10. Vincere o morire
«Vuoi chiedere l'aiuto di Galadar?»
Nel porre quella domanda, Eatiel parve genuinamente stupita e Axsa annuì. «Sì, ma farlo non sarà semplice: se anche riuscissimo ad arrivare con la coscienza nel suo piano, Varodil lo scoprirebbe subito e verrebbe a rompere i coglioni come ha già fatto.»
Sorrise all'elfa, mimando un'espressione fanciullesca e addolcendo il tono. «Però, se tu convincessi Ilimroth o Serendhien a tenerlo impegnato...»
Eatiel inclinò il capo e parve studiarla, poi fece schioccare la lingua sul palato. «Non sarà necessario. È vero che gli spiriti sono soliti chiamarci nel loro piano e, capito il processo, anche noi possiamo raggiungerli, però non è l'unico modo per parlare con loro.»
Il viso di Axsa s'illuminò e le afferrò con la mano libera l'altro braccio, mantenendola in modo più saldo in quella posizione accucciata per invitarla a chiarirsi. Per una volta non sarebbe stata la bambina a trovare la soluzione migliore, quindi? L'alleanza con Eatiel si prospettava come la miglior decisione che avesse mai preso.
Radiosa, forse per l'improvviso entusiasmo dell'elfa oscura, Eatiel continuò. «Un paio di volte ho chiuso gli occhi, ho invocato Ilimroth e Serendhien e loro mi sono apparse nel buio. Ho parlato con loro restando salda nel mio corpo, però non so se è possibile farlo con tutti gli spiriti.»
Davvero era così semplice? Cioè... bisognava solo chiamarli per farli arrivare?
Axsa era dubbiosa, ma alzò le spalle e lasciò la presa sull'elfa. «Tanto vale provare. Prima ho bisogno di andarmene da qui, sono stufa di stare sulle ceneri della casa di Alerdhil e voglio occuparmi di lui.»
Superò Eatiel e si diresse verso il corpo dell'amico.
«Occuparti di lui?»
L'euforia provata poco prima si spense non appena Axsa posò gli occhi sul cadavere e dovette richiedersi un enorme sforzo di volontà per abbassarsi a chiudergli le palpebre. Era morto da giorni, ma non l'aveva ancora fatto perché quel gesto significava la fine, l'accettazione, e sfiorargli la pelle in quel modo le ricordò l'ultima volta che aveva toccato Narum.
Il suo gemello era bruciato, non c'era un posto dove andare per commemorarlo e la cosa la faceva stare male. Alerdhil era stato importante, amato e rispettato da molti: meritava una degna sepoltura.
Muovendo appena le dita, Axsa fece levitare il corpo e si mosse verso il retro del tempio di Deladan, lì dove sapeva esserci un rigoglioso giardino che in quella stagione si era ricoperto di fiori dai colori più disparati. I cultisti dello spirito dell'amore, del resto, erano molto attenti alle frivolezze che l'elfa oscura aveva sempre ritenuto stupide e inutili; in quel momento, però, riuscì a coglierne il significato intrinseco.
Come biasimare chi sceglieva di portare bellezza in un mondo di odio e dolore?
«Cosa vuoi fare?»
Eatiel la stava seguendo e la bambina le rispose pacata, senza smettere d'incedere. «Alerdhil era sposato con una cultista di Deladan che lo ha abbandonato quando Aglor, loro figlio, era ancora piccolo. Non so dove lei sia adesso, ma se lui ha deciso di sposarsi una di loro, vuol dire che un po' questa roba gli piaceva.»
«Vuoi seppellirlo nel tempio di Deladan? Non sarebbe meglio restare nel territorio di Varodil? Lui era pur sempre il suo sommo cultista.»
Axsa prese un grande respiro, poi indicò il vuoto che ora se ne stava al posto dell'imponente struttura di marmo nero. «Ci vorrà tempo per ricostruirlo e io non ho intenzione di mettere più piede in qualsiasi luogo consacrato a quello spirito di merda. Deladan andrà benissimo, visto che non mi ha ancora fatto niente, se consideriamo scusabile l'aver provocato ai suoi cultisti delle visioni dove io era al centro di una pioggia di sangue, tra le rovine del tempio che ho appena distrutto. Piuttosto accurato, non trovi?»
Non poté vedere la reazione di Eatiel alle sue ironiche parole, però la sentì sospirare.
Camminarono accanto a un lato del tempio che una volta aveva ospitato le vetrate più belle di Rosendale e raggiunsero il giardino. I passi di Eatiel s'interruppero, forse perché era rimasta estasiata dal tripudio di verde e colori a inframmezzarsi a fontanelle e vie ciottolate che circondavano delle statue di marmo chiaro. Quella centrale era la copia più piccola della statua di Deladan nella piazza e tutto intorno se ne ergevano altre otto, raffiguranti tutti gli spiriti a parte Meg'golun, Celenwe e Sa'shandriel.
Axsa trattenne un ringhio nel rendersi conto che quel complesso di sculture formava un cerchio perfetto intorno allo spirito dell'amore.
Quanto odiava i cerchi.
Eatiel corse in avanti e si soffermò a osservare quelle figure bianche e pure: ora che Axsa li aveva visti, poteva dire con certezza che i tratti del viso non assomigliavano molto ai veri lineamenti degli spiriti, però tutti avevano delle caratteristiche che li rendevano subito riconoscibili. Ilimroth e la sua falce, le grandi ali piumate per Minelye e quelle da drago per Enoder, i capelli di fuoco per Ninli e quelli di erba per Galadar, assieme al suo flauto. Già, il flauto, non il liuto.
L'emissaria di Serendhien si fermò davanti alla rappresentazione del suo spirito, che pareva volare sorretta dal vento, poiché era stata scolpita più alta rispetto agli altri e sorretta da una protuberanza molto fine che pareva proprio un vortice d'aria.
Avanzando in mezzo a loro, Axsa indugiò prima sulla figura senza volto di Alanmaeth, immenso nel suo mantello di stelle in rilievo, poi si arrestò di fronte a Varodil. Doveva essere stato difficile plasmare la pietra in quella foggia, poiché il marmo chiaro si snodava in sbuffi di fumo a formare degli arti abbozzati e avevano usato delle polveri rosse per rappresentare le scie di potere arcano che lo ricoprivano per intero.
Lo spirito della magia non aveva mai avuto una forma precisa, eppure quello era senza dubbio lui.
Con estrema calma, l'elfa oscura attinse al potere di Alanmaeth e scavò una fossa proprio davanti al piedistallo della raffigurazione di Varodil, poi ci adagiò all'interno il corpo di Alerdhil; lo sistemò con la magia in modo che i capelli fossero in ordine e le braccia unite sul petto, poi lo salutò un'ultima volta e riversò sopra la terra.
Eatiel le si era accostata durante il processo e restò in silenzio fin quando Alerdhil non fu più visibile, poi incrociò le mani dietro alla schiena e ruppe la quiete in un sussurro, quasi temesse che le sue parole avessero potuto ferire quanto gli incantesimi.
«Ho conosciuto Aglor: era a Reah e ha aiutato Allan nel momento del bisogno. Adesso sta tornando qui, voleva riabbracciare suo padre... tutti credono che sia stata tu a ucciderlo, Axsa, e non ci sono testimoni che attestano il contrario.»
La bambina alzò lo sguardo e avanzò fino a sfiorare coi polpastrelli la liscia e fredda pietra del piedistallo. «Non m'interessa quello che crederanno o non crederanno, tanto in superficie sarò sempre denigrata per la mia razza. Alerdhil è stato l'unico ad accettarmi per come sono senza avere un secondo fine e ora che è morto dovrò tornare a nascondermi.»
Eatiel le mise una mano sulla spalla. «Potrai contare su di me e sono certa che anche per Allan sarà lo stesso.»
Axsa alzò un sopracciglio e girò appena la testa per incrociare il suo sguardo. «Dieci minuti fa mi hai quasi bruciata viva.»
L'elfa non si lasciò intimorire e accentuò quel suo fastidioso sorriso gentile. «Dieci minuti fa non conoscevo la verità.»
La bambina si lasciò andare in una risatina dubbiosa. «Come fai a essere certa che io non ti abbia mentito?»
Non sapeva bene il perché di quella domanda controproducente; ormai parlava e agiva mossa dalle pulsioni, lasciando da parte la razionalità che l'aveva mantenuta in vita fino a quel momento. Davanti alla tomba di Alerdhil, fingere le risultò impossibile e forse desiderava solo sapere se Eatiel fosse sincera, se davvero avrebbe lottato con lei. Per quanto fossero legate, loro due erano poco più che conoscenti, in fondo.
«Non ho la tua età, ma non sono nata ieri. Gli spiriti hanno manipolato me quanto te e ho parlato abbastanza con Varodil per comprendere da me quanto ciò che hai detto sia plausibile. Il fatto che ne stiamo discutendo proprio qui dimostra quanto stai soffrendo e io ti capisco: so cosa significa essere maledetta.»
Incredibile come poche e semplici parole potessero cambiare ogni cosa e in quel preciso momento Axsa promise a sé stessa che non avrebbe più ucciso nessuno.
A quante potenziali Eatiel aveva barbaramente strappato la vita? Come aveva potuto considerarsi sempre migliore degli altri? Il suo retaggio e ciò che aveva passato potevano davvero giustificare una vita di crudeltà gratuite?
Era assurdo, assurdo!
Ma da quando Galadar, da quando la vita aveva scelto di lottare per Axsa, ai suoi occhi l'esistenza aveva assunto tutto un altro significato.
Era quello l'antico potere degli spiriti? Ciò che quell'ammasso di stronzi avrebbe dovuto significare?
«Hanta.»
Quella piccola parola in elfico sgorgò spontanea dalle labbra della bambina che se ne stupì subito dopo. Che lei ricordasse, non aveva mai ringraziato nessuno e l'aver scelto quella lingua senza rifletterci l'accigliò.
Quel grazie era rivolto ad Eatiel, sì, ma non solo: era anche per Galadar, per Alerdhil, per Nuij, per Narum. Axsa si morse il labbro inferiore nel rendersi conto che un solo idioma non sarebbe bastato.
«Taknea.»
Il corrispettivo nella lingua oscura fu strano da pronunciare, visto che mai lo aveva udito fuoriuscire dalla bocca di qualcuno, però il suono le piacque parecchio e l'aiutò a tornare concentrata sul presente.
Condensò la magia nell'indice e nel medio della destra e segnò delle rune in elfico sul piedistallo di marmo che sovrastava la tomba del suo amico. Quando finì, udì Eatiel tradurre quelle semplici frasi, pronunciandole ad alta voce.
«Qui riposa Alerdhil, figlio di Alanthir. Qui è caduto il più generoso tra gli elfi, sorpreso dalla falce della morte mentre cercava di aiutare una reietta.»
Tutti dovevano sapere.
Axsa contemplò l'incisione per qualche istante, soffermandosi in modo particolare sull'ultima runa che aveva tracciato, e fu di nuovo l'elfa a ricondurla alla realtà.
«Tu e Allan siete molto simili.»
«Cosa?»
«Avete lo stesso modo di mostrare il vostro amore per gli altri.»
Eatiel si espresse con una serenità seccante e Axsa si staccò da quel luogo, borbottando suoni sconnessi fino a quando non giunse al cospetto della statua di Galadar e si perse a fissarla.
Amore per gli altri? L'elfa oscura era davvero capace di provare qualcosa del genere? Strinse un piccolo pugno in prossimità del cuore, lì dove sentiva il dolore farsi più profondo ogni volta che ricordava ciò che aveva perso.
Era stato facile rinchiudersi nell'odio, visto quanto l'amore faceva male, ma ora Axsa sentì di essere stata meschina, codarda; ogni scelta che aveva preso l'aveva portata a fuggire. Era scappata da Meg'xuku dopo il genocidio della sua famiglia, era scappata dal sottosuolo quando Nuij non era più abbastanza, era scappata per decenni interi di terra in terra fino all'incontro con Alerdhil e poi era scappata da lui, fingendo di farlo per proteggerlo.
Scappare non portava a nulla di buono: doveva affrontare gli spiriti una volta per tutte.
Vincere o morire.
L'elfa la raggiunse e mostrò le sue perplessità, ridando forma ai contorni del mondo. «Vuoi chiamarlo adesso? Qui? C'è il suo tempio a pochi passi, forse è più approp-»
Axsa la interruppe. «No. Non voglio entrare nei templi: quei luoghi non mi appartengono.»
Eatiel arricciò le labbra, poi s'inginocchiò a terra sui ciottoli, posando il peso sui polpacci, e allungò un braccio verso di lei per invitarla a fare lo stesso. Axsa le si mise di fronte a gambe incrociate e a entrambe venne naturale stringersi le mani, anche se la bambina non aveva ancora capito bene come doversi comportare.
«Quindi... chiudiamo gli occhi e pensiamo a Galadar?»
Eatiel annuì e la precedette in quel semplice gesto che all'elfa oscura parve davvero stupido, però poi si decise a fare come lei. Dapprima non percepì nulla, poi sentì che dal corpo dell'altra emissaria si stava pian piano sprigionando il potere spirituale, arrivando a lei attraverso il contatto. Doveva concentrarsi, quindi, pensare solo allo spirito della vita e sfruttare l'aiuto che le stava porgendo lei.
Fu strano unire la sua forza a quella di Eatiel, ma in qualche modo doveva aver funzionato, poiché nel buio prese forma la figura di Galadar proprio come lo ricordava da adulto, anche se in viso pareva parecchio perplesso nel trovarsi a poggiare i piedi nel nulla.
«Mi avete chiamato, emissarie. La vostra padronanza delle arti spirituali non ha più limiti.»
La voce di Eatiel riempì l'oscurità prima che Axsa potesse computare una risposta. «Vi ringrazio per aver risposto. Axsa mi ha parlato di voi, dice che potete aiutarci.»
Galadar guardò un punto alla destra della bambina, poi spostò l'attenzione su di lei e inclinò il capo. «Cosa stai macchinando, sorellina?»
L'elfa oscura avrebbe voluto incrociare le braccia, ma, pur sentendosi ben ancorata al suolo di Endel, in quel momento non percepiva il suo corpo. Doveva superare lo straniamento, quindi si costrinse a parlare.
«Il primo tentativo di spezzare la maledizione è stato un fallimento. Mi avevi consigliato di tenere presente i legami, ma il mio migliore amico è morto per questo.»
Lo spirito distolse lo sguardo. «Mi dispiace.»
Forse Axsa ce l'aveva anche con lui per ciò che era successo e se ne era resa conto solo adesso. Vederlo affranto, però, fece scemare sul nascere ogni sorta di cattivo sentimento che avrebbe potuto disturbare quel dialogo e lei continuò, più tranquilla.
«Cos'è successo esattamente quando sei asceso? Intendo... come hai fatto a usare la lacrima, quanto è durato il viaggio, cos'hai sentito?»
Galadar corrugò la fronte e si portò due dita al mento, poi si espresse con lentezza, in un palese tentativo di cercare le parole adatte.
«Quando ho toccato la lacrima sono stato subito invaso dal potere e ho lasciato che s'infondesse in me, annullandomi. Credo che tu sappia quello che intendo, sorellina, perché hai interrotto il processo mentre stava avvenendo, aggrappandoti alla tua fisicità mortale.»
Fece una pausa e osservò lei e il punto dove doveva essere Eatiel, poi continuò. «Mi sono sentito trascinare verso l'alto ed è durato un battito di ciglia; sono stato accecato da una luce intensa e ho sentito il pezzo di anima che mi apparteneva staccarsi dal corpo e trasformarsi in qualcos'altro. Mi sono ritrovato sotto al mantello di Alanmaeth come quando era avvenuta la caduta, però non ero solo. Ho sentito il potere del tempo soggiogarmi con prepotenza e per qualche secondo ho creduto di poter fare ogni cosa del suo scorrere, di poterlo plasmare a mio piacimento, fino a quando gli altri spiriti uniti non me l'hanno strappato.»
Sospirò, spostando le iridi verso l'alto. «Non ho opposto resistenza e ho lasciato che Varodil si riprendesse ciò che mi aveva dato, mentre gli altri spiriti spingevano in me a forza ciò che da principio era appartenuto a Celenwe. Ho ricordi confusi – è successo più di milleduecento anni fa – ma credo che Alanmaeth mi abbia donato una sua stella.»
Quel racconto rese Axsa confusa più di quanto non fosse prima e fu Eatiel a spezzare il silenzio che ne scaturì. «Tu dovevi essere lo spirito del tempo.»
Galadar annuì. «Ogni asceso assume un aspetto del dominio dello spirito che l'ha reso emissario. Sa'shandriel si è impossessata della follia di Meg'golun; io dovevo rubare il tempo a Varodil, ma a Endel serviva uno spirito della vita, così lui si è ripreso la sua forza e si è impossessato della lacrima. Tutt'ora non so dove la nasconda.»
Axsa attese, ma quei discorsi stavano alimentando le sue fantasie e trattenere i pensieri divenne impossibile. «Cosa accadrebbe se io fermassi il tempo nell'esatto istante dell'ascensione?»
Galadar sobbalzò con gli occhi ingigantiti, poi mise le mani sui fianchi. «Dunque vuoi arrivare a tanto? Vuoi spezzare le leggi della realtà?»
Quelle domande parevano di ammonimento, ma era evidente che l'idea gli fosse piaciuta, altrimenti non le avrebbe poste con quel sorriso complice stampato in faccia.
Axsa finse noncuranza. «Manipolare il tempo di per sé incasina la realtà. Ciò che voglio fare è diventare uno spirito solo per qualche minuto, giusto quelli che mi serviranno per raddrizzare la clessidra. Tutti mi staranno aspettando sotto al mantello di Alanmaeth, no? Quindi ci sarai tu a tener occupato Varodil mentre io mi farò dare la clessidra da Ilimroth.»
Eatiel mostrò il suo disappunto con un verso meditabondo, mentre Galadar restò imperscrutabile nel suo sorriso cordiale. «Non posso dirti se ciò che hai detto sia fattibile, ma di una cosa sono certo: una volta cominciato il processo, qualcuno dovrà ascendere per forza.»
La bambina s'incupì. «In che senso? Se spezzo la maledizione, torno nel mio corpo e faccio ripartire il tempo, pensi che poi...» s'interruppe e a finire la frase ci pensò Eatiel.
«Qualcuno dovrà restare dall'altra parte, o riattivato il tempo ascenderesti comunque.»
Galadar scosse la testa. «Non solo. La forza di un emissario è strettamente legata alla sua maledizione: nell'esatto momento in cui la spezzerai, non potrai più controllare il tempo e suppongo che si riattiverà in automatico.»
Ciò che aveva detto era scoraggiante, eppure gli angoli delle labbra dello spirito erano ancora puntati verso l'alto e non sembrava turbato o amareggiato. Axsa meditò in quel buio innaturale e sfruttò la quiete per rimuginare, poi ghignò. «Vorrà dire che dovrò essere molto veloce a tornare indietro.»
Eatiel alzò il tono, intromettendosi. «Come puoi essere così sicura? Ti basi su supposizioni! Da come stanno le cose, è molto più probabile che resterai intrappolata nel piano degli spiriti senza riuscire a tornare indietro.»
Axsa ci aveva già pensato, quindi non esitò a rispondere all'elfa. «Infatti mi servi anche tu. Ciò che ti chiedo è di restare accanto al mio corpo e di uccidermi se vedi che sto per fallire.»
L'elfa restò zitta e Galadar parve osservarla, poi spostò le iridi verdi verso la bambina. «Questo non cambia il fatto che qualcuno dovrà ascendere e non ci sono più emissari su Endel, a parte voi due.»
Lo spirito aveva senza dubbio ragione e Axsa suppose che non avrebbero potuto prendere un mortale a caso e obbligarlo a fare ciò che loro non volevano; no, c'era bisogno che trovassero qualcuno che desiderasse andarsene da Endel e che avesse il potere necessario a compiere il processo.
Un improvviso sfolgorio di luce s'irradiò nell'oscurità intorno a Galadar quando ad Axsa sovvenne la soluzione.
Era così ovvio, così semplice, che si diede dell'idiota per non averci pensato subito.
Lo spirito della vita aveva fatto materializzare il suo flauto e si stava guardando intorno spaventato, forse perché era stato colto di sorpresa dall'illuminazione dell'elfa oscura. Lei lo derise, infatti, e si affrettò a renderlo partecipe.
«Su Endel c'è già qualcuno che scommetto farebbe qualsiasi cosa pur di tornare sul piano degli spiriti.»
Galadar s'irrigidì, le dita strette intorno allo strumento e il volto esterrefatto. «Non puoi dire sul serio.»
Eccola di nuovo, quell'eccitazione nociva che accecava ogni altra sensazione nell'emissaria di Varodil, diventando totalizzante al punto da farle crede di essere invincibile.
«Conto su di te.»
Axsa ignorò la protesta dello spirito e si congedò con quell'affermazione piena d'aspettative. Riaprì gli occhi mentre lui le gridava di aspettare, ma ormai aveva deciso e non si sarebbe lasciata spaventare dalla pericolosità della sua idea.
Anche l'elfa tornò a guardare il giardino di Deladan e non doveva aver capito quell'ultimo scambio tra lei e Galadar, poiché parlò interrogativa. «Che cosa intendi? Perché sei scappata?»
Fu ridendo sorniona che Axsa le rispose, afferrandole le mani in modo più saldo per timore che potesse abbandonarla.
«Eatiel, che ne dici se adesso tu e io andiamo a fare una gita nell'arcipelago del caduto? Spero che l'idea di cenare tra i non-morti non ti disgusti, perché mi è venuta un improvviso desiderio di andare a trovare Celenwe.»
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