21. Quanto li odio

Li odio.

Pensavo che la scuola sarebbe stata divertente, invece ormai è asfissiante. Perché sono tutti più grossi e robusti di me? Bambine e bambini, non fa differenza; io non arrivo neanche al metro d'altezza e c'è chi invece mi supera di trenta centimetri!

È da sei anni che ho smesso di crescere.

Devo avere una strana malattia, per forza, perché non è normale ed è da un po' che la gente mi guarda come se fossi indegna. Se non fossi tanto capace nell'uso della magia, è probabile che mi avrebbero già sacrificata a Meg'golun come una debole qualsiasi.

Ma io non sono debole, mi rifiuto di crederlo, e non mi lascerò bruciare viva perché il mio stupido corpo non resta al passo con la testa. In qualche modo devo riuscire a farcela, a padroneggiare le spade così come faccio con la magia, ma ogni anno che passa è sempre peggio.

Le armi diventano più pesanti, i miei compagni aumentano di peso, mi sovrastano; come posso essere una guerriera, se sono rimasta uguale a quando avevo quindici anni? Perché, per l'eterno caos, perché chiunque deve per forza interessarsi all'arte della guerra?

Non è giusto! Chi non mostra la minima predisposizione magica mica è costretto a imparare gli incantesimi, quindi perché io devo combattere per forza?

Che palle!

Cosa me ne può fregare di usare una spada, quando posso drenare le energie dagli inetti davanti a me solo indicandoli?

Li odio tutti, davvero, grandi e piccoli.

Me ne resto seduta in disparte a picchiettare in modo ritmico i polpastrelli sui pantaloni di pelle di lucertola che mi fasciano le gambe magre, mentre quel frignone di Narum si muove in modo impacciato per tentare di evitare le bastonate di Erordia. Il mio gemello è cresciuto tantissimo ed è più alto della bambina, però lei è veloce e subdola; si muove per colpire ai fianchi, mira alle costole e resta bassa per evitare i maldestri colpi di lui, che forse non riuscirebbe a prendere nemmeno me.

Credo che sarà una guerriera abilissima, anche se le ho sentito dire che vuole fare la cacciatrice. Che stupida, fa parte di una delle quattro famiglie della tetrade, come pensa di poter uscire da Meg'xuku per andare a caccia nei cunicoli?

No, il suo destino è quello di diventare una guerriera e proteggere la famiglia, così come io diventerò la più grande sacerdotessa di Meg'golun che si sia mai vista in questa città, in qualunque città!

Erordia incalza mio fratello senza lasciargli tregua e lui indietreggia verso il cerchio formato a terra dalle candele che delimitano l'arena di oggi, illuminando con una tenue luce uno degli ambienti preferiti del maestro; ci ha portati nei pressi della parete rocciosa da cui sbuca il fiume e il rumore scrosciante della cascatella rimbomba e fa eco, arrivando fino alla volta che sta sulle nostre teste.

Seguendo il corso del fiume si arriva nel cuore di Meg'xuku, lì dove ci sono le case della tetrade e delle altre famiglie che contano qualcosa, mentre più ci si allontana dalla fonte, andando verso il pozzo oscuro, più i quartieri diventano pieni di feccia.

Mi perdo spesso a guardare verso l'alto, a chiedermi cosa ci sia nel mondo di superficie, metri e metri al di sopra della città, dei passaggi, di tutto. I miei pensieri mi schifano e mi attirano al tempo stesso e ho perso il conto di quante volte sono stata picchiata perché sorpresa a fantasticare.

Lo so benissimo che è questo il mio posto, però continuo a sognare gli elfi.

Le budella mi si attorcigliano al pensiero di quegli esseri bianchi e terrificanti e non dimenticherò mai la furia della nonna quando ho deciso di renderla partecipe dei miei sogni.

«Sei troppo piccola per sapere cosa sono gli elfi, sei di nuovo entrata nella parte proibita della biblioteca?»

Ho camminato storta per due settimane, però alla biblioteca ho continuato ad andarci comunque.

Da quel giorno tengo tutto per me e non mi confido neanche con Narum, visto che è tanto lecchino che arriverebbe a vendermi a mamma e papà pur di evitare di essere punito.

Delle risate sguaiate mi fanno abbassare la testa e torno con l'attenzione su ciò che sta succedendo: mio fratello è a terra fuori dal cerchio di candele e si tiene la testa, i capelli corti sono appiccicati per il sudore e sulla fronte ha un taglio profondo e sanguinante. Il liquido rosso gli cola lungo la tempia, s'infila sulla palpebra, tra le ciglia bianche, e lo costringe a chiuderle, mentre si trattiene dal piangere come un debole qualsiasi.

Se continua così, sarà lui a finire sul rogo.

Gli altri quattro bambini ridono, lo prendono in giro, e io mi faccio più piccola, passando la lingua sui denti per trattenere la collera; è proprio un fratello insulso e non fa altro che gettare disonore sulla famiglia.

Non poteva essere lui quello malato?

Anche il maestro non fa nulla per evitare di mostrare quanto la cosa lo diverta, visto che Erordia sta facendo uno stupido balletto della vittoria davanti a Narum, roteando il bastone e chiamandolo yibin.

Debole.

Lui prova a mettersi in piedi, ma le iridi viola si alzano in modo innaturale verso la fronte, perdendosi un po' nel retro dell'occhio, e lui crolla di schiena, smette di muoversi. Che gli prende, è svenuto?

Mi alzo, con la gola secca e le gambe che tremano. Se si è fatto ammazzare da una Nieevok con un semplice bastone, la famiglia diventerà oggetto di parecchio scherno.

I bambini ridono più forte, Gabad si tiene addirittura la pancia mentre lo insulta in modo pesante. Il maestro si blocca, irrigidendosi, e lo vedo che deglutisce mentre si accerta che mio fratello sia ancora vivo. Annuisce e io riprendo a respirare, mentre gli altri si zittiscono, visto che lui ha tirato fuori la frusta.

«Restate qui, non muovetevi e non fate troppo casino. Io porto Narum Inthuulurl alla sua casa e torno; la lezione non è finita.»

Fa schioccare la frusta per amplificare quell'ordine, anche se la voce profonda e lo sguardo arcigno sarebbero stati più che sufficienti.

Lo guardo mentre si carica in braccio il corpo di mio fratello che, paragonato a lui, pare davvero piccolo, e storpio le labbra in una smorfia disgustata nel riflettere su quanto insignificante posso apparire io, vicina agli adulti.

Ma prima o poi riprenderò a crescere.

Il maestro si allontana lungo il fiume e restiamo noi cinque, i figli dai diciotto ai ventidue anni delle famiglie della tetrade; il più grande è Zarag, la più piccola sua sorella Shai'ri ed entrambi fissano l'orizzonte, seguendo i movimenti del maestro finché non riusciamo più a scorgerlo.

Gabad raccoglie una candela da terra e la porta davanti alla faccia tonda, il fuoco crea ombre scure sulla sua pelle grigia e lui si apre in un ghigno, rendendo palese che gli manca un dente davanti che immagino gli stia ricrescendo.

Io non ricordo l'ultima volta che ho perso un dente da latte.

«Ehi, Inthuulurl! L'avete già preparata la pira?»

Ha parlato abbassando la testa verso di me, deridendo mio fratello e tutta la famiglia. Stringo i pugni e mi volto di profilo, lasciando che i capelli mi coprano la faccia. Non posso cadere nelle sue provocazioni.

«Non l'ho neanche colpito forte! Yibin

La voce di Erordia mi trapassa i timpani da quanto è stridula.

Devo essere superiore, devo essere superiore, devo essere superiore.

Le braccia mi tremano, ho i muscoli tesi e sento i quattro muoversi intorno a me. Erordia sogghigna.

«Devono fare una pira doppia, comunque... Scommetto che la piccola Shi'nnyl presto brucerà assieme a lui.»

Che Meg'golun se li prenda tutti!

«Come osi parlarmi così? Io sono più grande di te!»

Ho gridato in modo acuto e lo scoppio di risa che li assale è terrificante. Il cuore mi pompa frenetico, mentre mi giro a guardarli; mi hanno accerchiata in mezzo all'arena.

Zarag batte le mani producendo un suono sordo che rimbomba nello spiazzo; i sui ghigni paiono più dei grugniti e mi si para davanti coi pugni chiusi sui fianchi.

«Più grande, dici? Ma se anche mia sorella è più grossa di te, scricciolo!»

Shai'ri sorride, dopo essere stata indicata dal fratello, portandosi una ciocca dei lunghissimi capelli dietro all'orecchio e dondolando avanti e indietro.

Forse Zarag pensa di farmi paura perché è alto e largo il doppio di me... Vediamo se sarà ancora dello stesso avviso, dopo che l'avrò fatto cadere privo di forze.

Assottiglio le palpebre e alzo un braccio, condensando il potere arcano per fargli capire chi comanda, ma l'esile Shai'ri si aggrappa al grosso braccio del fratello, mentre il suo volto passa dall'allegria alla paura in mezzo secondo.

Devono essersene accorti anche Erordia e Gabad, perché sento qualcuno tirarmi indietro per i capelli e per il corpetto di pelle. Ringhio e alzo le mani per intercettare quelle tra le mie ciocche.

«Bloccatele le braccia o farà qualche incantesimo!»

Shai'ri urla, mettendo in guardia gli altri. Lei è l'unica che, come me, ha una spiccata predisposizione per la magia, quindi si è di certo accorta di quello che stavo per fare.

Gabad accoglie il consiglio, stringendomi i polsi dietro alla schiena con una mano sola e tirandomi la testa con l'altra finché non arrivo a fissare quella sua brutta faccia al contrario. Mi dimeno, ci provo, ma lui solo basta e avanza a tenermi bloccata.

Ho i battiti nelle tonsille e sentirli ricominciare a ridere mi porta a digrignare i denti. Ho la pancia un po' esposta perché il corpetto è salito, visto che mi tengono con la schiena inarcata, e qualcuno me la punzecchia, ma non capisco chi perché sono obbligata a fissare l'Orgyls, borioso e arrogante in quel suo atteggiamento di superiorità solo perché appartiene alla famiglia che si fregia del titolo di più importante di Meg'xuku.

Vorrei riuscire a compiere le mie magie anche da questa posizione, però è difficile concentrarsi con il peso opprimente che sento salirmi dalle viscere.

Erordia entra nel mio campo visivo con una candela tra le dita e mi avvicina la fiamma alla faccia, a uno dei miei occhi, provocandomi subito un intenso bruciore che mi costringe a gemere e chiuderli entrambi per non restare accecata dalla luce intensa.

«Che c'è, non ti piace il fuoco? Visto che ci morirai dentro molto presto, ti sto facendo un favore.»

La bambina malefica finge un tono premuroso e gocce di cera bollente mi piombano sulle guance.

Fa male, ma ho subìto di peggio: non emetto un singolo fiato se non piccoli rantoli perché, imperterrita, continuo a provare a sgusciare fuori dalla presa del grosso bambino.

Riapro le ciglia quando sento Erordia allontanarsi e Gabad mi stringe i polsi di più; se continua rischia di spezzarmeli. Non posso andare avanti così, il maestro non tornerà tanto presto.

«Siete dei vigliacchi! Vi divertite in quattro contro una? Provate ad affrontarmi da soli!»

Il mio tono risulta parecchio isterico e sento il più grande sbuffare.

«Però ha ragione, non c'è gusto a torturare una debole poppante.»

Gabad mi lascia un po' i capelli e riesco a vedere Shai'ri mentre alza le spalle. Per un breve istante spero che mi lascino andare, ma Erordia non pare dello stesso avviso: va dov'è caduto mio fratello e raccoglie il bastone, lo lancia in alto e lo riafferra al volo, poi si avvicina. Ha i capelli legati in una coda alta e questo mi permette di vedere alla perfezione i suoi lineamenti distendersi, le iridi viola brillare, traslucide, mentre i bagliori delle candele intorno a noi si riflettono in esse e le donano un'aria sinistra.

Capisco perché vuole fare la cacciatrice.

Zarag e Shai'ri si scostano per lasciarla passare e lei si ferma a un passo da me, mette un indice sotto al mento e scruta verso l'alto, pensierosa.

«Sai, Shi'nnyl, proprio ieri mio fratello mi ha raccontato di come la tua sorellona lo ha umiliato davanti a tutti, sparandogli addosso un fulmine che lo ha stordito per ore. Papà gli ha dato un sacco di botte per la sua inettitudine ed è giusto così, ma c'è una cosa che proprio non ho sopportato.»

Porta il braccio col bastone dietro la schiena e s'inclina in avanti per arrivare alla mia altezza, poi mi picchietta il dito in mezzo alla fronte e arriccia il naso, diventando burbera e furente.

«Quella stronza di Phaere ha osato dire che voi Inthuulurl sarete sempre meglio delle altre famiglie della tetrade, che il caos di Meg'golun è più intenso tra le mura di casa vostra e che noi dovremmo baciarvi le scarpe.»

Gabad mi strattona e lo sento ringhiare alle mie spalle.

«Cosa? Con che diritto lo ha detto?»

Tra le labbra la salivazione mi è cessata e la voglia di decapitare mia sorella mi assale prepotente. Sono felice che sia più forte degli altri ragazzini che studiano con lei, ma potrebbe tenere quella dannata bocca chiusa!

Zarag grugnisce ed è Shai'ri che interrompe gli altri, saltellando sul posto con le dita di una mano a coprirle le labbra sottili.

«Meg'golun vi sta abbandonando, invece. Ho sentito la mia mamma che lo diceva: i gemelli sono un'on- un'ond...»

«Un'onta.»

Il fratello l'aiuta, lei gli sorride e continua.

«Sì, i gemelli Inthuulurl sono un'onta, così ha detto! Il maschio non è ancora stato sacrificato solo perché è parente della somma sacerdotessa e la femmina è lontana dalle grazie di qualsiasi spirito, visto che è pi-i-i-i-ccolina

Avvicina il pollice e l'indice con il resto delle dita chiuse per enfatizzare quello che ha detto e trova il consenso degli altri, visto che paiono deliziati dalla sua uscita. Gabad smette di tenermi per i capelli e sposta il braccio in modo da circondarmi il collo da davanti, stringendolo e alzandomi di peso per non doversi abbassare.

Respirare diventa più difficile, parlare impossibile.

«Piccolina, sì! Sto tenendo una piuma!»

Mi canzona e io scalcio, ma il tentativo è vano, visto che gli colpisco le gambe coi talloni così piano che è probabile non lo senta neanche.

Erordia spinge via la bambina più piccola, facendola quasi cascare, poi torna davanti a me e afferra il bastone con entrambe le mani, mentre la bocca le si allunga a formare uno squarcio sadico e sottile tra il mento e il naso.

«Prima o poi brucerete, Shi'nnyl, quindi perché non far finire subito la vostra vergogna? Sono certa che ci ringrazieranno! Ho detto una bugia, prima; in realtà Narum l'ho bastonato tanto tanto forte. Volevo che morisse, e anche tu devi morire.»

Prima che chiunque possa dire o fare qualcosa, prende la rincorsa con le braccia e mi colpisce in mezzo alla pancia con tanta violenza che anche Gabad vola all'indietro, perdendo la presa su di me.

Sento il familiare sapore del sangue sul palato e rotolo sulla pietra, colpisco una candela che cade e si spegne; per istinto, mi appallottolo, tenendomi lo stomaco tra i gomiti stretti, e tossisco, tossisco un sacco.

«Ehi, scema! Hai colpito anche me!»

Gabad grida, ma io non posso guardarlo perché ho una guancia pressata al suolo, i capelli dappertutto e lo sguardo fisso sugli scarponcini di Erordia che avanza con estrema lentezza, trascinando il bastone; potrebbe tenerlo sollevato, ma no, lei lo fa strisciare contro il suolo, in modo che il rumore si propaghi, lugubre, facendomi piombare nel terrore del prossimo colpo che m'infliggerà, magari alla testa.

Lo posso dire con certezza perché è quello che farei anch'io, se fossi nella sua posizione.

«Sta' zitto! Voglio assaporare questo momento.»

La bambina ora è calma, parla con una convinzione naturale e quasi mi viene da pensare che sia Meg'golun stesso a guidare la sua mano in modo che possa sterminare i deboli, gli immeritevoli.

Così è, così funziona.

Peccato che io non sia debole, me ne frego di quello che pensano gli altri, me ne frego dei bisbigli, delle dicerie.

Potranno bruciare mio fratello, ma io dimostrerò che valgo più di tutti questi stronzi messi assieme, anche se il mio corpo non collabora.

Non mi servono compagni con cui prendere in giro gli altri, non mi serve la forza; io ho la magia e ora nessuno mi sta tenendo ferme le braccia.

Mentre sento il sangue colarmi dalle labbra lungo il mento, sogghigno e mi puntello su un avambraccio, alzando il capo a inchiodare le iridi in quelle di Erardia, che si blocca di colpo a un paio di metri da me, accigliata.

«Che hai tanto da ridere? Sei così stupida che neanche capisci che sto per spappolarti la testa?»

Shai'ri inspira in modo rumoroso, forse perché è l'unica che può scorgere l'enorme quantità di potere arcano che ha cominciato a crescere intorno a me, ma questa volta non riusciranno a fermarmi. Allungo l'indice e non ho bisogno di parole per scatenare l'incantesimo: una scia verde saetta da me alla futura guerriera, che crolla all'istante, senza più energie.

Rido, alzandomi e restando gobba, mentre mi tengo la pancia con il braccio sinistro, poi sputo a terra un grumo di sangue.

«Mia sorella aveva ragione: dovete tutti baciarci le scarpe.»

Non so quale impeto di onnipotenza o follia mi ha portata a dire una cosa del genere, ma me ne pento subito, visto che non ho abbastanza forze per usare ancora la magia e i tre bambini s'infervorano, cominciando a correre verso di me tra grida piene di rabbia.

Ecco, se mi prendono, stavolta mi ammazzano per davvero.

Quanto li odio.

Non ho tempo per pensare, quindi scappo verso il fiume; la corrente è forte, soprattutto qui vicino alla fonte, quindi spero che loro non vogliano seguirmi. Gabad quasi mi raggiunge, ma io salto nell'acqua prima che riesca ad afferrarmi e vengo subito trascinata via, verso la città.

Finisco con la testa sotto la superficie e bevo; l'oscurità si fa fitta, ma non ho problemi a vedere e per fortuna so nuotare molto bene. Mi basta resistere per il primo tratto che, essendo in pendenza, permette all'acqua di scorrere veloce; so che tra non molto la corrente rallenterà e riuscirò a riemergere.

Però mi fa malissimo la pancia e ho bevuto tanto; l'ossigeno mi serve, mi serve adesso, e il mio stupido corpo non resisterà, lo so.

Questa è la mia unica convinzione: nessuno verrà a salvarmi, devo pensarci da sola.

Dove la forza non arriva, ci pensa la magia.

Escludo ogni cosa del mondo e mi concentro; via l'acqua, il fiume, il fuoco, la mente e il corpo.

Io non uso la magia, io sono magia.

Un calore terapeutico mi abbraccia da dentro, il cuore rallenta i battiti e il buio si colora di viola, ora che il mio corpo comincia a irradiare luce. Non penso a nulla, ma salgo verso la superficie ed esco dal fiume; respiro a pieni polmoni e neanche tossisco, mentre fluttuo a qualche centimetro dall'acqua.

Che figo, anche la mamma lo fa e io ci sono riuscita senza che nessuno me l'abbia insegnato!

Sì, io sono magia, e potranno costringermi e tirarmi tutte le bastonate che vogliono, ma sarò sempre superiore a loro.

Mi sposto nell'aria di qualche centimetro e riappoggio i piedi sulla roccia del suolo. Sono bagnata fradicia, la pelle dei vestiti mi si è appiccicata addosso e sfrega, ma la cosa che mi preoccupa di più è il dolore allo stomaco.

Il fiume mi ha portato quasi dentro alla città, non ci metterò molto ad arrivare a casa e lasciare che papà mi curi, poi dovrò raccontare cos'è successo.

Chissà se mi puniranno perché sto tornando a casa in queste condizioni, o se saranno felici di sapere che sono riuscita a fuggire sulle mie gambe da altri quattro bambini. Boh, ovunque regna il caos, del resto.

Immagino dipenderà dall'umore della nonna.

Domani, poi, tutto tornerà alla normalità anche a scuola, ma farò bene a non allontanarmi troppo dal maestro, d'ora in avanti.

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