La principessa e la festa di compleanno
La principessa e la festa di compleanno
«Stai andando troppo veloce.»
«Come, prego?»
«Mi ripeto: stai andando troppo veloce.»
«Stai scherzando, vero?»
«Non sto affatto scherzando. Il cartello dell'autostrada mostrava chiaramente che il limite massimo di velocità era centodieci, e tu stai sforando i centotrenta. Principessa, rallenta. Immediatamente.»
«Non ho capito bene, mi hai appena ordinato di rallentare nonostante la macchina non sia la tua e la patente appartenga a me?»
«Sì, lo sto facendo. Perché se non te ne sei accorta io sono in macchina con te, e ci tengo alla mia vita più di quanto tu creda. Maledizione!» Jack impreca quando nota che il numero sul display della macchina che monitora la velocità non si è minimamente abbassato. «Pensavo che fossi una principessa, non che guidassi come se fossi uscita dalle riprese di Fast and Furious.»
Lo fulmino con un'occhiataccia, Papillon, seduto comodamente sui sedili posteriori, latra qualcosa con il musetto irritato rivolto ancora verso Jack che, in risposta ai suoi guaiti, gli mostra il medio, per poi accarezzarsi con sofferenza il braccio sinistro, sul punto in cui è stato morso. «Ti dovrei denunciare» mormora sottovoce, facendomi scoppiare in una fragorosa risata.
«Denunciarmi? E per cosa?»
«Istigazione all'omicidio.»
La risata che esce dalla mia gola è così sincera da spaventarmi. Stringo fra le dita il manubrio del volante e tamburello il mio indice sopra di esso, osservando attentamente il paesaggio desertico che stiamo attraversando. E' da più di mezz'ora che siamo in viaggio, la destinazione mi è ancora del tutto sconosciuta, ma avere a che fare con Jack Valentine in simili momenti è sicuramente un ottimo pretesto per dimenticarsi del dolore e dei rimpianti. «Sarebbe difficile provarlo, visto e considerato che questa è stata e sarà, molto probabilmente anche per il futuro, l'unica volta dove Papillon mi ha dato ascolto» ammetto con un certo divertimento. Dallo specchietto riesco a scorgere il mio cane sbadigliare e allungare le sue zampette lungo i sedili per stare più comodo.
Al mio fianco, Jack sospira. Sembra davvero preoccupato, il che è piuttosto sorprendente. «Tranquillo, Doberman» lo rassicuro, utilizzando l'appellativo di Sasha che, odio ammetterlo, gli calza a pennello «sono brava a guidare, non ho mai fatto un incidente stradale.»
Lui solleva un sopracciglio. «Lo ammetto, principessa, non mi aspettavo fossi una di quelle che adora guidare. Ti immaginavo più una ragazzina con l'ansia da prestazione quando si tratta di mettere in moto un veicolo.»
«L'unico con l'ansia da prestazione qua dentro sei tu.»
«Non ho problemi a immolarmi per la causa di dimostrarti il contrario. Perché non accosti? Così ti farò vedere la mia totale mancanza di tale triste problematica che affligge noi poveri uomini costretti ad obbedire a voi donne.»
«Continua a parlare e butterò giù tutto il mio piede regale sull'acceleratore.»
«Ti ricordo che se muoio io, muori anche tu.»
«E chi ti dice che io non abbia una vena masochistica in me?» Riflettendoci su, è altamente probabile che non solo abbia una vena masochistica, ma che sia proprio caratterialmente nata per farmi del male da sola. Varie esperienze vanno a riprova di tutto ciò, la prima fra tutte il mio desiderio di voler continuare a parlare con Avery nonostante sia pienamente cosciente che tutto ciò non giova minimamente al mio stato mentale già di per sé piuttosto fragile. «Non ti preoccupare, Doberman, sono brava a guidare, dico davvero. Me lo ha insegnato Aaron, e non c'è nessun uomo al mondo più serio e severo di lui.»
«Ah, giusto, il tuo gemello inespressivo» mormora lui.
«Il gemello che tu prendevi per il culo da mattina a sera quando dovevi scontrarti con lui alle partite di football della scuola» gli ricordo con grazia, mentre supero con velocità una BMW che sta andando a rilento, la mano di Jack si attacca al manubrio per sorreggersi, e io scoppio di nuovo a ridere. «Non ti facevo un tipo pauroso.»
«L'unico guidatore di cui mi fido sono io.»
«Egocentrico.»
«Solo consapevole delle mie qualità» ribatte con un altro sorrisetto.
«E tu dovresti davvero esser l'ultimo a criticare la mia guida, quando te ne vai in giro con una moto con cui rischi ogni giorno la vita.»
«C'è un motivo per cui provi un odio così profondo per le moto in generale oppure sono io?»
«Tu, ma con poco margine» con un sospiro, reclino il capo sul comodo poggiatesta in pelle beige della macchina. «La verità è che un tempo adoravo le moto.»
«Non mi dire.»
«Okay, lo ammetto, c'è stato un periodo, quando avevo sui tredici anni, dove volevo trasformarmi in una di quelle hipster dall'abbigliamento particolare che se ne vanno in giro per le strade a far risuonare i loro motori a ritmo di rock 'n roll» dichiararlo ad alta voce, e soprattutto a lui, è molto più difficile di quel che temessi. «Era il sogno della mia vita.»
«Ora sono curioso» ridacchia lui, allungando le sue gambe chilometriche fino a quanto gli è possibile all'interno dell'abitacolo già di per sé spazioso. «Come mai questo desiderio? La tipica fase della ribellione adolescenziale?»
Ci rifletto su, prima di poter rispondere. E' passato così tanto tempo da allora che rivangare simili ricordi è un po' come cercare un tesoro nascosto dentro la sabbia. «Più che ribellione adolescenziale si trattasse di ribellione nei confronti di mia madre» ammetto con un sospiro, mentre decelero lentamente per farmi sorpassare da un camion. Jack lancia un sospiro di sollievo.
«Tua madre?»
«Non fare il finto tonto, sono sicura che hai già sentito parlare di lei.» Per quanto il mondo della sua famiglia possa esser distante dal nostro, il nome dei miei genitori è risuonato ovunque nel mondo, per i motivi giusti e quelli sbagliati. Ed è una cosa che, amaramente, rimpiango. «Erin Baker, una top model. Per anni è stata considerata come la donna più bella del pianeta. Ha vinto il concorso di Miss Mondo quando aveva la mia età, più o meno.»
«Non riesco a comprendere dove tu voglia arrivare.»
«Cosa pensi che volesse farne della sua unica figlia femmina?» la mia voce fuoriesce sarcastica e amara dalla gola, pur non volendolo. Sento i suoi occhi divorarmi, indagare, analizzare ogni mia più piccola espressione. Stringo con più forza il volante e concentro l'attenzione del mio sguardo sulla strada. Sono una brava guidatrice, visto? «I miei genitori non sono mai stati presenti nelle nostre vite, ma hanno sempre preteso molto da noi. Papà si è concentrato su Aaron e Bill, mamma su di me. Nonostante la loro assenza, trovavano ogni modo per poterci ricordare chi siamo e da dove veniamo, così che non infangassimo il buon nome della famiglia King. La mamma sperava che anche io avessi successo nel campo della moda. Costringeva le nostre tate a portarmi a concorsi di bellezza, mi comprava solo e soltanto capi rosa e fru fru. Dovevo essere femminile. Dovevo essere elegante. Dovevo essere Sophia King, la degna figlia di Erin Baker e Benedict King.»
«Suona come qualcosa di straziante, non mi sorprende che tu abbia avuto quella fase, ma mi domando come hai fatto a superarla. Ammetto che sarebbe stato interessante scoprirti come la tipica figlia punk ribelle che se ne va in giro con centinaia di piercing.»
Scoppio di nuovo a ridere e scuoto lentamente la testa, mentre i ricordi mi avvolgono lentamente. «Non è così, non è stato merito mio, a onor del vero. E' stato...» la voce mi muore in gola, quando un altro suono riecheggia nella mia mente.
Ehi, Sophie, a me piace così come sei. Non c'è bisogno che ti sforzi per esser qualcuno che non vuoi essere, non devi aver paura di essere solo il frutto di tua madre. Non lo sei mai stata e mai lo sarai. Per me tu sei molto di più. E puoi vestirti come vuoi e andartene dove vuoi. Non sarai mai solo e soltanto la figlia di Erin Baker, capito? Sarai sempre e solo Sophia King, per me.
Le mie dita si avvolgono al volante con una furia quasi furiosa che sbianca le nocche delle mie mani. Le parole che Andrew mi rivolse quella sera, quando mi trovò in camera a buttare nel cestino tutti quei vestiti che tanto amavo e che tanto odiavo sembrano un ricordo troppo lontano e distante perché possa riafferrarlo. E vorrei poter dire che ho un'immagine chiara e nitida di quel giorno. Vorrei poter dire che ricordo il suo sguardo e il suo sorriso, e ricordo il suo profumo, e come mi guardò, e come mi trovò, ma la verità, la tremenda verità, è che lo scorrere del tempo non è stato clemente con me, e tutto ciò che mi è rimasto è stato solo quel discorso, solo quelle parole, che non bastano per compensare la sfocatura di quel volto che vorrei fosse molto più nitido e molto più reale.
«Sophia?»
Ritorno a respirare. Non mi ero nemmeno resa conto di aver trattenuto il fiato per tutto questo tempo, lascio che la presa sul volante si allenti con delicatezza, le mie dita sono annichilite per colpa di quella presa ferrea, e pronunciare queste parole è un po' come accoltellarsi il cuore da soli: «Il mio ragazzo mi aiutò molto, in quel periodo. Mi fece capire che non potevo rifiutare me stessa, e quello che mi piace, solo per fare un dispetto a mia madre. Era davvero...» Mi mordo il labbro per impedirgli di tremare ancora. Una risata amara sfugge di nuovo al controllo della mia bocca. «Anche se all'epoca non stavamo ancora insieme.»
«Il tuo ex?» è la sua casta domanda, a cui vorrei rispondere affermativamente, così da poter negare la realtà dei fatti, l'inesistenza di quella persona che non tornerà mai più a illuminare i miei giorni.
Devo dirlo, so che lo devo fare, so che devo dichiarare la verità che mi rifiuto di accettare, ma l'idea di sentire ancora una volta quelle parole risuonare ad alta voce nelle mie orecchie mi fa salire la nausea. Perché renderebbe tutto molto reale, perché confermerebbe l'orrore di questo incubo dentro cui sto vivendo da più di sei anni, ormai. E se solo esistesse un modo per fermarlo, se solo esistesse una magia capace di riavvolgere il tempo, allora non esiterei un secondo ad usarla, anche se ciò significasse rinunciare a tutto. A me stessa, alla mia famiglia, ai miei amici. A ogni singola e sciocca cosa che ancora adesso do troppo per scontato.
«Prendi quest'uscita, principessa» la voce di Jack interrompe il mio sforzo di parlare, seguo velocemente le sue indicazioni, più lieta che mai al pensiero di aver ancora una volta rimandato il mio più grande timore. E con mio sommo rammarico e terrore, mi ritrovo ad entrare dentro quello che viene definito uno dei pochi paesini di montagna più belli della zona.
Palms, la cittadina di quattrocento abitanti meno conosciuta dello Stato, nata in mezzo ai boschi e conosciuta soprattutto per le meraviglie naturali che offre grazie alla radura incontaminata che delinea questo luogo così inconsueto e speciale. La più grande meta turistica del posto è il piccolo lago naturale che nasce e converge proprio al centro del bosco, e dove Jack mi sta portando, facendomi attraversare stradine sterrate che fanno rimbalzare in aria il corpo addormentato di Papillon.
Non dovrei sorprendermi, avrei dovuto intuirlo sin da quando mi ha detto che la zona dei festeggiamenti si trova a un'ora di distanza da Beystick Locks, ma non avrei mai immaginato che lui e la sua famiglia mi avrebbero portato in uno dei posti più terribilmente nostalgici della mia vita.
Perché per quanto odioso possa sembrare, anche nel mio vecchio paese, quello dove tutto è iniziato e tutto è finito, c'era un bosco. E c'era un lago. Dream Lake. Il lago più meraviglioso al mondo, la cui acqua, per qualche inspiegabile motivo, si trasformava in una pozza fluorescente che illuminava il posto grazie anche all'intervento tempestivo delle lucciole che si diramavano nell'aria.
Dream Lake e il suo bosco sono stati il mio nido d'amore. E' stato proprio lì, proprio in quel posto, che ho conosciuto per la prima volta Andrew, quando avevo otto anni e quei bambini buttarono il mio peluche dentro l'acqua e lui si tuffò per riacciuffarlo. E' stato proprio lì che mi innamorai di lui la prima volta. E proprio lì io e lui nuotammo e sguazzammo e ridemmo fino a decidere, anni dopo, di esplicare il nostro amore col primo bacio più dolce e romantico mai contemplato da genere umano.
La macchina si ferma da sola, quasi mossa di propria volontà, mentre il mio corpo si paralizza pian piano sul posto, immobile nel sedile. Sento il ghiaccio propagarsi dall'interno del mio cuore al resto degli organi, e si diffonde dolorosamente, come artigli che si inseguono fra loro. E all'improvviso mi sembra di non entrare più in questa pelle, di non riuscire nemmeno a sentire la pesantezza della mia stessa esistenza. Tutto ciò che vedo sono gli alberi che ci circondano, il verde che mi ricorda che lui non si nasconderà più dietro questi tronchi e non sbucherà più all'improvviso dal nulla per farmi degli scherzi di cattivo gusto.
«Principessa?»
«Perché non me lo hai detto?»
Sembra sorpreso del tono carico di rabbia nella mia voce. A dire il vero, io stessa ne sono sorpresa, ma non riesco a controllarlo. L'ira è l'unica cosa che mi salva dalla disperazione, sto per crollare e non so come impedirgli di notare tutto ciò se non arrabbiandomi con lui e con me stessa. «Che cosa?»
«Perché non mi hai detto che saremmo arrivati qui?» La mia gola si graffia del dissapore che si è creato fra me stessa e la mia paura. Stringo con più forza il volante. Non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi. Non riesco nemmeno a guardarmi attorno. Questo bosco è così simile a quello di Williamstone, e queste voci che sento, da lontano, così simili a quelle di una volta, quando eravamo bambini e giocavamo insieme, tutti quanti, senza pensare a ciò che non c'era più e ciò che non sarebbe mai arrivato. «Avresti dovuto avvertirmi!»
Jack pare spaventato e confuso, Papillon, alle nostre spalle, si solleva in piedi per scrutare le nostre figure fra il risentimento per esser stato svegliato e la perplessità di chi si è ritrovato involontariamente in uno scontro che non sa nemmeno come sia iniziato. «Principessa, calmati, non ti ho detto nulla perché pensavo che un simile posto ti sarebbe senz'altro piaciuto.»
«Ah?» lo guardo furibonda. «E da quando sai che cosa mi piace e non mi piace, Valentine? Da quel che ricordavo, mi sembrava piuttosto evidente che tutto quello che pensi di sapere su di me è sbagli-» mi interrompo, mordendomi la lingua. Non va bene, non va affatto bene. La situazione sta degenerando, e non era nelle mie intenzioni arrivare fino a questo punto. «Non importa.»
«Sophia...»
«Papillon, vieni» spalanco la portiera prima che lui possa aggiungere altro. Il mio corpo scivola dal sedile dopo esser stato slacciato dalla cintura di sicurezza, e le mie scarpe da ginnastica sprofondano nel terriccio un po' umido e sporco. Il mio cane sembra stranamente obbediente in questi giorni, ma non ho il tempo per andare ad analizzare i motivi di ciò, sono semplicemente sollevata dall'idea di non dovermi preoccupare ancora di questo.
C'è un altro problema molto più grande di uno sciocco barboncino drogato di LSD, ed è Jack Valentine, che esce a sua volta dalla mia jeep rossa e continua a scrutarmi con l'aria di chi sa che qualcosa non è come prima. I peli delle mie braccia si rizzano non appena inspiro l'aria di questo bosco così familiare e al tempo stesso così diverso da quello di una volta, da quello che è stato il mio inizio, il mio tutto. Siamo fermi al fianco di una strada sterrata che ci introduce in un percorso paesaggistico accessibile solo ai pedoni, e contornato unicamente da questi alti e grandi sempreverde che sembrano esser qui solo per deridermi
Non lo senti, non è vero?
Lo stai cercando, non è così?
Ma lui non è qui, eh?
Povera principessa illusa.
Povera Cenerentola distrutta.
«Principessa, hai paura dei boschi?»
La sua voce è la crudele realtà che spezza il mio momento di delirio. Mi stringo nelle braccia scoperte, ora come ora mi pento di essermi permessa questo look così eccessivo. Di solito non me ne preoccupo, è un mio diletto vestirmi nei modi che preferisco, lo è sempre stato, non mi sono mai preoccupata delle attenzioni che attiravo, perché ho sempre saputo che, non importa cosa indossassi, le avrei attirate comunque. E se proprio dovevo avere gli occhi addosso, allora avrei voluto che lo fossero per i motivi che decidevo io. Ma adesso? Adesso me ne pento. Adesso mi pento di non aver nascosto questo corpo che è fin troppo perfetto dentro una tuta larga che avrebbe nascosto il tremolio delle mie gambe e il panico delle mie mani.
«Non ho paura, è solo che li odio» persino nelle mie orecchie la voce risuona come una bugia gigantesca. Mi passo una mano sul volto, mordicchiandomi il labbro. Anche da lontano, riesco a sentire distintamente le voci della famiglia di Jack, che urlano, gridano, strepitano. Papillon sembra tutto fuorché felice nel percepirle nell'aria, è pienamente consapevole di cosa gli accadrà una volta aver raggiunto i loro proprietari. «Avresti dovuto avvertirmi prima.»
«Come potevo immaginare che odiassi i boschi?»
Touché. Ah, ora lo odio davvero. Sospiro, le mie gambe cedono e si piegano, sento la mia pelle accaldarsi per l'ansia mentre mi siedo su me stessa, abbracciandomi le ginocchia. «Sei un idiota, Jack Valentine.»
«Ehi!» lui si avvicina a me, piuttosto stizzito.
«Un idiota» ripeto, coprendo il volto con le ginocchia, mentre sento i suoi passi avvicinarsi a me.
«Hai finito di insultarmi?»
«Solo quando mi dirai che significa Anja.»
Lo sento trattenere una risatina, e questo mi solleva, perché almeno, distraendo lui, posso anche distrarre me stessa. Prendo un grosso respiro e mi costringo a rimettermi in piedi, Papillon graffia la pelle nuda delle mie gambe mentre mi piego per poterlo allacciare all'apposito guinzaglio. «E io che credevo che fossi andata subito a cercare su internet.»
E' un bene che lui sia qui, è davvero un bene. Se fossi venuta in questo posto da sola, sarei stata avvolta nel mondo dei ricordi e dei rimpianti in maniera così profonda da non riuscire più a liberarmene, ma la sua presenza, per quanto spiacevole a volte possa essere, mi distrae, e mi aiuta a non pensare a quello che ho fatto, a quello che non ho fatto, e alla persona che non potrà mai vedere le meraviglie di un posto così simile a quello del nostro primo incontro. «Non lo nego, sono stata tentata» ammetto, mentre seguo i suoi piedi che si muovono nella direzione del percorso «ma ho deciso che un giorno sarai tu stesso a dirmelo, Guar.»
Papillon marcia oltre a noi quasi sculettando, e se non fosse che si tratta di un cane, o forse proprio perché si tratta di un cane, potrei giurare che stia mostrando apposta il suo sederino sodo agli occhi di Guar, come a dirgli "io sono molto più bello di te, stupido umano". «Spera, principessa, spera, perché io non ti dirò mai il-ehi, sbaglio o mi ha appena fatto il terzo dito?»
Papillon quasi inarca le sopracciglia mentre trotterella avanti a noi, con fare innocente, ma sì, sono piuttosto sicura che si sia fermato e abbia alzato una zampa quasi per insultarlo.
Questo cane mi spaventa.
Camminiamo in silenzio per un paio di minuti, fino a quando il percorso boscaiolo non viene interrotto, sostituito invece da una radura più semplice e accogliente, che si staglia di fronte a un piccolo lago che somiglia più che altro a uno stagno estremamente profondo. Il senso di nostalgia e il rimpianto vengono presto occultati dall'odore di carne bruciata e il suono di musica e campane. «Eccoli là» Jack sorride divertito «e pensare che inizialmente odiavano queste cose.»
Richiamo Papillon e lo sgancio velocemente dal guinzaglio, per riportare l'attenzione dei miei occhi su quel gruppo di persone che ora sta cucinando il barbecue più bizzarro che abbia mai visto, in un falò che ricorda molto i film sugli uomini delle caverne, e in un tripudio di suoni, rumori e musiche che portano chiunque, anche i più anziani, a ballare. Riconosco entusiasta il volto di Jasmine fra loro, che sta ridendo fra le braccia del padre mentre questo la accompagna in un valzer più ritmato e allegro del normale. «Odiavano festeggiare i compleanni?» domando a Jack, mentre il mio cane torna a nascondersi dietro le mie gambe.
«Una cosa simile, noi non siamo soliti festeggiare simili eventi» ammette lui, il volto ancora rivolto alla sua famiglia strana e bizzarra. Un sorriso a mezzaluna si tinge sulle sue labbra quando scorge sua madre, col pancione, iniziare a ballare insieme a un signore piuttosto anziano. «Per noi l'età non è mai contata, capisci quel che intendo? Non contiamo i giorni come fate voi. Per noi è sempre oggi, ieri e domani. E basta.»
«Allora come mai questo compleanno?»
«Fu una delle cose che introdusse mio nonno quando ero un bambino» mi spiega con divertimento. «Lui e Lala litigarono tantissimo per questo, ma nonno era intransigente, diceva che il compleanno non è altro che un'altra occasione per festeggiare la nostra vita, come facciamo noi ogni giorno. E che perciò andrebbe festeggiato sempre e comunque, a discapito dell'età che puoi avere.»
Con mio sommo rammarico, ora sono io quella che ride. «La tua famiglia ha davvero una strana concezione del termine "festeggiare".»
«Be', per voi è strana» ribatte Jack con un'altra risatina. I suoi occhi si posano su di me un istante, un solo, singolo istante, che gli permette di scrutarmi dentro, ovunque, scovando ogni mia più singola paura. Quando torna a rivolgerli alla sua famiglia, il suo volto è già più rasserenato. «Avendo vissuto anche nel vostro mondo più di quanto non abbia fatto Lala, posso dirti che è effettivamente vero, voi gagi festeggiate molto poco la vostra vita. State sempre a rimpiangere qualcosa.»
«Immagino tu abbia ragione» la mia voce è roca mentre pronuncio queste parole, una fitta trapassa il mio cuore quando vedo Jasmine venire sollevata in aria dal padre, proprio come aveva fatto molti anni prima Andrew con me. «Jack?»
«Cosa c'è, principessa?»
«Il mio ragazzo è morto.»
Il silenzio sembra crearsi fra di noi come una bolla d'aria che man mano si fa sempre più grande e distanzia i nostri corpi, privando i polmoni del respiro più normale e naturale del mondo. Chiudo lentamente gli occhi, mentre osservo disperata questa famiglia che, a trenta metri da me, sembra aver sempre avuto quello che io ho sempre e disperatamente cercato invano. Percepisco lo sguardo di lui su di me, il calore dei suoi occhi azzurri brucia la mia pelle e impedisce alle mie mani di stringersi in due pugni serrati che mi aiuterebbero a conservare quel poco di dignità che mi è rimasta. I suoni della natura si alternano a quelli degli uomini che gridano e ballano e cantano. «Lo hanno ucciso, e all'inizio io neanche lo sapevo» mi ritrovo a sussurrare. «Lui era l'unica persona che mi avesse mai vista veramente, non la figlia di Erin Baker né la sorella di Bill e Aaron King. Lui mi vedeva solo come Sophia. Solo Sophia. E mi considerava la sua Cenerentola. E io consideravo lui il mio Principe Azzurro.»
Le lacrime tornano a bagnare i miei occhi, ma stavolta riesco a trattenerle, per quanto impossibile possa sembrare. Un sorriso amaro sfugge alle mie labbra quando Jasmine butta il suo fratellino dentro l'acqua del lago. «Non sono riuscita a salvarlo, Jack» ammettere questa realtà è una condanna a morte per il mio cuore già spezzato, che ora inizia a sgretolarsi sotto la presa ferrea del rimpianto più assoluto e grande. «Non mi sono nemmeno accorta che aveva bisogno di esser salvato.»
«Nessuno può saperlo in questi casi, Anja»
Scuoto lentamente la testa. «Io avrei dovuto saperlo. Ero con lui ogni giorno. Ero la sua ragazza. E non mi sono resa conto di niente, Jack. Proprio di niente.» Fa male. Fa troppo male. Ammettere questa verità è ammettere tutto quanto. I miei errori. I miei sbagli. Ogni mio singolo e più stupido pensiero. Papillon struscia il suo musetto contro il mio piede, quasi a consolarmi, mentre io prendo un respiro tremolante dal naso. «Ah» mi copro il volto con la mano per nascondere la deformazione della mia pelle provocata dal dolore «odio davvero i boschi.»
«PAPI!» La voce di Jasmine mi fa sussultare. La sento gridare come non mai, e, maledizione, tutto vorrei tranne che si avvicini a me in questo preciso momento, quando sono più debole e fragile che mai. Ah, come dovrei comportarmi? Ho paura che mi veda in questo stato. L'idea di osservare il suo viso innocente, così simile a quello di Andrew, senza crollare è aberrante. «CIAO SOPHIA! PAPIIII! VENITE A MANGIARE! CI SONO UN SACCO DI CIBI! C'E' ANCHE LA CARNE DI... CIAO! OHH, CIAO PAPI! CIAO SOPHIE!»
Respira. Piano, lentamente. Se respiro in questo modo, forse, prima o poi, il dolore cederà. La mano ricade lungo il fianco, mi sforzo di sorridere mentre vedo il volto sorridente (e un po' psicopatico) di Jasmine farsi più vicino. Papillon inizia ad urlare per la paura non appena riconosce la faccia di quella che è per lui il suo boia e inizia ad arretrare spaventato. «Ciao, Jasmine, tesoro, come va? Auguri per il-ahhh! JACK! LASCIAMI! CHE DIAVOLO! AHI! METTIMI GIÙ! METTIMI SUBITO GIÙ!»
Le mi costole stanno ancora bruciando per la presa improvvisa e violenta che le mani di Guar hanno avuto sulla mia vita mentre la circondava per sollevare il mio piccolo e gracile corpo così da posarlo, come se fossi un sacco di patate, sopra la sua spalla. Il mondo si capovolge in un solo istante, e le lacrime scompaiono insieme al senso di frustrazione e di rimpianto, mentre un innato e ingiusto desiderio di riconoscimento nei suoi confronti mi pervade. «Ciao, Guar» sento Jasmine ridere alle mie spalle. «Perché porti Sophia sulla tua spalla?»
«METTIMI GIÙ STUPIDO DECEREBRATO BIPEDE AMMAESTRATO!» batto con violenza i miei pugni contro la sua schiena, tutto ciò che posso vedere è il terreno ai suoi piedi e...
Oddio.
«La nostra Anja ha bisogno di farsi un bel bagnetto al lago, sorellina.»
«SI! SIIII! BAGNO NEL LAGO! ATTENZIONE A TUTTI! BAGNO NEL LAAAAAGOOO! PAPI? PAPI? VIENI QUI, PAPI, ANDIAMO A FARCI IL BAGNO INSIEME!»
Non guardare, Sophia.
Non ci provare neanche.
«Mettimi giù!» strillo ancora, sforzandomi di non lasciare trapelare il suono tremolante della mia voce. «Mettimi! Subito! Giù!»
«Non ci sperare, principessa, oh, aspetta...»
Lo stronzo si mette pure a saltellare. Il mio corpo è praticamente diventato una molla che si muove solo grazie al suo intervento, e sentirlo stringermi attorno la vita in questo modo, con il suo braccio, è un po' come venire riscaldata dentro, senza che io possa in alcun modo fermarlo. «Ti odio» borbotto «ti ho già detto che o sei gentile o sei stronzo con me, non accetto vie di mezzo. E... pervertito!» esclamo poi. «L'ho sentito, cosa credi?»
Non ho idea di dove stiamo andando, vedo il terreno scorrere sotto la mia testa e scorgo da lontano le figure dei bambini che rincorrono un Papillon spaventato mentre gli altri adulti se la ridono, ma è davvero difficile concentrarsi su un simile scenario quando un certo uomo ha appena dato il cinque al tuo sedere. «Non ho idea di cosa tu stia parlando» ribatte lui con innocenza.
Anche se non posso vederlo in faccia, scommetto tutti i dollari che ho in macchina che sta sorridendo, in questo preciso momento. «Sei un pervertito» borbotto sottovoce.
«Stai davvero dando del pervertito a me, principessa? Chi è che mi sta fissando il sedere in questo momento?»
Sapevo che se n'era accorto. Lo sapevo. Lo sapevo. Lo sapevo. Ma a mia discolpa, è davvero difficile non notare una simile muscolatura quando praticamente hai dei simili glutei che ti si affacciano davanti agli occhi. «Non ti sto fissando il sedere» mento spudoratamente, per poi lanciare un grido acuto quando noto che le sue gambe si stanno immergendo all'interno dell'acqua gelida del lago. «Sei impazzito! Ci bagneremo tutti! Ah, Jack!»
Il mio corpo ricade all'interno del lago come se fosse stato sollevato in aria e poi spinto con forza all'interno del punto più profondo di questo lago. Il gelo che avvolge la mia pelle è molto più confortante di quello che sta tramortendo il mio cuore da fin troppo tempo. E quando il respiro si blocca, e i polmoni smettono di funzionare, per un istante, un solo istante, mi sembra di esser tornata a vivere per davvero.
La mia testa sbuca dalla superficie con il classico respiro profondo di chi non si ricorda nemmeno più qual è il sapore dell'aria. Delle mani si protendono per afferrarmi e aiutarmi a prendere l'equilibrio all'interno di questo piccolo fondale dove, a differenza dei suoi, i miei piedi non toccano terra. Tossisco lentamente, aggrappandomi alla maglietta di Jack che, brutto stronzo che non è altro, se la sta ridendo. «Stronzo!» strillo, mentre butto fuori altra acqua. «Devi avvertirmi quando fai queste cose altrimenti-» un altro colpo mi attraversa, le sue mani si stringono sulla mia schiena nuda, e sembra come se stessero plasmando la mia pelle.
Il respiro torna a farsi corto quando i miei occhi incrociano i suoi. Sono gli occhi del diavolo, gli occhi di qualcosa che vorrei ma non posso ottenere. Il loro azzurro è molto più limpido rispetto a questa acqua chiara dentro cui siamo avvolti. «Che sia chiaro, principessa, questo è il compleanno di mia sorella. E al compleanno di mia sorella nessuno piange. Nemmeno tu.»
Nota Autrice:
Salve lettori, e bentornati, eccovi il vostro nuovo capitolo che, non nego, ho faticato a scrivere.
Vi ricordo che sul mio profilo instagram (sasha_nye_) potrete trovare news e piccoli spoiler a proposito delle mie storie u.u
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