2. Dobbiamo allearci (parte 2)
«Shi'nnyl!»
Lui la chiamò con quel nome odioso e Axsa riuscì solo a ringhiare, mentre la testa si riempiva di immagini dal passato. Lei quell'uomo l'aveva già visto, anche se l'ultima volta che lo aveva scorto nella mente era poco più che un ragazzo. I corti capelli castani erano come li ricordava, ma si era fatto crescere un pizzetto curato sul viso e tremava, con le iridi nocciola fisse e imploranti su di lei.
Non c'erano dubbi che quello fosse il portatore del liuto arcano di Varodil, anche perché lo strumento musicale che teneva tra le dita sembrava richiamarla, invitante.
Credeva di aver esaurito la sua riserva di potere con gli ultimi non-morti, ma salvare la vita di quell'uomo divenne più importante di qualsiasi altra cosa e l'emissaria sfruttò l'ultimo dono dello spirito della magia.
Crollò in ginocchio subito dopo aver cominciato la stasi e tossì, quasi priva di forze. Doveva muoversi, fare qualcosa, ma come? Aveva chiesto troppo a sé stessa.
«Sono così felice che infine tu abbia trovato il liuto arcano, mia piccola Shi'nnyl! È dovuta arrivare un'altra emissaria a portartelo, ma va bene lo stesso.»
La squillante voce di Varodil le s'insinuò tra le orecchie e lei provò a scacciarla scuotendo la testa, ma sapeva fosse inutile. Aveva parlato di un'emissaria, quindi quell'umano era un compagno di Zellania? O forse di Eatiel? No, in quel momento non era importante, poiché Axsa non riuscì neanche a insultarlo come avrebbe voluto, né a ringhiare quando lo sentì ridere, parecchio divertito, e cominciare a sproloquiare.
«È da un po' che questo insetto viaggia con la figlia di Enwelion e io ho anche avuto il piacere d'incontrarla! Un'elfa singolare, tanto che si è quasi impossessata del liuto arcano prima di te. Le ho persino raccontato come funziona, visto che parlare con lei si è rivelato davvero dilettevole!»
Ascoltarlo era insopportabile e Axsa arrancò carponi in avanti di appena qualche centimetro, coi battiti sempre più deboli e il sudore a scenderle dalle tempie.
«Oh, ti vedo un tantinello provata, sai? Perché non ti appropri di ciò che è tuo? Magari potrebbe succedere qualcosa di bello...»
«Taci...» la bambina bisbigliò, tra un gemito e l'altro. Sentiva che sarebbe presto svenuta, poiché mantenere quella stasi non le stava affatto giovando; tuttavia, il liuto pareva come brillare tra le mani dell'umano, invitandola a muoversi di più, ancora un poco di più, per raggiungerlo.
Raschiando sul fondo delle sue energie, Axsa tornò eretta e dondolò, fino a buttarsi sul corpo dell'uomo immobile, per poter toccare il legno scuro dello strumento.
Finalmente, padrona.
Fu istantaneo: la magia tornò a invaderle le membra, benevola e meravigliosa, e altre due voci le parlarono nella testa all'unisono una in elfico e l'altra nel linguaggio comune degli umani.
Elimina il portatore e accetta il nostro patto. Insieme, conquisteremo i regni e bruceremo gli eretici che si opporranno a noi.
A sussurrarle parole maliarde era la voce di Galadar, mischiata a quella dello stesso uomo che aveva davanti, ovvero le due persone che in passato avevano donato un pezzo della loro anima al liuto arcano per sfruttarne il potere.
Ringalluzzita da quel contatto, Axsa ghignò. «Non ci penso neanche.»
Quante volte avrebbe ancora dovuto dire a Varodil o a chi per lui che quello stupidissimo umano non lo avrebbe mai ammazzato? Era felice che il liuto arcano le avesse ridato le energie, ma non aveva alcuna intenzione di stringere alcun accordo con lui, né di sottrarlo al suo attuale portatore.
«Esisterà mai una creatura più testarda di te?»
Varodil sbuffò quella domanda retorica, piuttosto infastidito, e ad Axsa venne da ridere, cristallina. Era a poca distanza dalla lacrima, ormai, che lo spirito si accontentasse di quello!
L'elfa oscura arrivò dai non-morti che stavano minacciando l'uomo, allungò le braccia e riattivò il tempo, prima di polverizzarli.
Era arrivata a dieci oppure no? Aveva perso il conto e ormai il suolo roccioso non era più visibile a causa di tutta quella cenere.
L'umano si girò a fissarla, sbalordito, e Axsa sentì il bisogno di interpellarlo per capire cosa sapesse, visto che l'aveva chiamata col nome che lei aveva ripudiato.
«Tu chi cazzo sei?»
La domanda le fuoriuscì volgare e colma d'ira, come al solito, ma non aveva alcuna voglia di trattenersi, dopo ciò che aveva passato in quei cunicoli. Tuttavia lui non le rispose, restando come imbambolato a bocca aperta, e la cosa la innervosì.
Forse se gli avesse drenato un po' di energie sarebbe stato più propenso al dialogo; dopotutto, la violenza funzionava sempre.
L'elfa oscura alzò un indice verso di lui, che strabuzzò gli occhi e s'inchinò, facendo andare la lingua di fretta. «Sono Allan, Allan Drayt! Sono solo un cantastorie, nulla di pericoloso!»
Axsa aggrottò la fronte e si ritrovò a inclinare il capo, assottigliando le labbra. «Un cantastorie?»
Cioè, davvero il portatore del più grande artefatto su Endel si definiva in quel modo? Quel nome, poi, Axsa l'aveva già sentito e non da molto. Rapido, il ricordo del giorno della caduta la investì e si rese conto che l'enorme potere arcano che aveva percepito dagli uomini usciti dalle stalle di Lebrook prima che ci entrasse lei era quello del liuto.
Lei si era rifiutata di cercarlo, ma era stato lo strumento a trovare lei, a quanto sembrava.
La bambina non poté rifletterci a lungo, perché Allan annuì e si espresse con tono più calmo. «Voi siete Shi'nnyl, vero? L'emissaria di Varodil.»
Quel nome... e quello del maledettissimo spirito. L'elfa oscura abbassò il braccio e avanzò con lentezza, digrignando i denti. «Io sono Axsa e tu... tu sai troppe cose, cantastorie.»
Accecata dalla furia, venne travolta dal desiderio di toccarlo e farlo invecchiare fino alla morte, nonostante per più di quindici anni si fosse rifiutata di ammazzarlo. Lui prese a tremare e una luce di consapevolezza gli attraversò le iridi, prima che le dita si posassero sulle corde del liuto; ne pizzicò un paio e aprì la bocca, forse per cantare, ma dallo strumento non fuoriuscì alcun suono.
Axsa si fermò e trattenne un ghigno nell'osservare l'espressione di stupore farsi largo tra i lineamenti del bardo, che smise di guardare lei per concentrarsi sul liuto; provò a suonare di nuovo, ma non ottenne nulla.
Il modo in cui lui teneva le palpebre e la bocca spalancate era quasi comico; com'era possibile che quel fenomeno da baraccone ambulante fosse riuscito a diventare il portatore dell'artefatto di Varodil? Ogni intento omicida scemò, sostituito da una genuina curiosità.
«Dove hai preso quell'oggetto?»
A quanto ne sapeva lei, il liuto arcano era stato nascosto nella dimora dei Darwen, i sovraintendenti di Occhio di Mezzo, fino a quando lui se n'era impossessato. Non si era mai posta domande in merito, ma in quel momento le fu impossibile non cercare delle risposte.
Allan non le rispose e, anzi, la voce gli divenne roca e la incalzò con altre domande ricche di terrore. «Chi sei tu? Cosa gli hai fatto?»
In effetti era divertente notare come lui si stesse disperando e Axsa incrociò le braccia al petto, prendendolo in giro con un verso di scherno. «Io non ho fatto niente. Sei tu che hai provato a farmi cose brutte attraverso quel liuto, e lui non può rivolgere il suo potere contro di me.»
«Perché?»
Quella domanda fuoriuscì spontanea, pregna di un'amarezza senza eguali, e la bambina ricominciò a camminargli incontro, prima di parlare alzando appena le spalle. «Perché mi appartiene.»
Giunta a un passo da lui, Allan abbassò la testa e la fissò attonito, facendola sentire incredibilmente piccola, tanto che neanche rifletté nel puntargli l'indice al petto, ringhiando.
«Scendi alla mia altezza, stupido umano.»
Il raggio verde in grado di debilitare i mortali lo colpì in pieno e Allan crollò carponi coi gomiti e le ginocchia al suolo, lasciando la presa sul liuto. Lei restò immobile a scrutarlo per qualche istante, fino a quando le loro iridi s'incrociarono e lui poté vedere l'interezza del suo viso, prima nascosto dal cappuccio.
Non aveva addosso l'incantesimo per mascherarsi la pelle e i capelli, ma ormai Axsa aveva capito che Allan aveva già intuito la sua razza. Beh, doveva aver compreso anche la sua età apparente, però non parve più stupito di quanto già non fosse. Lei lo osservò con supponenza, finalmente più in alto rispetto a lui, poi concentrò l'attenzione sul liuto arcano e scorse con la coda dell'occhio che nuovo terrore aveva deturpato la faccia del bardo.
Fissò Allan e quel contatto visivo la destabilizzò. Ci teneva davvero a quello stupido strumento, eh, però aveva senso, visto che da esso dipendeva la sua vita. Axsa ne era attratta, ma allo stesso modo sentiva di non desiderare che l'umano ne venisse privato, diventando l'ennesimo gioco tra le oscure dita di Varodil.
No, lo spirito non poteva averlo.
L'emissaria s'imbronciò e sfiorò la cassa armonica del liuto, percependo come una scarica di energia invaderle le membra. Lo imbracciò, impacciata poiché quella era la prima volta che teneva in mano uno strumento musicale e non sapeva bene come si dovesse fare. Le parole di Varodil di poco prima le tornarono in testa e lei decise di schernire il bardo ancora un po'.
«Hai viaggiato con Eatiel, quindi. Sembri appena caduto dalle nuvole; lei non te l'ha detto? Eppure Varodil mi ha rivelato che lei lo sa.»
Lui si limitò a guardarla col volto confuso e Axsa continuò a deriderlo, alzando un sopracciglio. «Il liuto che spacci per tuo è stato costruito dallo spirito della magia prima che cadesse la seconda lacrima. È stato grazie a questo strumento che Varodil ha scelto il suo emissario; è con questo liuto che Galadar ha sconfitto i suoi nemici, devastando mezza Reah. Poi lo ha abbandonato su Endel, quando è asceso, visto che il pezzo di anima che aveva usato come pagamento per accettarne il potere non gli serviva più, da spirito.»
Gli aveva raccontato la verità, quella che lei conosceva grazie ai sogni, stufa di percepirlo così spaesato; aveva parlato anche del primo emissario dello spirito della magia poiché sentiva fosse giusto che Allan sapesse, visto che in qualche modo tutti e tre erano collegati a Varodil.
Allan boccheggiò, ricercando l'ossigeno, poi balbettò: «Galadar... la voce che sento... Luther apparteneva a Galadar? Lo spirito della vita era... Galadar era un bardo?»
Tra la miriade di cose che avrebbero potuto sorprenderlo, Allan si era focalizzato su quello? E poi... Luther? Quel menestrello aveva rinominato il liuto arcano Luther? Axsa scoppiò a ridere, cristallina. «Se vuoi vederla in questo modo, sì!»
«Allan!»
La voce di una donna s'infilò nel loro discorso e la bambina si girò per poter scorgere chi fosse l'intrusa. I muscoli le divennero tesi e lasciò la presa sul liuto, nel seguire i movimenti di una guerriera umana altissima e massiccia, con un'armatura completa addosso e spettinati capelli castani a ricaderle su metà della faccia. In mano stringeva una torcia accesa e una spada gigantesca; se non fosse stata una donna, Axsa avrebbe ipotizzato che quell'arma spropositata fosse di certo compensativa di una qualche mancanza.
Tra l'altro le stranezze non si fermavano a quello, poiché la parte sinistra della faccia preoccupata di quella guerriera era ricoperta di vecchie cicatrici davvero sgradevoli alla vista e forse era proprio per quello che lei lasciava che le ciocche castane tentassero di coprirla.
Ci fu un secondo d'immobile stallo, fino a quando dalle spalle della donna comparve Eatiel, trafelata; gli occhi azzurri le brillarono di gioia e corse nella loro direzione con le mani al petto.
«Shi'nnyl, vi ho trovata!»
No, no... quel nome... basta!
L'elfa era arrivata a farle concorrenza per impossessarsi della lacrima e si era fatta degli amici, mentre Axsa era sola. L'idea che si avvicinasse le fu insopportabile e fu lesta ad allungare un braccio verso il bardo, puntandogli un dito alla testa. «Ferma, o giuro che lo ammazzo!»
Mentì, ovvio, ma caricò ogni parola di così tanto odio represso che quasi ci credette lei stessa.
Eatiel si fermò e le mostrò i palmi protesi in segno di resa. «Shi'nnyl, siamo dalla stessa parte.»
La bambina non si mosse e lottò contro sé stessa per evitare di tremare dal nervoso, ma la voce le divenne ancora più acuta del solito. «Smettetela di usare quel nome. Io sono Axsa e no, elfa, nessuno è mai stato dalla mia parte.»
La solitudine provata negli ultimi anni, dopo essersi allontanata da Alerdhil, l'aveva portata a pronunciare quelle parole dure, mentre il cuore soffriva, bloccato in una stretta fastidiosa.
Eatiel, però, non si diede per vinta. «Non voglio combattere, vi prego. Dobbiamo pensare a Zellania: lei... potrebbe già essere arrivata alla lacrima.»
Dunque era quello a preoccuparla, eh. Forse pensava che la piccola Axsa non fosse una minaccia? Anche lei non la prendeva sul serio, come tutti?
La bambina si ritrovò a ridere, ma non c'era alcun divertimento nel suo tono. «Quella è una cagasotto. Non ho idea di dove sia, ma non certo qui dentro. Ha mandato le sue pedine in avanscoperta, forse sperando di poterci sopraffare col numero. Povera illusa.»
La guerriera si stava pian piano muovendo verso di loro, ma Axsa non le diede troppa importanza e restò fissa sull'altra emissaria, che negò con la testa e riempì le parole di tristezza. «Non so come, ma Zellania ora controlla un drago ed è probabile stia aspettando fuori dalla montagna.»
L'elfa oscura strabuzzò gli occhi e trattenne il fiato, il braccio teso a minacciare il bardo fu scosso da lievi tremori. «Un drago?»
Quindi era quello il piano di Zellania? Era andata sui monti splendenti di Reah per reclutare addirittura un drago nelle sue schiere? E come cazzo aveva fatto a convincerlo?
No, la situazione era assurda e le successive parole dell'elfa fecero vacillare la sua sicurezza.
«Ora capisci perché non ha senso discutere? Dobbiamo allearci, Shi-, Axsa. È l'unico modo per arrivare alla lacrima e far finire questo supplizio.»
La bambina distolse lo sguardo e lo perse nella polvere al suolo, smise di puntare il bardo e rifletté in flebili bisbigli. «Non ha senso. Se non viene di persona ad affrontarci, potremmo prendere la lacrima e ascendere senza neanche uscire da qui. Non può essere così stupida, a meno che... già... lei lo sa.»
Sì, forse Zellania aveva intuito che Axsa non aveva alcuna intenzione di diventare uno spirito. Presa la lacrima, sarebbe dovuta uscire da quella montagna per forza e avrebbe trovato la negromante ad aspettarla assieme all'antico rettile.
Un sorriso amaro le solcò il viso e non poté continuare a pensare a Zellania, poiché sentì Allan afferrarle il cappuccio e tirarglielo via dalla testa, esponendo il suo aspetto alle due donne.
«Non fidarti, è un'elfa oscura!»
L'umano l'aveva tradita, quindi, e Axsa restò impietrita e muta un lunghissimo attimo come se il fatto di essere stata smascherata in quel modo vile l'avesse resa nuda e inerme.
«Una bambina?»
La guerriera parlò nello sconcerto proprio mentre l'emissaria di Varodil girava lo sguardo a incrociare quello del cantastorie, che si era tirato più su. Le iridi viola prive di pupilla bruciarono di un disprezzo intenso e lei sibilò, stringendo i piccoli pugni contro ai fianchi.
«Tu...»
Il bardo deglutì, ma fu la guerriera a pretendere attenzione, caricando in avanti e fendendo il silenzio coi suoni metallici dei suoi passi; aveva fatto cadere la torcia e afferrato l'enorme spada con entrambe le mani, del tutto intenzionata ad attaccarla.
«Lascialo stare, immonda creatura!»
«Jaira, no!»
Eatiel gridò per fermarla, ma non ottenne nulla e l'elfa oscura s'incupì. Avrebbe potuto fermare il tempo, andarle alle spalle e farla invecchiare fino alla morte. Avrebbe potuto debilitarla come aveva fatto col bardo e farla crollare sotto al peso dell'arma e dell'armatura. Avrebbe potuto agire in diversi modi, ma se quella era un'amica dell'elfa non sarebbe stato saggio farle del male, visto che ormai Axsa aveva deciso di accettare l'alleanza perché l'alternativa era farli fuori tutti e tre.
Senza bisogno di muoversi, l'emissaria di Varodil condensò il potere e si concentrò sull'umana, sfruttando forse il più spassoso tra gli ultimi doni di Varodil.
«A cuccia.»
Parlò, perentoria, rilasciando la magia sulla donna che s'illuminò di una luce accecante. Il silenzio che li investì fu smorzato dal tintinnio della lama e dell'armatura che si scontrava con la roccia del suolo; il cunicolo tornò visibile e Axsa ghignò nel guardare i vestiti della donna abbandonati a terra, poi osservò le reazioni degli altri due per godere della sorpresa quando quel mucchio si mosse.
Eatiel emise un verso aspirato e Allan si conficcò le dita tra i capelli nell'esatto istante in cui una nuova voce infantile ruppe la quiete. «Ah! Che cosa mi hai fatto?»
La testa di una bambina dalla faccia sfigurata spuntò dall'armatura, divenuta troppo grande per lei; la piccola guerriera provò a coprirsi col tessuto dei suoi vecchi abiti, paonazza, e Axsa dovette tenersi la pancia a causa dello scoppio di risa incontrollate che la investì.
Aveva usato la magia del tempo per far regredire le persone all'età giovanile una manciata di volte negli ultimi anni e solo per dare una lezione a chi per primo voleva prenderla in giro; quella le era sembrata l'occasione perfetta per rimettere in riga gli amici dell'emissaria di Serendhien.
«Oh, è sempre divertente! Ora è molto più carina, non vi pare?»
Non attese una risposta e tornò seria, intenzionata a farla pagare in qualche modo anche al cantastorie. «Tornando a noi...»
«Basta!»
Eatiel s'intromise e la fermò, ma quel suo ordine divenne più opprimente a causa di un forte vento che prese a sbuffare tra loro e allontanò Axsa dall'umano ancora a terra senza che lei potesse farci nulla. L'elfa non sembrò soddisfatta, però, perché ravvicinò le sopracciglia e si espresse con una determinazione invidiabile.
«Perdonate l'irruenza dei miei amici: loro agiscono per proteggermi, ma non ce n'è bisogno. Non mi interessa la vostra razza, né l'aspetto, Axsa. Non combatterò contro di voi, quindi smettetela di fare di tutto per cercare uno scontro.»
Il vento era fortissimo e la spingeva verso l'emissaria di Serendhien, nonostante lei stesse cercando di tenersi salda alla roccia. Strinse i pugni e fece trapelare la sua stizza, infastidita non per la richiesta di alleanza, ma per l'ostentazione di potere.
«Va bene, hai vinto. E smettila di parlarmi in modo tanto ossequioso, mi infastidisci.»
L'aria si calmò e il sorriso radioso di Eatiel parve illuminare il cunicolo più delle luci magiche del bardo o della torcia abbandonata alla roccia.
La piccola guerriera, però, interruppe un qualsiasi dialogo sul nascere, intromettendosi con voce stridula mentre si teneva la camicia intorno al busto. «Ridammi il mio corpo!»
Axsa si esibì in un verso di scherno e rimise il cappuccio, dando loro le spalle per proseguire.
«È quello il tuo corpo, stupida. Io ho solo giocato un po' col tempo e tra non molto tornerai grossa e burbera.»
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