La principessa in modalità berserk
Capitolo nove
La principessa in modalità berserk
Ella continua a sghignazzare per tutto il tempo, rischiando di far cadere l'enorme cesto di vestiti che sta portando con sé. Il suo volto sembra leggero e rasserenato ora che ci siamo allontanate dalla figura inquietante e minacciosa di Valentine, e la sua proposta di accompagnarla a lavare i panni alla fontanella che si staglia verso la fine della radura. Non ho la più pallida idea di come farà, ma ho preferito seguirla e fingere di capirci qualcosa piuttosto che starmene ferma lì a sentire gli improperi di quell'australopiteco. <<Lo devi scusare>> mi spiega lei, quando scansiamo un gruppo di bambini che corre a piedi scalzi fra le viuzze create dalle roulotte parcheggiate. <<Jack non è molto bravo ad interagire con gli altri, eh?>>
<<Non mi dire>> mormoro seccata. <<Se non me lo avessi detto non me ne sarei mai accorta.>>
Lei ridacchia di nuovo, la sua voce è molto leggera, suona nell'aria come un melodioso canto sussurrato che puoi ascoltare solo e soltanto se ti concentri. Aleggia fra il silenzio e i rumori in un ritmo tutto suo a cui devi adeguarti per poterlo percepire veramente. <<Perdonalo, Anja, Guar ha un pessimo carattere. Lo ha sempre avuto, a dirla tutta, ma con gli anni non ha fatto altro che peggiorare. E' per questo che Lala lo rimprovera sempre. Con un simile temperamento finirà per non sposarsi mai.>>
Finalmente raggiungiamo la fontanella, è piccola, bassa, e il suo iniziale colore verde ha iniziato a degradarsi a causa della ruggine. Attorno sono stati sistemati centinaia di cesti di plastica pieni di vestiti sporchi e degli stendini che devono essere secolari. Ella si inginocchia di fronte alla fontana, apre il rubinetto e tira fuori dalla sua borsa un sapone rettangolare che sembra pesare almeno dieci chili. <<Non me lo aspettavo>> mi tocca ammettere alla fine, mentre lei inizia a strusciare il sapone contro una gigantesca macchia di fango sopra una camicia azzurra.
<<Hmm? Cosa?>>
<<La vostra... benevolenza>> mi stringo nelle spalle e distolgo, imbarazzata, lo sguardo. <<Siete stati molto comprensivi, nei miei confronti. Pensavo che voi zingari foste una comunità... più chiusa.>>
Lei non sembra offesa dalle mie parole, e nemmeno particolarmente turbata, rivolge i suoi occhi sulla macchia che sta tentando di pulire e scrolla le spalle. <<Non ti vergognare di avere avuto certi pensieri, sono più che leciti. E in parte hai ragione, noi siamo una comunità piuttosto chiusa. Abbiamo molte difficoltà ad interagire con voi gagi.>> Sospira mestamente. <<E questo è il motivo principale per cui all'università non sono riuscita nemmeno a farmi un amico. Questo e il fatto che ho un pessimo carattere>> si ritrova ad aggiungere con una risatina. <<Ma mai pessimo quanto quello di Guar.>>
<<Allora come mai siete così tolleranti verso di me?>>
Lei ci riflette su per qualche secondo, si siede per terra con solennità e riprende a lavare la camicia. <<Per due motivi, immagino.>>
<<Due motivi?>>
<<Sì, il primo è che hai ottenuto la benedizione di Lala>> sorride. <<La nostra società non è gerarchica, come la vostra, ma noi tendiamo a rispettare molto gli anziani, e Lala è quella che più di tutti ci ha aiutati durante i periodi più bui. La nostra ammirazione nei suoi confronti va al di là delle parole. E in secondo luogo, noi siamo una di quelle comunità che tenta di integrarsi al vostro mondo, per quanto ci è possibile. Bada bene, come voi discriminate noi, così noi facciamo con voi. Ci sono ancora molte cose che non comprendiamo di voi gagi, come la vostra ossessione verso la superficie, verso il materialismo>> con un cenno del capo indica il mio vestiario costoso. Non c'è giudizio nei suoi occhi, solo sincero sbigottimento. <<Ma, allo stesso tempo non vogliamo problemi, né vogliamo crearli. Siamo abbastanza aperti da questo punto di vista, e non credere che tutti i rom lo siano. Non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, in nessun modo. Semplicemente, ci piace vivere con tranquillità. Per questo ti abbiamo accettata. Be', io non avrei potuto fare altrimenti.>> Un'altra risatina nasale scuote il suo corpo. Mi inginocchio accanto a lei, il cui volto è ancora indirizzato alle mani che lavano e strofinano. <<Mio padre è un gagio, proprio come te.>>
Spalanco gli occhi, stupefatta. <<Nel senso... non è zingaro?>>
<<No, anche se ora vive con noi. Ma rimane pur sempre un gagio, se capisci quel che intendo. Ha rinunciato alla sua vita ed è venuto qui per sposare e vivere con mia madre, la figlia di Rasim. E dopo un paio di anni sono nata io. Anche il marito di Lala, Paul, lo era.>>
Ora lo stupore ha raggiunto il culmine massimo, non riesco a credere che l'uomo che quella donna anziana e saggia ha sposato provenisse dal mio stesso ambiente. Non me lo sarei mai aspettata. <<Quindi Jack ha discendenze... gagie?>> nemmeno io riesco a credere a simili parole.
<<Stupefatta, eh?>> Ella solleva le sopracciglia più e più volte con fare suadente prima di ridere ancora. <<Sì. Guar ha discendenze gagie come me. Ce ne sono anche altri, qua. A noi piace mischiare ogni cosa.>> Chiude il rubinetto della fontanella e strizza con forza la camicia per toglierle più acqua possibile. <<Quindi forse Lala è stata di parte, quando ha deciso di accoglierti, ma... poco importa. E' Lala.>> La seguo mentre si alza in piedi e va a stendere l'indumento nell'apposito strumento per lasciarlo asciugare al vento. <<A proposito, hai un aspetto un po' provato, vuoi qualcosa da mangiare?>>
<<Ah, no, non credo sia una buona idea... ho avuto... un'indigestione.>> Un modo carino per evitare di dire "sono una masochista che si vuol far del male mangiando il più possibile nonostante il suo stomaco sia una pallina da ping pong".
Ella sembra sbigottita, come se mai in tutta la sua vita abbia avuto a che fare con un'indigestione. C'è un che di inquietate in questo, ma anche di apprezzabile. Temo davvero che la sua particolare famiglia appartenga a quel gruppo di persone che mangia senza sosta e che non è mai sazia. Un pozzo senza fondo. E io ci ho avuto a che fare, fra i miei fratelli, Pamela e, soprattutto, Sasha, ho avuto modo di sperimentare la conoscenza di simili personaggi che non hanno la più pallida idea di cosa significhi la frase "sono pieno".
<<Allora ti preparerò una tisana, fammi finire di lavare questi panni>> dichiara con solennità alla fine, tornando a lavare un altro vestito. Stavolta un paio di pantaloni slavati e pieni di terriccio.
<<Non ve l'ho ancora chiesto... cosa significa "gagio" per voi? Ho compreso che è il modo con cui definite noi persone non zingare, ma a parte questo...>>
<<Gagio vuol dire credulone>> mi spiega lei, tranquillamente. Sbarro gli occhi, e di fronte alla mia faccia scoppia in una fragorosa risata. <<Non prenderla a male, Anja, a volte lo usiamo come un insulto, è vero, ma più che altro è solo il termine con cui vi definiamo.>>
<<Creduloni... perché?>>
<<Perché siete attaccati alle cose>> fa passare l'acqua dentro la gamba sinistra del jeans e scrolla le spalle. <<Siete così materialisti... credete che la felicità dipende dal lavoro, dai soldi, dalla ricchezza, dai vestiti... non apprezzate il tempo che vi rimane, non comprendete la semplice meraviglia di esser vivi. Passate ore e ore con quegli affari tecnologici fra le mani, convinti che possano darvi tutto quello di cui avete bisogno.>>
Se una parte di me è ancora indignata per un simile termine così negativo, un'altra è più che d'accordo con un simile ragionamento. Sono la prima, d'altro canto, ad esser nata nel lusso più sfregiato, ad aver vissuto la mia intera esistenza fra soldi, cellulari e oggetti inutili che tentavo disperatamente di usare per colmare il vuoto profondo prima lasciato dall'assenza dei miei genitori e poi accresciuto ancor di più con la morte di Andrew. Reclino il capo per terra, osservo le mie ballerine da trecento dollari, il fiocchetto nero che si stende sulla punta di esse.
Credulona.
Sbatto le palpebre, per qualche motivo non riesco a respirare.
Credulona.
E lo sono stata. Lo sono stata veramente. Per tutto questo tempo. Anche all'epoca, anche quando avevo qualcosa di più rispetto al solito materialismo. Avevo molto di più. Così tanto. E l'ho lasciato andare. L'ho trascurato. E' scivolato dalle mie dita prima che potessi chiuderle così da intrappolarlo per sempre e custodirlo fino alla fine dei miei giorni.
Sento gli occhi bruciare. Maledizione, non volevo piangere. Non dovevo piangere. Sbatto di nuovo le palpebre, nel disperato tentativo di reprimere il pianto sommesso che sta trascinando il mio corpo alla deriva. Il tocco delicato della mano di Ella sulla mia spalla mi ridesta, e quando sollevo lo sguardo lei mi sorride con delicatezza. <<Non volevo insultarti, Sophia>> afferma alla fine. <<D'altro canto, anche noi siamo creduloni a volte, no? Guar prima di tutti.>> Lascia andare il jeans e lo stende insieme agli altri abiti, prima di ritornare da me. <<Anzi, forse è per questo che non ti sopporta. Guar è molto più gagio di te, sotto molti aspetti.>>
Non è vero, o almeno, non lo è quanto me. Che Jack sia brusco, stronzo e superficiale non è certo una novità, ma a differenza mia, che ho perso tutto quanto, lui ha ancora molte persone da proteggere, ha qualcuno che lo accoglie quando torna a casa, può amare come desidera, e può abbracciare e baciare chi desidera. Un privilegio che a me non è stato concesso. Un crudele angelo della morte mi ha strappato via tutto: la ricchezza della vita, la felicità dell'anima e l'amore per un'altra persona. E in cambio mi ha lasciato le uniche cose di cui non avevo bisogno: denaro, successo e bellezza.
Ma a cosa mi servono, in fondo? Ne è valso davvero la pena? E' stato uno scambio equo? No, non lo è stato. E' stata una contromossa a cui non ho saputo ribattere. Un'ingiustizia che non verrà mai compresa da nessuno. Una mera vendetta nei miei confronti.
Ella, al mio fianco, infila in un cesto vuoto i pochi panni asciutti dello stendino, in un gesto così sbrigativo da rendere evidente che questa non è la prima volta che si diletta nel lavaggio dei vestiti. Sentimento che non ci accomuna, visto che io, prima ancora che nascessi, ho ricevuto ogni cosa - vestiti, cibo e soldi - su un piatto d'argento. <<A proposito, ho messo la tua torta in frigo. Non avevo mai visto una torta così bella, prima d'ora. Che ne dici di andarci a prendere un tè con Lala? Credo che stia insegnando a Jasmine come leggere le carte. Sarà divertente.>>
Il mio corpo si irrigidisce. <<Hai paura di Lala?>> sghignazza lei, intuendo il timore nel mio sguardo. <<Non devi, davvero. E' un po' strana, ma le vogliamo tutti bene. Ed è la donna più saggia che io abbia mai conosciuto. Jasmine crede che sia una strega.>>
E a buon ragione, diavolo, anche io l'ho pensato quando ho visto Papillon lasciare che lei lo accarezzasse con così tanta tranquillità. E il mio cane è una specie di demonio. La reincarnazione del male puro. Come diavolo sia riuscito a badarlo e a tenere a freno i suoi istinti omicidi può solo spiegarsi con l'utilizzo della magia oscura da parte di quell'anziana. <<Jasmineeeee!>> Ella mi afferra per un braccio e mi trascina verso un grosso tendone aperto da cui provengono strani suoni e il profumo di erbe bruciate. <<Indovina chi c'è?>>
<<ANJAAAAA!>> Jasmine, seduta con le gambe incrociate sopra un tappeto persiano, al fianco di Lala, lascia cadere i tarocchi che stringeva in mano per corrermi incontro e abbracciarmi. Il suo piccolo corpicino sbatte contro il mio rischiando di farmi perdere l'equilibrio. Oggi indossa una gonna floreale che strascica per terra e una maglietta nera a maniche lunghe, i capelli legati in due trecce identiche a quelle di Lala. <<CHE BELLO! CHE BELLO! SEI VENUTA DI NUOVO! OHHH, NONNAAAA! HAI VISTO CHI C'E'? Vieni, Sophia, vieni, stavamo leggendo le carte, però adesso abbiamo smesso. Volevamo prendere del tè. Perché non prendi del tè, Sophia?>>
<<Ciao anche a te, Jasmine>> la saluto, sforzandomi di sorridere. Ella sghignazza e mi strizza l'occhio. <<Vado a prendere la torta.>>
L'idea di venire lasciata in balia di una bambina iperattiva e di un'anziana signora che somiglia più alla strega cattiva de La spada nella roccia non mi attrae minimamente, ma non ho modo di richiamarla a me, lei è già scappata verso la sua roulotte, pronta a mangiare torta deliziosa da condividere con tutti noi. <<Vieni qui, Anja>> mi richiama Lala. Posa delicatamente la mano su un cuscino posto alla sua destra, facendomi segno di sedermici sopra. <<Hai un'aria stanca, perché non prendi un po' di tè? Ti farà bene.>>
<<Abbiamo anche i biscotti!>> afferma orgogliosa Jasmine, mentre mi trasporta quasi a forza dentro il tendone. Sia lei che sua nonna sono, come al solito, a piedi scalzi. L'ombra creata dal tendone mi avvolge, rinfrescandomi dalla calura estiva di questo periodo. Mi guardo attorno, ancora spaesata. Dal soffitto pendono centinaia di oggetti di dubbia utilità, fra cui quelli che mi sembrano degli acchiappasogni, la mia testa sbatte contro una campana a vento trasparente che risuona nell'aria come un canto cristallino e delizioso.
<<Siediti, Anja>> Lala mi fa accomodare al suo fianco, il tappetto è caldo, polveroso e pieno di oggetti strani, fra cui tazze, carte, posate e un vassoio pieno di biscotti. Lala mi porge una ciotola fumante, piena di quella che sembra una tisana alle erbe. <<Aiuterà il tuo stomaco dolorante.>>
Una strega.
Non ho più dubbi ora, deve esser per forza una strega. La guardo costernata, e lei mi sorride, accentuando ancora di più le rughe sul suo volto. Jasmine rotola sul tappetto, delusa dal fatto di non vedere Papillon con me, e fa una smorfia. <<Papiii...>> si lamenta con un mugugno a stento udibile.
<<La prossima volta Anja si assicurerà di portarlo, vero, Anja?>> la rassicura Lala.
La prossima volta.
Respiro a fondo, incerta su come rispondere a questa richiesta. Perché questo posto, per quanto accogliente, non sembra appartenermi. Ho paura, ho paura di distruggere di nuovo tutto quanto. Questi sorrisi, questa felicità... non dovrebbero appartenermi. Non me li merito. Sono nata con la maledizione di spezzare ogni vita felice che mi circonda. Il perché? Non l'ho mai capito. Non l'o mai compreso. Ho fatto qualcosa di sbagliato, questo è evidente, altrimenti non si spiegherebbe tutto il male che ho provocato senza rendermene conto. Ma cosa, esattamente? Dove? Quando?
Come?
<<Verrai>> Lala posa la mano sulla mia coscia e, di nuovo, mi sorride. <<Non ti devi preoccupare, Anja. Questa sarà casa tua, d'ora in poi, fino a quando non riuscirai a costruirne una da sola.>>
Sbatto ancora le palpebre, il dolore mi sta dilaniando dentro. L'artiglio della disperazione è tornato per stringere e tormentare il mio cuore, e io affogo questa sofferenza sorseggiando una valanga di tisana che scorre nel mio stomaco come lava bollente. <<Okay>> mormoro alla fine, e la mia voce è rauca, dolorosamente sincera. <<Va bene.>>
Lala annuisce, soddisfatta, e si aggiusta il lungo abito nero che copre tutto il suo corpo. Le sue trecce bianche oggi brillano come fari in mezzo al buio. Mi viene da sorridere quando Jasmine inizia a giocare con lei, rimbalzandole attorno e scherzandoci insieme. <<Eccomi qui!>> Ella ci raggiunge con un sorriso smagliante e la torta che ho portato fra le mani, poggiata sopra un vassoio scuro che rende la sua panna ancor più allettante. <<Guardate che ci ha portato Anja, oggi?>>
<<TORTAAAAA!>> Jasmine si rialza da terra per raggiungere la ragazza, la bava che già esce dalla sua bocca. <<Dobbiamo chiamare anche gli altri! Così possiamo mangiarla tutti insieme!>>
Mi alzo a mia volta, incapace di restarmene ferma con questa inquietudine profonda che divora il mio animo. Mi avvicino a Ella e prendo la torta fra le mani. <<Hai un coltello?>> le domando. <<Penso che dovremmo tagliarla, e farci qualcosa, perché non credo che sia una buona idea...>>
<<Sai cosa non è una buona idea? Che tu resti qua e ti comporti come se fossi a casa tua?>>
Alle mie spalle avverto subito il sospiro esasperato di Lala. Ella, di fronte a me, strabuzza gli occhi e si frappone fra il mio corpo e quello di Jack, il cui volto sembra essere il ritratto dell'ira pura. <<Spostati, Kostana, riporto la principessa al suo castello. Una volta per tutte.>>
Per la prima volta da quando tutta questa storia è iniziata, un nuovo sentimento si fa strada nel mio corpo. E' un sentimento che ho già conosciuto, in passato, e sempre grazie a questo bipede ammaestrato, ma che mai, prima d'ora, mi aveva caratterizzato.
Il fuoco divampa nelle mie vene, sento il sangue raggiungere la temperatura di ebollizione quando Jack scosta il corpo di Ella così da trovarsi faccia e faccia con la sottoscritta. Respira profondamente, il suo petto si alza e si abbassa a ritmo della sua furia, i suoi occhi sembrano fiamme incandescenti che non si possono e mai si potranno spegnere. E quando parla, quando muove quelle labbra, il calore si diffonde ancora di più dentro di me, sento i polmoni stringersi, il cuore sussultare, l'ira salire e salire e salire senza mai fermarsi. <<Sono veramente stufo di te, principessa, e stavolta non mi farò problemi a cacciarti di qui anche con la forza.>>
Con mio sommo stupore, per non dire quello degli altri, un sorriso maligno e crudele arcua le mie labbra prima tese e saggiamente sigillate. E' un sorriso che non conosco, un sorriso che non mi appartiene, ma che adesso sembra far parte di me. E' la medicina giusta per la malattia sbagliata, il sollievo per il dolore incurabile, la dolce fragranza di poter far qualcosa che prima non mi ero mai nemmeno concessa di pensare. <<Ah, come? Non ho sentito bene, Jack Valentine, che cos'hai detto? Non posso restare qui? E perché? A parte te non mi sembra di non esser benvoluta, o sbaglio?>>
Lui serra la mascella, il volto contratto. Jasmine, tremolante, si aggrappa alla mia gamba per scrutare con timore il viso infuriato del fratello. <<Guar...>> lo avvisa Lala.
<<No, nonna, non me ne importa niente di quello che pensi!>> urla lui, rivolto a tutti e nessuno. La sua grande, gigantesca mano si stringe attorno il mio braccio. <<E ora tu vieni con me, te ne vai da qui subito!>>
<<CHE COSA?>>
<<Mi hai sentito bene, principessa. Te ne vai. Immediatamente. Ora.>>
<<Io non me ne vado da nessuna parte!>> urlo, ed è più forte di me, l'artiglio ora ha infilzato le sue unghie dentro la carne fresca del cuore, e la sofferenza è talmente acuta che mi è impossibile celarla. Ma stavolta, per la prima volta, posso sfruttare questo dolore, posso farlo mio, trasformarlo in quel desiderio di vendetta, di giustizia, di crudeltà che avrei dovuto avere molto tempo prima, molti anni fa. <<Io voglio restare qua!>>
Il solo urlarlo ad alta voce mi fa render conto, per la prima volta, di quanto vere siano simili parole. E' così, è sincero, è reale. Voglio restare, voglio conoscere, voglio scoprire. Voglio capire il segreto, voglio comprendere questi sorrisi, e queste risate, e questa leggerezza che sembra accomunare tutti gli abitanti di questo posto. Voglio imparare a stare al loro fianco, a sorridere come loro, a ballare come loro.
Ad esser felice come loro. <<Voglio restare qui>> ripeto, e stavolta, quando lo sussurro, la mia voce si spezza. Il filo sottile che legava il mio istinto di autoconservazione al mio desiderio di inesistenza si spezza inesorabilmente, spaccandomi in due. E questo artiglio che mi uccide, ora, sembra essersi fatto più forte che mai. Sbatto le palpebre, inspiro a fondo. Non riesco a respirare, il fuoco brucia i miei polmoni, riesco solo a sentire il fumo che dilaga dentro il mio corpo, che scivola e risale nella gola per poi fuoriuscire dalle mie labbra come una nuvola grigia fatta di parole e rabbia: <<Tu non sai niente di me! Niente! E io non ho alcuna intenzione di permettere a te, brutto arrogante che non sei altro, di impedirmi di realizzare i miei desideri!>>
<<I tuoi desideri?>> Jack sgrana gli occhi per l'irritazione. <<I tuoi desideri? Non prendermi per il culo, King, tu sei qui solo per pietà. Sei qui solo per mera compassione. Non fai altro che guardarci dall'alto in basso, per tutto il tempo. Ti piace, non è così? Ti fa sentire superiore questa cosa.>>
<<Guar!>> Jasmine, ancorata alla mia gamba, inizia a singhiozzare. <<Guar, smettila, non mi piace quando sei così cattivo!>>
<<Non sono cattivo>> si difende lui. <<Sto solo dicendo la verità.>>
<<Nipote, smettila immediatamente.>>
<<No, Lala!>> il suo volto è praticamente irriconoscibile ora. <<Tu non la conosci, io sì. Io so da che ambiente proviene. E so anche com'è stata cresciuta.>>
E' una bugia.
E' una bugia.
Bugiardo.
Bugiardo.
Bugiardobugiardobugiardobugiardobugiardo.
Perché deve far così male? Perché queste parole mi feriscono così tanto? E' questo quello che pensano di me? E' questo quello che la gente crede che io sia, quando mi guarda? E' questo che Andrew vedeva, ogni volta che mi baciava? Ogni volta che mi abbracciava? Ogni volta che facevamo l'amore? E' per questo che non mi ha detto nulla? E' perché sono così? Perché? Non dovrebbe esser così. Ho fatto del mio meglio, lo so. Allora perché diavolo fa così male?
Fa così male.
Così.
Male.
<<Guar>> la voce di Lala è monocorde, tesa, quasi violenta per la sua freddezza. Fissa gli occhi di suo nipote con un'agonia celata, con una severità crudele. <<Tu non sai niente di Anja, e Anja non sa niente di te. Devi imparare a conoscere, prima di disprezzare.>>
<<Risparmiami i tuoi consigli da novantenne, Lala>> ribatte lui, puntandomi l'indice contro. <<Te ne devi andare subito, King, non ho alcuna intenzione di permetterti di restare qui. Potrai pure mostrarti caritatevole quanto vuoi, come hai fatto con quella tua amica e quel ragazzo down, quattro anni fa, ma non con la mia famiglia.>>
Quella tua amica e quel ragazzo down.
Sasha e Luke.
E' a loro che si sta riferendo? E' di loro che sta parlando? Di Sasha, la ragazza più forte che abbia mai conosciuto? Di Luke, il bambino più buono dell'intero pianeta Terra?
E questa volta, quando la rabbia sale, non c'è più modo di fermarla. Il mio corpo si muove da solo, non riesco più a pensare, l'aria non arriva neanche ai miei polmoni, una scheggia improvviso, il suono di un vetro che si infrange per sempre, un'anima spezzata che non potrà più ricostruirsi.
E per un attimo - per un solo, singolo istante - il mondo si ferma. C'è silenzio, fuori e dentro di me. Finalmente. Nessun suono. Niente di niente. Solo io, solo la mia disperazione. Questo è il fischio della resa. Mi arrendo, ci rinuncio.
Non ce la faccio.
Non ce la faccio a sorridere. E non ce la faccio a finger di esser forte. E non ce la faccio a sopportare più tutto questo odio e tutta questa rabbia, mia e degli altri. Dovevo scaricarla, e l'ho fatto. Dovevo indirizzarla a qualcuno, e l'ho fatto. Ma non basta. Non basta mai, e non basterà mai neanche in futuro, neanche dopo la morte, neanche quando questo stupido, inutile mondo che mi ha portato via tutto finirà all'inferno insieme a ogni cosa. Non c'è più niente che io possa fare per tornare ad essere la Cenerentola di un tempo. Ho provato a sorridere. Ho provato a scherzare. Ho provato a fingere che non fosse successo nulla. Ho persino cercato di uscire, di fingermi perfetta come tutti gli altri ritengono che io sia.
Ma non ha funzionato. Non funzionerà mai. E mi va bene, mi va più che bene.
D'altro canto, non voglio più essere Cenerentola. Niente più favole. Niente più sogni. Solo la realtà. Perché se questa è la realtà, allora mi piace. Mi piace questa rabbia, e mi piace questa ira, e, soprattutto, mi piace questo volto sporco di torta che mi fissa costernato e questo corpo dolorante steso per terra che impreca per il dolore che gli ho appena dato, per la seconda volta, fra i gioielli di famiglia. E, ancor di più, mi piace questa senso di sollievo, questa soddisfazione che mi afferra e mi trascina via. L'artiglio stringe ancora, ma ora questo dolore mi sembra quasi piacevole, quasi terapeutico. Jasmine lancia un grido e corre in aiuto del fratello che per la seconda volta ha rischiato di rimanere sterile, Kostana spalanca gli occhi.
<<Carità?>> Non riconosco questa voce, e non riconosco nemmeno questo tono di disprezzo e divertimento. Per qualche secondo nemmeno riesco a rendermi conto a chi appartengono. E' una sorpresa realizzare che sono le mie labbra a muoversi e che è il mio corpo a sfidarlo, e che sono i miei occhi a guardarlo con furia. <<Carità? Carità? Perché mai dovrei avere carità per te, Valentine? Sei veramente uno stupido se pensi che io sia davvero così dolce e buona da provare un simile sentimento nei tuoi confronti?>>
<<Guar!>> Jasmine afferra Jack per un braccio prima che lui possa rialzarsi e rispondere alle mie parole. Non credo abbia intenzione di colpirmi, nonostante la minaccia implicita del suo sguardo furibondo. Non ne è capace. Quattro anni fa, quando Sasha lo sfidò, si rifiutò di battersi con lei perché donna. E a meno che la situazione non sia cambiata, la regola "le femmine non si toccano" dovrebbe valere ancora. L'ho sempre considerata un po' maschilista, come ideologia, ma ora più che mai sono grata a chiunque gliel'abbia inculcata in testa. <<Stai bene, Guar?>>
<<Si può sapere che ti prende?>> Strilla invece lui, pulendosi il volto sporco di glassa con una mano. <<Da quando in qua sei diventata così veloce?>>
<<Ah?>> Il sibilo del dolore si sta facendo più forte, a stento riesco a sentire la sua voce. <<Me lo ha insegnato Sasha. La ragazza che tu credi io e la mia famiglia abbiamo accolto per carità. Ridicolo, dico davvero, visto che è stato l'esatto contrario.>>
<<King, se non vuoi...>>
<<Sta' zitto>> la mia voce è cavernosa. Non è neanche più una voce. Ella poggia una mano sulla mia spalla, nel tentativo di calmarmi, ma non ce la faccio, è impossibile. Il fuoco sta uscendo ovunque dal mio corpo. E' un fuoco che non si spegne. Un fuoco che non può esser consumato nemmeno dal mare più oscuro e profondo. <<Vuoi impedirmi di venire qui? Allora ammazzami, perché è l'unica cosa che potresti fare per bloccarmi. Vuoi ammazzarmi per davvero? Provaci. Non ho problemi. Sei solo un arrogante che crede di conoscere tutto della mia vita. Sei molto più simile ai miei compagni di scuola che ai tuoi familiari.>>
Le mie parole colpiscono proprio dove volevo. L'umiliazione attraversa il suo viso. E' solo una frazione di secondo, prima che lui la nasconda, ma mi basta e mi avanza. <<Superficiale>> proseguo, sbattendo un piede contro il terreno sporco. <<Arrogante. Stolto. Crudele. Belligerante. Ignorante. Irritante. Falso.>> Non so cosa stia succedendo, non riesco neanche più a sentirmi, non riesco neanche più a vedermi, a vedere lui, a vedere chi mi circonda. Sento solo quelle risatine che a quel tempo non avevo neanche considerato importanti, e sento solo quelle parole "va tutto bene" e sento solo quel sorriso che non era un sorriso ma una maschera che nascondeva un demone. E sento solo il mio cuore che è a pezzi. E vedo solo quelle persone che non hanno più un volto, le persone che mi hanno portate via tutto. Quelle persone, quegli esseri crudeli... arroganti, stolti, crudeli, belligeranti, ignoranti, falsi... <<Stupidi. Cattivi. Ladri. Assassini. Inutili. Viscidi. Incredibili...>>
Ma tutto si spegne, si spegne prima che io possa accorgermene. Si spegne e basta, come se qualcuno avesse cliccato il pulsante OFF di un televisore. Le voci non ci sono più, sono scomparse, i volti sono sparsi nell'aria insieme al fumo del mio fuoco, e il respiro ora inizia a farsi regolare, e il mio piede non batte più per terra, e Jack, Ella e Jasmine mi fissano uno più sconvolto dell'altro.
Eppure, c'è qualcosa di diverso, stavolta. Il doloroso e crudele freddo che ghiaccia il mio corpo ogni volta che uno di questi momenti smette di assalirmi è temprato da un calore inaudito che si irradia dalla mia spalla sinistra. E quando sposto lo sguardo su di essa, noto una mano callosa, raggrinzita, dalle unghie sporche e la pelle coperta di macchie scure. <<Hai fatto cadere la tazza, Anja>> mi rimprovera con dolcezza Lala. <<Prendi, te ne ho preparata un'altra. Bevila tutta, ti farà stare bene.>>
Quando avevo venti anni, per la prima volta da quando la conoscevo, ebbi il coraggio di chiedere a Sasha come mai, prima ancora che ci conoscessimo, lei fosse andata da un ragazzo che aveva picchiato suo fratello e lo avesse colpito in testa con una mazza da baseball così tante volte da mandarlo in ospedale. Sapevo le motivazioni che c'erano dietro - la morte tragica per la madre, la discriminazione continua che la sua famiglia era costretta a subire ogni giorno - ma non sono mai riuscita a comprendere come potesse una persona spingersi a così tanto per un solo e breve attimo di follia.
All'epoca Sasha mi rispose che nemmeno lei sapeva spiegarselo. Mi disse che ci sono dei momenti, nella nostra vita, dove semplicemente smettiamo di esistere e basta. Quella notte avevamo studiato come delle matte per più di dieci ore e lei aveva festeggiato la fine di quella sessione estrema di studio con un gigantesco panino al salame e un bel po' di birre, perciò avevo attribuito l'insensatezza di quella risposta all'alcool, il sonno e la stanchezza.
Solo ora mi rendo conto di quanto vere fossero le sue parole. Solo ora, finalmente, riesco a capire cosa avesse cercato di dirmi, quel giorno, alle quattro di notte, sdraiata sul mio divano mentre russava come uno scaricatore da porto.
A volte smettiamo di esistere e basta.
Ah, ora capisco.
A volte smetto di esistere e basta anche io. E questo è uno di quei "a volte". Non c'ero più io, non è così? Non c'era più nessuno, in questo corpo che ora si muove e beve questa tisana bollente. Ero vuota, priva di vita. Uno stupido guscio dall'aspetto incredibile ma dall'interiora inesistente.
Jack fatica a rialzarsi in piedi, aiutato da Ella e da Jasmine, e con mio sommo stupore, ora che mi guarda, non sembra arrabbiato, e nemmeno irritato. Solo... sorpreso. Solo... colpito. Mi guarda, e io guardo lui, sorseggio ancora la tisana, l'acqua bollente rilassa il mio corpo teso, ma le mie dita sussultano quando, con grande sorpresa di tutti, un sorrisetto divertito affiora sulle sue labbra.
<<Ti preferisco molto di più Amazzone che Principessa, sai?>>
Mi riprometto, in futuro, di andare a cercare sull'internet che lui tanto disprezza i sintomi per il bipolarismo.
Non si sa mai.
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