1. Sono solo ricordi
Axsa si risvegliò in modo non troppo piacevole, poiché qualcuno le aveva appena percosso la pancia. Tossì e, aprendo gli occhi all'improvviso, venne travolta dalla luce del giorno che le ferì la vista; era rannicchiata in posizione fetale sulla pietra del porto e il cappuccio le era scivolato giù dalla testa, permettendo agli orribili raggi solari di colpirla in viso senza impedimenti.
«Levati dalla strada, pezzente!»
Con la testa impallonata e le palpebre strette, ci mise qualche istante a comprendere che il colpo appena ricevuto doveva essere giunto da un passante che aveva incespicato in lei, vista la posizione in cui era svenuta.
Imprecando a denti stretti, si tirò su il cappuccio e riuscì ad alzarsi e raggiungere il muro ligneo di un edificio in modo da riordinare i pensieri. La gente intorno a lei non pareva aver notato il suo aspetto, troppo impegnata a chiedersi cosa fosse appena piombato giù dal cielo. Le voci si accavallavano e Axsa non faceva altro che ansimare e fissare gl'innumerevoli piedi che le passavano davanti con andature differenti.
Immagini dal passato la travolsero come un fiume in piena, i ricordi di due secoli di vita passati a ribellarsi dall'essere schiava degli eventi. Le parole di Varodil, di Meg'golun e di Zellania le riempivano la mente e neanche si accorse che si stava mordendo le labbra al punto da farle sanguinare, tanto era agitata.
Non aveva più scampo, non aveva più scuse per evitare di entrare a combattere in quella guerra che non voleva. Il corpo carbonizzato del nano prese il posto delle memorie e non se ne andò nemmeno tappandosi gli occhi coi piccoli palmi, anzi, nell'oscurità le fiamme nere erano più vivide.
Varodil sarebbe mai arrivato a consumarla come aveva fatto lo spirito del caos col suo emissario? E cosa sarebbe successo se Zellania fosse davvero riuscita a prendere la lacrima e liberare Celenwe dalla sua prigione?
Sebbene poco le importasse della sorte di Endel, Axsa ancora ci viveva su quel dannato pianeta e l'idea di ritrovarlo da un giorno all'altro straripante di orde di non-morti non l'allettava più di tanto. Per quanto aborrisse la situazione, l'elfa oscura non aveva scelta e doveva sbrigarsi, poiché era certa che Zellania ed Eatiel non avrebbero perso tempo.
La lacrima era caduta a est, nei monti Nargundush, quindi la prima cosa da fare era rubare un pony per poter percorrere il più celermente possibile l'enorme distesa pianeggiante che separava la capitale di Rosendale dalla catena montuosa. Era in quei momenti che Axsa invidiava le capacità di Alerdhil, visto che teletrasportarsi sarebbe stato di gran lunga più comodo; tuttavia, nonostante lei fosse una delle incantatrici più talentuose e con maggior esperienza di Endel, la grande maggioranza degli incantesimi non le erano mai riusciti. Forse era Varodil a scegliere in che misura il potere arcano potesse manifestarsi in ogni mortale e di certo avrebbe potuto essere un po' più generoso con lei.
Bah, che si fottesse! Axsa se l'era sempre cavata col suo limitato repertorio d'incantesimi; non aveva bisogno di un teletrasporto per arrivare alla lacrima prima delle altre.
Il sole le risultava fastidioso, limitandole la vista in modo considerevole, ma per fortuna le bastò compiere pochi metri nella strada antistante i moli per raggiungere le stalle del porto di Lebrook. Giunta alla porta, però, il suo corpo si bloccò da solo.
Tra le persone scosse o impaurite, c'era qualcosa, o meglio, c'era qualcuno appena uscito a cavallo con intorno un'aura magica che l'attirò, prepotente.
«Allan, muoviti!»
La voce inquieta di un uomo parve esortarne un altro e quello sbuffò, spronando il cavallo senza usare parole. Era dunque quell'Allan ad attrarla? Aveva addosso un potere incredibile... sì, sulla sua schiena! Brillava, magnifico e irresistibile.
Axsa portò le mani sulla fronte in un vano tentativo di proteggersi dai raggi del mezzogiorno, ma riuscì a scorgere solo le offuscate sagome di tre cavalli che si allontanavano sulla via verso sud. Ringhiò, innervosita, perché non capire cosa cazzo le succedesse attorno non le era mai piaciuto e dovette costringersi a entrare nelle stalle per tornare concentrata sul suo obiettivo. Il suolo era lo stesso del porto, ma paglia secca giaceva un po' ovunque e le sottili pareti di legno circondavano un ambiente ampio con parecchi scompartimenti dove tenere gli animali.
Axsa si addentrò e ricercò uno spazio dove la luce non filtrasse dalle finestre in modo da abituare un minimo gli occhi e poter guardare se ci fosse un qualche equino che facesse al caso suo. Lebrook era la città più grande di Rosendale ed erano parecchie le razze di bassa statura che ogni giorno vi sbarcavano, quindi non si stupì nel trovare ben tre pony legati e in attesa di essere noleggiati.
L'elfa oscura, però, non aveva alcuna intenzione di pagare per averli.
«Posso esservi utile?»
I contorni degli oggetti erano ancora offuscati, ma lei sarebbe dovuta uscire alla luce subito, quindi non aveva senso abituarsi alla penombra di quello spazio chiuso e non le serviva vedere bene ciò che la circondava per rubare uno stupido cavallo.
A parlarle era stato un giovane uomo e ne percepì un altro affaccendato accanto a uno degli animali. Axsa indicò i pony,
«Sellatemi uno di quelli, devo partire subito.»
Modulò il tono per nascondere il più possibile il timbro infantile e lo stalliere dai contorni indefiniti annuì.
«Certo, signora gnoma! Sono cinque Zuli d'argento qui e altri cinque alle stalle della città dove vi fermerete.»
Axsa mugugnò, grata del fatto che l'ignoranza degli umani l'aiutasse sempre nella sua copertura anche se si era dimenticata di camuffare la pelle per farla apparire più chiara.
Il ragazzo si mise a prepararle la cavalcatura, in faccia un sorriso insopportabile.
«Avete visto? È caduta una stella dal cielo e poi boom, si è schiantata! Oh, io non avevo mai sentito sulla mia pelle un terremoto! Che paura! Cosa sarà successo? E se fosse un attacco di qualcuno?»
«E taci un po'! Ai clienti non interessano i tuoi sproloqui.»
L'altra persona nella stalla, forse un vecchio a giudicare dalla voce gracchiante, interruppe le domande retoriche del giovane con tono burbero, poi si avvicinò alla bambina e le porse un palmo aperto.
«Il pony è pronto, gnoma. Il pagamento.»
Axsa indirizzò lo sguardo allo stalliere che stava avanzando tenendo l'animale per le briglie, poi si lasciò sfuggire un sorrisino ambiguo e, senza neanche rispondere all'uomo, condensò la magia in quel modo che ormai le risultava semplice quanto respirare. Bloccò il tempo nella stalla e in tutta quell'area del porto, poi levitò fino a salire in sella alla bestia che aveva lasciato fuori dall'influenza del suo incantesimo; il pony aveva sul collo una runa magica che lo identificava come proprietà del regno di Rosendale e per Axsa non fu difficile dissolverla, diventando così l'effettiva proprietaria.
Lo incitò a partire e uscì dalle stalle col tamburellare ritmico degli zoccoli a frapporsi al glaciale silenzio che accompagnava le sue stasi. Sarebbe stato un viaggio lungo e tedioso, ma aveva qualche razione nella borsa e conosceva bene la posizione dei villaggi delle pianure di Rosendale, grazie ai quali avrebbe potuto rifornirsi e ottenere informazioni sul luogo preciso dove si era schiantata la lacrima; sì, in meno di una settimana avrebbe raggiunto le montagne e messo fine a quella follia.
Arrivò a Gila nel pomeriggio del settimo giorno, stanca e provata. Aveva spronato il pony fino a spolparlo di ogni energia, riposando solo quando percepiva che l'animale non avrebbe retto oltre. Aveva preferito cavalcare sia di giorno che di notte, facendo tante piccole pause per evitare di assopirsi in soste più lunghe.
Quando aveva ormai quasi raggiunto i monti e Gila era a pochi chilometri, aveva chiesto l'ultimo sforzo all'animale, ma una settimana di corse sfiancanti lo avevano portato allo sfinimento: era morto, dopo essere inciampato in chissà cosa e averla disarcionata. Quella fretta le aveva donato un braccio rotto e parecchie escoriazioni, eliminate poco dopo grazie al potere del tempo e parecchie bestemmie agli spiriti.
Gila era una cittadina che si ergeva a ridosso del fianco della montagna; popolata per lo più da umani e nani, i pochi edifici squadrati erano stati costruiti con pietra grezza e campava poiché da lì passava la principale strada montana che permetteva di raggiungere l'altro versante senza passare per la foresta di Beofild.
Axsa si premurò di camuffare il suo aspetto, ottenendo una pelle chiara e capelli biondi, prima di addentrarsi per le strette viuzze in terra battuta. Raggiunse in fretta una delle poche taverne e ordinò una birra nanica, poi aguzzò le orecchie a punta, ben nascoste sotto al cappuccio nero, ascoltando i discorsi degli avventori intanto che la vista si abituava alla luce pomeridiana che filtrava dalle finestre quadrate scavate nella pietra delle pareti.
Non c'era un tavolo a misura di gnomi, quindi dovette accomodarsi a una panca normale, accettando la cordialità della cameriera che le portò un blocco di legno scuro come rialzo da mettere sotto al sedere. Il boccale che le misero davanti era davvero grosso e la bevanda di ottima qualità, ma Axsa si limitò a qualche sorso solo per non destare sospetti, anche perché una tale quantità di liquido alcolico avrebbe fatto perdere lucidità al suo corpo da bambina.
L'odore balsamico della birra si mischiò a quello acre di un gruppo di nani dietro di lei in un connubio tutt'altro che piacevole. Le persone parlavano di futilità, delle loro giornate, di stronzate di nessun interesse e l'elfa oscura fu sul punto di perdere la pazienza, quando finalmente un discorso al tavolo accanto al suo l'accese di speranza.
«La palla di fuoco blu ha fatto collassare praticamente tutti gli ingressi alle miniere, non sarà facile per voi infiltrarvi.»
«Quei mostri schifosi saranno debilitati, non possiamo lasciarci sfuggire un'occasione del genere!»
«Già, magari quell'affare piombato giù dal cielo ne ha anche spappolati un bel po'!»
Axsa girò appena la testa per guardare nella direzione di quelle voci e scorse due umani dal fisico massiccio con spade lunghe alla cintura e armature di cuoio su abiti grigi da viaggio. Si somigliavano molto, entrambi con lisci capelli scuri piuttosto unticci lunghi fino alle spalle, una barba incolta, mascelle squadrate e sottili occhi verdi. Gemelli, senza dubbio, anche se chiunque avrebbe potuto riconoscere le loro identità, visto che uno dei due aveva una vecchia cicatrice biancastra che gli tagliava in due il viso dalla parte sinistra della fronte fino alla guancia destra.
Stavano parlando con la cameriera gentile che, poggiato un piatto di stufato davanti a ognuno, si era fermata ad ascoltarli con le mani ai fianchi e un'espressione dubbiosa nel viso grassoccio.
«Con i goblin non c'è da scherzare. Adesso che i minatori sono fuggiti a causa dei crolli, è possibile si siano spinti più in superficie.»
L'uomo con la cicatrice rise.
«È proprio questo il punto, Terry. Vogliamo davvero che quelle bestie immonde invadano i nostri territori?»
Axsa seguì quei discorsi con le labbra strette tra i denti e i muscoli in fermento. La lacrima doveva essere caduta in delle miniere poco distanti, quindi, ma a quanto sembrava era anche il territorio di chissà quanti goblin. Quei due guerrieri parevano baldanzosi, molto sicuri delle loro capacità, quindi la bambina lasciò che una piccola idea prendesse forma nella sua mente proprio mentre il proprietario della taverna si affiancava alla cameriera.
L'uomo tirò una forte pacca sulla spalla del gemello senza cicatrici.
«Intento nobile, il vostro, ma non mi pare che ci siano taglie sulla testa di quei goblin. Fareste una missione così rischiosa senza guadagnarci nulla?»
Axsa assottigliò le palpebre nel notare l'entusiasmo scemare dagli sguardi dei due guerrieri e capì di dover intervenire, se davvero voleva attuare il suo nuovo piano.
«Pagherò io la spedizione.»
Quel dialogo doveva aver attirato l'attenzione di tutti i presenti nel locale, poiché non furono solo quattro le persone a voltarsi verso di lei, quando parlò.
Come al solito, la bambina permetteva agli altri di vederle la faccia solo dal naso in giù e mantenne le labbra serrate in un'espressione neutra quando il taverniere incrociò le braccia al petto e s'intromise.
«Perché mai una gnoma straniera dovrebbe interessarsi dei goblin che minacciano la gente sotto la montagna?»
Che immenso fastidio.
Axsa sentì le dita formicolare per il desiderio di donare qualche anno in più a quell'umano ficcanaso, ma sarebbe stato a dir poco controproducente, quindi sfogò la collera in una risata sorniona e alzò le spalle.
«Non me ne frega niente, infatti. Ho bisogno che qualcuno mi accompagni nelle miniere.»
Aveva riflettuto prima di esporsi in quel modo ed era giunta alla conclusione che portarsi dietro due umani addestrati nelle armi non le avrebbe fatto schifo. Non erano tanto i goblin a impensierirla, dato il loro essere talmente stupidi che le sarebbe bastata un'ostentazione di potere per assoggettarli senza fatica, ma coi due umani avrebbe avuto degli alleati nel caso in cui Eatiel o Zellania avessero provato a metterle i bastoni tra le ruote. Tra l'altro, a pensarci, se qualcosa fosse andato storto avrebbe potuto usarli come carne da macello.
Il guerriero sfregiato alzò un sopracciglio e si girò sulla panca in modo da essere dritto davanti a lei, poi abbassò il tono.
«Addentrarsi in territori ostili è molto pericoloso. Io e mio fratello ci siamo sì fatti un nome come cacciatori di taglie e sterminatori di goblin, ma non possiamo garantire l'incolumità di un'accompagnatrice tanto, be'...»
Si bloccò alzando le iridi al soffitto, visibilmente a disagio.
Oh, che tenerezza! Quell'insulso umano si era trattenuto dall'insultarla? Dal definirla debole, forse? Che cordiale, peccato Axsa sapesse benissimo che le stavano mostrando un tale riguardo giusto perché si era offerta di pagare. Gli umani erano così, in fondo: vili approfittatori.
L'elfa oscura racimolò aria dalle narici, poi lasciò che la consueta luce violetta si sprigionasse dalle sue membra e prese a fluttuare tra i versi di sorpresa dei presenti. Con lentezza, raggiunse il tavolo dei guerrieri e poggiò le suole degli stivaletti proprio nel mezzo, tra i due gemelli che la stavano fissando a bocca aperta.
«Credetemi, non avrete alcun bisogno di difendermi.»
Senza lasciare spazio per una risposta, l'elfa oscura estrasse un sacchetto di cuoio dalla borsa da cintura e lo lasciò cadere sul tavolo; gongolò, compiaciuta, quando alcuni degli Zuli d'oro in esso contenuti rotolarono sul legno con quel vivace tintinnio capace di far cambiare idea a chiunque. Axsa era solita rubare ciò che le serviva, quindi conservava da parecchio quelle monete, sottratte anni prima a uno schiavista di Nortin che aveva avuto la sfortuna d'incrociare il suo cammino; infine, aveva trovato il momento giusto per utilizzarle.
I gemelli si chiamavano Deren e Deret, che fantasia, ma Axsa non aveva avuto alcuna voglia d'impegnarsi per ricordare a chi dei due appartenesse l'uno o l'altro nome. Dopo aver cenato ed essersi riposati qualche ora, la piccola elfa oscura aveva insistito per partire col favore delle tenebre.
A nulla erano valse le proteste dei cacciatori, i loro vaneggiamenti sulla natura notturna dei goblin: la fretta di Axsa si era innalzata in modo indescrivibile dopo aver scorto mentalmente la posizione delle altre due emissarie.
Le immagini che le sovvennero erano state offuscate, ma aveva capito che Eatiel si trovava vicinissima a Gila e la negromante pareva circondata da una patina rossastra. La bambina non aveva capito dove Zellania fosse, ma si muoveva velocissima in quella direzione.
Dopo più di tre ore di cammino costeggiando i monti verso nord, il trio aveva raggiunto un minuscolo villaggio di minatori, già quasi del tutto addormentato. Senza perdere ulteriori minuti preziosi, Axsa aveva insistito per farsi accompagnare alla bocca principale delle miniere, l'unica a essere rimasta intatta dopo la caduta della lacrima.
E ora l'elfa oscura era proprio lì, davanti a quell'apertura verso l'interno della montagna, verso quei passaggi che tanto le ricordarono i cunicoli della sua giovinezza.
Quanto era passato? Quanto dall'ultima volta che aveva messo piede nel sottosuolo?
Abbassando il capo coi pugni serrati, l'udito di Axsa venne invaso del leggero suono dei suoi stessi denti che battevano tra loro, poiché il mento aveva preso a tremarle senza controllo.
Centottant'anni, ecco quanto. Esattamente centottanta dal suo arrivo in superficie, dal suo fingersi chi in realtà non era, pallida imitazione di un essere vivente in un'esistenza sprecata a fuggire da quelli della sua razza, dagli elfi, dagli spiriti e da sé stessa.
Centottant'anni... ne aveva mai vissuto veramente anche solo uno?
No, lei era maledetta, bloccata, incatenata all'eterna fanciullezza e gli anni le sfuggivano tra le dita, colpendo chi le stava vicino, ma non lei...
Mai lei.
Lei che poteva giocare col tempo di chiunque, ma non il suo, perché quello apparteneva a Varodil.
Strinse la mascella tanto forte da avvertire dolore e gli occhi cominciarono a bruciarle, mentre con le unghie si feriva i palmi delle mani, ancora chiuse e abbandonate lungo i fianchi.
Avrebbe preso quella fottutissima lacrima; l'avrebbe presa e l'avrebbe usata per spezzare la maledizione, ma prima ne avrebbe sfruttato il potere per ottenere la sua vendetta. Non era certa di poter far qualcosa per ferire gli spiriti, ma cosa sarebbe successo se fosse andata a fare un saluto alla sua vecchia città sotterranea?
L'avrebbero ancora trattata come un'indegna? L'avrebbero ancora chiamata yibin? Avrebbero ancora riso, nel veder bruciare le loro case invece che quella degli Inthuulurl?
«Axsa, tutto bene?»
La seccante voce di uno dei fratelli la fece sobbalzare appena e non si trattenne: ringhiò.
«Fatevi i cazzi vostri.» Si riscosse subito, però, e rilassò i muscoli tesi, sospirando a mezza voce prima d'incamminarsi nelle miniere. «Sono solo ricordi.»
Entrare in quei passaggi scavati nella roccia accentuò la stretta che sentiva intorno al cuore, ma la sensazione si perse in fretta, sostituita da un'altra ben più pesante. Non c'erano dubbi che quello fosse il posto giusto, poiché Axsa percepiva una forza impalpabile attirarla verso l'interno; percorse i cunicoli svoltando sicura ai bivi, conscia che non avrebbe mai potuto sbagliare la strada.
I bui passaggi, rischiarati dalle ondeggianti fiamme delle torce dei gemelli alle sue spalle, erano polverosi e spogli di vita. S'imbatterono in secchi vuoti o con del minerale nero, picconi abbandonati e persino scie di sangue raffermo dov'era evidente che c'era stato un crollo. Più volte Axsa avrebbe voluto seguire una via che però risultava ostruita dalle rocce e quindi era stata costretta a prendere una diramazione sbagliata per ricongiungersi in seguito a quella corretta nel dedalo di corridoi spigolosi.
Raggiunsero persino un passaggio che doveva essere prerogativa dei minatori di razza nanica, poiché la parte superiore era davvero bassa e aveva costretto i due umani a incedere con la schiena piegata.
Più avanzavano e più l'aria si faceva fredda, stantia, portando con sé odori acri che l'elfa oscura non riconobbe, non subito.
«Spegnete le torce.»
Bisbigliò, fermandosi e chiudendo le palpebre per potersi concentrare meglio sui flebili suoni che sentiva giungere da davanti.
«Come? Senza luce non potremo vedere nulla e i goblin saranno in vantag-»
Axsa sibilò per zittire l'idiota che aveva parlato con tono troppo alto e girò la testa per fulminarlo con le sue iridi viola prive di pupilla, fregandosene che potesse scorgere l'interezza della sua faccia e capire che in realtà era una bambina: ormai, erano in quelle miniere con lei e non sarebbero potuti andare da nessuna parte.
«Spegnete quelle fottute fiamme, adesso. Attaccandovi a me, non avrete bisogno di vedere.»
«Cosa?»
Quegli inutili umani parevano indecisi tra l'incredulo e lo spaventato, così Axsa optò per dar loro il colpo di grazia e sciogliere l'illusione, facendo tornare la pelle grigiastra e i capelli candidi, anche se era visibile solo una ciocca che, sfuggita dalla coda, spuntava sull'esile petto da sotto al cappuccio. Era probabile che quel mutamento non avrebbe loro detto nulla, ma quello con la cicatrice si decise a far morire il fuoco, dopo averla scrutata con le palpebre assottigliate.
«Non sei una gnoma, vero?»
Il fratello boccheggiò, cercando parole che non gli sovvennero, e l'elfa oscura emise un versetto canzonatorio.
«Fammi indovinare, tu sei quello intelligente?»
Lo sfregiato ringhiò, allargando le narici, ma spense anche la torcia del fratello e le poggiò una mano sulla spalla, abbassandosi.
«Fai strada, allora.»
La bambina sorrise, grata che avessero scelto di fidarsi di lei senza rompere troppo, poi avanzò con lentezza per evitare che gl'inetti dietro di lei inciampassero. Guidata dall'odore e dal vociare sempre più forte, li condusse lungo un cunicolo lungo e stretto fino a quando una biforcazione non rese evidente anche a loro che i piccoli mostri verdi dalle orecchie appuntite e i denti aguzzi si trovavano giusto dietro a una svolta ricurva, poiché l'oscurità venne ammorbidita dai bagliori di quello che doveva essere un fuoco da campo.
Sentì il cacciatore che si stava tenendo a lei farsi più rigido e lo udì estrarre la spada, ma bloccò i suoi movimenti, portando un indice davanti alle labbra per imporre l'assoluto silenzio.
I goblin stavano parlottando nella loro lingua e, sporgendosi appena dalla parete che li stava nascondendo, Axsa deglutì; in un grosso spiazzo quasi circolare scavato nella roccia c'erano così tanti goblin che contarli le fu impossibile. Stavano seduti a gruppetti e parlottavano chi mangiando, chi affilando delle piccole lame scure. L'illuminazione proveniva da un singolo falò e donava delle ombre che rendevano grotteschi i già pessimi lineamenti di quelle creaturine inferiori.
Tornando nascosta assieme ai cacciatori, Axsa s'impose la calma per poter riflettere. Se fosse uscita allo scoperto e avesse provato a convincerli, mostrando le sue arti arcane, non era sicura che quelli avrebbero ceduto, dato il loro considerevole numero; tra l'altro, non parlava la loro lingua e non poteva essere certa che quelli capissero il linguaggio comune degli umani o quello oscuro del sottosuolo.
Un'altra alternativa era provare a superarli bloccando il tempo, ma non avrebbero potuto ucciderli e, se malauguratamente i gemelli non le avessero obbedito e avessero versato del sangue durante una stasi, Axsa avrebbe dovuto vedersela con la furia di Ilimroth.
No, dopo ciò a cui aveva assistito sotto al mantello di Alanmaeth, l'emissaria non aveva alcuna voglia di incorrere nelle ire della morte.
«Non ne ho mai visti così tanti. Cosa facciamo?»
Il flebile sussurro di uno degli uomini la riscosse e lei s'innervosì, irrigidendosi. Afferrò la mano di uno dei due e tornò sui suoi passi di qualche metro, verso un anfratto semi celato dietro a della roccia crollata.
«Devo pensare.»
Il nascondiglio riuscì a ospitare tutti e tre e gli umani si sedettero accanto a lei nell'oscurità, tesi.
Passarono minuti lunghissimi in cui ogni soluzione le pareva troppo rischiosa o inutile. Infine arrivò alla conclusione che avrebbe solo dovuto aspettare che quei mostri verdi se ne andassero verso la superficie, visto che parevano intenzionati ad attaccare e a lei non fregava niente di quello che avrebbero potuto fare o non fare alla gente che viveva lì vicino.
Si premurò di non avvertire i gemelli della soluzione a cui era giunta e, anzi, creò una piccolissima luce magica in modo che loro potessero vedere, poi li spronò a mangiare qualcosa per rifocillarsi ed essere pronti all'imminente scontro. Deret, quello che ormai aveva capito essere il gemello non sfregiato, ipotizzò di tornare indietro, ma lei lo rassicurò, mentendo con garbo nell'affermare che la sua magia avrebbe potuto sovrastare i nemici con facilità, una volta che sarebbero passati dal cunicolo davanti a loro.
Il tempo trascorse con lentezza e Axsa dovette combattere per non assopirsi, fino a quando nuovi suoni sferzarono la quiete, ma fu presto evidente che non provenissero dai goblin. Dalla strada che loro stessi avevano percorso per arrivare fino a lì, infatti, sopraggiunsero i rumori di innumerevoli passi strascicati e ben presto fu evidente anche un terrificante olezzo di morte.
Quando i suoni li raggiunsero, l'elfa oscura scrutò da una fessura tra le rocce crollate e dovette contenersi parecchio per trattenere una lunga sequela d'imprecazioni, dato che un'orda di nani e umani diversamente vivi stava incedendo verso la posizione dei goblin, ciondolando con dei picconi tra le dita cadaveriche.
Stringendo i piccoli pugni contro alla roccia, Axsa maledisse la sua troppa accortezza nel decidere di attendere così a lungo.
Infine, Zellania era arrivata.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top