12. Shi'nnyl
Il mantello di Alanmaeth sembrava più agitato rispetto all'ultima volta; le stelle si muovevano rapide nell'infinito cielo notturno e illuminavano il prato pianeggiante coi loro tenui bagliori. L'aria era statica e la temperatura stazionaria in uno stato ottimale.
O forse era Axsa che aveva perso la capacità di sentire il caldo e il freddo.
Si ritrovò in piedi sull'erba, circondata dagli spiriti. Si sentiva com'era sempre stata, ma al contempo del tutto diversa. Per istinto abbassò lo sguardo a fissarsi le mani e ciò che vide la spiazzò: la carnagione scura non era opaca come al solito e la pelle pareva in qualche modo più omogenea, priva d'imperfezioni. La tunica nera con cui aveva viaggiato sin lì era tornata integra e le ciocche di capelli bianchi che le ricadevano davanti alle spalle non erano più spettinate e sporche, ma lisce e brillanti, quasi a voler concorrere con la luminosità dei corpi celesti.
Axsa provò a inspirare per riflettere meglio, tuttavia quel semplice gesto la scandalizzò, poiché si rese conto che non aveva più bisogno di ossigeno, che non c'erano battiti a scaldarle il petto o sangue a scorrerle nelle vene. Persino i piedi poggiati su quel manto erboso la tenevano in piedi, ma non le suscitavano nessuno stimolo, come se non fossero davvero lì.
Niente, non sentiva nessuna sensazione provenire da quel corpo che indubbiamente era suo, ma che mai lo sarebbe stato.
Era quello ciò che si provava nell'essere uno spirito?
Un immenso, pressante e terrificante niente?
No, no, si sbagliava... c'era qualcosa, sì, in fondo, qualcosa che cresceva istante dopo istante assieme all'ansia di non poter neanche iperventilare, nonostante quel corpo fittizio ne stesse mimando il gesto.
C'era il potere. Era il suo o quello degli elfi oscuri? Era quello ereditato dal suo retaggio o proveniva da Varodil?
Da Alanmaeth?
Quel potere c'era, sì, adesso, ieri, tra mille anni.
Quel potere c'è.
Ci sarà, forse?
Come?
No; non sarà, non è, non era la domanda giusta.
Quando?
Nel Tempo.
Uno schiocco di dita sarebbe bastato a donarle immagini del futuro, un giorno qualsiasi in un posto qualsiasi; un battito di ciglia, la caduta di una foglia a increspare uno stagno dall'altra parte del pianeta, ed ecco le immagini mutare.
Non c'è certezza, non ci sarà costanza, non c'era utilità nel guardare all'insicurezza del domani. Il passato, invece, quello sì che aveva radici e lei lo vide, tutto. Ogni secondo di ogni giorno di ogni anno in ogni piano esistente, Axsa lo visse in prima persona, dal momento in cui Alanmaeth aveva strappato il suo mantello di stelle per generare Celenwe e Ilimroth, la vita e la morte; le sue prime figlie, sì, prima del caos.
Axsa lo sapeva, era successo tremilacentoquarantadue anni prima del preciso momento che stava vivendo adesso, ma non era importante.
Ciò che contava era che sette spiriti erano davanti a lei e non la stavano guardando, poiché le loro teste erano puntate in alto, persino quella di Varodil. Axsa doveva ignorare il passato e il futuro o ci si sarebbe persa all'interno, compromettendo tutto ciò per cui aveva lottato.
Li imitò e comprese al volo il motivo dei loro volti tesi, visto che alle sue spalle si apriva un buco nel terreno nel quale era possibile scorgere la grotta nell'arcipelago del caduto e sopra di esso stava fluttuando Celenwe, seria e immobile.
«Sorella?»
La morte parlò in un bisbiglio, le dita di una mano a stringere la falce d'ossidiana, la schiena ritta, le labbra socchiuse e la sclera a circondare le iridi nere.
«Ilimroth.»
Celenwe la squadrò, chiamandola in un saluto glaciale, e andò a posarsi a terra accanto ad Axsa. Galadar si avvicinò a Ilimroth per essere loro di fronte e si limitò a una semplice constatazione con tono monocorde. «Alla fine ce l'hai fatta.»
Lo spirito della follia se ne stava in disparte dietro agli altri, le tenebre di Varodil erano quiete e gli altri non sembravano aver molta voglia di parlare. Forse non avevano ancora capito del tutto ciò che stava accadendo e fu Serendhien a rompere la stasi, quando il vento le turbinò intorno con violenza, sollevandola da terra mentre lei si voltava esterrefatta verso l'elfo asceso. «Tu lo sapevi?»
Lo spirito della morte spostò lo sguardo da Celenwe ad Axsa e interruppe qualsiasi possibile risposta di Galadar, esprimendosi con lenta drammaticità. «Cos'hai fatto?»
Celenwe emise un verso nasale e, restando ferma e austera, rispose al posto di Axsa. «Ciò che avreste dovuto fare voi, invece mi avete lasciata a marcire in un limbo.»
I capelli di fiamme di Ninli scoppiettavano intorno al suo viso riflettendo la furia che lei doveva provare, anche se fu evidente che provò a trattenere il tono. «Il caos ti ha corrotta, madre. Ci era impossibile intervenire.»
Celenwe ringhiò e alzò i palmi, che presero a brillare della luce verde che ancora invadeva la sua prigione, mentre il potere si espandeva dal suo corpo. «Non ci avete neanche provato!»
La situazione stava degenerando e Axsa avrebbe voluto intervenire, ma il suo obiettivo era Ilimroth che, al momento, stava fissando proprio lei con un'espressione corrucciata che rimandava davvero tanto all'odio.
Alla fine Axsa c'era riuscita, dopo tanto impegno aveva fatto incazzare la morte.
Dannazione.
Sa'shandriel rise ed estrasse dal fodero alla cintura una spada già insanguinata, Galadar fece materializzare il suo flauto, le sorelle Ninli e Serendhien lasciarono che il potere dei loro elementi crescesse minaccioso e per un istante Axsa credette che si sarebbero avventati tutti l'uno sull'altro, ma lo spirito dell'amore si frappose, allungando le braccia per fare muro e fissando Celenwe con espressione supplichevole.
«Ora sei libera, madre, vattene! Trova un piano che possa adattarsi a ciò che sei diventata.»
Era ammirevole che Deladan provasse a mediare e qualcosa ottenne, poiché Celenwe abbassò un poco le braccia. «Lo farei volentieri, ma ancora non posso. L'ascensione è bloccata nel tempo e finché lei non lo farà ripartire non potrò allontanarmi da qui.»
Abbassò l'attenzione verso lo spirito bambina e per la prima volta gli angoli delle labbra le si alzarono in un accenno di sorriso, rovinato dai canini pronunciati. «Cosa stai aspettando?»
Che la smettessero con quell'insulsa lite tra madre e figli e la lasciassero parlare, ecco cosa stava aspettando!
La voce melliflua di Varodil proruppe alle loro spalle, poiché lo spirito della magia si era dissolto, per poi riapparire ai margini del foro verso il piano dei mortali.
«Hai lasciato lì la lacrima, piccola...» s'interruppe alzando la protuberanza fumosa che gli faceva da testa mentre le scie vermiglie vorticavano in lui frenetiche e, quando riprese, il suo crescente astio fu ben percepibile da chiunque. «Neanche te ne sei accorta, vero? Ne stai sfruttando il potere con ingordigia; se continui così la distruggerai.»
Non pareva preoccupato di mostrare agli altri che non gliene fregava nulla di Celenwe e Axsa avrebbe tanto voluto sputargli addosso che sarebbe stata più che felice nel disintegrare quell'artefatto. E poi... lui di lacrima ne aveva già una e non l'aveva mai usata, quindi perché era così ossessionato? Che fosse un collezionista compulsivo?
Non era importante, no; quei litigi la stavano allontanando dal suo scopo e, se non si fosse data una mossa, la sé su Endel avrebbe finito le energie.
Ignorò Varodil e riportò lo sguardo su Ilimroth, intenzionata a parlarle, ma ogni proposito le morì addosso dal momento che la morte aveva afferrato la falce con entrambe le mani e gliela stava puntando addosso.
«Shi'nnyl Inthuulurl, il tuo comportamento sta minando l'equilibrio e sfaldando lo scorrere della realtà. Interrompi subito questo scempio o sarò costretta a intervenire.»
Celenwe emise un verso stizzito e Galadar provò a intromettersi, ma fu Axsa a difendersi, riuscendo infine a pronunciare la sua richiesta. «Mostrami la mia clessidra, Ilimroth. Permettimi di ristabilire nella mia vita l'equilibrio che ami tanto e me ne andrò, lasciandovi in pace.»
Ilimroth socchiuse le palpebre e non si mosse dalla posizione minacciosa che aveva assunto impugnando l'arma.
Una risposta giunse, però, dalle scandalizzate tenebre di Varodil. «Tu sei folle!»
Lo spirito della magia si dissolse di nuovo e Axsa scrutò nel tempo in modo quasi inconsapevole; molto presto Varodil le sarebbe apparso a un passo per attaccarla, però la confusione e la sorpresa di quell'atto non le avrebbero permesso di reagire.
Prima che le scie vermiglie e l'oscurità la travolgessero, però, qualcuno la spinse indietro frapponendosi tra lei e lo spirito che l'aveva maledetta. Per meno di un secondo credette di essere stata salvata da Celenwe, l'unica abbastanza vicina, invece davanti era comparsa Sa'shandriel, la prima mortale ascesa, lo spirito della follia.
Teneva la spada alta, parallela al terreno in posizione di difesa, e rideva, rideva con una gioia isterica che tuttavia metteva i brividi, o forse quella sensazione era causata dal pressante odore di sangue che si era portata dietro, ora che le era accanto.
«Cos-?»
Lo spirito della magia si ritrasse e non fu l'unico a emettere versi sorpresi, sovrastati poi dal grido infervorato dell'ex elfa. «Lei è folle, Varodil? Davvero lei è folle? Allora è una mia protetta e che io possa imputridire in eterno, se lascerò che tu le torca anche un solo capello!»
Rise ancora e avanzò, menando un fendente che obbligò Varodil a indietreggiare.
Mai sarebbe stato immaginabile un presente del genere, ma, pur nella sua imprevedibilità, Sa'shandriel aveva dimostrato una certa coerenza e Axsa non poté che esserne felice. Strano era che Galadar non l'avesse aiutata e lo spirito del tempo si risentì, salvo pentirsene subito dopo quando lo vide bisbigliare qualcosa all'orecchio di un'Ilimroth ancora incattivita.
Al contempo, l'attacco della follia ai danni di Varodil stava catturando l'attenzione di Celenwe, di Deladan e delle due sorelle elementali; per Axsa quello sarebbe stato l'unico istante buono per agire.
«Ilim-»
Un insieme di urla in innumerevoli voci e intonazioni diverse la zittì sul nascere. Axsa si morse le labbra, poiché sapeva bene chi era appena arrivato a ricongiungersi con gli spiriti, anche se era probabile si stesse formando alle sue spalle, visto dove puntava lo sguardo inorridito degli altri.
Varodil e Sa'shandriel smisero di combattersi, Ninli e Serendhien tornarono a espandere fuoco e vento e persino Deladan mise mano alla cintura, estraendo dal nulla un meraviglioso stocco con la lama dorata e l'impugnatura cosparsa di pietre brillanti.
Se anche l'amore si era armato, poteva dire soltanto che Meg'golun era giunto e non certo per prendere un tè in compagnia.
Girandosi, Axsa strabuzzò gli occhi nel vedere quanto grande fosse l'ammasso di stelle turbinanti che andavano a formare il corpo dello spirito del caos, circondate da quei suoi lunghissimi arti fumosi. La commistione di grida che formava la sua voce si unì a comporre qualcosa di comprensibile e lo spirito bambina restò impietrita nel rendersi conto che, com'era ovvio, Meg'golun ce l'aveva con lei.
«Consegnami la lacrima, mortale.»
Qualcuno le toccò una spalla e Axsa sobbalzò, spostando le iridi verso la proprietaria di quella mano; era stata Celenwe a toccarla e, sebbene l'attuale corpo dell'elfa oscura non sentisse i cambi di temperatura, il gelo dello spirito degli inganni fu ben percepibile. L'aveva sfiorata appena, ma la sua attenzione era tutta per il nuovo arrivato e, a giudicare dalla quantità di potere che aveva cominciato a sprigionare dalle pallide membra, non doveva essere molto contenta di vederlo.
«Ti conviene fare in fretta ciò che devi, portatrice.»
Come darle torto? Celenwe le aveva parlato con pacatezza senza neanche guardarla, prima di indicare Meg'golun cambiando del tutto il tono e il volume delle sue parole. «Tu, vile! Cento e cento volte ti restituirò il male che mi hai fatto!»
Le voci del caos risero, piansero, strillarono, e Axsa non capì nulla, troppo impegnata a osservare attonita mentre Celenwe fluttuava verso il gigantesco ammasso di galassie, scagliandogli addosso la sua furia. Non fu l'unica, poiché anche i suoi tre figli la seguirono assieme a Sa'shandriel che si espresse in una solitaria domanda sogghignante, chiedendosi se anche le stelle potessero sanguinare.
Fuoco, vento, fulmini e il cozzare delle armi spirituali contro le protuberanze di fumo. Axsa ricordava quando era stata Ilimroth ad affrontare il caos, la terrificante onda d'urto che il loro scontro aveva procurato, tuttavia sembrava che gli altri spiriti non fossero abbastanza per eguagliare la forza di Meg'golun.
Un improvviso dolore all'altezza del cuore costrinse Axsa a portarsi le mani al petto e per istinto sbirciò nella voragine ancora aperta su Endel; rabbrividì, scorgendo che il suo corpo mortale era appena caduto in ginocchio e che la lacrima tra le sue mani aveva cominciato a creparsi.
Incrociò lo sguardo preoccupato di Eatiel, ancora lì accanto a lei, e mai come in quel momento si rese conto che il suo tempo stava per finire.
Il suono del flauto di Galadar la riportò a ciò che stava accadendo sotto al mantello di Alanmaeth e ci mise qualche istante a rendersi conto che Varodil non era andato ad affrontare il caos, ma aveva approfittato del delirio per tornare alla carica verso di lei. Lo spirito della vita, però, lo aveva bloccato coi fendenti della sua musica prima che le tenebre arcane potessero raggiungerla.
Ovunque il potere dilagava, imponente e funesto, dai corpi degli spiriti che continuavano a combattere tra loro su quei due fronti vicini ma distinti. Galadar con Varodil, e anche gli altri gridavano e s'insultavano come i più infimi tra i soldati mortali, rendendo evidente che mai avrebbero potuto sconfiggere il caos, poiché sembrava parte di tutti loro.
Solo Axsa e Ilimroth erano ancora ferme, l'una davanti all'altra, e quando il tempo posò le iridi sulla morte, lei ricambiò il suo sguardo, muovendo le labbra a formare parole cariche di delusione. «Non puoi cambiare ciò che è stato in precedenza deciso; ora stai solo prolungando l'istante dell'inevitabile, fomentando uno squilibrio che potrebbe condurci tutti alla rovina, se adesso non intervengo. Osserva, Shi'nnyl Inthuulurl, osserva a cosa le tue azioni ci hanno condotti e rifletti.»
Con un palmo mostrò il terribile scenario che avevano intorno, poi lo ripose all'impugnatura della falce e fletté le ginocchia; in un unico lunghissimo salto, superò la voragine su Endel e atterrò dall'altra parte, preparandosi ad avanzare verso Meg'golun.
Così non andava bene.
Ilimroth non poteva andare a combattere il caos e lasciare Axsa lì da sola ad attendere l'attimo in cui la sé nell'arcipelago del caduto avrebbe esaurito le energie e riattivato il tempo.
L'elfa oscura non poteva permetterglielo, non prima che le avesse dato la sua fottutissima clessidra.
Fissando i capelli rossi della morte che le ondeggiavano sulla schiena semi nuda seguendone i movimenti, Axsa unì i polpastrelli delle due mani coi palmi aperti davanti al corpo e condensò tra essi quel nuovo potere che aveva sottratto a Varodil.
Il tempo avrebbe dovuto scorrere lineare, ma adesso era lei a poterlo trascendere e le bastò concentrarsi su Ilimroth e ruotare le dita per invertirne il flusso. Così la morte tornò indietro, ripercorrendo i suoi passi al contrario, persino il salto, e Axsa si ritenne soddisfatta solo quando se la ritrovò davanti, dov'era stata poco prima.
Ilimroth sbatté le palpebre un paio di volte, poi le socchiuse e strinse la presa sull'asta della falce, ingobbendosi in una posizione parecchio minacciosa. «Tu... la smetterai mai di infrangere l'equilibrio?»
Axsa sbuffò e incrociò le braccia al petto. «Dammi la clessidra e smetterò.»
La morte aveva perso la sua aria rigida e continuava a spostare lo sguardo tra lei e i due scontri che proseguivano senza sosta, tra melodie di flauto, esplosioni elementari e improvvisi scoppi di potere. Si rivolse ad Axsa quasi ringhiando, evidentemente a corto di pazienza.
«Il fallimento del tuo amico non ti ha insegnato nulla? Non si può mutare ciò che è stato!»
Oh, aveva tirato in ballo Alerdhil, quindi... trattenersi per il nuovo spirito divenne impossibile e urlò di rimando: «Il tempo può farlo!»
Ilimroth si portò una mano alla testa e la scosse, negando più volte coi pozzi neri nei suoi occhi ricolmi di apprensione nell'osservare il pandemonio intorno a loro. «No, no. Spezzeresti l'equilibrio, ogni cosa si dissolverebbe nel caos.»
La sua cocciutaggine era insopportabile e Axsa aveva finito gli argomenti per convincerla; glielo aveva chiesto in modo gentile, glielo aveva chiesto urlandole in faccia... cos'avrebbe dovuto fare? Obbligarla? Certo, come no! Per quanto la forza che ora sentiva pervaderla fosse strabiliante, era certa che non avrebbe mai potuto arrivare alla pericolosità della morte.
Quasi le avesse appena scrutato nella mente e scovato i suoi intenti bellicosi, Ilimroth alzò l'arma, l'enorme lama che incombeva intimidatoria, e la voce le tornò monocorde. «Mi dispiace, non posso.»
Davvero la stava per colpire? Davvero la morte stava per prenderla, dopo tutto il casino che Axsa aveva fatto per giungere a quel momento?
«No!»
Axsa avrebbe voluto reagire, combattere, ma quella negazione non proruppe da lei, bensì da una voce cristallina che mai si sarebbe aspettata di udire in quel momento.
A essersi appena frapposta, per l'ennesima volta quel giorno, tra lei e chi le voleva far del male era appena giunta Eatiel.
I ricci capelli non erano più rossi, ma avevano riacquisito il candore di quando Axsa l'aveva conosciuta e il vestito bianco di seta pareva risplendere di un chiaro di luna che non c'era, ricadendo sulle curve del suo corpo, morbido come la spuma del mare.
«Eatiel?»
Axsa la chiamò, confusa e dubbiosa, e rimase con le labbra semi aperte quando lei girò appena il capo a guardarla di profilo, abbagliandola con l'azzurro delle sue iridi ricolme di una quiete innaturale che contrastava in modo troppo violento con ciò che stava accadendo.
Cosa ci faceva lì l'elfa? Cosa significava quella sua improvvisa apparizione? Se lei era giunta, significava che non c'era più nessuno accanto al suo corpo, su Endel. Axsa le aveva chiesto di ucciderla se avesse fallito, invece Eatiel aveva fatto di testa sua e...
No, era ascesa.
Non lo aveva mai voluto. Perché? Perché l'aveva fatto?
Per lei? Davvero?
Sarebbe potuta tornare indietro?
«Eatiel, perché la proteggi?»
La domanda di Ilimroth ributtò Axsa nella realtà e la decisa risposta dell'elfa la lasciò senza parole. «Ti prego, Ilimroth, fai ciò che Shi'nnyl ti ha chiesto e la pace tornerà.»
Un grido straziato proruppe dalle spalle di Axsa, superò in intensità il suono del flauto di Galadar e attirò l'attenzione di tutte e tre: a emetterlo era stata Serendhien, appena crollata supina al suolo a diversi metri da Meg'golun. Deladan le si teletrasportò al fianco, sorreggendola e dicendole qualcosa che Axsa non riuscì a sentire.
Anche Ninli urlò, ma di rabbia; non abbandonò la sua posizione, anzi, mosse le braccia verso l'alto e una gigantesca colonna di fuoco scaturì dalla terra e inglobò lo spirito del caos.
Ilimroth gemette e fissò Eatiel con le sopracciglia ravvicinate in un'evidente espressione di sconforto. «Come puoi essere così sicura?»
L'universo stava andando a rotoli e ormai anche lo spirito bambina non sapeva più cosa pensare, tuttavia Eatiel sembrava infondere intorno a lei un senso di tranquillità benefica e, quando parlò, Axsa si sentì più leggera.
«È stato uno spirito a fermare il suo tempo e uno spirito sarà a farlo ripartire. L'equilibrio resterà immutato.»
La morte tentennò giusto un attimo, poi si rilassò e abbassò la falce. «In passato ho accompagnato i tuoi passi, nel presente sei giunta a guidare i miei. Ora non sono più io la Dama dell'equilibrio, ma tu, quindi il mio cuore sente di crederti, Eatiel, terza mortale a essere ascesa tra noi.»
Liberò una mano dall'impugnatura dell'arma e rivolse il palmo verso l'alto, facendo apparire su di esso l'inclinata clessidra dorata che Axsa ben conosceva. Compì i due passi che le separavano e Eatiel si spostò di lato per permetterle di fermarsi davanti alla bambina, porgendole l'oggetto maledetto.
«Fai ciò che è giusto secondo i tuoi dettami e io mi occuperò di rispedire il caos nel suo oblio.»
Axsa non era sicura che la morte stesse parlando con lei, ma annuì comunque e allungò una piccola mano per far sì che la clessidra si spostasse da sola a fluttuare sul suo palmo.
Ilimroth saltò di nuovo il passaggio verso Endel e, mentre correva a piedi nudi sull'erba con la lama nera della falce che rifletteva la luce delle stelle di Alanmaeth, Eatiel ne seguì i movimenti senza smettere un istante di sorridere radiosa.
Axsa sentiva il cuore sempre più pesante e sapeva che avrebbe dovuto muoversi, ma ora che aveva la sua vita tra le dita, esitò; prima doveva capire.
«Ti avevo chiesto di uccidermi, non di ascendere. Tu odi gli spiriti, quindi perché... perché, Eatiel?»
La vocina infantile le era uscita particolarmente lamentosa e Axsa restò spiazzata quando Eatiel rise, lieve, portandosi le lita a nascondersi le labbra. «Ho seguito dal basso tutto quello che è successo; ho visto quando ti hanno attaccata, quando hai posto la tua domanda e quando l'aiuto ti è stato negato. Attimo dopo attimo il mantello di Alanmaeth chiamava il mio nome sempre di più e, quando ho visto Ilimroth alzare la falce su di te, ho capito che non avrei più potuto stare in disparte a guardare.»
Erano quelli i legami di cui aveva parlato Galadar?
Cazzo, quanto era stata cieca?
Axsa aveva sempre creduto di essere sola, di non avere nessuno. Non era vero. Conosceva quella sensazione, aveva già provato l'immensa gratitudine nel vedere qualcun altro rinunciare a qualcosa di fondamentale per lei.
Solo per lei, una piccola e ingrata elfa oscura.
Aveva avuto ragione Narum, sì, lui che era stato il primo a morire per proteggerla. Poi Nuij, che aveva stravolto la sua vita per farle da balia e da guida. E ancora Alerdhil, già... aveva rinunciato a sua moglie e infine ci era morto per provare ad aiutarla. Infine lei, Eatiel.
Se avesse avuto un corpo in grado di provare sensazioni fisiche complesse, ad Axsa sarebbero venuti i conati di vomito nel riflettere su quanto si facesse schifo in quel momento.
«Coraggio!»
Eatiel la spronò e Axsa si concesse giusto un attimo per osservare Galadar che teneva testa a Varodil nel loro duello magico davvero singolare, tra tenebre saettanti e lame di forza mosse dalla musica.
Persino lo spirito della vita stava combattendo per lei; fallire sarebbe stato un insulto nei suoi confronti e a tutti coloro che si erano immolati per salvarla.
«Sei stata un'incosciente, ma ti ringrazio.»
Axsa non dovette sforzarsi per sorridere ad Eatiel e averla accanto anche in quel momento le donò la giusta carica per compiere ciò che sognava da quasi duecento anni. Osservò la clessidra e i suoi granelli immoti, poi portò su di essa la mano libera e le fu sufficiente muovere appena le mani per raddrizzarla.
Non ci era voluto nulla, era stato più semplice di respirare, e la sabbia aveva ripreso a scorrere. Il bagliore dorato si affievolì e la clessidra si allontanò da lei, per poi sparire nel nulla.
L'aria si fece pesante, il dolore al petto insopportabile e tutte le sensazioni dei mortali la invasero con prepotenza, nonostante lei fosse ancora uno spirito. La maledizione non c'era più, però, quindi aveva perso il diritto di essere un'emissaria e di poter governare il tempo, che stava tornando al suo scorrere naturale mentre lei era ancora spezzata in quelle due realtà che ormai non potevano più convivere.
La voce di Eatiel le giunse come un'ancora di salvezza e Axsa la guardò, mentre una luce grigia le si formava tra le mani.
«Quando lo rincontrerai, racconta ad Allan questo momento; digli di cantarlo in ogni regno di Endel affinché tutti sappiano che l'equilibrio tornerà tra gli spiriti e Alanmaeth mai più verrà costretto a disperarsi.»
«Eatiel!» Axsa riuscì a malapena a rantolare il suo nome nel venir colpita dal raggio che lei le aveva appena scagliato addosso; non la ferì, anzi, sembrò alleviare la sofferenza mentre il suo piccolo corpo veniva spinto indietro, verso la voragine su Endel.
Scorse Galadar smettere di suonare e sorridere nella sua direzione con ancora il flauto vicino alle labbra; scorse le scie vermiglie di Varodil vibrare nelle tenebre e lo sentì sbuffare con la sua vocetta stridula; scorse Meg'golun molto più piccolo di com'era quand'era apparso, mentre davanti a lui si ergevano Ilimroth accanto alla sorella Celenwe, vicine, fianco a fianco.
«Aluvé.»
La voce di Eatiel fu l'ultima cosa che sentì; udire un'elfa pronunciare quell'addio nella lingua oscura le provocò un singulto, un'emozione dolceamara indefinibile, e Axsa si lasciò cadere.
Strizzò gli occhi e provò a mettersi seduta, ma sentiva ogni muscolo indolenzito, la parte sinistra della faccia le doleva in modo impressionante e ci mise un po' a comprendere dove fosse, visto che era immersa nel buio.
Tastò il suolo roccioso su cui era sdraiata e si graffiò una mano a causa di una protuberanza appuntita; imprecò, poi fece forza sugli addominali e riuscì nella faticosa impresa. Era ancora nella grotta che aveva imprigionato Celenwe, ma non c'erano più i non-morti, la gabbia o le luci magiche, solo buio assoluto. Intorno a lei giacevano i frammenti di quella che era stata la lacrima di Alanmaeth e che ora non brillava più, prosciugata del suo potere.
L'aveva usato tutto, quindi.
Era viva?
Si guardò la pelle sporca e graffiata delle braccia, la tunica logora, poi si toccò la faccia e deglutì nel sentire quello che doveva essere sangue raggrumato intorno alla ferita che si era autoimposta per levarsi di dosso l'artefatto.
Le sarebbe rimasta una bella cicatrice, senza dubbio.
Un momento, ce l'aveva fatta davvero o stava sognando?
«Eatiel?»
Chiamò il nome dell'elfa, girando la testa per scrutare nell'oscurità, ma non ottenne risposta. Lei non c'era, non c'era più.
La bambina si alzò e riuscì a mantenere l'equilibrio nonostante le gambe le tremassero, riscoprendosi alta quanto era sempre stata. La pelle era segnata, ma liscia, quindi non era invecchiata.
Ritrovarsi del tutto sola in quella grotta fredda e inospitale stava cominciando a pesarle, quindi richiamò un briciolo della sua magia per creare una piccola luce fluttuante.
Giusto, la magia! C'era ancora, la sentiva, ma in qualche modo le sue membra erano più pesanti e neanche provò a usare il potere del tempo per testare ciò che ormai aveva compreso: Varodil l'aveva abbandonata e lei non poteva più sfruttarne il potere.
Si portò le dita di entrambe le mani tra le ciocche di capelli lerce e annodate, poi emise un verso strozzato a metà tra un grugnito e una risata mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.
Era libera?
«È stato uno scontro interessante.»
Una voce baritonale le rimbombò in mente in una lingua che l'elfa oscura non aveva mai udito e aveva imparato solo leggendo, negli innumerevoli anni di vagabondaggio dove le biblioteche erano state le sue uniche valvole di sfogo.
Quello era senza dubbio draconico e Axsa sobbalzò, mollando un gridolino sorpreso e spaventato, poiché quell'intervento la colse impreparata. Voltandosi per capire dove fosse il proprietario di quella voce, vide che, adagiato in modo placido in una posizione di riposo che credeva potesse appartenere solo ai gatti, con le zampe anteriori una sull'altra e le ali richiuse sulla schiena, c'era un drago.
Ma non era un drago qualunque, no, perché era fumoso, quasi evanescente, e Axsa si rese conto fosse visibile ai suoi occhi solo grazie alla luce che aveva appena evocato.
Quello era senza dubbio uno spettro, un gigantesco spettro che occupava gran parte di quel lato della grotta.
Ansimando sonoramente col petto che si alzava e abbassava frenetico, la bambina lo indicò, urlandogli addosso nel linguaggio comune degli umani, poiché cimentarsi in quello dei draghi le sarebbe stato impossibile nelle sue attuali condizioni.
«Mi hai fatto prendere un cazzo di colpo! Cazzo! Chi cazzo sei?»
Non era riuscita a trattenere le imprecazioni, ma forse non lo avrebbe fatto neanche se la sua mente fosse stata un poco più lucida di quanto non fosse. L'enorme spettro aprì le fauci ed emise un verso che, con molta fantasia, sarebbe potuto sembrare una risata, poi le sue parole le risuonarono in testa una seconda volta.
«Ero dentro ad Eatiel; ho vissuto ciò che ha provato lei, ho sentito le sue emozioni. Alla fine era davvero un'anima pura...»
Spostò il lungo collo squamoso e distolse lo sguardo, puntandolo verso l'alto.
L'elfa oscura era rimasta a bocca aperta con le gambe divaricate e le braccia tese lungo il corpo, però in quel momento comprese perché negli ultimi tempi l'elfa era parsa diversa e, beh, aveva imparato a sputare fuoco.
Il drago si alzò sulle quattro zampe e si stiracchiò, tornando con l'attenzione sulla bambina. «Credevo di essere io il drago delle leggende, quello che avrebbe portato la pace su Endel, ma mi sono davvero sbagliato.»
La bambina inclinò il capo, faticando a capire con la testa che si faceva sempre più dolente, però provò a ragionare. «Eatiel non appartiene più a questo piano, vero? E tu, che eri dentro di lei, non hai potuto seguirla.»
Lo spettro mosse la testa e chiuse gli occhi un istante. «Sento Ilimroth chiamarmi e credo che la seguirò. Ora sono libero, ma non potrei comunque fare più nulla su questa terra, ridotto così. Chissà, magari lo spirito dell'equilibrio verrà a trovarmi nell'oltretomba.»
«Lo spirito dell'equilibrio?»
In condizioni normali, l'elfa oscura si sarebbe data dell'idiota da sola per la stupidità con cui aveva emesso quella domanda, ma la confusione superò qualsiasi altra cosa.
Il drago rise di nuovo e allargò le ali, senza tuttavia spiccare il volo; non gli servì, poiché il suo massiccio corpo svanì con lentezza, mentre la voce si affievoliva tra i pensieri della bambina.
«Sì, davvero uno scontro interessante.»
Quando di lui non ci fu più traccia, l'elfa oscura fece un paio di giri su sé stessa per accertarsi che non ci fossero altre sorprese, poi scosse la testa.
«Ho sognato di certo cose meno strane di questo...»
Nonostante avesse parlato a mezza voce, le sue parole fecero eco tra le pareti rocciose e spoglie della grotta e la misero in soggezione.
Infine era sola, sola davvero, però si ritrovò a guardare verso l'alto.
Nessuno è solo.
Il viso di Galadar le illuminò i pensieri assieme a quella massima che di certo in passato lei avrebbe disprezzato, mentre ora le pareva la verità migliore che potesse esistere.
Varodil non poteva più tormentarla, però era certo che lo spirito della vita avrebbe sempre vegliato su di lei e, beh, anche quello dell'equilibrio, perché di sicuro Eatiel era abbastanza cazzuta da riuscire a portare la pace non solo su Endel, ma anche nel piano degli spiriti.
«Ho spezzato la maledizione...»
L'elfa oscura parlò nella sua solitudine poiché sentiva la necessità di rendere reale e oggettivo ciò che era successo. Una grande parte di lei ancora non voleva crederci, ma da quel momento in poi sarebbe cresciuta.
Il nuovo peso che sentiva sull'anima era quello della sabbia nella clessidra, poiché ogni granello caduto significava un passo in più verso la fine della sua esistenza.
Ed era bello, cazzo, era giusto!
Ora doveva solo uscire da quella caverna e andarsene da quelle isole senza vita. Sarebbe stato complesso, ma non gliene fregava nulla, poiché ormai l'elfa oscura aveva già compiuto l'impresa più titanica della sua vita.
Da quel momento sarebbe andata solo avanti, sì, poiché Shi'nnyl aveva finito di essere Maledetta.
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