyl, Du'aset, chiamati come ti pare; resta il fatto che il mio liuto adesso è in mano a un umano.»

Il suo tono si è abbassato... è irritato, per caso? Strano, non l'ho mai sentito così e la cosa mi diverte enormemente, ringalluzzendomi.

«Vuoi dirmi che non lo avevi previsto? Com'è che avevi detto? Tu trascendi il tempo e lo spazio!» Lo prendo in giro enfatizzando le parole con ampi gesti e lui resta immobile, permettendomi di continuare. «E poi qual è il tuo problema con gli umani? Cosa te ne frega? Il ragazzino ha resistito, no? Vuol dire che era degno.»

Il fumo di Varodil si disperde un poco e lui si sposta accanto a me, girandomi poi intorno.

«Gli umani sono così deboli, così inetti! Shi'nnyl, dai, fai la brava e vai a recuperare il liuto arcano!»

Ma che palle!

«Non ci penso neanche, anche perché l'anima me la voglio tenere stretta. Comunque ora ce l'ha lui, cosa dovrei fare?»

Lo spirito mi si para davanti e allarga le propaggini che gli fanno da braccia.

«Oh, non saprei! Hai passato metà della tua vita ad ammazzare tutti quelli che ti pareva, uccidere anche lui non penso ti costerà fatica!»

Ringhio e indietreggio, fluttuando nel nulla.

«Si dà il caso che io lui non lo voglia uccidere, però.»

Non so neanch'io perché l'ho detto e Varodil s'impietrisce, poi le ombre si disperdono con uno sbuffo prolungato e la voce ritorna esasperata poco dopo, alle mie spalle.

«Dillo che lo fai solo perché ti galvanizza darmi contro.»

Mi volto per guardarlo e poggio i palmi sui fianchi, ghignando.

«È probabile.»

Ormai non m'interessa farlo incazzare e se anche volesse punirmi in qualche modo, lo accetterei. Sono stanca della mia minuscola prigione, stanca della consapevolezza di non essere mai del tutto padrona di me, perennemente osservata.

Lo spirito, però, non aumenta di dimensioni, né mi viene addosso; si limita a ondeggiare con le scie vermiglie che lo attraversano lente, meno luminose del solito, poi si affloscia nel buio.

«Be', in fondo me la sono cercata... ho scelto io di bloccarti in età infantile e ora che hai la consapevolezza di una vecchia bisbetica sei pure peggio. Galadar era più collaborativo, ma non è arrivato a essere un bambino anziano, in effetti.»

Ride da solo e mi ritrovo con la fronte aggrottata e le labbra distorte in una smorfia confusa; anche Galadar era un bambino quand'è diventato suo emissario, quindi? I cultisti che dicono di averlo visto lo descrivono come un aitante elfo adulto dai muscoli scolpiti e i capelli d'erba... comunque non è affar mio e la sola idea che l'unico modo di spezzare la maledizione sia quella d'impossessarsi di una lacrima di Alanmaeth e ascendere a spirito mi ripugna.

Le ombre di Varodil si ricompongono e lui torna allegro.

«Facciamo che ora io ti dono il modo di poter rintracciare chi vuoi quando più ti aggrada, così magari ci pensi e ti rendi conto che assieme al liuto arcano il tuo potere raggiungerebbe vertici impensabili.»

Voglio andarmene da qui e possibilmente rivedere questo stronzo tra più di cent'anni, quindi alzo le spalle.

«Fa' come vuoi, tanto quello stupido strumento non lo prenderò mai.»

Lo spirito si avvicina fulmineo, mi circonda con la sua essenza e l'odiosa sensazione di oppressione che m'investe ogni volta che lo fa m'impedisce di muovermi; le scie vermiglie paiono quasi catene che si stringono intorno a me, ricordandomi con crudeltà quanto in realtà io non sia affatto libera. Come potrei? Il potere che scorre in me viene da lui, del resto.

«Uno ti vuole fare i regali e tu neanche apprezzi.» Parla con una certa vena sadica e la voce rimbomba ovunque. «Gli anni non ti hanno cambiata né resa più saggia: aveva ragione tuo fratello a dire che sei un'ingrata.»

Infame, questo è un colpo basso.

Mi mordo le labbra e provo a divincolarmi, senza successo, fino a quando lui svanisce e resto sola con la mia luce viola; l'eco della sua voce, però, mi perseguita.

«La caduta si avvicina e mi sono premurato di avvisare già da un po' gli altri spiriti. Presto non potrai più sottrarti. Ricorda, Shi'nnyl, duecent-»

«Duecentotrentasei, sì, sì, lo so. Ora levati dai coglioni che il tempo da perdere l'ho finito.»

Varodil potrà bloccarmi il corpo e imprigionarmi nel suo piano, ma non gli lascerò avere potere sulla mia mente.


È con la sua risata sprezzante tra le orecchie che riapro gli occhi e mi ritrovo nel bel mezzo del tempio, però c'è qualcosa che non va: le panche che dovrebbero essere poggiate sul lucido pavimento scuro sono finite contro alle pareti lisce e gran parte delle luci fluttuanti rossastre che di solito illuminano la navata centrale si sono spente.

Il tempio di Varodil è stato costruito ricalcando il suo abisso, quindi è privo di finestre; il buio è denso e le mura di marmo nero sono tanto alte che il soffitto non è visibile alle creature della superficie. Io sono nata nel sottosuolo, però, quindi non ho difficoltà a scorgere che, nell'oscurità, ci sono una decina di cultisti nelle loro tuniche nere aderenti e mi stanno fissando con sguardi pregni di terrore.

È probabile io abbia appena fatto casino e non è certo una novità che questi cretini mi sopportino giusto perché il loro sommo cultista li obbliga a chiamarmi maestra.

Sospiro e mi avvicino a quello che trema di meno.

«Dov'è Alerdhil?»

Lui deglutisce e indica i grossi portoni rossi.

«Il so-sommo Alerdhil ha la-lasciato il tempio po-po-poco prima della vo-vostra esplosione di po-potere, maestra.»

Sbuffo aria dal naso e storpio la bocca, imitando quella sua faccia da idiota.

«E do-dov'è andato?»

«Da sua moglie, suppongo.»

La risposta mi giunge da una cultista poco distante, accorsa in aiuto dell'inetto che ho davanti. Senza degnarli più di un singolo sguardo, mi tiro il cappuccio sulla testa e mi dirigo a passo svelto verso l'uscita, anche se l'idea di andare da quella stronza di Celye non mi aggrada troppo.

I portoni sono così pesanti che non riesco ad aprirli e ringhio, già incazzata, prima di condensare il potere arcano e spalancarli con la magia. La luce del sole m'investe e resto accecata qualche secondo. Col capo chino per proteggermi la vista e abituarla alla nuova luminosità, avanzo nell'immensa piazza rotonda, dimora dei tre templi che rendono celebre quest'area fuori dalla città di Teegate. Fissando le pietre levigate verdi che compongono la via di smeraldo, mi dirigo verso sinistra per raggiungere il gigantesco tempio dello spirito dell'amore e della bellezza.

Odio quel posto e la gente che c'è dentro, visto che i paladini e i cultisti di Deladan sono sempre gioiosi, quasi fossero sotto la continua influenza dei fumi delle erbe calmanti. Tra l'altro dentro le imponenti mura di marmo bianco di quell'edificio sono costretta a tenere il cappuccio bello alto, perché dalle numerose vetrate colorate il sole penetra e la luce dei suoi raggi risulta persino ampliata.

Come Alerdhil abbia fatto a innamorarsi di una cultista di Deladan è forse il più grande mistero che abbia dovuto affrontare nei miei duecentovent'anni di vita.

Oh, certo, Celye è un'elfa bellissima con mossi capelli biondi, un visino dolce, grandi occhi azzurri e labbra a cuore, ma, insomma... deve averlo irretito coi modi gentili e l'allegria, non c'è altra spiegazione.

Dopo il nostro primo incontro a Limor, Alerdhil si è prodigato per giustificare la mia presenza agli esponenti della sua razza e non solo. Abbiamo viaggiato insieme per decenni, l'ho aiutato a sviluppare le doti arcane e devo ammettere che è probabile che ora le sue capacità superino di gran lunga le mie.

Siamo rimasti nel tempio di Occhio di Mezzo durante i trent'anni della stupida guerra tra Rosendale e Reah; l'ho deciso io, seppure i cultisti di ogni spirito abbiano l'obbligo di restare neutrali, non avevo voglia di assistere feriti o altre stronzate del genere. La città-stato al centro del Mar Mezzo è stata un nido sicuro e confortevole e vivere con quell'elfo irriverente, in fondo, non mi è mai dispiaciuto. Il suo legame con Varodil ci unisce più di qualsiasi altra cosa, quindi, in effetti, forse detesto tanto Celye perché ha osato infilarsi tra noi e dissolvere la nostra normalità.

Già, sono abbastanza vecchia per rendermene conto e ammetterlo a me stessa senza giri stravaganti o scuse.

La verità è che restare nell'ombra e in disparte, mentre scorgevo il loro amore nascere e svilupparsi, è stato devastante.

Ora chi mi circonda mi sopporta; alcuni sono abbastanza coraggiosi da parlarmi e chiedermi di aiutarli a entrare in comunione con Varodil, ma sento che mi manca qualcosa. Ho oltre due secoli di vita, ho impressa nelle memorie gran parte dello scibile umano, elfico e della maggior parte delle altre razze, però non so cosa sia l'amore.

Sono un'elfa oscura, non sono stata allevata per questo stupido sentimento, però da quando Alerdhil si è unito a Celye, da quando hanno avuto Aglor... 

Maledizione! Mai avrei pensato che sarei stata gelosa di un cazzo di elfo!

Da quando siamo a Teegate, poi, le cose sono peggiorate. Almeno a Occhio di Mezzo il tempio di Varodil e quello di Deladan erano distanti, mentre qui sono fottutamente appiccicati. Se avessi saputo come si vive male in questo complesso, non avrei mai convinto Alerdhil a sfidare il precedente sommo cultista per prenderne il posto, come impongono le loro leggi. Il loro combattimento magico è stato patetico, dato che Alerdhil ha annichilito il suo ben più anziano avversario in neanche dieci secondi.

Credo che ormai Alerdhil sia l'incantatore più potente di queste terre... Varodil avrebbe dovuto scegliere lui come emissario, peccato non fosse ancora nato quando si è divertito a maledire bambini.

Camminando con rapidità, sogghigno nel ricordare tutte le volte che insieme abbiamo dimostrato alla feccia che ci circonda cosa sia la vera magia. Mi ritrovo ad arrossire, persino, mentre il sorriso sghembo dell'elfo e le sue battute pungenti e ironiche mi obnubilano i sensi. Forse Alerdhil mi è sempre piaciuto tanto perché assomiglia più a un elfo oscuro, che a uno della superficie.

«Non puoi costringermi a scegliere, Celye!»

È la sua voce?

Mi blocco a pochi metri dai portoni della casa di Deladan e mi volto verso il centro della piazza, da dove ho sentito il sommo cultista urlare. Sono parecchi i curiosi che hanno fermato le loro attività per assistere alla scena: i due elfi sono sotto alla statua bronzea dello spirito della bellezza, unico elemento presente nello spiazzo tra i templi.

M'infastidisce guardare la statua ora che è colpita dal sole, poiché la polvere di conchiglia usata per sbiancare i lunghi capelli di Deladan e le gemme preziose che ne rivestono la tunica riflettono la luce; un uomo dalle fattezze androgine che sorride in eterno ai visitatori del complesso, scolpito nell'atto di dipingere.

«Il segno è chiaro, devi ragionare!»

La moglie di Alerdhil grida con voce acuta, ricca di preoccupazione, e la cosa mi spaventa; non è da lei, non l'ho mai sentita così. Mi avvicino a loro, restando però nascosta dietro a dei cultisti di Galadar nei loro abiti verdi e risultando pressoché invisibile a chiunque, visto che i due litiganti assorbono l'attenzione dei presenti.

«Di visioni funeste ne abbiamo avute tutti nella vita, perché questa ti spaventa tanto?»

Ora che sono più vicina posso osservare che Celye ha in braccio il loro bambino e ha le guance rigate da pesanti lacrime che contrastano con la tunica variopinta. Alla domanda del marito, scuote i ricci con violenza e si libera in un singhiozzo disperato.

«No, no, non capisci! Alerdhil, ti prego, devi allontanarti da lei.»

Sono così infervorati che non penso si siano accorti del gran numero di cultisti e visitatori che si sono radunati lì intorno.

Serro i pugni e mi si stringono le viscere nel guardare il modo in cui Alerdhil si sorregge la testa con una mano tra i capelli, il suo viso contratto nel dubbio e nel dolore.

«Celye...»

Perché esita? Perché ha il tono addolorato, la voce rauca?

La cultista di Deladan abbraccia il piccolo Aglor, palesemente stranito dal comportamento dei genitori, poi si morde il labbro inferiore. 

«Lei ti condurrà a una morte prematura.»

Se non fosse la moglie di Alerdhil, è probabile che a quest'ora l'avrei già punita per le puttanate che sta dicendo, invece resto immobile col cuore che pompa frenetico e i muscoli in tensione.

Lui la fissa qualche istante, gobbo e devastato, poi sospira.

«Sai benissimo che, tra te e lei, io sono obbligato a scegliere lei.»

Sgrano le palpebre e la stretta al ventre si fa più opprimente, poiché le sue parole non sono affatto di conforto.

Lui è obbligato, eh... ovvio.

Celye indietreggia fino a raggiungere il massiccio piedistallo della statua con la schiena ed è ancora Alerdhil a continuare il discorso.

«Lei è la sua emissaria. Sai bene quanto me che noi non possiamo sottrarci al volere degli spiriti.»

L'elfa resta con le labbra dischiuse e nuove lacrime a rigarle le guance lisce.

«Così, hai scelto.»

Il sommo cultista allunga un braccio per sfiorare il suo, ma lei si discosta e nega col capo. Guarda il loro bambino e gli sorride, ma non c'è traccia di felicità nei grandi occhi acquosi.

«Mio piccolo Aglor, in te già scorre un grande potere arcano. Che Deladan possa proteggerti, che Varodil possa donarti la forza, che Alanmaeth possa renderti più oculato di tuo padre.»

«Amilyë

Il bambino è perplesso e la chiama con quel vezzeggiativo elfico che di norma mi farebbe vomitare, ma che ora assume un significato quasi tetro; mammina, dice, ed è come se anche lui capisse che sta per accadere qualcosa che sconvolgerà la sua esistenza.

Celye gli dà un bacio in mezzo alla fronte e lo porge ad Alerdhil, obbligandolo a prenderlo in braccio.

«Cosa stai facend-»

«Assicurati solo che non gli accada nulla. Ha preso il potere da te, quindi è con te che deve restare.»

Alerdhil tiene il figlio con un braccio e di nuovo prova a raggiungerla con l'altro.

«Ti prego, ti supplico, possiamo parlarne, arrivare a una soluzione!»

Lei s'infila una mano nella tasca della tunica ed estrae una pergamena; condensa il potere spirituale e sospira, rassegnata, senza smettere di sorridere.

«Abbiamo già parlato abbastanza. Abbi cura di entrambi, amore. Addio.»

Senza lasciare il tempo a nessuno di replicare, la pergamena prende fuoco e lei sparisce nel nulla.

È andata.

Alerdhil è rimasto a bocca aperta con il braccio proteso e intorno a lui c'è il gelo. Lo osservo mentre si raddrizza e deglutisco quando lui muove nell'aria la mano libera, sprigionando con lentezza un velo di profonda oscurità che a poco a poco lo circonda.

«Penso che voi abbiate visto abbastanza.»

Carica quelle parole di immenso rammarico e ogni singola persona intorno a me si dilegua a passi rapidi e nel silenzio. Il piccolo Aglor pare divertito dall'incanto che il padre ha appena invocato e ben presto resto soltanto io a poter vedere nelle tenebre, a poter assistere alla disperazione di un uomo distrutto.

Mi avvicino, cauta, e lui è ancora in piedi con l'attenzione alla pietra smeraldo della piazza. 

«Quella pergamena di teletrasporto gliel'avevo data io, per sicurezza. Mai avrei pensato l'avrebbe usata per lasciarci.»

Non so bene come reagire e non credo di capire la sua sofferenza; vedo solo una profonda tristezza a rovinare il suo bel volto. Mi mordo le labbra e gli appoggio un palmo sulla coscia, poi alzo lo sguardo a cercare il suo mentre siamo avvolti da questa piacevole oscurità che smorza persino i raggi del sole.

«Perché lo ha fatto? Se davvero teme per la tua vita, perché fuggire come una codarda e lasciarti Aglor?»

La mia domanda lo riscuote, il contatto tra noi genera una piccola scarica di energia magica e per un istante spero che questo sia abbastanza perché lui torni a mostrarmi il suo sorrisino ambiguo, ma non succede. Alerdhil ha le iridi perse sul viso del bambino e una cupa disillusione a smorzargli il tono.

«Non penso che avrebbe sopportato il vedermi accanto a te, ora che crede di aver scorto ciò che accadrà. Non avrebbe potuto portare Aglor con lei: lui ha ereditato il potere arcano da me e questo lo lega a Varodil, lo sai bene.»

Già, Varodil è il creatore stesso della magia arcana, quindi i suoi cultisti sono gli unici a sembrare veri e propri incantatori, mentre tutti gli altri utilizzano le arti spirituali. Assurdo come, per queste persone, il legame con gli spiriti sia più forte di quelli affettivi; credevo che fossero gli elfi oscuri i più fanatici quando si parla di fede, invece le altre razze non sono poi tanto diverse.

Osservo i due elfi e sospiro.

«Andandosene dal suo tempio in questo modo, rischia di essere scomunicata dall'ordine di Deladan. Come potrà giustificare il suo comportamento?»

Alerdhil alza le spalle.

«Deladan stesso le ha donato una visione: Celye ha passato tutta la mattina dietro all'altare del suo tempio a dipingere, la mano guidata dallo spirito in persona. A quanto pare, ha disegnato una palla di fuoco blu che si abbatte tra i monti e, sotto di essa, il nostro tempio, Axsa.»

Finalmente mi guarda ed esita. Si abbassa e poggia Aglor al suolo, che non protesta, poi s'inginocchia davanti a me e mi afferra le spalle.

«Mia moglie ha dipinto il tempio di Varodil distrutto e te... ha dipinto te al centro del caos, circondata da una pioggia di sangue.»

Be', non mi pare un quadro confortante.

«Oh.»

È l'unico commento che riesco a computare, prima che lui mi lasci per sedersi a terra e recuperare il figlio, posandoselo tra le gambe.

«E ora lei ci ha abbandonato.»

Mi riscuoto e incrocio le braccia al petto; non tollero più di vederlo in questo stato.

«Lei ha dipinto la caduta, è evidente. Sapevi benissimo che sarebbe successo e il tempismo è significativo, dato che giusto pochi minuti fa Varodil mi ha richiamata nell'abisso.»

Alerdhil alza di colpo la testa e lo sguardo si riaccende d'interesse; non ho bisogno che dica nulla, quindi continuo.

«Un umano ha liberato il liuto arcano e Varodil mi ha donato la capacità di trovare chi voglio, in modo che io possa ucciderlo e prendere l'artefatto.»

L'elfo emette un verso nasale, massaggiando la schiena del bambino.

«Quindi ora partirai, non è così?»

Faccio schioccare la lingua sul palato, aprendomi in un ghigno e circondandogli il collo con le braccia, da dietro.

«No, resterò con te. Del resto, hai lasciato che Celye se ne andasse e ora non ho più rivali, giusto?»

La risatina che prorompe dalla sua gola è come una panacea.

«Oh, sì, sono tutto tuo, maestra.»

Ha provato a sembrare ironico, come fa sempre, però io l'ho sentito: c'è stato un pesante velo d'infelicità a rovinare ogni cosa ed è stato davvero simile a ciò che ho percepito nel ragazzino che ha avuto la faccia tosta di chiamare il liuto arcano di Varodil Luther Allegro.

Di allegro, qui, non c'è proprio un cazzo.

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