11. Ascendere

Axsa non era mai stata nell'arcipelago del caduto, ma aveva letto molto a riguardo. Un insieme di isole più o meno grandi che sorgevano in un'area abbastanza vasta. Alcune erano pianeggianti, altre pervase da picchi e vette e c'era una sola cosa che tutte avevano in comune: non c'era alcuna traccia di vita.

Nessuna nave o imbarcazione attraccava all'arcipelago del caduto poiché si diceva che tutto ciò di vivente che ne toccava il suolo veniva ben presto corrotto dalla non-morte. L'elfa oscura non ne dubitava: conosceva fin troppo bene il potere degli spiriti e poteva solo immaginare quanto vasta potesse essere l'influenza di Celenwe, intrappolata suo malgrado in un limbo senza uscita.

Lei era stata lo spirito della vita e si era sacrificata per distruggere la prima lacrima caduta sul pianeta, strappandola dalle mani del caos. Era stato Meg'golun stesso ad abbracciarla nella sua presa maliarda quando l'essenza la stava abbandonando; le aveva promesso aiuto, l'aveva convinta che la sua morte sarebbe stata la fine anche per Endel visto che i mortali non sarebbero sopravvissuti senza la vita a proteggerli e Celenwe aveva accettato di unirsi a lui.

Così lo spirito della vita era sprofondato nell'inganno del caos e da esso corrotta.

Axsa non aveva idea del perché lei fosse caduta su Endel, rimanendovi intrappolata nonostante l'imposizione di Alanmaeth che mai gli spiriti potessero restare sul piano dei mortali. Celenwe c'era, però, e da lì non poteva muoversi.

Eatiel aveva tentato di convincere Axsa su quanto folle fosse il suo piano, visto che avevano passato le ultime settimane a combattere contro Zellania perché la lacrima non finisse nelle mani di Celenwe, ma la bambina non aveva alcuna intenzione di darla allo spirito degli inganni. Lei sarebbe stata solo uno strumento, l'avrebbero usata per ascendere al posto loro e senza l'artefatto di Alanmaeth non sarebbe stata più pericolosa di quanto già non fosse.

E poi, sinceramente, ad Axsa non fregava un cazzo se Celenwe fosse o no intrappolata sul piano dei mortali o chissà dove: era uno spirito e se ne sarebbero dovuti occupare gli spiriti. Anzi, magari le sarebbe persino stata grata per averla liberata!

Nah, quegli esseri non conoscevano di certo il concetto di gratitudine.

Axsa faticò ad ammettere a sé stessa di avere comunque una buona dose di ansia nascosta in qualche anfratto recondito della sua anima e alla fine si convinse che era normale, perché tutto ciò che era stata e che avrebbe potuto essere sarebbe stato deciso in quel preciso momento.

Avrebbe spezzato la maledizione o sarebbe morta provandoci, non volle contemplare alternative.

Raggiungere l'arcipelago con metodi tradizionali non era possibile e comunque ci sarebbero volute almeno due settimane per attraversare Rosendale fino alla costa a est più vicina alle isole, senza contare che non aveva idea di dove fosse Celenwe con esattezza.

No, Axsa non aveva tempo da perdere.

Mentre ancora Eatiel stava borbottando, poco convinta, sull'assurdità di quello che stavano per fare, l'elfa oscura le afferrò le mani e lasciò che la magia della lacrima le circondasse; già una volta si era teletrasportata dove voleva senza neanche rifletterci, quindi si disse che le sarebbe bastato pensare intensamente a Celenwe per poterla raggiungere.

La gemma nella sua guancia si scaldò a dismisura ed Eatiel gemette forse a causa del dolore che accompagnava sempre l'utilizzo dell'artefatto e a cui la bambina ormai era tanto abituata da non farci neanche caso.

«Axsa, il tuo viso!»

L'elfa oscura chiuse gli occhi e ignorò l'altra emissaria, concentrandosi solo sull'incanto che doveva compiere.

L'aria si raffreddò, portandosi via il profumo di erba e fiori in favore di un olezzo stantio. Quando Axsa tornò a guardare, il giardino del tempio di Deladan era sparito e al suo posto si era materializzato un cunicolo scavato nella roccia.

Ancora.

Era ironico, in fondo: la sua esistenza era cominciata sottoterra, tra grotte e anfratti, ed era probabile che avrebbe trovato il suo termine in un luogo molto simile.

Faceva davvero freddo e il tanfo che permeava l'ambiente era quello della putrefazione, mentre intorno a loro c'era solo roccia grigia e spigolosa. Illuminata da una tenue luce verde che proveniva da sinistra, lì dove il passaggio si apriva in qualcosa di più ampio, Eatiel la stava fissando sconvolta. Liberò una mano dalle sue e l'allungò per sfiorarle la faccia, ma Axsa si ritrasse e balzò indietro.

Non succedevano cose belle quando gli altri toccavano la lacrima e per istinto la bambina si portò le dita alla guancia, stupendosi nel trovare una superficie tutt'altro che liscia. Non si era mai guardata dopo aver usato la forza di Alanmaeth, ma pareva che la pelle intorno alla lacrima fosse crepata, ruvida e cosparsa da tagli e bruciature che le arrivavano fino al mento e dolevano sotto al suo tocco.

L'elfa era visibilmente preoccupata e parlò in un sussurro con le mani giunte al petto. «Cosa ti è successo?»

Quell'artefatto del cazzo la stava consumando, ecco cos'era successo. Non era stato concepito per i mortali e ogni volta che Axsa lo utilizzava il dolore aumentava; il fatto che poi la sua pelle tornasse normale non la rendeva meno nervosa e chiedersi quale sarebbe stato il punto di non ritorno le venne naturale.

Per fortuna aveva deciso di farla finita quel giorno stesso.

La bambina scacciò una mosca invisibile con una mano e s'incamminò verso la luce. «Non preoccuparti, non è nulla. Tu stammi dietro e tieniti pronta a distruggere qualche non-morto se ce ne sarà bisogno.»

Axsa aveva parlato ostentando sicurezza, però in cuor suo sperava di riuscire a convincere Celenwe in fretta e senza dover utilizzare ancora la magia, visto che cominciava a sentirsi stanca e doveva mantenersi in forze per fermare il tempo al momento giusto.

Eatiel la seguì nello stretto passaggio ed entrambe trattennero il fiato quando si trovarono di fronte a una grotta dalla volta alta almeno dieci metri e con un irregolare suolo roccioso pieno di protuberanze appuntite. Oltre al cunicolo da cui erano sbucate loro ne erano visibili molti altri lungo le pareti che andavano a formare un ambiente quasi circolare; lungo i muri vagavano decine di non-morti in diverse fasi di decadimento e nell'aria si muovevano figure nebbiose che non smettevano un secondo di gemere in modo sommesso.

Spettri, anime perdute, senza dubbio.

A rendere il tutto più sinistro era l'illuminazione verde, causata da innumerevoli luci magiche che fluttuavano in modo caotico attorno a una gigantesca gabbia traslucida molto simile a quelle per gli uccelli. Lo strano oggetto pendeva dal centro del soffitto e se ne stava a diversi metri dal suolo; pareva fatto di energia, anch'esso emanava una tenue luce dello stesso colore ed era possibile guardare attraverso le sbarre e il fondo trasparente.

Non c'era nulla a ornare quello spazio e se anche ci fosse stato Axsa non ci avrebbe prestato troppa attenzione, visto che le iridi viola vennero all'istante catturate dalla donna che se ne stava in piedi nella gabbia, le magre dita serrate intorno a due sbarre e gli occhi completamente bianchi fissi su di loro. La sua carnagione perlacea contrastava con il lungo abito nero dall'ampia scollatura e i ciuffi corvini che le incorniciavano il viso in modo disordinato mettevano in risalto i lineamenti morbidi. Le labbra tinte di un rosso scuro, il colore del sangue raggrumato, in quel momento erano storpiate in un ghigno eccitato che metteva in mostra i denti bianchissimi, soprattutto i canini pronunciati.

«Due emissarie sono giunte da me, ma non Zellania. Chi di voi due me l'ha strappata? La schiava della mia amata sorella o la portatrice della lacrima?»

Celenwe parlò nella lingua degli spiriti con un tono ambiguo che Axsa faticò a definire, poiché le parve quasi mieloso, nonostante le sue domande fossero suonate minacciose. Col naso all'insù per squadrare ogni aspetto dello spirito degli inganni, la bambina incrociò le braccia al petto e mascherò la tensione che sentiva nelle membra con un verso scocciato.

«Qui nessuno è schiavo di nessuno.»

Eatiel teneva una mano a stringersi su una sua spalla e i grandi occhi azzurri non riuscivano a nascondere il timore che provava, ora che erano sotto a Celenwe. L'elfa aveva tenuto testa a diversi spiriti, quindi perché aveva così paura?

Quella domanda infastidì i pensieri di Axsa, anche perché l'unica risposta che le sovvenne fu che Eatiel non temesse la Signora degli inganni in sé, ma ciò che loro stavano per fare.

Celenwe inclinò il capo e s'inginocchiò, sporgendo un braccio nudo oltre la sua prigione e indicando l'ambiente con un gesto ampio. «Dubito che siate venute a consegnarmi la lacrima, quindi... spiegatemi perché non dovrei farvi consumare dai miei bambini per poi nutrirmi delle vostre anime.»

Il sorriso dolce e il tono materno con cui accompagnò quella richiesta provocarono una scossa di brividi lungo la schiena dell'elfa oscura che deglutì ed esitò prima di aprire bocca.

Celenwe era rinchiusa, impossibilitata a muoversi, eppure risultava più spaventosa di Meg'golun a causa dei contrasti che si percepivano ovunque intorno a lei, dall'aspetto, ai modi, alla voce. Almeno dal caos era facile capire cosa aspettarsi, mentre i pensieri di Celenwe erano incomprensibili.

Mentre la bambina era impegnata a rimuginare, fu Eatiel a compiere un timido passo avanti e precederla, forse per donarsi una sicurezza che stava via via scemando in entrambe.

«Avete ragione, non vi consegneremo la lacrima; tuttavia siamo giunte da voi per liberarvi.»

I non-morti avevano cominciato con lentezza ad avvicinarsi a loro, ma dopo le parole dell'elfa si bloccarono tutti. Celenwe restò ammutolita e immobile con gli occhi sgranati per attimi lunghissimi, poi assottigliò le palpebre e gli angoli delle labbra si abbassarono.

«Attente, mortali: non è bene prendere in giro la Signora degli inganni.»

L'atmosfera gelida si stava scaldando e l'immensa quantità di potere che aveva appena preso a circondare lo spirito mise in Axsa una grande fretta di spiegarsi.

«Io non ho intenzione di ascendere, ma voglio spezzare la maledizione che mi ha imposto quello stronzo di Varodil e per farlo devo diventare uno spirito in via temporanea. Galadar ci ha spiegato che il processo necessita che alla fine un asceso ci sia, quindi non ho intenzione di girarci attorno: tu mi servi perché devi salire tra i tuoi simili e restarci, permettendomi di tornare nel mio corpo mortale.»

Celenwe restò in silenzio con l'arcigno sguardo puntato su di lei, poi si umettò le labbra in un lento movimento di lingua. «Quindi vuoi farlo qui. Vuoi rendermi partecipe, pur senza darmi la lacrima.»

Avevano smosso qualcosa nella sua curiosità e la bambina annuì, mettendo da parte l'ansia per risultare quanto più convincente possibile. «Così vinciamo tutti: tu sarai libera di andartene dove ti pare, Eatiel si costruirà il futuro che vorrà senza più le pressioni degli spiriti e io potrò crescere.»

La donna parve rifletterci attraverso un lungo verso meditabondo, poi scosse la testa, abbassando il tono.

«Già una volta mi sono fidata di Meg'golun ed ecco come sono finita: bloccata in un limbo tra le realtà, impossibilitata a stare su Endel per il volere di Alanmaeth, ma incapace di tornare nel mio piano a causa della corruzione del dominio della vita. Lo hanno dato a un altro, mi hanno abbandonata qui; Ilimroth...» strinse i pugni, l'espressione deturpata dalla furia. «Mia sorella mi ha dimenticata, perché io sono perduta.»

C'era altro oltre alla rabbia nelle parole dello spirito, una desolazione soverchiante, l'accettazione di qualcosa di ingiusto. Prima di essere stata corrotta dal caos, Celenwe era stata portatrice di vita ed era evidente non l'avesse dimenticato. L'odio l'aveva consumata, il rancore verso gli altri spiriti – e forse anche verso sé stessa – l'aveva fatta sprofondare in vortici profondi.

Cazzo, Celenwe aveva davvero tante cose in comune con Axsa.

«Nessuno è perduto fintantoché anche solo una persona persiste nel lottare.»

La voce decisa di Eatiel colse la bambina di sorpresa e la costrinse a girarsi per guardarla in viso, scoprendo che si era messa a sorridere, gentile e radiosa. Anche Celenwe era rimasta attonita e l'elfa poté quindi continuare, spiegando quella singolare uscita.

«È stata proprio Ilimroth a dirmi queste parole, quando stavo per abbandonare la speranza.»

Celenwe arricciò il naso in un'espressione disgustata. «Li ho contati, sapete? È da milletrecentocinquantanove anni, tre mesi e sei giorni che nessuno lotta più per me.»

Axsa ringhiò e allungò un indice verso di lei, parlando di getto senza riflettere. «Noi lo faremo, se ce lo permetti.»

Nonostante la situazione, credeva a ciò che aveva appena detto; se Axsa fosse rimasta da sola col suo dolore com'era successo allo spirito, avrebbe fatto la sua stessa fine, rinchiusa nella gabbia dell'eternità a spiare la vita degli altri andare avanti da una fessura che non sarebbe mai stata abbastanza.

Celenwe era l'emblema di lei stessa, oltre che la prova inconfutabile che anche gli spiriti potessero soffrire. Fu incredibile, ma, ora che l'elfa oscura era giunta a parlare con lei, sentiva aumentato a dismisura il suo disprezzo per quelle entità, praticamente tutte.

Lo spirito alzò un sopracciglio scuro e non fece nulla per nascondere il disprezzo. «Siete due insulse mortali che si sono montate troppo la testa. Ora che sei giunta da me, portatrice, farai ciò per cui avevo scelto Zellania e con gioia mi consegnerai la forza di Alanmaeth.»

Celenwe non attese oltre dopo quelle parole e il potere che le si era condensato attorno scattò verso il basso, verso di loro, in una rapida e terrificante scia verde. Eatiel gemette e Axsa si portò per istinto le braccia a proteggersi il volto, desiderando solo che quella roba non la colpisse. Cosa voleva fare lo spirito? Irretirle la mente? Obbligarla ad agire contro la sua volontà? Sarebbe stato il colmo, dopo tutto il casino che Axsa aveva fatto.

La gemma divenne all'improvviso bollente, il dolore si espanse dalla guancia fino al petto e l'attacco di Celenwe s'infranse contro una barriera invisibile a pochi centimetri dall'elfa oscura. Lo spirito spalancò la bocca, incredula, e i gemiti degli spettri che le volavano intorno si tramutarono in grida straziate.

I non-morti ripresero ad avanzare, ma si fermarono tutti intorno alle due emissarie, senza riuscire a raggiungerle. Axsa osservò la scena coi pensieri talmente accavallati l'uno sull'altro da non riuscire a emergere in modo comprensibile e per lunghi secondi sentì solo la presa dell'elfa dietro di lei.

La lacrima le stava proteggendo perché quello era ciò che voleva Axsa e il potere era tale da eguagliare quello dello spirito degli inganni, però più quello scudo restava a circondarle, più le forze della bambina si affievolivano e lei non poteva permettersi di sprecarle.

Riacquisita la consapevolezza di sé e ignorando la faccia che ormai le andava a fuoco, Axsa puntò lo sguardo sulla gabbia, gridando in modo acuto per sovrastare il caos dei pianti delle anime.

«Così come sono arrivata me ne posso anche andare, Celenwe! Mi troverò qualcun altro da spedire tra gli spiriti. Se ora vado via, tu quanti secoli resterai ancora sola e prigioniera, eh? Non verrà mai più nessun altro folle quanto me in questo posto schifoso! Nessuno, hai capito? Mai più nessuno si offrirà di liberarti!»

Celenwe si era alzata e a ogni frase della bambina aveva indietreggiato, finendo con la schiena contro l'altro lato della gabbia. Mostrava i denti col corpo pervaso da tremiti e quei canini ora non facevano più così paura, no, perché lei non era altro che l'ombra di ciò che era stata. Non poteva smaterializzarsi come facevano gli altri, non poteva giungere loro alle spalle e la sua influenza nasceva e moriva lì, su quell'arcipelago dimenticato quanto lei.

Certo, tutto ciò che toccava si allontanava dalla vita, ma a cosa le sarebbe servito, ora che le due mortali erano protette da Alanmaeth?

Dietro a quelle sbarre, Celenwe non era altro che un uccellino a cui erano state tagliate le piume.

Dopo le domande retoriche e le affermazioni di Axsa, lo spirito si guardò intorno alla ricerca di chissà cosa, poi scivolò con la schiena lungo le sbarre fino a sedersi, si portò i pugni chiusi alle tempie, e gridò.

Un'unica vocale prolungata e agghiacciante che riempì di brividi la pelle delle emissarie e fece vacillare lo scudo, rendendo i suoi contorni un poco visibili a causa delle vibrazioni. I non-morti a terra si allontanarono di fretta, appiattendosi contro alle pareti o accasciandosi al suolo in modo scomposto, e gli spettri fermarono il loro vagare, zittendosi.

Il silenzio che seguì quell'esternazione travolgente fu surreale e Axsa si ritrovò con le dita della destra strette intorno alla sinistra di Eatiel, anche lei rimasta attonita e turbata a fissare lo spirito. Con gli occhi bianchi fissi verso il basso, fu proprio Celenwe a donare nuovi suoni, rompendo la staticità appena formata nell'ambiente.

«Come mi sono ridotta? Adesso non sono più neanche in grado di impormi su delle semplici mortali...»

Ogni emozione che lo spirito aveva provato o finto di provare fino a quel momento fu sostituita da un'intensa amarezza e Axsa restò nel dubbio. Quale sarebbe stato il modo giusto di approcciarsi? Celenwe pareva lunatica, il suo umore mutevole. Forse sarebbe stato meglio muoversi e basta.

La bambina avanzò verso il centro della grotta, attenta a non ferirsi con le sporgenze acuminate che spuntavano in modo caotico. Con la rassicurante presenza di Eatiel sempre di fianco a lei, si fermò quando si trovò proprio sotto al fondo della gabbia e, alzando il mento, poté osservare lo sguardo perso dello spirito.

«Noi siamo tutt'altro che semplici mortali, dovresti averlo capito.»

Soffiò quelle parole in un maldestro tentativo di consolarla, ma la voce infantile risultò comunque acida. La situazione stava diventando insostenibile e Axsa si era stufata di quella continua altalena di emozioni; le faceva male buona parte del corpo e il cuore martellava frenetico da ormai troppo.

«Dimmelo subito se vuoi attaccarci ancora, così togliamo il disturbo. In alternativa, potresti accettare il nostro aiuto e piantarla di fare la stronza.»

«Axsa!»

Eatiel l'ammonì, chiamandola sottovoce, e la bambina corrugò la fronte. «Che c'è? Lei non è il primo spirito che insulto e di certo non sarà l'ultimo.»

Celenwe poggiò i palmi sul pavimento trasparente della gabbia e perseverò nel guardarci attraverso per osservare le emissarie. «Tu sei diversa, non è vero?»

Quella semplice domanda irritò Axsa all'inverosimile e dovette trattenersi per non sbottare, limitando il volume della voce. «Cosa vuol dire? C'è forse qualcuno che è uguale a qualcun altro? Tutti siamo diversi, anche se voi spiriti ci trattate come bambole da utilizzare a vostro piacimento.»

Eatiel sospirò, affranta, coprendosi il viso con una mano, e la bambina fece schioccare la lingua sul palato, animandosi. «Anzi, no, così sto generalizzando anch'io. Prima credevo che voi spiriti foste infami allo stesso modo, ma in effetti non ho avuto il dispiacere di incontrarvi tutti di persona e Galadar, per ora, si è dimostrato diverse spanne sopra agli altri.»

Quell'uscita non piacque a Celenwe, perché i canini tornarono a brillarle famelici sulle labbra. «Galadar è un usurpatore.»

L'elfa trattenne il fiato e Axsa si lasciò sfuggire un verso di scherno. «Non dire cazzate: lo sai benissimo che sono stati gli altri a dargli il dominio sulla vita per salvare Endel. Serbare rancore verso di lui non è utile e non ti fa bene.»

La Signora degli inganni emise una risatina amara e distolse lo sguardo. «Perfetto, adesso devo subire anche la morale da parte di un'elfa oscura...»

Axsa sbuffò e le concesse giusto un'ultima occhiata, prima di ricercare la concentrazione. «Lagnati quanto vuoi, io ora inizio.»

Il tono di Celenwe si fece canzonatorio. «Se comincerai il processo, non avrai il tempo di tornare.»

La bambina sogghignò. «Lascia stare il tempo, a quello ci penso io.» Prima di chiudere le palpebre, piantò le iridi in quelle azzurre della sua compagna. «Eatiel, sai cosa fare se le cose si mettono male.»

«Possiamo ancora tornare indietro, riflettere meglio.»

L'emissaria di Serendhien ancora non era convinta, ma Axsa la liquidò senza pietà. «Ho avuto due secoli per riflettere, adesso voglio agire.»

Inspirò in modo profondo e si portò una mano alla guancia; toccare la superficie irregolare della gemma fu terribile e i polpastrelli rimasero ustionati, ma l'emissaria doveva continuare. Pressando le mascelle fino a far stridere i denti e con gocce di sale a bagnarle le candide ciglia serrate, s'infilò le dita nella carne, intenzionata a strapparsi via di dosso quella lacrima artificiale.

Il potere crebbe incontrollato, ma Axsa sentì solo i capelli e la tunica logora ondeggiare, mossi da qualcosa. Sapeva cosa doveva fare, Galadar era stato chiaro: doveva smettere di lottare e lasciare che la forza di Alanmaeth la invadesse, doveva piegare la sua volontà a quella degli spiriti per essere trascinata da loro, doveva annullarsi per diventare qualcosa di più grande.

Infine, nel buio, mentre i suoni si perdevano in echi distanti e non c'erano più odori a riempirle le narici o tormenti a intaccarle le membra, Axsa percepì qualcosa chiamarla. Un sussurro flebile, un invito gentile a seguirla verso l'alto.

Ascendere.

Eccolo, quello era il momento.

Appellandosi agli ultimi rimasugli di coscienza che le restavano, Axsa s'impose lucidità e si discostò dal potere del primo tra gli spiriti per concentrarsi solo sul suo.

La voce smise di chiamarla, quando lei fermò il tempo.

Riaprì gli occhi e fu surreale, poiché vide sé stessa, immobile sotto di lei, mentre teneva tra le mani insanguinate la lacrima di Alanmaeth tornata alle sue dimensioni originali. Aveva bloccato quell'attimo nella realtà, ma si era premurata di escludere dall'incanto sia Eatiel che Celenwe, in modo che potessero svolgere il loro ruolo. 

L'elfa, infatti, stava tremando mentre la osservava con le labbra strette e le sopracciglia arcuate; la stava guardando, sì, ma non la piccola Axsa con in mano l'artefatto, poiché il suo sguardo era puntato verso l'alto, all'interno di quel cono di luce bianca che dal corpo dell'elfa oscura s'innalzava verso la volta della grotta, passando anche all'interno della gabbia dello spirito degli inganni.

Axsa poteva vedere Eatiel e anche sé stessa, poiché era sia a terra che nell'aria, a fluttuare all'interno della luce.

Era ciò che voleva, no? Essere al contempo spirito e non spirito, mortale e immortale, quindi perché si stupiva?

Per una volta, le cose stavano andando come voleva lei e sentì l'euforia pervaderla. Alzò la testa giusto per vedere Celenwe che, seria in volto, s'immetteva nel fascio di luce e spariva, lasciandosi dietro la sua prigione vuota e una nuova immagine sul soffitto roccioso della grotta. Aguzzando la vista, nel cono luminoso era possibile scorgere l'immagine del prato infinito sotto al mantello di Alanmaeth e persino gli spiriti che lì stavano attendendo.

Non restava che raggiungerli e riscrivere il destino.

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