Avevo sette anni - Capitolo 6
Quando, dopo qualche minuto, sposto il cuscino, quel donnone è tornato.
Il suo volto stravolto, sudato, la lingua tutta di fuori, ancora bianchiccia di saliva, gli occhi che quasi schizzano fuori dalle orbite.
Ho avuto solo in quel momento la certezza assoluta che tutto ciò che in questi anni avevo covato dentro, senza condividerlo con nessuno, era la più assoluta, cristallina, verità.
Anche Claudia, come sospettavo, è morta molto tempo fa.
Il donnone aveva preso anche lei.
L'aveva ammazzata ed era entrata nel suo corpo, possedendolo, impossessandosi di un cadavere e mantenendolo in vita grazie ai continui accoppiamenti cui lo costringeva.
Anche il minimo dubbio questa volta è fugato.
Quel donnone mi perseguita.
E continuerà a farlo.
Sento ancora la sua puzza nell'aria, come quel giorno. E' uscita da Claudia assieme alla sua urina, agli umori, a tutta quella poltiglia di feci che ha sparso sul materasso assieme all'ultimo rantolo che se ne andava via.
Fisso ancora la parete bianca di fronte a me, ancora in ginocchio sul letto, faccia al muro. La camicia e la giacca ancora indosso mi coprono il tronco, lasciano scoperto il pisello ancora tutto rosso, gonfio d'una rabbia che è assieme grandissima felicità.
Ho solo le cosce scoperte. E i pantaloni sotto il ginocchio, appallottolati, che mi fasciano stretti i polpacci.
Sul muro, lì davanti, ancora le immagini di tanti anni fa; il dopo!
Qui il mondo si ferma, il tempo è cristallizzato nell'immagine finale, col donnone stramazzato ancora nel sonno dai colpi violenti che le sferrai in testa con il batticarne preso in cucina.
Se voglio rivedere la scena, qui posso andare solo in rewind.
E l'immagine è confusa, troppo rapida perché ogni azione si colga con la nitidezza necessaria.
Le manine che impugnano il batticarne,
Nel buio, il piatto spesso d'acciaio che svolazza qua e là. Scintillando riflessi di metallo e sangue. Urla.
Il rosso che schizza, zampilla, fiotti densi di roba che si spandono qua e là.
Un corpo che si muove imprigionato in un lenzuolo che sarà sudario.
La tempia che cede al primo colpo, violento, feroce.
Il mio volto, il labbro inferiore stretto tra i dentini, ancora con la finestrella al centro, in attesa di un rimpiazzo piuttosto lento a venire.
Passi sicuri, silenziosi, lentissimi verso la camera da letto.
Una manina che cerca l'arma migliore per uccidere il donnone.
Un bambino che attende, nel buio di un armadio, che il verme ossuto si sia allontanato da casa, abbia richiuso la porta alle sue spalle.
Una bambino che non sa darsi pace.
Il riavvolgimento del nastro della memoria si ferma su quel dettaglio: il volto di un bambino di sette anni che non sa darsi pace.
Da quando papà era andato via avevamo vissuto sempre assieme.
Mi avevi portato nel tuo lettone, mi avevi accolto lì, in quel regno che prima di allora era sacro, quasi inviolabile.
Mi avevi detto che ero l'uomo di casa, il tuo piccolo ometto.
Finché quel donnone orrendo, quella squallida figura che non è neppure una donna, non ti ha ucciso, non è entrata in te dalla bocca, gonfiando a forza le tue guance, riempiendoti, facendosi strada con le mani nella tua gola, tendendola fin quasi a stracciarla.
Quel donnone che per questo merita la morte.
Tu eri mia!
**Nota dell'autore.
Se la lettura è stata una esperienza vera e viva, se hai sentito inquietudine...
Se leggendo sei stato o stata male, perchè questa storia d'amore è riuscita a comunicarti orrore, allora, magari, potresti aver voglia di consigliarla. Mettendola nelle tue liste di lettura per restare aggiornato oppure facendo un po' di passaparola. Potresti aver voglia di farmi sapere che ti è piaciuta regalandomi una stellina. Oppure anche solo un commento.
Grazie mille del tempo che mi hai regalato. E scusa, davvero, se questo amore si è rivelato un orrore diverso da quello che ti aspettavi.
Grazie anche e soprattutto allo staff di @HorrorIT per l'inconsapevole stimolo a recuperare queste due vecchie storie.
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