La principessa e il suo imbarazzante regalo
La principessa e il suo imbarazzante regalo
Come avevo già sospettato, Sasha la stronza e Pamela se ne sono andate dal mio appartamento nonostante la mia richiesta di aspettarmi una volta che fossi potuta tornare a casa. Me ne accorgo sin da subito, dal momento in cui Jack mi riporta al parcheggio dell'edificio e io non riesco a scorgere il pick-up di quella che ben presto diventerà mia cognata.
La conferma ai miei sospetti, tuttavia, avviene una volta che raggiungiamo il pianerottolo di casa e apro la porta del mio locale. Ad accoglierci dentro è solo il latrato furibondo di Papillon, che si lancia contro di Jack come una furia, nel tentativo di amputargli un piede.
«Ciao anche a te, topo» mormora lui con fare sardonico, tentando di scollarsi di dosso i dentini aguzzi del mio barboncino. Entriamo nell'appartamento quasi senza far rumore, le luci sono state spente e non c'è alcuna traccia di altre presenze umane oltre alla mia e quella di Guar.
Questo è un problema.
Non ho la più pallida idea di come comportarmi, ora come ora. Non riesco a digerire quello che è appena successo - l'inganno di Sasha, il suo piano malefico, il complottismo con Gerard e, per finire, l'arrivo inaspettato di Jack - e trovare un modo per instaurare una conversazione mi sembra estremamente difficile, specie se in un momento così delicato.
Papillon salta di qualche metro non appena mi avvicino al sofà del salone per andare ad aggiustare le pieghe inesistenti dei cuscini, mi si scaglia addosso alla velocità della luce, la bava alla bocca e gli occhi spietati di un cane che vorrebbe metter fine al mondo intero. «Cosa diavolo c'è, ora?» gli domando esasperata. «Sasha e Pamela ti hanno portato fuori a passeggiare, non è così?»
Sento gli occhi di Jack addosso, incollati sulla mia pelle, tutto ciò mi fa sudare freddo. Incrociare il suo sguardo è fuori questione, non quando non appena lo vedo i miei pensieri tornano indietro nel tempo, a ciò che è successo l'altro giorno, a come il suo corpo si è mosso dentro il mio, a ciò che è successo stasera, a ciò che a cuore spento gli ho confessato.
Un altro passo avanti è stato fatto e devo accettarlo. Più tempo trascorro con questo ragazzo più mi allontano sempre di più dal fantasma del mio grande amore. Le mie dita che erano sempre state intrecciate a quelle di Andrew stanno man mano scivolando via, di respiro in respiro, e presto, lo so, dovrò dire addio anche alla loro semplice percezione nell'aria.
Stringo Papillon fra le braccia, sollevandolo da terra così che la sua testolina sia allo stesso livello della mia. I giganti occhioni del mio cane si spalancano non appena incontrano i miei, sporchi di trucco sbafato e di occhiaie oramai non più coperte da tonnellate di correttore. Per un istante lui sembra quasi volermi leccare il volto per consolarmi, si avvicina lentamente a una mia guancia, ne annusa l'odore, la sua lingua si sporge dalla bocca per-
«Ahia! Papillon! Mi hai appena assordata!» Lascio andare con dolore la bestia di Satana per andare a coprire l'orecchio dentro cui il bastardo ha appena abbaiato. Lui atterra con la grazia di una diva sul tappeto intarsiato sotto il sofà, solleva lo sguardo con orgoglio e mi dà le spalle sculettando. «Incredibile figlio di-»
«Credo sia il suo modo per dirti che gli sei mancata» suppone Jack alla fine, allontanandosi quasi con rispetto per far spazio al Sommo Papillon, pronto per andare a sorseggiare con eleganza l'acqua della sua vaschetta. «Oppure ha solo tentanto di ucciderti per l'ennesima volta.»
La sua voce è lenta e ritmata, scorre lenta nelle mie vene di sillaba in sillaba, come una sinfonia impossibile da arrestare ma di cui puoi solo accettare l'essenza distorta. Il fuoco brucia i miei polmoni mentre mi accarezzo l'orecchio dolorante e fisso un punto non ben precisato vicino al televisore. Non ho la più pallida idea di cosa dire, non so nemmeno da dove cominciare.
«Devi fare una statua a tuo fratello, Aaron King.»
Non mi aspettavo che le prime parole che avrebbe pronunciato una volta essere arrivati a casa mia sarebbero state queste, lo ammetto. In qualche modo, tuttavia, bastano per allentare la tensione. «Non... io non ne avevo idea» mormoro, stringendomi nelle spalle. «Non avevo idea del piano che aveva orchestrato Sasha, te lo giuro...»
«Sono serio, principessa, tuo fratello è un santo se sta con una ragazza simile. Nessun uomo al mondo riuscirebbe mai a sostenere una simile... psicopatica.»
Gli scocco un'occhiataccia. «Ora non esagerare.»
Il sopracciglio di Jack si solleva di stupore. «Esagerare? Semmai sto minimizzando quello che è successo. Tu non hai idea...» si blocca per un secondo, grattandosi la barba. «Non mi aspettavo sapesse dove abitavo.»
«Sasha ha vissuto per quasi tutta la sua vita in un campo di roulotte» lo informo a bassa voce. «Non deve esser stato troppo difficile per lei capire in che zona ti trovassi, soprattutto perché io l'avevo già informata si trattasse di un luogo vicino alla stazione ferroviaria, ma... Dio, non immaginavo sarebbe venuta fin da te per minacciarti.»
«Non solo mi ha minacciato...» si ferma per un secondo, quasi imbarazzato. «Dio, non ci posso credere.»
Ora la curiosità prevale sopra ogni altra forma di imbarazzo. «Che intendi dire?»
«Vuoi sapere come sono andate le cose, principessa? Be', te lo spiego in breve. Io stavo tagliando la legna tranquillamente, ho fatto il mio lavoro, mi sono lavato e sono andato nel capannone di Lala per mangiare insieme a tutti e... lei era lì!» La sua voce si fa più acuta per l'oltraggio subito. Sgrano gli occhi. «Era seduta comodamente fra Lala e Jasmine, a sorseggiare una tazza di tè, come se nulla fosse! Quando l'ho visto ero sconvolto, e lei, una volta aver incrociato il mio sguardo, mi ha sorriso e ha detto: "benvenuto, Guar". Benvenuto! Mi ha detto "benvenuto"! Quasi fosse casa sua! Con quel sorriso maligno degno di un film horror!» Sembra così sconvolto che la bocca gli si spalanca di sua iniziativa. «E Lala adorava parlare con lei! Non faceva altro che riempirla di cibo! Ha detto che è una donna da sposare!»
Oddio... Lala...
«Sasha è...» mi fermo un attimo. «Dio, lo so, mi dispiace.»
«Non ti scusare, non è colpa tua se tua cognata è completamente pazza.»
Afferro il bordo del vestito per stirarlo, tentando di concentrarmi sulle inutili pieghe che si sono create col viaggio in moto. «Hai aggiustato la tua Harley-Davidson, vedo.»
«Mi devi ottocento dollari.»
«Raccogli quello che semini, Guar.»
Gli occhi di lui sono lampioni abbaglianti, illuminano tutto quanto e ho paura a guardarli. Mi mordo il labbro, la tensione risale di nuovo, per un attimo il silenzio che collima fra noi due viene smorzato solo dagli strani versi che Papillon emette mentre si ingozza delle sue crocchette preferite.
Rimaniamo immobili, a pochi metro l'uno dall'altra, Guar pare nervoso quanto me in un simile momento. Chissà se ha capito? Chissà se ha visto il modo in cui il mio corpo reagisce d'istinto alla sua semplice presenza? Il rossore che si crea sulle mie guance nel sentire la sua voce baritona e profonda? Il tremore delle mie labbra mentre osservo la sua statura sproporzionata e così gigantesca?
«Sophia-»
«Jack-»
Parliamo all'unisono, due bambini che per la prima volta in vita loro hanno deciso di fare pace. Tutto questo è così maledettamente imbarazzante. «C'è un fogliettino, sull'isola della cucina.» Jack indica il suddetto mobile con un cenno del capo. «Credo sia per te.»
Sollevo lentamente lo sguardo così da rivolgerlo al luogo da lui indicato. Ha ragione, c'è per davvero, non ci posso credere. Mi avvicino lentamente, la pelle che trema mentre il mio corpo si fa sempre meno distante al suo, le dita che vibrano nel sentire il suo sguardo sulla mia schiena quando afferro la busta lasciatami sulla superficie liscia e trasparente dell'isola. Riconoscerei questa grafia a zampa di gallina ovunque.
Prudence Sophia King,
Fatti montare come una nonna monta l'albume delle uova.
Risucchiaglielo come se fosse un chupa-chups.
P.S.
Nella credenza della cucina ho lasciato una sorpresa per voi.
P.P.S.
Mi devi un panino extralarge al salame piccante. No, non mi riferisco a quello di Doberman, tienitelo per te, il suo, io ho già quello di tuo fratello.
P.P.P.S.
Dentro la busta ho lasciato un bigliettino anche per Guar, deve leggerlo solo lui. Se lo leggi prima tu, faccio esplodere il tuo cane.
Con affetto,
Sasha
Che qualcuno mi uccida, ora, in questo esatto momento.
«Cosa dice?»
«È... Sasha.» Mi schiarisco la gola, appallottolando il fogliettino nella mano e afferrando in contemporanea l'altro che è stato lasciato nella busta. «Dice che ha un messaggio anche per te.» Non ho il coraggio di guardarlo in faccia mentre glielo porgo a occhi chiusi. Un giorno o l'altro, lo giuro, ucciderò nel sonno quella ragazza. Lo farò.
Jack afferra esitante ciò che gli è stato lasciato da Sasha, quasi temesse possa esplodere da un momento all'altro. Strizza gli occhi per leggere e decifrare la grafia tutt'altro che elegante della mia amica e, dopo qualche attimo di silenzio, le sue labbra si aprono in un sorriso da cui lascia andare la più fragorosa delle risate.
«Cosa c'è? Cosa c'è scritto?»
«Te ne leggerò solo una parte, principessa.» Ha le lacrime agli occhi tanto sta ridendo. «La tua cara cognata scrive: "Mio caro Doberman, se domani Sophia riesce ancora a reggersi sulle sue gambe non avrò pietà nel chiamarti Speedy per il resto della mia vita. P.S. La posizione preferita di Sophia è "la cavalcata del barboncino". P.P.S. L'amato Bug's Bunny è nel primo cassetto del suo comodino affianco al letto, fanne buon uso, un biscotto vero e uno falso insieme possono fare tante cose per una marmellata che deve perdere la sua riacquistata verginità."» Si ferma nel momento esatto in cui mi vede avvicinarmi alla finestra della cucina e aprirla. «Cosa stai facendo?»
«Sto cercando di buttarmi dalla finestra, mi pare ovvio.»
La sua risata roca è musica per le mie orecchie, si avvicina a me all'improvviso, strattonandomi via dal mio sogno di metter fine una volta per tutte al mio imbarazzo stringendomi per la vita e costringendo il mio corpo a posarsi contro il suo torace. «Non ti buttare, sta' ferma qui, non è colpa tua se la tua cognata è una pazza.»
«Non ci posso credere, lei è...» mi fermo un secondo. «Cosa conteneva l'ultimo pezzo del messaggio?»
Il suo sorriso si fa meno ridente, stavolta, si trasforma in uno molto più dolce e sincero. Pare quasi brillare, in un simile momento. «È un segreto.»
«Cosa? No! Fermo! Fammi leggere! Non ci posso credere! Che ti ha scritto? Che ti ha detto? Oh santo cielo, Jack! Stronzo!» Ha sollevato in aria il suo bigliettino, le sue braccia sono troppo lunghe perché possa in qualche modo acciuffarlo, una delle tante condanne per chi, come me, è alto un metro e una lattina. «Ha detto che mi ha lasciato un regalo in credenza...»
«Davvero? Ora sono curioso.»
«Non so se voglio veramente scoprire qual è.»
Mi allontano nervosamente, passandomi una mano sul collo sudato. Siamo così vicini che riesco a sentire il calore della sua pelle diffondersi sulla mia, tutto questo è dannatamente snervante. Mi muovo a tentoni, aggirandolo, per rivolgermi alla piccola anta in legno della mia credenza, appesa sopra i fornelli. «Ho paura» sussurro. «Non ho il coraggio di vedere che razza di regalo mi ha lasciato.»
Lo sghignazzo di Jack, ora, non mi aiuta affatto. In un gesto di coraggio tutt'altro che voluto afferro il pomello in acciaio della credenza e spalanco l'anta.
Il mio volto evapora quando una cascata di preservativi crolla su di me, annaffiandomi.
Io.
La.
Uccido.
Jack non ce la fa più, è così sconvolto e sorpreso che non riesce più a trattenersi, si lascia andare a una delle risate più profonde e sincere che gli abbia mai sentito prima d'ora. Il suo corpo si piega in due tanto l'ilarità del momento lo sta afferrando, io resto immobile, ancora basita, con pezzi di alluminio sparpagliati ovunque. Saranno più di cinquanta. Quando diavolo li ha comprati? Perché le ho dato il permesso di tenere la copia delle chiavi di casa mia? Perché sono ancora sua amica?
«Mi rimangio tutto quello che ho detto!» esplode Guar, mentre, nel frattempo, Papillon si riprende dal suo pasto per iniziare ad annusare con diffidenza i profilattici caduti per terra. «Credo di aver finalmente capito perché tuo fratello sia così masochista da voler stare con una sociopatica come lei!»
«Smettila di ridere! Non è affatto-Jack! Smettila!» esclamo disperata. Non ha il minimo ritegno a rendersi conto che questo è sicuramente il più imbarazzante regalo mai ricevuto nel corso della mia vita. «Non ridere! Smettila!» Eppure, nonostante la vergogna di un simile momento, vederlo così preso dall'ilarità pare rilassare anche me. Rido anche io, pian piano, in silenzio, quasi temessi di farmi scoprire, per poi lasciarmi andare a un vero e proprio sghignazzo che lui rafforza a ogni passo, mentre si avvicina a me, con quella luce negli occhi che già gli ho visto in passato e con cui è in grado di far tremare ogni cellula del mio corpo.
Mi bacia con voracità, stavolta, mi bacia anche mentre le mie labbra sono spalancate in un sorriso, con la sua bocca che soffoca le mie risate e le sue braccia che avvolgono il mio torace scosso dai singhiozzi divertiti. Il timbro del suo viso sul mio è caldo e rafforza il desiderio sgorgato in me da molto, troppo tempo. Ridiamo insieme mentre ci baciamo, con lui che si stringe a me con forza e io che lo stringo a me con forza. Restiamo immobili, fermi sul posto, in un lago di preservativi e dentro un boato di ringhi provocati dal mio cane. Non c'è nulla di romantico in una simile scena, me ne rendo conto, ma è la più dolce che io possa aver mai desiderato.
«La cavalcata del barboncino...» ripete fra sé e sé, mentre marchia la pelle del mio collo con le sue labbra, le sue spalle che ancora tremano per soffocare le risa. «Non ci posso credere.»
«Non devi far caso a quello che dice Sasha, tre quarti delle volte sono solo stronzate.»
Le sue mani sulla mia schiena sono immobili in un punto poco più alto del sedere, bruciano la pelle anche attraverso il tessuto del vestito di Tiffany, facendomi desiderare che mi toccassero di più, ancora di più, nel profondo. «C'è una cosa che ti devo dire» mi sussurra all'orecchio, quasi in silenzio, mentre i suoi denti sfiorano il mio lobo. Un brivido di eccitazione mi attraversa quando ciò accade, le sue dita scivolano più in basso, senza mai andare troppo giù, nonostante il mio desiderio più grande sia percepirle proprio lì, in quel punto che lui sta deliberatamente evitando.
«Cosa c'è?»
«Questo vestito...» La sua mano destra risale lentamente, afferra la cerniera posteriore posizionata sul colletto e la lascia scivolare verso il basso, pian piano, scoprendo solo in parte la mia pelle. Lui scosta una spallina ora libera dalla chiusura del vestito, le labbra inseguono una scia rovente sulla mia pelle fino a bloccare il mio respiro. «Non lo indossare più fuori casa...»
Sono troppo inebriata dal suo profumo per poter in qualche modo ribattere, è così vicino, la sua voce è così sensuale, che a malapena riesco a ricordarmi il come siamo arrivati fino a qui, a malapena riesco a sentire il suono dei latrati di Papillon. Tutto ciò che percepisco è il calore disarmante del suo corpo, la solidità dei suoi muscoli nascosti dentro la t-shirt, la struttura tonica del suo fisico che si avvolge attorno al mio per plasmarlo. Respiro a tratti, lenta, un sospiro emerge fra le mie labbra in una preghiera: «Sì.»
Finalmente, con l'altra mano, raggiunge il sedere, il mio collo si tende quando il vestito casca a terra senza troppe cerimonie, lasciandomi spoglia di ogni abito se non degli slip in pizzo. Lui pare trattenere il fiato una volta essersi reso conto della totale assenza del reggiseno. «Solo... quando siamo solo noi due, okay?» Le sue labbra tornano su di me in un delirio dei sensi, rischio di crollare sui miei tacchi quando si sporge per soffocare i miei ansimi con la bocca. Jack interviene prontamente, afferrandomi e stringendomi a sè: i seni aderiscono alla perfezione al suo torace piegato. È così alto e gigante che, stretta in lui, mi sento una piccola conchiglia nata per esser custodita.
«Sì.» Un singhiozzo lento sfugge alla mia gola quando i miei occhi incrociano i suoi. Sono degli specchi bellissimi in cui vorrei riflettermi per sempre. È la prima volta, dopo la morte di Andrew, che non mi sento disgustata nel vedere il suo desiderio nei miei confronti. La prima volta che mi ritrovo a non condannare la mia bellezza. È impossibile farlo se lui mi osserva come se fossi il minerale più prezioso di tutti, il diamante più splendente al mondo. «Solo quando siamo noi due, io non...» La voce mi muore in gola non appena, per sbaglio, chino il mio sguardo per terra e noto i giganteschi occhioni traumatizzati di Papillon. «Oh mio Dio, aspetta, Jack, fermo.»
Il corpo di Jack brontola non appena mi stacco, nascondendo i miei seni nella stretta forte delle mie braccia, all'improvviso consapevole della mia nudità. «Non possiamo farlo qui.»
Il sopracciglio di lui si inarca così tanto che quasi scompare sotto la coltre dei suoi capelli inchiostrati. «Come, prego?»
«Papillon, guardalo!» Indico il mio barboncino sconvolto e furibondo, che trema ai nostri piedi con la bava alla bocca. «Lo stiamo spaventando!»
Jack rivolge la sua occhiata peggiore nei confronti del mio cane che, in risposta, inizia a ringhiargli contro con tanto di lampi fiammeggianti negli occhi. «Per davvero, Anja? Per davvero? Mi hai fermato all'improvviso per colpa del topo?»
«Non è un topo!» esclamo disperata. «E non ho alcuna intenzione di fare sesso davanti al mio cane!»
Jack sospira e scuote la testa, incredulo. «Sono stato boicottato da uno stupido topo.»
«Non è un topo!»
Lui non aggiunge altro, si avvicina a me con uno sguardo più che severo nel suo viso, ignorando del tutto il mio indietreggiare spaventato. «Cosa stai facen-no! Fermo! Non di nuovo! Ahhh! Mettimi giù, Jack, mettimi giù!» Venire presa di nuovo in braccio e posta sulla sua spalla come se fossi un sacco di patate sembra esser diventato un rituale estremamente divertente per il bastardo. Si muove senza alcun problema, lo sento acciuffare alcuni quadrati di alluminio caduti dai fornelli e infilarseli nella tasca dei jeans prima di muoversi verso la mia camera. «Papillon... ci sta inseguendo.»
«Sei seria? Per davvero?»
Vorrei che non fosse così, ma è esattamente quello che sta accadendo: Papillon sembra voler rompere le palle a noi esseri umani anche in questi modi. A quanto pare è completamente devoto al suo lavoro da cane della sciagura, perché ad ogni passo che Jack compie lui lo segue, stavolta senza proferir latrato, forse consapevole di dover stare in silenzio per non farsi notare da Guar.
«Okay, adesso basta.» Per colpa della posizione in cui sono posso solo scorgere quello che accade alle sue spalle, perciò, quando Jack si rivolta verso Papillon tutto ciò che posso vedere è solo la porta chiusa della mia camera da letto. Lui si china pian piano, i latrati del mio cane tornano a esplodere nell'appartamento, segno che lo ha afferrato con l'altro braccio libero e lo sta conducendo all'altra stanza di questo appartamento: il bagno.
«Vuoi rinchiuderlo nella toilette?»
Non ha bisogno di rispondermi: il suono della porta sbattuta e l'inizio dei guaiti del mio cane sono sufficienti. «Questo è maltrattamento verso gli animali!» esplodo stupefatta, mentre Jack mi ignora, tornando a muoversi verso la mia stanza. «Potevamo rinchiuderci in camera e basta!»
«E sentirlo graffiare contro la porta ogni secondo? Neanche per idea. Gli unici gemiti che voglio sentire, principessa, sono i tuoi.»
Mi copro il volto con le mani, le guance in fiamme mentre il mio corpo sobbalza sopra la sua spalla a ogni suo passo. Varchiamo la soglia della mia stanza in un secondo, lui mi ordina di richiudere la porta senza troppi giri di parole - probabilmente per ovattare ancor di più i latrati di Papi, provenienti dal bagno - e, l'istante dopo, il mondo si capovolge. Il mio corpo sprofonda nel materasso del mio letto quasi senza far rumore, schiacciato in poco tempo dal suo, che lo investe e lo ricopre come una coperta calda.
«Dovresti esser più gentile, sai?» sussurro a bassa voce, il fuoco che torna ad accendere il sangue nelle vene.
«Non sono un principe, Prudence Sophia King» è la sua risposta. Lo afferma con sincerità, ma anche rammarico. Quasi fosse difficile, per lui, ammettere di potersi considerare "diverso" da tutti, per quello che è e per il mondo a cui appartiene. Il ghiaccio nei suoi occhi vibra di incertezza quando incontra la foresta dei miei, ne percepisco l'insicurezza e la vergogna mentre si china per baciarmi di nuovo.
Quando stavolta si spoglia, non posso fare altro che guardarlo, restare immobile, a fissarlo, mentre nella mia testa centinaia di domande si fanno spazio dandosi a gomitate fra loro. Come sono arrivata fino a qui? Cos'è successo che mi ha condotta a tutto questo? Quand'è stato il momento che ho trovato modo di stare con un ragazzo così sbagliato da apparire quello più giusto?
Eppure, mentre lo guardo privarmi anche dell'ultimo pezzo di biancheria che ci separava, tutto ciò che mi ritrovo a realizzare è quanto il suo volto, in questo momento, sia bello, quando i suoi occhi su di me, le sue labbra su di me, le sue dita su di me, siano la cosa più speciale che possa mai essermi stata data. Il suo è quel tipo di affetto che non può non smuoverti dentro, ripercuotersi nelle viscere della tua sofferenza, andandone ad estirparne i semi del dolore.
Il suo volto è quello di un uomo che è stato disprezzato in centinaia di modi diversi da centinaia di persone diverse: ne bacio la cicatrice lentamente, dolcemente. Quella cicatrice che gli è stata procurata perché diverso, perché sbagliato. Quanto può essere crudele questo mondo per non essersi reso conto della gentilezza insita in una simile persona? Io la posso vedere: la posso vedere quando mi bacia, la posso vedere quando mi tocca, la posso vedere quando diventa tutt'uno con me. Posso vederla sempre e comunque, anche ora che siamo vincolati l'uno all'altra, anche ora che i nostri corpi sembrano intrecciati in modi molto più profondi e sinceri del semplice rapporto carnale.
Jack è dolce, delicato, forte, brusco, una contraddizione vivente, ma non c'è niente, niente che cambierei di tutto ciò, non cambierei i baci con cui afferra i gemiti provenienti dalla mia bocca, non cambierei il sorriso che curva le sue labbra quando mi guarda rispondere a ogni sua carezza intima con versi di cui, ne sono sicura, domani mi porteranno a desiderare una morte lenta e agonizzante. Di lui riesco a scorgere i fuochi d'artificio con cui riesce a risvegliare la ragazza morta che credevo di essere, le stelle cadenti che mi accarezzano a ogni suo respiro calcolato, a ogni intreccio di dita. E mentre siamo fermi, fragili in questo nostro scoprirci, le mie dita si ritrovano ad afferrarlo per il volto e a guardarlo ancora.
Lo guarderei per sempre, questo viso, lo guarderei per il resto dell'eternità. Vorrei non dimenticare mai questo sguardo magnetico, questa cicatrice sulla guancia, queste labbra socchiuse per il piacere che mi sta donando e che io gli sto donando. In un impeto di follia, o forse di razionalità pura, mi ritrovo a sussurrargli così, faccia a faccia, quelle parole che mai, mai e poi mai, avrei creduto potessi pronunciare una seconda volta:
«Non hai bisogno di essere gentile, per essere il mio principe.»
***
Le sue mani sui miei capelli accarezzano con dolcezza le ciocche bionde sparse sul suo petto a mo' di lenzuolo. Percepisco il battito del suo cuore contro il mio orecchio, sta cercando di riprendersi dal sudore e dalla fatica compiuta nell'arco delle ultime quattro ore. Fuori, dalla finestra, la luna è l'unica fonte di luce in grado di illuminare i nostri corpi nudi, avvolti unicamente dalle coperte di flanella del mio letto.
Jack respira a ritmo scandito, senza parlare, con gli occhi chiusi e le labbra chinate sul mio capo. In queste poche ore che abbiamo vissuto insieme nel modo più inteso possibile, ho scoperto che ha una vera e propria mania per i miei capelli. Gli piacciono da impazzire. Tutto ciò dovrebbe farmi ridere, ma, dentro, non riesce a fare altro che intenerirmi.
«Cosa siamo, ora?»
La domanda che avrei voluto porgergli più tardi, molto più tardi, è sgusciata dalle mie labbra, innescata dal desiderio di sapere, dalla stanchezza e dal piacevole torpore nato per il comodo piacere di essere al suo fianco in questo modo. Le dita di Jack si fermano per un secondo, uno soltanto, prima di riprendere a scivolare lungo le ciocche dei miei capelli. «Cosa intendi dire, Anja?»
«Io e te. Noi.» Noi. Il solo sentirlo dire dalla mia voce mi lascia incredula. «Cosa siamo? Tu lo sai?»
«Vuoi una definizione?»
«Voglio una definizione.»
Le sue mani afferrano le mie spalle, costringendomi a ribaltarmi sul letto così che, ora, siamo fianco a fianco, occhi contro occhi e bocche contro bocche. Il suo sguardo è severo, tagliato dalla linea dura e profonda delle sue sopracciglia aggrottate. «Non credo che tu sia pronta per saperlo, Anja.»
Non so perché, ma sentirlo pronunciare queste parole provoca in me sia frustrazione che sollievo. L'affaticamento di averlo esplorato ed essermi fatta esplorare in ogni modo possibile non fa altro che peggiorare il divario intrinseco di queste due emozioni. «Perché?»
«Anja, voglio che mi ascolti bene, ora.» La sua mano scivola dal capo alla mia guancia, assumendone la forma per accarezzarla e coprirla al meglio. È dolce, ora, completamente diverso dal ragazzo con cui, fino a pochi attimi fa, ho riscoperto i piaceri più carnali del sesso. Il suo odore inebria i miei sensi, sono attratta dai suoi occhi come se fossero due magneti, mi è impossibile distoglierne lo sguardo. «Sto per fare un discorso serio, ma tu mi devi promettere che non scapperai.»
Temo di sapere dove andrà a parare, con questa conversazione. All'improvviso vorrei tornare indietro nel tempo solo per impedirmi di porgerli la domanda che ci ha portato a tutto ciò. Mi mordo il labbro, prima di costringermi ad annuire.
«Sei stata innamorata di Andrew praticamente per tutta la mia vita, perciò so molto bene che per te non è facile accettare l'idea di doverlo lasciare andare via. So che ti sei rifiutata per tutto questo tempo e che solo adesso stai provando a fare passi avanti, ma tu non hai poteri speciali, Sophia, sei un essere umano, e c'è una parte di te che si rifiuta di staccarsi dal fantasma di quel ragazzo.»
Sentirlo ammettere così tante mie verità tutte insieme è agonizzante, tuttavia, non c'è modo che possa sfuggire dalla sua carezza sul mio viso. Non mi sta giudicando, sta solo affermando ciò che, in cuore mio, già so. «Voglio che mi dai la possibilità di aiutarti.»
Sgrano lo sguardo, sconvolta. «Aiutarmi?»
Jack annuisce, fermamente convinto.
«Voglio che mi concedi la possibilità di aiutarti ad andare avanti. Senza di lui. Con me.» Ogni sua parola è un battito perso nel mio cuore. «Ti dimostrerò che puoi farlo, sarà il mio nome a farti lasciare andare il suo, sarò io a permetterti di trovare di nuovo la tua felicità.»
«Io non...»
«Permettimi di farlo, Sophia.» Sussurra. «Se fallirò, allora potremo concludere qua tutto quanto. Se non dovessi fallire, allora... a quel punto sarai mia. Solo mia. Non di Andrew. Mia.»
Non riesco a parlare, la sorpresa è troppa, così come le emozioni: non riesco a contrastarle, si incuneano nel petto e mi strappano i respiri insieme ai baci che mi concede l'istante dopo.
Ehi, Andrew?
Andrew?
Puoi perdonarmi?
Puoi perdonarmi, se dovessi accettare?
Puoi perdonarmi, se dovessi metter fine a tutto quanto una volta per tutte?
«Sophie?»
«Va bene.» Ho la voce gracchiante, sfrigola di terrore nell'aria. «Proviamoci, va bene. Okay. Puoi tentare.»
Il sorriso con cui mi bacia, l'istante dopo, è talmente luminoso da farmi sorridere a mia volta.
«Vuoi sapere cosa mi ha detto Sasha, alla fine del bigliettino imbarazzante?» mi domanda alla fine.
Annuisco piano, ancora trafelata.
«Prenditi cura di lei. Sophia merita molto più di un fantasma. Merita quel lieto fine che nessuno gli ha mai concesso.»
N.A.
Non posso dire molto, tranne che sono morta dalle risate nentre scrivevo questo capitolo.
Sasha Alias Cupido Pervertito.
Siano benedetti i panini al salame.
Nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle.
O, ancor meglio, vedremo l'altra coppia che ancora necessita di un intervento divino.
O forse di un intervento da panino al salame 🤔
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