La principessa nel limbo


Capitolo venti

La principessa nel limbo


Sia benedetto Luke Porter.

Un giorno o l'altro dovrò fare una statua a quel ragazzo. Una statua in oro massiccio con cui lui potrà vantarsi con i suoi amici e per fare bella figura con il genere femminile. Nessuno meriterebbe una statua d'oro quanto Luke Porter. Credo che sia l'unico in questo mondo in grado di calmare sua sorella anche quando è fuori di sé dalla rabbia.

Sono sempre stati così, loro due. Sin dalla prima volta che li ho conosciuti, quando il nostro rapporto non era dei migliori. Sasha arrivò al nostro liceo, quattro anni fa, più furiosa che mai. Pienamente consapevole di non star rispettando le regole che io e i miei fratelli dettavamo sulla scuola, andava in giro per i corridoi a passo fiero e sicuro, più che orgogliosa di ferirci e di ignorare i nostri avvertimenti. Una stronza sin dalla nascita.

Ma con Luke... con Luke è sempre stata diversa. Immagino che questo sia uno dei tanti motivi che ha portato Aaron a innamorarsi di lei. Per quanto strano possa sembrare, non ho mai conosciuto una ragazza più aperta mentalmente di Sasha. E so che questo, molto probabilmente, è dovuto alla sindrome di Down con cui è nato Luke, una sindrome che non compromette così tanto la vita di questo ragazzo così buono, ma che sembra esser motivo di disprezzo e disgusto da parte delle altre persone.

Se Sasha Porter è la tempesta, allora Luke è il vento che la calma. Se Sasha è l'oscurità, Luke è la luce che rischiara la sua ombra. Sono nati per stare insieme, si sono accuditi prima ancora della morte della madre, quattro anni fa, come una famiglia inseparabile che avrebbe si sarebbe sostenuta.

Ma se c'è una qualità che apprezzo di Luke sopra tutte le altre, oltre alla sua bontà d'animo e la sua innocenza, è l'incredibile sorriso che mostra a tutti e che è l'unico in grado di acquietare l'animo turbolento della sorella. Anche oggi, quando è tornato dal bagno con Francine per mettere le garze alla mano di Sasha, non appena l'ha vista così furibonda si è subito preoccupato di riportare la quiete all'interno della casa di Aaron.

Ora lui è seduto sul divano in pelle nera del salone, con sua sorella, e stanno ridendo insieme per fare il gioco del mimo. Sasha gli mostra la sua faccia estatica da "ho appena finito di mangiare un panino al salame" e Luke la sua da "la vita è meravigliosamente meravigliosa". 

Seduta sulla poltrona accanto a loro, non riesco a fare a meno di sorridere nel vederli. Porto la tazza di caffè che Aaron ha preparato a tutti noi alle mie labbra e sorseggio il caldo liquido mentre osservo i fratelli Porter prendersi in giro e divertirsi, felici l'uno della presenza dell'altra e viceversa.

«Sai, Sasha, la scorsa settimana Erick mi ha detto che mi porterà a pesca con il suo papà.»

«Erick?» sollevo un sopracciglio, sorpresa, e il sorriso di Luke si fa ancora più grande e luminoso.

«Sì, sì, Erick Bayler, è un mio amico, Sophie. Ha detto che vuole diventare mio amico. E' venuto a casa mia e ha giocato insieme a me e a zio Brooke e zia Teresa, e mi ha detto che lui va sempre a pescare con il papà durante il fine settimana e mi ha invitato. Mi piace molto Erick.»

«Ah!» Bill, in piedi accanto a me, schiocca la sua lingua, ignorando la presa ferrea che Francine ha sul suo braccio. «Hai un rivale, pazzoide.»

«Nah» Sasha storce il naso mentre con accuratezza analizza il nodo della cravatta di Luke. «Io sarò per sempre la tua preferita, non è così, Campione?»

Il sorriso di Luke ora è così luminoso da accecarmi. «Sì, Sasha è la mia principessa. E io sono il suo Principe Azzurro. Mi dispiace, Aaron.»

Aaron ci raggiunge a passo lento con due tazze di caffè in mano, la camicia bianca stirata sta divinamente sul suo corpo alto e scolpito. E il suo volto, di solito così inespressivo, mostra una sincera comprensione alla vista della sua ragazza e del suo futuro cognato insieme. Le sue labbra si sollevano lentamente verso l'alto mentre porge uno dei due bricchi a Bill. «Non è un problema, Campione, ho sempre saputo di non avere possibilità di vittoria contro di te.»

«Hihihihihi. Siete così carini, Sashà e Lukè.»

Qualcuno la fermi, vi prego. Non riesco più a tollerare questa risatina da cavalla, lo giuro. Penetra nel mio cervello come un trapano e brucia quei pochi neuroni che mi sono rimasti. Il volto di Sasha si rabbuia non appena la sente, quello di Bill sbianca in uno nanosecondo, mentre Papillon solleva il capo dai miei piedi per iniziare a ringhiare irritato contro la figura snella della francese. 

«Mon dieu, che bel cagnolino!» Le labbra rosse di Francine si aprono di gioia nello scrutare attentamente la figura sbavosa e tremolante della bestia di Satana. «Come ti chiami? Papillon! Giusto! Papillon! Che bel nome, Papillon! Mi ricorda molto la mia terra natia. Ah, come mi manca la Francia!»

Potresti sempre ritornarci, donna che non tollera i dolci.

«E' bella la Francia, Francine?» è la casta domanda di Luke, come al solito incredibilmente entusiasta per la novità di una nuova arrivata nella nostra stramba famiglia. 

«Un bijou» conferma Francine con un altro sorriso, mentre si sporge per accarezzare Papillon.

«E' una pessima idea, farlo, Francine» per quanto non mi piaccia, questa ragazza, farla aggredire dal mio cane mi sembra davvero una pessima idea, considerata la tensione del momento.

«E' una meravigliosa idea» interviene prontamente Sasha «Francine, ora che ci penso quella bestia di Satana non ha ancora fatto la sua passeggiata, perché non la porti tu?»

So benissimo qual è il suo piano, mandare Francine fuori con Papillon nella speranza che quest'ultimo la traumatizzi talmente tanto da non voler più a che fare con Bill. Un'idea geniale, non lo nego. Avrei dovuto farmela venire in mente. «Mi piacerebbe tanto» con un sospiro, ritira la mano e se la passa fra i lucidi capelli corvini «ma devo incontrarmi con un'amica, fra poco. E' del luogo, e non la vedo da tanto tempo.»

Amica di Francine, chiunque tu sia, ti benedico dal profondo. Persino Aaron sembra visibilmente sollevato all'idea di non dover più avere a che fare con lei, sono piuttosto sicura che abbia rimandato il momento della proposta nella speranza che lei scomparisse all'improvviso e si dissolvesse nel nulla. «Ma prima!» Francine batte le mani con entusiasmo, per poi rivolgere a me il suo sguardo limpido e sincero. All'improvviso un brivido di terrore attraversa la mia schiena non appena scorgo una luce di divertimento e gioia attraversare i suoi occhi chiari. «Bill mi ha detto una cosa che mi ha lasciata stupefatta, Sophiè

Per poco il caffè non rischia di andarmi di traverso, lancio un'occhiataccia a Bill, che, in risposta, si limita a stringersi nelle spalle e a ignorare la mia ira. «Oh, ehm, riguardo a cosa?»

«Non riesco ancora a credere che una maginifique ragazza come te sia single!» Il suo tono di voce è acuto e terribilmente irritante mentre si sporge in avanti per potermi guardare negli occhi. Ignora del tutto i graffi che Papillon sta facendo alle sue gambe nude nel tentativo di cacciarla dal suo spazio personale. 

Mi sforzo di sorridere, ma è davvero un'impresa. C'è un qualcosa di estremamente snervante nel modo in cui mi sta guardando. Come se, all'improvviso, io mi fossi trasformata in un cucciolo di panda che deve accudire a tutti i costi dopo che ha perso entrambi i genitori. Deglutisco rumorosamente. «Oh, ehm, non mi sento... non ho ancora incontrato quello giusto» mi stringo nelle spalle, nel tentativo di rimanere il più indifferente possibile.

«Oh, ma chère! Sai, una mia amica ha vissuto la tua stessa esperienza! Deve essere terribile, per te! Non mi sorprendo che tu non sia riuscita più a trovare qualcun altro, dopo la tragica morte del tuo ragazzo.»

Il suono di qualcosa che si rompe invade la mia testa. Un pulsante che è stato schiacciato con troppa forza. Un vetro che si è spaccato. L'aria che respiro sembra essersi trasformata in fuoco puro che scivola nella gola e brucia i miei polmoni con la terribile consapevolezza che ora, agli occhi suoi, non sono nient'altro che una povera ragazza che ha perso il suo fidanzato troppo presto.

Pietà. Ecco cos'era, quella luce nei suoi occhi. Sola e semplice pietà. Sono troppo abituata a vederla per non poterla riconoscere, e mi pento di non averla scorta prima, quando avrei potuto benissimo evitare questa domanda e, soprattutto, evitare la terribile palla di fuoco che fa vibrare le mia mani nel tentativo di ferirla, di dirle che lei non sa niente, che non può permettersi di giudicare in questo modo. «Bill... te lo ha detto?»

«Oui, oui, non riesco nemmeno a immaginare quello che tu hai dovuto passare, ma chere, ma sai come va la vita, no? Chiodo schiaccia chiodo. Conosco un giovane ragazzo di questo posto che, sono sicuro, ti piacerebbe da impazzire.»

Fa' silenzio.

«Sono sicura che potrai superarla, con la persona giusta, sai?»

Smettila. Di. Parlare.

«E questo mio amico sicuramente...»

«Se non sono riuscita a trovare un ragazzo in sei anni pensi veramente che il miracolo avverrà solo perché sei arrivata tu? Ti pregherei di smetterla di parlare di cose che non conosci.»

Il silenzio cala sul salone come un terribile velo che ci nasconde l'uno dall'altro. Il cuore pompa così tanto da farmi male, è una terribile fitta al petto che mi ricorda, esattamente, del vuoto che è nato in me anni e anni fa. Un buco gigante che ha le forme e i tratti di quella persona, e che solo quella persona potrà riempire. Come un puzzle intero a cui manca una sola tessera, e che per questo sarà sempre incompleto.

Il volto di Francine è sbiancato quanto il mio, un velo di sudore ricopre il suo bel viso mentre arretra di un passo e ride nervosamente, l'irritazione è cocente e martella nella mia testa una, due, tre volte. Deglutisco di nuovo e scruto con attenzione il liquido nero del mio caffè. Sento i nervi tendersi pian piano, come le corde di una chitarra che vengono accordate, e la voce di Bill che sussurra alla sua ragazza di andare dalla sua amica, per non fare tardi all'appuntamento. E poi di nuovo quella risata, e poi dei passi, e poi Papillon che smette di abbaiare non appena la porta d'ingresso sbatte per l'uscita più che desiderata di quella persona.

Mi rendo conto di star tremando, in questo momento. Le spalle stanno vibrando per il desiderio di contenere una rabbia che non sapevo di possedere, e il silenzio che si è creato in me ora non è più tollerabile. Non lo voglio, questo silenzio. Non voglio nulla che mi ricordi di quanto sia diverso dal silenzio di una volta, quello che Andrew mi aveva fatto conoscere.

«Sophia, mi dispiace...»

«Come ti è venuto in mente?» Sia Bill che Aaron sussultano di stupore quando la mia voce fuoriesce acuta e furiosa dalla gola rauca. I miei occhi si muovono da soli, fissando il mio gemello più stupido e pervertito con un'ira che mai avrei creduto potessi rivolgergli. «Chi ti ha dato il permesso? Chi ti credi di essere per andare in giro a dire fatti personali della mia vita?»

«Sophie, calmati» Luke si solleva e mi raggiunge. Il suo tocco riscalda il mio braccio già di per sé sudato. Sobbalzo, incredula, non mi ero nemmeno resa conto di essermi alzata in piedi e di star fronteggiando mio fratello con tutta questa acredine intrappolata nella gola. «Non essere arrabbiata, Sophie.»

Non posso, non ce la faccio. A differenza di Sasha, la dolcezza di Luke non basta per calmarmi. Hanno toccato il punto dolente, hanno accoltellato il fascio di nervi, e ora questo si è teso ancora, fino a farmi male.

«Sorellina, non l'ha detto con cattive intenzioni, lo sai.»

«Cattive intenzioni o no, sono affari miei quello che è successo nella mia vita! E tu non hai nessun diritto di sbandierarlo in giro!»

Il volto di Bill, fino a un secondo fa preoccupato, si tramuta in una maschera di furia. «Nessun motivo? Sei impazzita? Quella è la mia ragazza. La mia ragazza! Ho tutto il diritto di raccontarle...»

«Non di Andrew!»

«Ti ricordo che Andrew non era solo il tuo ragazzo, ma anche il mio migliore amico!» Tuona lui, furibondo. Le sue sopracciglia sono aggrottate. «Smettila di comportarti come se fossi l'unica che lo abbia perso!»

«Smettetela, tutti e due!» Aaron si intromette fra i nostri corpi, staccandoci prima che io possa in qualche modo pensare di ferire Bill con qualcosa che va oltre le parole. «Vi state comportando come dei bambini.»

«Perché?» interviene Sasha, ancora seduta sul divano con le braccia serrate al petto. «Sophia ha tutte le ragioni per incazzarsi.»

«Dio, non cominciare anche tu!» Ringhia Bill. «Ti ricordo che tu sei l'ultima che dovrebbe mettersi in mezzo a questa situazione!»

«Be', se non mi volevi fra i piedi allora non avresti dovuto portarmi quella cavalla in casa!»

«Sbaglio, o questa è ancora casa di Aaron?»

«Già, ma fra poco non sarà la casa di nessuno, visto che io e tuo fratello andremo a convivere.» Si solleva lentamente in piedi, fronteggiando Bill con lo stesso volto sfacciato con cui ha affrontato me e Aaron al nostro primo incontro, quattro anni fa. «Dico, Bill, l'hai vista? Era evidente che non vedeva l'ora di mostrarsi una santa protettrice che tira fuori tua sorella dal mondo della solitudine! Con quella terribile superiorità che...»

«Tu parli di superiorità? Ti ricordo che sei la prima che si considera superiore agli altri!»

«Be', per lo meno io non rido come un cavallo!»

«Si può sapere cosa vi ha fatto?» Bill ci guarda esasperati. «E' la mia ragazza! E da quando è entrata qua in casa non avete fatto altro che guardarla disgustati! Siete o non siete la mia famiglia? Che razza di trattamento sarebbe, questo?»

«Bill...» Aaron posa con calma una mano sulla sua spalla. «Devi calmarti. Dovete calmarvi, tutti quanti!»

«No che non mi calmo!» Il mio grido risuona strozzato fra le pareti di questo salone che, improvvisamente, sembra essersi fatto più stretto. Gli occhi mi bruciano per la rabbia, mentre fisso il mio gemello con rancore. «Non avresti dovuto dirglielo, hai capito? Non hai nessun diritto per farlo!»

«Perché ti dà così tanto fastidio, Sophia? Eh? Ah, sì, ora ricordo! Perché non sei riuscita a superare la morte di Andrew nonostante siano passati sei anni. Sei. Anni.»

Il suo è un colpo duro da accettare, perché le sue parole, per quanto aggressive, non fanno altro che mostrare quella realtà che mi sono sempre rifiutata di guardare. Le mie labbra tremano, tutto in me trema, sto cercando di arginare il danno, sto cercando di non perdere quel poco che mi è rimasta di me stessa. Luke prova di nuovo a calmarci, ma nessuno, qua, è in grado di farlo, nemmeno Aaron, che sembra disperato e sconvolto. «Tu non hai nessun diritto di giudicarmi!» strillo fuori di me. «Non hai nessun diritto per farlo, quando sei il primo che sfugge ai propri sentimenti!»

«Io sarei il primo che sfugge ai miei sentimenti? Sei per caso impazzita?»

«Ah, no? E che mi dici di Pamela?»

Il solo pronunciare questo nome basta per far esplodere la bomba che tutti quanti noi abbiamo tentato di trattenere durante il corso di questo pranzo. Aaron sospira e china lo sguardo verso il basso, Sasha inarca un sopracciglio con piena soddisfazione e Luke ci guarda spaesati, poiché è l'unico che non è in grado né vuole comprendere la situazione. «Non arrabbiatevi, per favore. Dovete esser felici.»

«Campione» Sasha si avvicina a lui per dargli un bacio sulla fronte «non ti preoccupare, stiamo solo... discutendo su un paio di cose.»

«Pamela? Pamela?!» Il tono di voce di Bill raggiunge l'ottava. «Che diavolo c'entra Pamela, adesso!»

«Stai ritornando a fare il deficiente, Bill?» gli domanda Sasha.

«Sasha.»

«No, Stoccafisso, non me ne starò zitta. Ho tollerato a sufficienza quella cavalla parlante, e non ho intenzione di starmene zitta quando tuo fratello si comporta come un decerebrato a cui hanno appena fatto la lobotomia.»

«Pamela non ha nulla a che fare con Francine né con me!» Il volto di Bill è deformato tanto sta tentando di nascondere la verità che nemmeno lui vuole ammettere a se stesso. «Dovete smetterla di tirarla sempre in ballo!»

«Ma certo! Perché il tuo portare Francine in gelateria non ha nulla a che vedere col fatto che sei ancora legato a quella ragazza che ama i dolci più della sua stessa vita!» esplodo. «E che mi dici del modo in cui ti tratta? Come se fossi il suo cagnolino! Stai con Francine solo nel disperato tentativo di dimenticarti di lei! Che cosa ti aspetti, Bill, che il tuo sentimento per quella ragazza zucchero dipendente scompaia a suon di risate cavalline?» Alzo le braccia, ormai esasperata.

«Mi stai davvero facendo la predica, sorellina? Tu? Che non sei riuscita a superare la morte di Andrew nonostante tutto questo tempo?»

«Ci sto provando!» gracchio, stringendo con violenza le mani in due pugni serrati. «Ci sto provando! Ma non è così facile come credi! Tu non hai perso l'amore della tua vita, Bill! Nessuno te lo ha portato via! E francamente, non ho idea di cosa diavolo ti prenda. Perciò, a onor del vero, mi fa schifo il pensiero che tu stia sprecando l'occasione che io sogno da una vita solo perché sei troppo orgoglioso per accettare il fatto che ami ancora Pamela!»

«Se ti fa così schifo, allora non parlarmi più, principessa. Perché non sono io quello che ha sprecato metà della sua vita a piangere e biasimare se stesso solo perché gli hanno ammazzato il fidanzato!»

Il suono dello schiaffo risuona fra le pareti. I capelli biondi di Bill si sollevano e si abbassano per la violenza con cui l'ho colpito, e i suoi occhi si sgranano stupefatti, colpevoli e umiliati, mentre lo zigomo sinistro che ho schiaffeggiato con la mia mano si gonfia e inizia ad arrossarsi. Lacrimi di rabbia sgorgano sulle mie guance e rigano la mia pelle mentre le mie labbra tremano per la frustrazione. 

Papillon, ai miei piedi, torna a latrare, rivolto al capo ancora immobile del mio gemello più idiota. E capisco, in questo momento, di non farcela più. E' troppo. Tutto questo. Tutto questo dolore. Ogni singolo minuto passato in questa casa non è altro che il risultato della mia perdita più grande.

«Tu...» biascico fra i singhiozzi «... non hai la più pallida idea di cosa voglia dire perdere qualcuno che ami.»

Aaron è sconvolto più di tutti, forse persino più di Bill e Luke messi assieme, e si sporge verso di me nel tentativo di asciugare le mie lacrime. Il mio corpo arretra istintivamente, non appena vedo le sue mani sollevarsi per asciugarle. «No! Non voglio restare qui!»

«Sophia, devi...»

«Mi dispiace di aver rovinato il pranzo, Aaron, dico davvero, ma devo andarmene.» Afferro velocemente la borsa di Louis Vouitton che avevo lasciato alla base della poltrona e lego velocemente Papillon al guinzaglio. Il mio cane sembra spaventato, nel vedermi in queste condizioni, e risponde alle mie lacrime con la sua furia assassina, latrando con violenza verso Bill. 

«Hai bisogno di un passaggio?» mi domanda Sasha.

«No... devo andare... in un posto» prendo un grosso respiro «è qua vicino, posso raggiungerlo a piedi.»

«Ti accompagno...»

«No, Aaron, no! Sono stufa! Ho bisogno di stare da sola!» Un pezzo del mio cuore si stacca non appena scorgo lo sguardo abbattuto e ferito di mio fratello, ma tutto, in me, in realtà, sta crollando. Illusioni, sogni, e rimpianti, le mie dita tremano mentre le sollevo per raggiungere la ma maniglia della porta a cui mi sto avvicinando. 

Ho bisogno di calore. Ho bisogno che qualcuno riempa il mio vuoto non con questi sguardi che sanno, ma con quegli sguardi che sanno ma fingono di sapere. Con quei sorrisi che sembrano nascere solo per la gioia di esser vivi. Con quella luce di familiarità che mai ho compreso. Ho bisogno che qualcuno mi riempa, che mi aiuti a risollevarmi. Me ne rendo conto, dico davvero. Non sono ancora abbastanza forte. Non ce la faccio, senza quel mondo così diverso dal mio. 

Ma per una volta, non importa.

«Sophia, fermati, mi dispiace» la mano di Bill si avvolge al mio polso prima che possa spalancare la porta. «Ti prego... non volevo, non intendevo...»

«Sì, invece, Bill, lo volevi e lo intendevi, e hai ragione.» Tiro di nuovo su col naso, strappando la sua presa dalla mia pelle. «Hai ragione, Bill! Non riesco a dimenticarmi di Andrew! Non ci provo neanche! Non ce la faccio proprio! Ma sai una cosa? Pagherei, per poter essere nella tua stessa situazione. Venderei la mia anima pur di essere te, Bill!» Stringo con forza il guinzaglio di Papillon. «Perché tu ce l'hai ancora, una possibilità! Tu ce l'hai, un'occasione per rimediare! Mentre a me... non è mai stata concessa.»

Detto questo, esco fuori, nel buio corridoio dell'edificio, richiudendo la porta alle mie spalle con dolore e fatica. E cammino, e cammino, e cammino, e scendo le scale, e altre scale, e altre scale, fino a quando non vengo accolta dalla luce del sole e dal terribile cortile che circonda il palazzo di mio fratello, proprio vicino alla stazione. E mi rendo conto, in questo momento, di quanto egoista sono stata. Ho rovinato tutto, di nuovo, ancora una volta. Ho rovinato la mia famiglia per un dolore che è mio, e mio soltanto.

E non so più cosa dire, non so più cosa fare. Mi stringo fra le braccia, mi siedo sui talloni, sto tremando ovunque, non riesco nemmeno a vedere dove sono, a stento sento la lingua di Papillon che lecca la pelle nuda delle mie braccia. Mi accartoccio in me stessa mentre ricordi sfalsati di quella persona balzano alla mia mente come nella pellicola di un film, un film che posso solo vedere da lontano, e che non posso più modificare.

«Torna qui, ti prego» la mia supplica fuoriesce dalla mia gola tremante. «Vi supplico, vi supplico, ridatemelo indietro.»

Non so nemmeno a chi sto pregando. A Dio? Al mondo? Alle persone? A Avery, che me lo ha portato via? Non so più niente, ormai. Sono spezzata, non so più come riaggiustarmi. Sono vuota, non so più come riempirmi. E il silenzio è ovunque, ora, ed è più atroce che mai da ascoltare. Il mio sguardo si appanna, mentre fisso l'elastico rosa pieno di pompon, l'elastico che mi aveva regalato il giorno prima della sua morte, quel giorno che mi era sembrato perfetto.

«Solo per un giorno. Solo per un minuto. Mi va bene qualunque cosa, ma solo qui, solo per stavolta.»

 E' agonizzante, è terrificante. Non riesco a respirare, la rabbia è svanita, sostituita da quell'immenso buco nero che mi sta trascinando nell'oblio, in quell'oblio dove non troverò lui, con le braccia protese. 

Se n'è andato.

Se n'è andato.

Il mio Principe non c'è più. Non verrà a salvarmi con una carrozza per farmi provare la scarpetta di cristallo. Non rivedrò mai più il suo sorriso. Ovunque io guardi, vedo solo assenza, vedo solo vuoto. E non importa quanto gridi e quanto pianga e quanto soffra, lui non tornerà indietro.

Qualcuno lo fermi, per favore.

Qualcuno stoppi questo orrore.

Qualcuno riavvolga il tempo, così che io torni ad essere la stupida ragazzina di un tempo che credeva ancora nelle favole.

Così che possa avvicinarmi a lui e abbracciarlo.

Così che possa baciarlo.

Così che possa dirgli quelle parole che all'epoca non sono stata in grado di pronunciare:

"Non avere paura. Io sono qui. Io ci sarò per sempre."

Per sempre.

***

Ho camminato per ore.

Non so per quale motivo, e non so a che scopo, ho camminato e basta, accompagnata dal passo preoccupato di Papillon, che ha tentato di distrarmi facendo i suoi bisogni in posti non adatti e sbraitando contro ogni essere umano che incontravamo.

I miei piedi sembrano essersi privi di sensibilità, ormai, ma le mie gambe non si sono fermate nemmeno quando i muscoli hanno iniziato a bruciarmi per la fatica, e quando ho sollevato, per qualche inspiegabile motivo, mi sono ritrovata davanti al cancello del campo rom dove sapevo avrei potuto trovare un po' di quella me stessa ormai scomparsa.

Lala era lì, proprio lì, con il suo vestito nero che copriva tutto il suo corpo e lo sguardo solenne che prometteva il piacere di un sollievo che non sono riuscita a trovare da sola. Era in piedi, appoggiata sulle inferriate, a guardarmi e basta, e quando mi sono avvicinata, ho intuito che mi stava aspettando. Che mi avrebbe sempre aspettata. 

«Vieni con me, Anja» mi ha detto, e la sua mano piena di rughe ha accarezzato dolcemente il mio volto bagnato «riposati, mia cara, ne hai bisogno.»

Non mi ha portato, come sospettavo, dai suoi familiari. Di solito, quando ero abbattuta, lei o Jasmine mi avevano sempre trascinato in una festa appena indetta da uno dei membri di questo bizzarro gruppo. Ma stavolta, invece, mi ha portata con sé in un grosso capannone isolato da tutto il resto. Nel vedere le foto appese sulle pareti e i centinaia di addobbi che pendevano dal soffitto ho intuito subito che si trattasse del posto in cui più spesso dormiva. 

Ecco la soluzione di Lala per un animo abbattuto e al tempo stesso furibondo: la doccia.

Nemmeno io ci avrei mai creduto, ma è così. Una doccia calda. E devo dire che, sotto molti aspetti, è veramente necessaria. Mi sento sporca, dentro e fuori, e a ogni strato di vestito che mi tolgo, sotto la luce soffusa del sole che filtra dalla finestra, mi sembra di svuotarmi di giganteschi sassi che impedivano al mio corpo di sollevarsi leggero nell'aria.

Lala rimane in piedi a guardarmi mentre lascio che il mio vestito bianco scivoli per terra insieme alla biancheria. E' strano, rimanere nuda di fronte a una figura così anziana, ma non c'è giudizio nei suoi occhi, né imbarazzo. E' come se, dopo tanti, troppi anni di solitudine, avessi ritrovato quella figura materna che non ho mai avuto negli occhi di questa zingara che pare aver vissuto di tutto e di aver amato ogni cosa al mondo.

«Ti porterò dei vestiti» mormora, la sua voce è rauca «tu entra nella doccia, e mi raccomando, usa l'acqua calda, okay?»

«Acqua calda.»

«L'acqua calda trascina con sé l'energia negativa della tua essenza» mi spiega con un sorriso, mentre stringe fra le braccia Papillon, ancora perplesso per questa situazione imbarazzante. 

Non la capisco, non la capisco davvero, ma adoro il modo in cui mi guarda, come se fossi parte di qualcosa che è troppo grande perché lo possa esprimere a parole. Questo capannone sembra chiudersi attorno a me con un delicato abbraccio che rinfresca la mia pelle accaldata e sudata, e quando mi guardo intorno, scorgo quella piccola doccia che mi aveva indicato, il cui bianco contrasta alla perfezione con le pareti gialle di questa sottospecie di casa. E' piccola, stretta, e poco spaziosa, coperta solo da una tenda lacerata che sembra sia pronta per cedere da un momento all'altro.

Lala si avvicina a passo lento, con Papillon in una mano e il bastone nell'altra, e mi sprona a entrare mentre dal mobiletto dell'armadio azzurro, opposto alla doccia, tira fuori un gigantesco asciugamano.  Lascia andare il mio cane per terra, che trotterella sotto le sue gambe guardandola con attenzione.

«Anja» mi richiama, mentre afferra una delle poche sedie qua presenti per trascinarla davanti alla doccia e posarvi sopra l'asciugamano. «C'è qualcosa che vorresti chiedermi?»

Nello stomaco, qualcosa si gonfia. Un palloncino di speranza e desideri che finora mi ero sempre rifiutata di riempire, e che ora, tuttavia, non ho alcuna possibilità di ignorare. Le mie mani tremano mentre avanzo con difficoltà verso di lei, che piega l'asciugamano con movimenti lenti e raffinati. «Non so come si fa, Lala.»

Lala solleva lentamente il suo sguardo, l'intreccio di rughe che avvolge i suoi occhi si fa più sottile quando scorge la disperazione dentro cui sto sprofondando, e la sua mano si posa sul mio dorso con delicatezza e leggerezza. «Non so come si fa, Lala. Non so come lasciarlo andare.»

Pronunciare queste parole è per me una terribile sentenza, una condanna a morte. Eccolo, me ne rendo conto. Ho fatto il primo passo verso l'accettazione. E' agonizzante e sconfortante esserne consapevoli. Ho ammesso, per la prima volta ad alta voce, la necessità di lasciarlo andare, una necessità di cui sono sempre stata cosciente, ma che ho ignorato fino a quando mi è stato possibile. Perché era difficile, troppo difficile da accettare.

«Tempo, bambina mia, tempo.»

«Sono passati sei anni, Lala» fa così male respirare, così male parlare. «Di quanto tempo ancora avrò bisogno?»

La sua mano si racchiude attorno alla mia come una conchiglia che vuole proteggere la sua perla, il calore delle sue dita vibra sulla mia pelle, piccole scosse delicate che fanno rinascere il mio palmo intorpidito. «Hai iniziato ora ad accettarlo, Anja. Sei stata in un limbo per tutto questo tempo, la vera battaglia inizia adesso.»

Prendo un grosso respiro dal naso. Improvvisamente, la nudità del mio corpo sembra nulla, in confronto a quella del mio animo. Mi sta guardando ovunque, sta scrutando nell'oblio. Le mie labbra si muovono da sole, ho bisogno di parlare, ho bisogno che lei sappia, che capisca. «Andrew era un ragazzo meraviglioso.»

«Se stava con te, non ho dubbi.»

Le lacrime tornano a bagnare i miei occhi e sgorgano come comete che attraversano il cielo oscuro della notte. «Come si fa a dire addio a un fantasma, Lala? Come si lascia andare una persona che si è sempre amata?»

«Mia cara Anja, lasciare andare qualcuno non vuol dire smettere di amarlo, è questo che devi comprendere.» Asciuga il mio volto bagnato coi suoi pollici. «Tu pensi che ti abbia abbandonato, ma non è così. Io lo sento, Anja, è qui accanto a te. Ti proteggerà e ti accompagnerà fino a quando non avrai le forze di camminare da sola.»

«E' come brancolare nel buio, Lala, senza sapere dove andare» sussurro, la voce tremolante. 

«Tu hai troppi rimpianti, bambina mia. Ascoltami bene, ora, perché sarà molto importante per il tuo futuro. Non avresti potuto far nulla di più di quello che non avevi già fatto. Non lasciare che i peccati del passato chiudano il tuo cuore. C'è sempre un nuovo inizio. C'è sempre un domani a cui guardare con speranza. Hai capito?»

«No.»

Il suo sorriso si fa più largo. «Capirai, un giorno. Ora va', la doccia ti aspetta. Vado a cercarti dei vestiti puliti.»

Annuisco lentamente, la sua figura scompare di passo in passo insieme a quella di Papillon. 

Prendo un altro grosso respiro, quando il silenzio torna a riempire questa gigantesca stanza che è sia camera da letto che cucina che bagno, e lentamente apro la tenda della doccia. Il tessuto plastificato è vischioso a contatto con le dita, ma non appena apro il rubinetto e dal soffione un getto di acqua calda ricade sul mio corpo, sento il nervosismo che ho coltivato durante questa giornata scivolare via come sapone.

L'abitacolo della doccia è estremamente piccolo e scomodo, ma al tempo stesso incredibilmente accogliente. Scivolo per terra, lascio che le gocce tiepide dell'acqua bagnino tutto il mio corpo tremante, mentre lascio che la tensione di anni si sciolga lentamente come il nodo di una cravatta che viene finalmente slegato.

Ehi, Sophie, ti volevo fare un regalo, che te ne pare?

Il giorno in cui Andrew mi regalò questo elastico per capelli, non avevo idea di quello che stesse pensando. Non avevo minimamente intuito che quello era per lui il suo regalo di addio, prima che ponesse fine alla sua vita. Non avevo idea che il sorriso con cui lo ringraziai, nel vedere quei ponpon, gli avrebbe fatto cambiare idea sul suicidio. E non avevo idea che il giorno dopo Avery lo avrebbe buttato fuori dalla finestra, furibonda del fatto che lui avesse preferito vivere accanto a me piuttosto che morire con lei per le atroci sofferenze a cui entrambi erano sottoposti a causa del bullismo.

I rimpianti, eccoli. Lala aveva ragione. Sono intrappolata in essi. E per quanto le persone possano dirmi che mi sbaglio, la terribile sensazione di aver sbagliato tutto non riesce a scomparire, rimane attaccata alla mia pelle come un fango incancellabile che permane sul mio corpo nonostante l'acqua tenti disperatamente di lavarlo.

Ieri uniti nella vita, oggi invisibili accanto a me, domani di nuovo insieme fra le stelle.

Questa è la frase che è stata scritta sulla lapide del mio grande amore. Una stella scomparsa, irraggiungibile e misteriosa, che non potrò mai raggiungere fino a quando io stessa non sarò diventata una stella. E mi domando, mi chiedo, quanto tempo ancora dovrò aspettare, quanto ancora dovrò attendere, affinché quella mano torni a protendersi per me, per ballare insieme un'ultima volta, per sempre.

Il rumore dell'acqua è così acuto da spegnere il silenzio che si è creato, mi muovo lentamente, mi rialzo in piedi, e a ogni mia mossa le ossa scricchiolano di sofferenza, chiudo lentamente il rubinetto e il freddo torna a pervadere la mia pelle nuda quando il getto del soffione si interrompe. Sento solo respiri, solo fruscii, rumori di qualcosa che cade a terra, probabilmente Lala che ritorna con i vestiti puliti. Apro lentamente la tenda, protendo la mano per afferrare l'asciugamano che mi ha lasciato sulla sedia, e quando fuoriesco dalla doccia, il vapore si è diffuso nel capannone, accecandomi per qualche istante.

Il tessuto dell'asciugamano è ruvido sulla pelle, ma tampona alla perfezione le gocce che scivolano sul mio corpo e i miei riccioli bagnati che ora sento premere lungo la schiena. Il respiro è ancora affaticato, ma sicuramente più leggero rispetto a prima, e quando sollevo lo sguardo dai miei piedi nudi, pronta per parlare con Lala, un grido acuto fuoriesce dalla mia gola.

«Ma che diav-Anja? Che diavolo ci fai qui?»

Il mio corpo reagisce d'istinto, andando a nascondersi dietro il telo dell'asciugamano nel tentativo disperato di nascondere la sua nudità agli occhi dell'ultima persona che avrebbe dovuto guardarla, ma i miei occhi rifiutano di ascoltare le mie richieste e si muovono di propria volontà, posandosi su quel petto nudo e scolpito, ricoperto da un tappetto di peli neri che vanno a nascondere la linea decisa e marcata di questi pettorali ampi e larghi, di questa tartaruga lunga e asciutta e di quello che sotto sembra...

Oh.

Mio.

Dio.

«Che diavolo ci fai qui, Anja?» Jack sembra stupefatto quanto me, mentre si avvicina, i miei piedi arretrano spaventati. 

Non avrei mai voluto che una situazione simile accadesse nel momento in cui sono più fragile psicologicamente.

Non avrei mai voluto che una situazione simile accadesse e basta.

Perché Jack non è semplicemente privo di maglietta, come più volte l'ho visto.

No.

Jack è nudo.

Completamente.

Nudo.






Nota autrice:

Eheheheheh.

...

Eheheheheh...

Scusate, non riesco a smettere di sghignazzare.

*si schiarisce la gola*

Ehehehehhe

No, niente, non ce la faccio, perciò dovrete sentirmi sghignazzare di tanto in tanto, perché questo, mie care signore, è solo la punta dell'iceberg. Eh sì, eh sì, Jack nudo è una bella visione, io me lo immagino piuttosto... virile, avete presente? 

Ovviamente, nel prossimo capitolo ci sarà una descrizione dettagliata.

Moooolto dettagliata.

E Sophie? Be', sì, Sophia è piuttosto maldestra per queste cose, ma vi ricordo che lei è una piccola pervy inside, come tutte noi. Perciò preparatevi, non si limiterà ad arrossire soltanto come una timidella.

Pfff.

Ehehehehe.

By the way, ci stiamo avvicinando a uno dei momenti più importanti, di capitolo in capitolo, e non vedo l'ora di poter scrivere quel pezzo, mi sto già strofinando le mani per la goduria. 

Ma prima godiamoci di questo momento "intimo" di Sophie e Guar, perché nessuno dei due è casto e puro, e entrambi sanno quando hanno a che fare con un bel corpo, if you know what I mean è-é

Grazie per star seguendo Mai più Cenerentola, se la storia vi sta piacendo lasciate una stellina, e in cambio io vi darò un muffin (ovviamente questo non è ASSOLUTAMENTE un tentativo di corruzione).

Vi adoro, ragazzuoli, un grosso bacio dalla vostra SashaNye! :*






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