La principessa e il disastroso appuntamento

La principessa e il disastroso appuntamento


«Questa è la cosa più ridicola, stupida, assurda che tu possa mai fare, Sophie.»

«Non ho alcuna intenzione di ascoltarti, Pam.»

«Dannazione, Sophie! Che diavolo hai per la testa? Sei impazzita? Dare ascolto a quell'idiota di tuo fratello e uscire con un ragazzo che neanche conosci...»

«Non continuare, Pam.»

«Sto solo cercando di farti tornare lucida! Dannazione! Sasha! Sasha!» Con un'espressione del tutto esterrefatta, Pam rivolge il suo sguardo disperato in direzione del mio letto, dove Sasha, prontamente, si è seduta. Un panino in mano, uno sbadiglio in bocca e un barboncino fra le gambe, in questo momento la nostra amica somiglia terribilmente a un boss mafioso pronto per far esplodere case all'improvviso. «Perché non le dici qualcosa anche tu?»

Papillon, seduto sopra le cosce di Sasha, vibra e ringhia con forza, i due sembrano esser riusciti ad ottenere un compromesso da quando li ho lasciati da soli per poter correre da Jack, e ora il mio cane pare non avere remore a comportarti come un pazzo sociopatico davanti a Sasha. Avrà capito che lei è quella che più di tutti lo può comprendere? «Dirle cosa?» Sasha affonda i denti nella superficie croccante del pane e socchiude lentamente gli occhi. «Io sono pienamente d'accordo con quello che sta facendo.»

«Cosa

Persino io ho strillato, in un momento simile, lasciando cadere a terra il mio bellissimo abito lungo, da sera, color verde menta. Sasha inarca un sopracciglio nel guardare il costoso tessuto - impreziosito sul busto da perle brillanti come la luna - venir abbandonato così, sul pavimento della stanza, accarezza il dorso di Papillon come se fosse il suo cane segugio, mentre quest'ultimo ringhia contro la tastiera del letto fino a sbavare. 

Pamela strabuzza gli occhi, il volto così stupefatto che quasi mi verrebbe voglia di farle una foto, se non fosse che io sono nelle sue stesse, identiche, condizioni. «Sasha, sei seria?» La voce della mia amica è strozzata dall'incredulità. «Tu? Proprio tu sei d'accordo con quest'assurdità?»

«Sì, proprio io.» Azzanna un altro morso al suo panino prima di guardare entrambe con la bocca piena. Sembra particolarmente perplessa di fronte al nostro sincero stupore. «Ehi, a me interessa solo che Sophia abbia un'attività sessuale decente e protetta con preservativi, con chi non mi interessa più di tanto.»

«Bugiarda!» esclamo indignata. «Sei tu quella che gli ha quasi fatto la ceretta brasiliana pur di farlo rimanere in casa mia!»

«Ho cambiato idea» scrolla le spalle. «Doberman è uno stronzo, dopo quello che ti ha detto merita una lenta e dolorosa morte, perciò fai più che bene a cercare di dimenticarlo con un altro tizio con cui magari metterai la testa a posto.» Le briciole del panino si sparpagliano sopra il pelo di Papillon, che, frustrato, inizia a scuotere tutto il suo corpo e cade dal letto, pronto ad aggredire il mio vestito per l'appuntamento. Lo riacciuffo un attimo prima che i suoi denti possano scalfirne il meraviglioso tessuto aderente, costato più di quattrocento dollari. 

«Chi sei tu?» domanda Pamela, spaventata. «E che fine ha fatto la Sasha Porter che aggredisce verbalmente tutti quanti?»

«È andata in pensione dopo essersi stancata di ascoltare i vostri problemi amorosi. A proposito, Sophia» aggiunge poi, indicando con il capo il mio seno «fa' vedere la scollatura, il primo appuntamento è fondamentale, mostra che, pur non avendo tante tette quante le mie, sono abbastanza sode da potervi affogare dentro.»

Sono sconvolta, sinceramente sconvolta. Non ho la più pallida idea di cosa le stia passando per la testa in un simile momento e, in parte, non voglio neanche saperlo. Deglutisco a fatica, ignorando il batticuore che sta tartassando il mio petto, e infilo velocemente il vestito, controllando la figura che mi si staglia nel riflesso dello specchio incorporato all'armadio.

Una principessa.

Sbatto più volte le palpebre, cercando di trattenere il brivido di rabbia che circola nelle mie vene nel guardare questo corpo che pare non esser mio. La lunga gonna del vestito di Tiffany scivola aderente lungo le gambe, avvolgendole in un manto quasi oceanico che esplode di luce lungo il corpetto privo di spalline. Le perle che lo incorporano stridono di energia, la fascia che avvolge il torace strizza il mio seno fino a compattarlo. 

Un volto magro, bianco, quasi fiabesco si staglia ai miei occhi verdi. La crocchia con cui ho avvolto i miei capelli rilascia cadere sulle spalle due magici boccoli dorati dalle fattezze che paiono finte, mentre ogni cosa in me si crepa al pensiero che questa bellezza sia tanto una benedizione quanto una condanna.

Dietro di me, attraverso il riflesso, scruto la figura preoccupata di Pamela, le cui mani si poggiano con delicatezza sopra la pelle scoperta delle mie spalle. Ha delle dita calde e affusolate, estremamente dolci, che reclamano a sé un conforto a me fin troppo familiare: i suoi occhi castani mi stanno scrutando proprio come facevano quelli di lui, tanto - troppo - tempo fa. 

«Sophia» mi sussurra all'orecchio «non sei costretta a farlo.»

«Gerard sarà qua a momenti» ribatto, cercando di nascondere il fremito nella mia voce «credo non ci sia più tempo per i ripensamenti.»

Mi stacco lentamente, avvicinandomi al bauletto della mia scrivania. Quando lo apro, due giganteschi orecchini brillano per esser ritrovati: sono uno dei tanti regali che mi ha fatto mamma per compensare la sua assenza nel corso degli anni. Non li avevo mai usati, prima d'ora, sapevo avrebbero soltanto esaltato quella mia bellezza che tanto disgusto e colpevolizzo. Ma ora, proprio ora, è tutto ciò che mi rimane.

«Siete state voi a dirmi di andare avanti, no?» Ho la voce gracchiante, mentre infilo le gocce di cristallo dentro i buchi dei lobi. «Quindi perché ora siete così contrarie al fatto che, finalmente, abbia accettato di uscire con un ragazzo?»

«Io non sono contraria» si premura di ricordarci Sasha, ora sdraiata sul letto a guardare il soffitto con quell'aria assorta che mai avrei pensato di vedere sul suo volto, un giorno. «Fatti montare come se lui fosse un trapano e tu la-»

«Sasha!» 

Lei fischietta innocente, tornando a guardare Papillon, ai piedi del letto, che le latra contro. Sembra che entrambi abbiano imparato ad apprezzarsi a vicenda, da quando li ho lasciati soli nel loro appartamento per andare a prendere-

Maledizione! Non volevo ripensare a lui! Non ora, non quando fra poco tempo un ragazzo che non conosco verrà a prendermi per portarmi fuori a cena! Quell'arrogante, bastardo, stronzo, figlio di... «Sophie» Pamela mi ridesta dai pensieri nefasti che mi stanno tormentando. Afferro da sotto la scrivania le scarpe in velluto bianco che avevo preparato in precedenza e le infilo con attenzione, terrorizzata all'idea di inciampare sull'orlo della gonna. «Sophie, perché lo stai facendo? Capisco che Valentine ti abbia fatta incazzare, ma credo che ci sia una motivazione per quel che...»

«Certo che c'è una motivazione» ringhio fra i denti. «Ed è che lui è un bastardo.»

«Quoto» a quanto pare, Sasha è concorde con me.

Il volto di Pamela si dirama di insicurezze. È così piccola, in questo momento, così innocente. La sua è l'espressione che assumeva sempre quando, da piccoli, io o i miei fratelli stavamo per compiere dei disastri interplanetari. Gli occhi socchiusi, le labbra tese, il volto contratto. Una bambolina che sembra distrutta tanto quanto lo sono io, il cui cuore, forse è stato spezzato in maniere molte diverse ma sempre atroci. «Sophia, non lo trovi un po' affrettato?» lo domanda con delicatezza, quasi temesse di distruggermi per sempre con una parola di troppo.

Sto sudando freddo, sento il cuore pompare ovunque, persino nelle gambe e nelle braccia. Non avevo idea che andare ad un appuntamento comprendesse questo, l'ansia, l'agitazione, il doversi fingere una persona che non si è. «Affrettato?»

«Affrettato» conferma lei, annuendo con vigore. «Hai... siamo sinceri, Sophie, giusto l'altro ieri sei andata a letto con un ragazzo che non è neanche il tuo fidanzato, dopo cinque anni di pura astinenza, e ora ti proponi per incontrarne un altro, con cui non hai mai avuto a che fare, solo per vendicarti di quello che Valentine...»

«Non mi sto vendicando!» tuono, facendola sussultare. «Okay, forse sono un po' tonta, forse non sono Miss Intelligenza, e me ne rendo conto, dico davvero. Ma non è per questo che sto andando a questo appuntamento con Gerard. Voglio solo dimenticare tutto. Tutto quanto. Voglio dimenticare quello che è successo con Jack, voglio dimenticare quello che mi ha detto e voglio in qualche modo riuscire per una buona volta a superare la morte di Andrew!» Non era mia intenzione essere così aggressiva, soprattutto nei confronti di una delle poche persone che è sinceramente preoccupata per me, ma la rabbia - mista al risentimento verso me stessa - ha preso il sopravvento senza lasciarmi altra possibilità. «Si può sapere perché sei così contraria? Mi hai sempre spronato ad uscire con altri ragazzi! Dovresti essere felice per me!»

«E lo ero! Ero felice per te! Ero felice quando ti ho vista con Valentine!» replica lei, più tagliente di una lama affilata. Sussulto, le sue sopracciglia si abbattono sui suoi occhi saettanti di verità. «Non fingere con me, King, ti conosco da una vita intera, non c'è niente che tu mi possa nascondere. Io ti ho vista, Sophia, ti ho vista mentre eri con Jack, ho riconosciuto quella luce che ti illuminava gli occhi. Eri felice, Sophia, felice come non ti vedevo da anni. Bruciavi di amore a ogni singolo respiro.»

L'umiliazione è cocente, avvolge il mio volto fino a mascherarlo del rosso fuoco che si stende sulle mie guance. Mi ha spogliata di ogni singola barriera senza che io potessi in alcun modo fermarla e ora tutto ciò che mi rimane è la corda della verità che recide il mio cuore a ogni battito di troppo. 

«Sophia, se a te piace Jack allora dovresti...»

«Dovrei cosa, Pam? È stato più che chiaro lui, vuole che dimentichi tutto, ogni cosa.» Pronunciare tale realtà dei fatti mi uccide dentro, stringo con violenza le mani al petto, i pendenti che ondeggiano dalle mie orecchie, riflettendo la luce che filtra dalla finestra. «Io non li capisco davvero, gli uomini.»

«In verità sono piuttosto facili da comprendere» l'intervento improvviso di Sasha fa sobbalzare entrambe. Mi volto lentamente, mentre lei scivola dal letto per potermi raggiungere e guardare dritto negli occhi. Buchi neri contro foresta amazzonica. «Uno impulsivo come Domerman Speedy, poi? Più che facile.»

«Non iniziare la tua solita logica da donna femminista perché giuro...»

«Non ha nulla a che fare col femminismo.» Lei schiocca la lingua, indignata, e serra le braccia al petto. «Jack Valentine è impulsivo, emotivo e estremamente arrogante, quello che pensa glielo si legge in faccia. Non sarà onesto come Aaron o stupido come Bill, ma ogni suo pensiero è palese, ce lo ha scritto negli occhi, e lo dimostra con le sue azioni.»

Sono sempre più confusa, la guarda, incapace di comprendere ciò che sta cercando di dirmi. «Tu sai perché Jack ha detto di dimenticarmi tutto?»

Sasha inarca un sopracciglio. «Te l'ho detto che io e quel Doberman siamo simili, vero?»

«Sì.»

«Quali sono le tre cose che mi caratterizzano?»

«La stronzaggine, la violenza e l'orgoglio» sia io che Pamela pronunciamo tali parole in sincronia, Sasha sghignazza, fiera di se stessa. Aggrotto la fronte, lei avanza ancora, puntandomi l'indice contro. «Non capisco, Sasha.»

«Orgoglio, dolcezza, orgoglio.» Sillaba questa parola come se fosse motivo di vanto, con un sorriso che va da un orecchio all'altro e lo sguardo di una donna che ne sa molto sulla vita nonostante la sua giovane età. 

«Perché diavolo Valentine avrebbe dovuto dire quelle cose per orgoglio?» Pamela sembra altrettanto perplessa. «Sophia non lo ha mai ferito nell'orgoglio...»

«Doberman odia perdere, Sophia» la interrompe lei. «Lo sai, vero?»

Mi sfugge una smorfia. «Sì.»

«Fatti due domande su questo.»

«Che cos-non capisco! Smettila di fare la donna misteriosa che sa tutto! Sasha! Non siamo in una sitcom anni '90 e tu non sei la saggia di turno che conosce tutte le risposte ma si rifiuta di dirle!» esplodo, ma lei mi ignora prontamente, andando a guardare Papillon che sta tentando di morderle la caviglia. 

«Ultimamente si sta montando la testa» è il commento di Pamela, che la osserva insieme a me mentre inizia a sfidare Papillon con uno scambio di sguardi che vale più di mille parole. «Sai, Sasha, dovresti essere l'ultima a parlare, non sono sicura che sarai ancora felicemente fidanzata quando Aaron scoprirà che non sei veramente incinta.»

«Oh, gliel'ho già detto» ribatte lei con nonchalance, stringendosi nelle spalle. 

«E non ti ha ancora uccisa?» la mia domanda è più che lecita.

«Conosco un ottimo modo per farmi perdonare dopo che lo faccio incazzare.» Un sorriso malizioso inarca le sue labbra fino ad adombrarne diabolicamente il viso. «Adoro il sesso riparatore.»

Questa è una di quelle cose che mai avrei voluto sapere. «A proposito, dov'è che ti porterà il principe azzurro?» Sasha balza sul letto con un sonoro colpo. «Qualche castello incantato? In una nave volante?»

«Smettila.» Mi passo nervosamente una mano sul volto, cercando di calmarmi. «Mi porterà al Ritz.»

«Il Ritz?» Il sopracciglio di Pam si inarca sorpreso. «Mio Dio, è uno dei ristoranti più lussuosi di tutta Beystick Locks.»

«Già, uno di quelli dove un pezzo di filetto di tonno è grande quanto una tessera di domino» borbotta l'altra. «Molto meglio il Mc Donald's, mangi di più.»

Il suono del campanello ci ridesta, Papillon rizza le orecchie, pronto ad attaccare, mentre Pamela e Sasha si lanciano sguardi pieni di significato. Inspiro a fondo, stringo con furia le mani in due pugni serrati. Il cuore che palpita nel petto, spronando a fermarmi quando sono ancora in tempo. «Allora... io esco» sussurro a bassa voce, e la condanna negli occhi di Pamela mi fa amaramente pentire di questa scelta. «Date i croccantini a Papillon e, una volta averlo portato fuori per una passeggiata, lasciatelo qua dentro e chiudete a chiave, okay?»

«Sophia» la mano di Pamela afferra il mio polso prima che possa scappare via dalla mia stanza. «Non sei costretta a farlo.»

La guardo, la guardo e basta, e per un istante mi pare di star crollando per davvero. Sono stata ferita in centinaia di modi diversi senza neanche rendermene conto, e tutto ciò che rimane di me, ora, è un corpo vuoto troppo bello per poter esser definito minimamente umano. 

«Lo faccio perché lo voglio.»

L'istante dopo, esco dalla camera, lasciando la sua figura accasciata a se stessa, tormentata dal senso di colpa che, ne sono sicura, non abbandona lei tanto quanto non abbandona me.

Mi avvicino lentamente alla porta, respirando a fatica. Sto avanzando verso una direzione e un luogo sconosciuto: quello degli appuntamenti al buio. Mai prima d'ora, nemmeno con Andrew, mi era capitato di dover avere a che fare con cose simili. La mia mano trema mentre avvolgo il palmo attorno il pomello dorato della porta, provo a respirare, ci provo davvero, ma è difficile riuscirci quando ogni cellula del tuo corpo sembra gridarti di andartene via, fuggire il più lontano possibile da questo mondo e da questo dolore.

L'uscio si apre solo dopo che, alla fine, ho trovato un minimo di coraggio per far scattare la serratura. Un odore dolciastro, fragrante ed estremamente piacevole avvolge le mie narici, una nuvola di rose rosse estremamente delicate si materializza davanti ai miei occhi, portandomi a sorridere. 

«Sophia King?»

La voce che parla dietro il mazzo gigantesco che ho davanti è dolce ed estremamente delicata, sollevo lentamente lo sguardo in alto, incontrando così degli occhi nocciola estremamente profondi e rincuoranti. «Gerard?»

Il ragazzo di fronte a me sorride a sua volta. Gerard, l'amico di Bill, è un uomo estremamente magro e dall'aspetto più che piacevole. I riccioli castani che vanno a contornare il suo volto sono stati perfettamente pettinati all'indietro, rivelando così un volto asciutto dagli occhi giganti e le labbra sottili. Il suo naso, leggermente aquilino, si storce nel sentire insieme a me l'odore fragrante delle rose. «Credo di avere un po' esagerato.»

«Non ti preoccupare» afferro il mazzo con incertezza: ha delle mani estremamente delicate, quasi sottili. La sua statura è poco più grande della mia, raggiungerà a stento il metro e settanta, e lo smoking nero che indossa pare renderlo ancor più gracile e magro. «Mi piacciono le rose.»

«Bill me lo aveva detto» i suoi denti bianchi splendono in questo momento. «Diciamo che mi sono fatto dare dei consigli da tuo fratello, lo ammetto.»

Ridacchio insieme a lui. «Vado a mettere le rose in acqua, torno subito.»

Mentre cerco in cucina un vaso in cui mettere i fiori, riesco a scorgere l'uscio della porta della mia stanza socchiudersi per permettere a Pamela e Sasha di spiare la situazione. Con un gesto veloce e scattante, faccio cenno loro di ritornare a rinchiudersi in camera.

«Tutto a posto?»

La voce di Gerard mi fa sussultare, mi sforzo di assumere un tono assolutamente tranquillo mentre ritorno da lui, stringendo fra le mani la pochette che un tempo Jasmine e suo fratello avevano tentato di rubarmi, quando ho rincontrato Jack..

No, dannazione, non devo pensare a lui. In ogni modo possibile devo evitare il suo pensiero, o rischierò di trasformare questo appuntamento in un vero e proprio disastro.

«Vogliamo andare?»

«Certo.»

***

«Allora, come hai conosciuto mio fratello?» Nella grossa sala del ristorante, la mia voce suona leggermene ovattata a causa del chiacchiericcio circostante degli altri clienti. Il Ritz è, come al solito, uno dei ristoranti più eleganti e lussuosi con cui si può mai avere a che fare.

Situato al centro della città, in un grosso castello medievale dall'antichità pregiatissima, il locale si rivela al suo interno in un avvolgersi di pareti color crema ridipinte dalle luci soffuse che pendono dal soffitto grazie agli enormi e giganteschi lampadari di cristallo. Colonne portanti ridipinte di crema si stagliano di tanto in tanto per dare una parvenza di classicità alla struttura, enfatizzata ancor di più dalla struttura estremamente rigida e severa delle finestre, che si aprono proprio sul centro della città e da cui si può vedere tutto quello che sta succedendo nelle strade principali.

Il tavolo che Gerard ha prenotato per il nostro appuntamento è proprio vicino a una di esse, così da permettere al vento di filtrare attraverso le tende color rubino e accarezzare i nostri volti accaldati. Osservo con sorpresa il tavolo: è stato apparecchiato nel modo più fine e delizioso possibile. Quasi mi dispiace di andare ad intaccare lo splendore della tovaglia bianca ricamata. 

«Io e Bill ci conosciamo grazie a Aaron» Gerard si passa una mano fra i capelli, sorseggiando lentamente il suo bicchiere di vino bianco mentre entrambi attendiamo che le ordinazioni giungano al nostro tavolo. «Frequento anche io la facoltà di fisica.»

«Davvero? Aaron non me ne aveva mai parlato.» Tamburello le unghie, oggi laccate di rosa, sul ripiano del tavolo. L'appuntamento, in sé, si prospetta dei migliori. Non ho combinato nessun disastro, come invece temevo, e l'idea di riuscire a sostenere una conversazione così quiete con un ragazzo che ho appena conosciuto mi sorprende. «È anche vero che... Aaron non è molto chiacchierone, eh?»

«No, direi di no, Sasha lo è molto di più.»

Rischio di far cadere il vino sul tavolo quando sento queste parole, serro gli occhi, sbigottita. «Conosci anche Sasha?»

«Sì, è piuttosto difficile dimenticarsi un soggetto simile, inoltre mi ha preso subito in simpatia quando ha saputo che anche a me piacciono i panini col salame» il suo sghignazzo mi lascia sempre più perplessa. Perché Sasha non ha detto nulla, mentre mi preparavo per l'appuntamento? Eppure ho fatto il nome di Gerard varie volte e lei non ha battuto ciglio? È per questo che era d'accordo con questa uscita? Perché ha dato il suo sigillo d'approvazione? È veramente difficile che una persona possa piacere ad Aleksandra Porter. Feticismo per i panini a parte, quella ragazza odia per principio il mondo intero.

«Mi hanno detto che studi legge» Gerard sorseggia ancora una volta il vino. «Non deve esser facile.»

Deglutisco, cercando di mandare giù il sospetto che si sta incuneando nei meandri del mio cuore. Quando sollevo lo sguardo, Gerard mi guarda senza proferir parola: ha un aspetto così calmo e tranquillo da ricordarmi quello di uno psicologo. Pare perfettamente a suo agio in questo contesto, i suoi sono gli occhi di una persona con cui sai, sin da subito, di poterti confidare senza alcun remore. 

«Sì» ho la voce gracchiante a causa della gola rauca. «È pesante, ma mi piace quello che studio. Te, invece? Trovi difficile la facoltà di fisica?»

«Sì, ma, come te, mi piace troppo per potervi rinunciare.» Passa il dito sul bordo del suo bicchiere, ora vuoto, con una flemma e costanza che ha dell'incredibile. Sospetto che si faccia quotidianamente di dosi di camomilla, non riesco a immaginare nessun altro motivo per cui riesca ad essere così rilassato. «Devo ammettere che sono sorpreso... di questo appuntamento. Da quel poco che Sasha mi aveva detto, avevo capito tu fossi impegnata.»

Un nodo si torce nel mio stomaco, l'immagine di un volto abbronzato, con una cicatrice sulla guancia e degli occhi più azzurri del mare invade la mia mente. Stringo con forza la forchetta, guardando il piatto quadrato che ho davanti mentre l'acredine risale in me. «No, non sono impegnata, Sasha ha interpretato male una... relazione che ho con un... conoscente.»

«Un conoscente?»

"Il ragazzo con cui sono andata a letto meno di quarantotto ore fa" sarebbe la risposta più corretta da dargli, ma in un simile contesto mi pare del tutto inappropriata. «Non voglio parlare di lui» sussurro a fatica, rivolgendo lo sguardo fuori dalla finestra alla mia sinistra. «È solo un cretino.»

«Ahi, ti ha scottato, non è così?»

«Non mi ha scottata, è solo... non era niente, assolutamente niente. E non ti sembra inadatto parlare dei miei trascorsi ad un appuntamento?»

Gerard si stringe nelle spalle, la giacca dello smoking pare calargli addosso come un mantello a causa della sua gracilità. «Nah, ad un appuntamento si può parlare di tutto e di più, almeno credo. So che ne sarai sorpresa, ma ho poche esperienze alle spalle.»

«Tu saresti ancor più sorpreso di sapere quante poche ne ho io.»

Il grosso iPhone che ha lasciato sul ripiano del tavolo vibra per avvertirlo dell'arrivo di un messaggio. «Perdonami un secondo» mormora, con un'eleganza che sembra essergli stata cucita addosso dalla nascita.

«Non ci sono problemi, fa' pure.»

Gerard sorride ancora, lo osservo mentre con calma e pazienza stringe il cellulare e guarda il contenuto dello schermo. Sulla carta, questo ragazzo sarebbe perfetto. Educato, gentile e estremamente elegante, sarebbe il partner ideale per una principessa come me, che non sa fare altro se non sorridere e mostrare la propria insolente bellezza al mondo intero. Ma nella realtà non c'è niente, assolutamente nulla. L'ho capito sin da subito, dal momento in cui sono uscita dall'appartamento e ho preso insieme a lui il taxi per raggiungere il centro. Non c'è niente, assolutamente niente, che mi colpisca in quest'uomo. Nonostante sia una delle figure più simili a quelle di Andrew, in lui non c'è niente che mi faccia ricordare il grande amore di una volta, la dolcezza covata per quella figura dal sorriso luminoso e gli occhi spenti.

Le labbra di Gerard si stendono verso l'alto, una luce di tranquillità rischiara il suo sguardo mentre richiude lo schermo del telefono e lo poggia ancora una volta sul tavolo. «Buone notizie?»

«Un mio amico sta organizzando una sorpresa in cui mi ha incluso» mi spiega, intrecciando le dita delle mani e poggiando il mento sopra di esse. «Mi ha appena aggiornato sulla situazione, a quanto pare la sorpresa avrà successo. Ne sono contento.»

«Ti piace aiutare le persone?»

«Anche, ma sono stato comprato, e devo dire che il premio per la collaborazione era troppo allettante perché potessi dire di no.» Ridacchia divertito. «Non parliamo sempre di me, però, raccontami qualcosa di te.»

Questa è una di quelle richieste che ti lascia sempre confusa e imbarazzata, non sapendo mai esattamente cosa dire. «Be'... sai già parecchie cose, da quel che vedo. Sophia King, gemella di Bill e Aaron e studentessa di legge.»

«Non mi hai detto praticamente nulla, invece, per esempio, sul perché non ti va di parlare del tuo non-fidanzato-non-amico-solo-conoscente» quando sorride i suoi occhi si assottigliano, quasi stesse spiando ogni più piccolo mio gesto per andare a darne un significato specifico.

Le mie guance vanno a fuoco. «Questo è davvero una domanda che non si dovrebbe fare normalmente ad un appuntamento.»

«Allora è un bene che io non sia normale» ribatte con nonchalance. «Inoltre, non ti preoccupare, vedila solo come un argomento di conversazione. Se vuoi posso iniziare io, la mia ultima ragazza, ad esempio, mi ha mollato dopo che ha scoperto che non riesco a tollerare il piccante.»

Una risata sonora prorompe dalla mia gola, attirando l'attenzione degli altri clienti. «Per davvero? Sei serio?»

«Serissimo. Lei ama alla follia il piccante e io per tre anni finsi che mi piacesse a mia volta, un giorno portò questo peperoncino... non mi ricordo come si chiama, ma era uno dei peperoncini più piccanti al mondo, e... be', puoi immaginare come sia finita. Credo di aver consumato il Nilo con tutta l'acqua che ho bevuto quel giorno. Ovviamente lei ha scoperto tutto e si è arrabbiata tantissimo perché le avevo nascosto la cosa per tutta la durata della nostra relazione. Così mi ha lasciato.»

«Un po' drastica, non credi?»

«È una donna estremamente emotiva» ammette lui, con una tranquillità che ha dell'innaturale visto e considerato che si sta parlando della sua ex. «E un po' melodrammatica.»

«Noi donne tendiamo ad esserlo» ammetto, storcendo il naso. «Ma anche voi uomini non siete da meno.»

«Per il melodramma?»

«Per i vostri pensieri contorti, dite sempre che noi donne siamo difficili da interpretare, ma anche voi non siete male.» Mi lecco il labbro, sperando di non sbafare sul rossetto rosa. 

«Quindi non riesci a capire questo... conoscente? È questo il problema?»

«Non c'è nessun problema, ha detto di dimenticare tutto ed è quello che farò. Perché stiamo sempre qui a parlare di lui?» Sono stanca e affaticata, è difficile riuscire a scordarmi di quello stronzo se il qui presente Gerard non fa altro che ricordarmelo. Torno a rivolgere il mio sguardo sulla finestra, i passanti stanno attraversando la via principale con gli sguardi assorti, perduti nel mare di pensieri che li inonda. Non c'è niente di piacevole in questo posto e in questa vita, ora come ora, mi sembra di galleggiare in mezzo al niente, senza sapere a cosa aggrapparmi per poter sopravvivere al maremoto di emozioni che Jack ha scatenato in me molto tempo prima di quanto voglia ammettere.

«Non credo che tu riesca a dimenticarlo, visto che ci ripensi continuamente, no?»

«Io non-» 

Il respiro si blocca in gola, non appena il mio sguardo si proietta sulla strada, oltre la finestra, per guardare una figura che si sta facendo strada fra gli altri passanti con quell'arroganza e prepotenza che conosco fin troppo bene.

Non è possibile.

«Sophia?»

Le mie gambe si muovono da sole, mi sollevo dalla sedia con l'affanno di una persona che ha appena compiuto la maratona più lunga della storia. Le mani che si aggrappano al vetro trasparente della finestra, gli occhi che cercano, disperati, quella figura sulla strada, quelle ampie spalle, quel fisico sproporzionato, quei capelli corvini.

Non è possibile.

«Qualcosa non va?» Il tono calmo e tranquillo con cui Gerard domanda queste parole mi risveglia, sulla strada non c'è più nulla, solo la mia più grande delusione per aver avuto un'allucinazione. 

Arretro lentamente, i polpastrelli delle dita sono freddi del tocco con la finestra. Un rivolo di sudore scivola lungo la mia schiena mentre ripenso a quante cose sto sacrificando solo per poter tener fermo il mio orgoglio, solo per riuscire a sentirmi normale, almeno una volta nella vita.

Non può essere lui, non è possibile, non sa nemmeno dove io sia o cosa stia facendo.

«Sophia?» Gerard si alza a sua volta dalla sedia, guardandomi con un misto di perplessità e curiosità. «È tutto okay?»

«Sì, credo di sì, io... devo essermi immaginata...»

Lo sciabordare di voci gracchianti, provenienti dalla hall d'ingresso del ristorante, fa piombare l'intera sala nel silenzio. Ci sono suoni e rumori confusi, mentre la voce del proprietario del locale - il signor Garrick, purtroppo a me fin troppo conosciuto per via d i mio padre - sibila ghiacciante: «Mi spiace, signore, ma senza prenotazione non può passare. Inoltre, questo ristorante prevede un codice d'abbigliamento che lei non sta in alcun modo-»

«Me ne fotto del codice d'abbigliamento e della cazzo di prenotazione, sono qui per cercare una persona.»

Questa voce.

No, non è possibile, non è minimamente possibile.

Il mio corpo prende vita propria, si muove da solo, senza che riesca a controllarlo, i piedi che calpestano il pavimento fanno risuonare il pianto dei tacchi a spillo mentre con affanno mi avvicino alla hall di ingresso, stringendo le mani al petto, col terrore che il mio cuore possa fuggire via, verso quella voce, senza che io possa in alcun modo trattenerlo.

Jack è qui.

Non ci posso credere, lui è veramente qui. In piedi, con lo sguardo adirato e il suo vestiario peggiore: una maglia grigia sporca di fuliggine e un jeans pieno di strappi dovuti solo e soltanto al suo lavoro da meccanico. Se ne sta immobile mentre tre camerieri cercano di bloccargli il passaggio, nel tentativo di buttarlo fuori dalle porte a vetro d'ingresso, sbraita contro chiunque cerchi di fermarlo. Il suo è il volto adirato di un ragazzo che pare aver perso il senno in un singolo istante.

«Signore, la prego di andarsene immediatamente...»

«Non mi avete sentito? Sono venuto qui solo per parlare con una persona, dopo di che me ne andrò subito!» Sputa queste parole come se fossero sassi che hanno calcificato il suo stomaco, e quando solleva il capo, verso l'ingresso della sala, i suoi occhi si immobilizzano, piantandosi nei miei.

I suoi zaffiri sono lame ghiacciate che stridono contro la morbidezza della mia pelle, li sento ovunque mentre il mio cuore intero si blocca e freme per quest'uomo che sembra esser diventato il mio tutto in un mondo dove non c'è più niente. Ho paura del modo in cui mi guarda, ho paura di quello che sta osservando, lo sento dentro la pelle, che freme nelle viscere, mi sta rubando il cuore senza render conto di niente a nessuno.

«Sophia.»

Non so come ci riesca, non so come ne sia capace, il mio nome è nelle sue labbra, inciso sulla sua pelle, pare appartenergli come l'aria appartiene al mondo e come l'acqua appartiene all'oceano. Vorrei fermarlo, vorrei supplicarlo di non farlo, poter nascondere questa speranza che sboccia in me nel vederlo qui, proprio qui, come un principe azzurro che è venuto a salvare la sua principessa smarrita e fra le mie labbra parole silenziose che nessuno tranne me può sentire sgusciano fino a farmi vibrare nella carne. 

Avevo detto per sempre addio alle favole, ma tu stai diventando la più bella di tutte.

Jack è immobile quanto me, con gli occhi che ricadono sul mio corpo tinteggiato dal tessuto verde del vestito aderente, le labbra che fremono nel desiderio di guardare senza toccare, e in questo momento, sotto questi diamanti azzurri che splendono solo e soltanto per me, mi sento la mia bellezza, per la prima volta, mi appare come un dolce e delicato fiore che non può più ferire nessuno.

«Cosa... cosa ci fai qui, Jack?»

Il signor Garrick, un basso e corpulento uomo dal volto calvo e la camicia di flanella, si volta nella mia direzione con gli occhi sbarrati. «Lo conosce, signorina King?»

«Quindi lui è il famoso Valentine, eh?» La voce di Gerard, alle mie spalle, mi fa sussultare. Lui si avvicina a me con un sorriso che vale più di mille parole dipinto sulle labbra. «Me lo immaginavo meno corpulento, lo ammetto. Però non è male, ottima scelta, Sophia.»

«Cosa? Di che diavolo...»

Il volto di Jack si rabbuia prima ancora che possa domandare quel che sta succedendo, gli occhi di lui sono puntati sul gracile corpo di Gerard in maniera tutt'altro che piacevole. Saette di fulmini guizzano dal ghiaccio delle sue iridi, nel tentativo di colpirlo, mentre una risata amara scuote la sua gola. «Be', principessa, niente male, niente male davvero, vedo che sei riuscita subito a trovare un uomo della tua altezza, non è vero? Scommetto che andate d'amore e d'accordo, visto che, a differenza mia, lui appartiene al tuo stesso mondo.»

Le sue parole sono sale cosparso sulle mie ferite sanguinanti, poco importa che ora, in questo momento, stiamo attirando l'attenzione di tutti i clienti, poco importa se da questo episodio mai più potrò rientrare al Ritz, la rabbia è troppa e cocente perché possa in qualche modo arrestarla. «Il mio mondo? La mia altezza?» esplodo. «Sei per caso impazzito? Ti ricordo che sei stato tu a dirmi di dimenticarmi tutto quanto, di far finta che niente fosse successo!» Ho le guance colme di aria contratta, la pelle inondata dal sangue che evapora sugli zigomi. «Sei venuto qui solo per insultarmi? Che diavolo vuoi da me, Jack!»

«Proprio niente! Sono venuto qui solo e soltanto perché quella psicopatica della tua cognata è venuta a casa mia e ha minacciato di dar fuoco all'intero campo se non ti avessi raggiunta qui!»

«Smettila di chiamare Sasha psicopatica, lei non-un momento, cosa?» I miei occhi stanno praticamente per uscire fuori dalle orbite. «Sasha ha fatto cosa?»

«Hai sentito bene!» La voce di Jack tuona d'ira, facendo arretrare i camerieri che prima lo avevano circondato. «Si è presentata a casa mia all'improvviso, senza che lo sapessi, con il video di quattro anni fa dopo l'incontro di pugilato, mi ha praticamente minacciato! Ha detto che se non ti avessi raggiunta qui e non avessi chiarito i miei problemi con te, lei avrebbe reso il video virale e si sarebbe volentieri trasformata in una piromane per concludere quello che quei farabutti dell'altro giorno hanno iniziato.»

Mio Dio.

Non ci posso credere.

Mi ha ingannata, mi ha ingannata di nuovo. Ecco perché ha finto noncuranza per l'appuntamento, ecco perché mi spronava ad andarci, ecco perché non si è minimamente degnata di darmi spiegazioni, ed ecco perché Gerard sapeva il nome di-«Tu!» esclamo, puntando l'indice contro quest'ultimo. «Tu sei... tu sei sempre stato coinvolto! Era Sasha quella che ti aveva inviato il messaggio! Era per me la cosiddetta sorpresa!»

Lui inarca un sopracciglio, sollevando le braccia con innocenza. «Mi ha offerto una fornitura a vita di panini al salame, non ho resistito alla tentazione.»

Grandissima stronza! 

«Tutto questo... è ridicolo!» Mi copro il volto con le mani, tentando di trattenere la rabbia che sta man mano accumulandosi nel mio cuore. 

Jack sembra sconvolto quanto me, ma, a differenza mia, riesce in fretta a riprendere in mano la situazione. Si muove velocemente, con i piedi che calpestano il pavimento fino a farlo tremare, i suoi occhi bruciano a ogni respiro che faccio, non c'è niente che io possa fare per bloccare la sua avanzata: scappare sarebbe estremamente umiliante e imbarazzante in un simile momento.

Un grido acuto esce dalla mia gola non appena le sue mani si sigillano attorno la mia vita e sollevano il mio intero corpo come se niente fosse. Il mio torace si schianta contro la sua spalla, il mondo si capovolge mentre gli occhi di chiunque si posano su di me e su di lui. «Che diavolo stai facendo? Lasciami andare! Lasciami andare! Sei uno stronzo, Jack! Uno stronzo!»

«Mi spiace, amico» Jack neanche mi considera, non si preoccupa minimamente dei miei insulti, il suo tono di voce è rivolto unicamente a Gerard. C'è arroganza e prepotenza in ogni sua parola, percepisco la sua spalla irrigidirsi sempre di più di irritazione, di sillaba in sillaba. «Lei è mia.»

È vero, lo sono sempre stata, da ancor prima che me ne accorgessi, ma sentirlo dire ad alta voce, sentirlo affermare questa verità che nessuno dei due contemplava nella propria vita, non basta per spegnere il fuoco di rabbia e rammarico che si è acceso in me.

«Ah, non ti preoccupare, io sono fidanzato» ridacchia Gerard. «La mia fidanzata è Veronica Pipers, una vecchia amica della... come l'hai chiamata tu? La psicopatica cognata.»

Non ci posso credere, avevano programmato tutto, ogni cosa.

«Tu, Gerard, brutto stronzo che non-ahhh! Lasciami andare, Jack! Stronzo! Sei uno stronzo anche tu! Siete tutti quanti degli stronzi!»

Gli sguardi di tutti sono rivolti su di noi mentre Jack, incurante di qualsiasi cosa, cammina spedito verso la porta d'ingresso del ristorante. Gerard mi saluta con un cenno del capo e un sorriso capace di scaturire in me la rabbia più profonda, la sua figura si allontana sempre di più, per poi scomparire nel nulla mentre ci immergiamo nel traffico della strada.

Per quelli che sembrano i minuti più lunghi della mia intera esistenza, Jack non parla, cammina e basta. Cammina, cammina, cammina. Non so dove sia diretto, non so se abbia una vera e propria meta in mente, tutto ciò che posso guardare sono le pietre bianche e incastonate che vanno a creare il percorso di questa strada pedonale, tutto ciò che posso fare è cercare di respirare, di comprimere ogni più piccola emozione nel tentativo disperato di nascondermi a quegli occhi azzurri che mi ritroveranno e mi priveranno di ogni singolo respiro.

Quando raggiungiamo un parco abbandonato - lo stesso parco dove io salvai Jasmine, tempo fa - finalmente Jack mi fa scendere dalla sua spalla. Il tocco col terreno mi destabilizza a causa della punta delle scarpe, cerco di riprendermi, di riprendere il contro del mio corpo e - soprattutto - del mio cuore, evitando quei suoi occhi così spietati.

«Non hai neanche il coraggio di guardarmi in faccia.»

Sembra quasi volermi aggredire con queste parole, il suo è il rantolo di un uomo profondamente ferito nell'orgoglio. Quando sollevo lo sguardo, il suo corpo mi adombra, è così alto e così sproporzionato da potermi ricoprire con la sua semplice presenza. «Perché dovrei farlo?» rispondo rammaricata. «Sei stato tu a dirmi di dimenticare tutto, giusto? Quindi perché dovrei guardare la faccia di un ragazzo di cui dovrei scordarmi ogni cosa?»

La sua mascella si serra così tanto che mi sorprendo non gli si spacchino i denti. «Tu!» sbraita, le sopracciglia sono diventate due serrande che si abbattono sui suoi occhi. «Non hai capito proprio niente! Assolutamente niente!»

«Ovvio che no! Perché tu non mi spieghi niente!» Ho il collo proteso verso l'alto per poterlo guardare, i muscoli che vibrano di frustrazione per il desiderio che ho di colpirlo e, al tempo stesso, di potermi accoccolare fra le sue braccia. «Come faccio a capire qualcosa se tu non mi dici mai nulla?!»

«Io non combatto per le battaglie già perse in partenza, Sophia!» 

La sua voce spezzata, quasi distrutta, mi fa sussultare. Jack ha la fronte aggrottata in un'espressione di sofferenza di cui pare vergognarsi. «Non combatto battaglie già perse in partenza! Non mi butto in una guerra che so sin dall'inizio di non poter mai vincere!»

«Io... io non capisco cosa...»

«Sì, invece, lo capisci.» Si passa una mano fra i capelli, innervosito. «È solo che non vuoi rendertene conto. Non c'è modo che io possa vincere, non c'è alcuna possibilità. Non mi daresti mai l'occasione di farlo, perché lui ha già vinto in partenza.»

Arretro, confusa, stordita, senza comprendere. Mi stringo fra le braccia, cercando di respirare, nel tentativo di dar senso a queste sue parole che paiono tanto complete quanto sbagliate. «Allora...» sibilo, incapace di domandare oltre. «Non avresti mai dovuto toccarmi, non avresti mai dovuto baciarmi, non avresti dovuto trovarmi!»

«Era tu quello che lo voleva, o sbaglio?»

«E tu hai deciso per conto tuo che anche se lo volevo non era abbastanza!» La mia voce riecheggia fra le fronde degli alberi come un tuono. L'imbarazzo dilaga quando mi rendo conto di esser sul punto di piangere. «Forse tu sarai abituato a degli incontri sessuali improvvisi, dove il giorno dopo ci si dimentica tutto, ma io no! Non ci sono abituata e non mi ci abituerò mai!»

Jack serra gli occhi non appena un singhiozzo scuote il mio corpo. «Ferma, un attimo, Sophia, tu stai piangendo?»

«No!» Il sussulto delle mie spalle tradisce la mia affermazione. Copro il mio volto con una mano, tentando disperatamente di ricacciare indietro le vergognose lacrime che non riesco a cancellare. Perché fa male, fa troppo male. Non so cosa sia di più a ferirmi, se il fatto che sto dicendo addio a un altro pezzo di Andrew o se Jack non voglia accettare quel poco che gli posso concedere, l'unica cosa che è certa è che il mio cuore sta per implodere in se stesso, racchiudersi in una palla di sofferenza che mi fa morire dentro a ogni maledetto respiro. «Vattene via!»

«Sophia!»

Indietreggio di nuovo, non appena lui fa un passo in avanti, coprendo il mio volto stavolta con entrambe le mani. «Non mi guardare!»

Ho il terrore di cosa possa scoprire se i suoi occhi si posassero sui miei e andassero a scorgere queste umilianti lacrime di dolore. So che non potrei più nascondermi a loro, mi ruberebbe l'anima col suo respiro e di me non resterebbe niente che un cuore disposto a tutto pur di battere in sintonia col suo.

Jack non si ferma, avanza ancora, ignorando i miei singhiozzi, con le dita che afferrano i miei polsi in due roventi manette. «Ho detto "non mi guardare"!» strillo, ma tutto ciò che vedo ora sono due mondi azzurri che mi stanno svuotando del respiro.

Avevo detto per sempre addio alle favole, ma da quando ci sei tu il mio "e vissero per sempre felici e contenti" è incollato alle tue labbra, parte di te e di me.

Avevo detto per sempre addio alle favole, ma con te, un'ultima volta, sono disposta a ricominciare da capo.

Perché in te io scorgo quel "C'era una volta" che potrà finalmente, per sempre, rendermi felice.

Il suo volto, ora, è indescrivibile. È più bello di qualsiasi principe possa mai esistere in questo mondo, più dolce di qualsiasi uomo possa mai respirare su questa terra, quella luce di speranza che ne illumina i contorni adombrati è il rispecchio della mia agonia nel constatare che è il mio cuore ad appartenergli insieme alla mia essenza. Che ha afferrato i filamenti distrutti di me stessa fino a sfilare il gomitolo di dolore che avevo creato col mio rammarico.

«Sophia» pronuncia, sussurra, canta. «Sophia, c'è anche l'un per cento di possibilità che io possa vincere?»

Me lo sta chiedendo come se da ciò ne dipendesse il suo stesso universo, come se da una simile risposta potrà decidere se vivere o morire, con quegli occhi che riflettono il mare più azzurro e quello sguardo che mi ricorda il piacere più assoluto. Tremo sotto la stretta delle sue dita, tremo per il suo respiro che mi assapora, mentre la sua fronte si pianta contro la mia per sapere, quasi volesse trasmettermi i suoi pensieri con un semplice e banale contatto come questo.

Tremo perché ora, ai miei occhi, Jack Valentine sta diventando quel principe che credevo mai più avrei ritrovato.

«Se stai piangendo per me, se stai soffrendo per quello che è successo... questo significa che ci sono io nel tuo cuore, vero? Anche se in un minuscolo spazio rispetto a lui, io sono nel tuo cuore.»

Bruciavi di amore a ogni singolo respiro. Le parole di Pamela non fanno altro che riecheggiare nella mia testa, ho il terrore che lui le possa vedere, che possa scorgere il suo nome sigillato fra le mie labbra, tatuato nel mio cuore: che si accende a ogni battito, che risplende a ogni lacrima.

È scivolato dentro di me senza che me ne accorgessi, ha sigillato il mio cuore, riattaccandone i macigni distrutti, e ora di me non resta nient'altro che il suo nome stretto fra le dita, raccolto in una pozza di sofferenza. E so che lo vede, so che lo legge nei miei occhi, perché anche io ritrovo riscritto il mio nome nei suoi, inciso nella carne come marchi di fuoco da non dimenticare mai e poi mai.

Brucio di amore a ogni singolo respiro, e di questo fuoco che calca le mie vene c'è solo lo stridere del suo nome.

«Sì» singhiozzo lentamente, mentre il cielo terso di nuvole ci riversa addosso, all'improvviso, il suo pianto. «Sì.»

Il sollievo che leggo nei suoi occhi, la felicità che gli si dipinge in volto e il bacio con cui mi reclama a sé sono come l'inizio della favola migliore di tutte.

E la conclusione di quella che mai avrà un suo finale.







Nota autrice:

IO CHIEDO PERDONO.

LO SO, SETTEMILA PAROLE, NON STO BENE, ME NE RENDO CONTO.

IO CI PROVO AD ESSER SINTETICA, MA DAVVERO, QUALCOSA NON VA.

È IL CALDO. TUTTA COLPA DEL CALDO. IO NON C'ENTRO NIENTE, ASSOLUTAMENTE NIENTE.

*nasconde capitoli da 30 pagine sotto il tappeto*

Coff coff, ad ogni modo, eccoci con un nuovo capitolo, non dirò molto stavolta perché sono molto curiosa, soprattutto di vedere come avete interpretato le parole di Jack:

"Non combatto una battaglia persa in partenza"

Non so se è ovvio ciò a cui si riferisce (Sophia non ci arriva, ma Sophia è anche un po' fuori di sè in quel momento), ma suppongo che si possa intuire. Credo. 

Spero.

Fatemi sapere! A presto!

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