La principessa e il coniglietto
Capitolo Cinque
"La principessa e il coniglietto"
<<Anja, mi fai male, mi fai male, mi fai male!>>
<<Oh!>> mi stacco velocemente dal piccolo corpicino di Jasmine che, con i suoi grandi occhioni, mi scruta fra la perplessità e lo stupore. <<Mi dispiace, piccola... ero solo, spaventata, tutto qua.>>
Lei scuote la testa e posa lo sguardo su Papillon, ancora rivolto alla casa dentro cui ho fatto scappare i bambini, con la coda rizzata e i denti sporgenti, pronto per attaccare in qualsiasi momento e mordere di nuovo la caviglia a quel piccoletto che, fino a due minuti fa, stava prendendo a calci la sorella di Valentine.
Credo di aver appena scoperto la vera natura del mio cane. Non è un animale da compagnia, ma una bestia per difendersi. Dovrò ricordarmene, per il futuro.
<<Fammi vedere>> dico alla fine, con un sospiro. Torno a scrutare il volto sporco di fango di Jasmine, la cui dolce e candida pelle ora è piena di graffi e di lividi. Non mi piace, non mi piace per niente tutto questo. E' troppo nostalgico, è troppo...
Anche Andrew aveva lividi simili. Lividi molto più grandi di quelli che coprono le braccia della bambina. Lividi che sembravano mele mature. Mi diceva sempre che se li procurava cadendo. Mi mentiva sempre. Mi sorrideva sempre. Mi ha sorriso anche quel giorno, quella mattina, quel sorriso dolce che tanto amavo, e che ora...
<<Anja?>> la voce di Jasmine mi strappa violentemente dal dolore del passato. Sbatto le palpebre più volte, mi mordo la lingua. Non devo pensare questo. Non devo pensare questo. Non devo pensare questo. Se me lo ripeto continuamente, se me lo dico ogni giorno, prima o poi ci riuscirò. Devo farcela, devo riuscirci. <<Grazie, Anja, sei stata una brava amica. Mi dispiace di averti rubato la pochette, ma sono felice di averlo fatto, così tu hai potuto salvarmi.>>
<<Oh>> ripeto ancora una volta, titubante. I miei occhi cadono sul terriccio sporco, sui suoi piedi nudi che sono completamente rivestiti dal fango. Le hanno preso le scarpe. Dio, non ci posso credere. Che diavolo insegnano i genitori ai loro figli? Ad odiare? A disprezzare? Perché tutto questo?
<<Sto bene, Anja>> mi rassicura <<dico davvero, ci sono abituata visto che sono una rom.>>
Ma non dovrebbe essere così. Non dovrebbe essere abituata a simili situazioni. Lei dovrebbe ridere e scherzare e giocare con i suoi coetanei. Non dovrebbe provare un senso di amarezza e consapevolezza di fronte a tutto questo rancore. Eppure sorride, mentre io non ne sono in grado. E guarda Papillon divertita, lo osserva latrare contro altri nemici invisibili. <<Mi piace il tuo cane, Anja, è davvero bello. Ehi, ciao, bel cagnolino.>>
La bestia di Satana finalmente si ricorda della nostra presenza. Il suo sguardo è quasi divertente quando nota il sorrisetto di Jasmine a un centimetro dal suo. Sembra spaesato e titubante, e arretra di venti metri per ringhiarle contro. La bambina ride di nuovo e si alza in piedi.
<<Ferma!>> esclamo a questo punto, facendo altrettanto. <<Non puoi camminare scalza!>>
Gli occhioni azzurri di lei - così simili a quelli del fratello - mi scrutano con una perplessità infantile che la rende una deliziosa e puzzolente fatina dalle orecchie a sventola e il sorriso sdentato. <<Perché no, Anja? Sono i miei piedi, servono per camminare.>>
<<Ma così ti verranno le vesciche, ti farai male!>>
<<E allora?>> inclina la testa, sempre più interdetta. <<E' normale farsi male, Anja.>>
Papillon ringhia ancora, pronto a fuggire da questa situazione in cui non si trova a suo agio, afferro la corda del collare un attimo prima che le sue zampe si muovano per scappare dal pericolo che solo lui è in grado di vedere. <<Non puoi comunque farlo, tesoro>> replico, strattonando il piccolo demonio per poterlo tranquillizzare. Torno a scrutarla. Il bianco della sua canottiera ora è completamente occultato dal marroncino del terriccio e del fango, i suoi jeans sono strappati e fra i suoi capelli ci sono steli d'erba che solo uno shampoo potrà levare. <<Ti riporto a casa, okay? Cosa ci facevi qui da sola, tra l'altro?>>
<<Oh, stavo andando da zia Vesna>> mi spiega lei, e prima che io possa fare nulla allunga le braccia così che possa stringerla a me, sollevarla ed evitare così che cammini a piedi nudi sulla strada. <<Ma era impegnata, stava leggendo le carte ad un cliente, così mentre tornavo a casa ho allungato il tragitto per poter giocare con i sassi e quei bambini sono arrivati e hanno iniziato a farmi del male. Ma sto bene, Anja, dico davvero. Posso tornare a casa.>>
<<No>> scuoto la testa, troppo terrorizzata dall'idea che una dodicenne possa andarsene in giro per la città senza la sorveglianza di un adulto <<lascia che... merda, ho lasciato il telefono a casa. Ascolta, tesoro, che ne dici di venire nel mio appartamento? Così potrai farti un bel bagno e io potrò chiamare i tuoi genitori, che te ne pare, come idea?>>
<<Un bagno? Perché?>> mi chiede, perplessa, mentre inizio a incamminarmi verso la direzione di casa. Grazie al cielo non mi sono allontanata troppo dall'edificio, perché tenere fra le braccia una bambina e contemporaneamente tentare di tenere a bada il figlio di Belzebù è un'impresa a dir poco impossibile. <<Non ho bisogno di un bagno.>>
<<Ma sei tutta sporca>> replico io, scrutandola.
Jasmine sorride ancora una volta. Sorride continuamente, sorride come se fosse la cosa più naturale del mondo. <<E allora?>> domanda, la voce acuta. <<Se sono sporca non dice nulla, no? Però mi piacerebbe vedere casa tua, Anja.>>
<<Bene.>> Almeno, una volta arrivate, potrò telefonare ai suoi genitori così che vengano a prenderla. O riportarla a casa con la macchina, sempre che mi ricordi la strada.
Questa situazione mi sta sfuggendo di mano. Non ho la più pallida idea di come gestirmi. Incontrare Avery e poi Jack Valentine mi ha fornito fin troppe emozioni per questo mese, avrei preferito di gran lunga restarmene in casa a studiare e a biasimare me stessa, capacità che, negli ultimi anni, ho iniziato a sviluppare come una professionista.
<<UAOOOOOOO!>>
L'urlo acuto di Jasmine rimbalza fra le pareti del mio appartamento e mi stordisce, così da rendermi temporaneamente sorda. La bambina scruta gli oggetti attorno a sé con una meraviglia che ho visto solo negli occhi di Luke, il fratello minore di Sasha, nato con la sindrome di Down. <<Che casa bella, Anja!>> strilla battendo ripetutamente i piedi per terra. <<E che bella cucina! E che bel divano! Uaooooo! Ehi, cagnolino, che bella la casa della tua padrona, non è così?>>
Si inginocchia di fronte a Papillon, sorridendogli come Bill sorride quando ha portato a casa un'altra pollastrella o la sua squadra di football preferita vince il Super Bowl. E Papillon, tutt'altro che abituato a simile dolcezze, la fissa sbigottito e irritato. Inizia a ringhiarle contro, come un leone che vuole difendere il suo harem di leonesse. <<Ma che bel cagnolino che sei!>> continua Jasmine, tutt'altro che spaventata dal comportamento scortese del mio animale domestico che si comporta da piccolo bastardo ingrato. <<E sei stato bravo ad azzannare quel bambino! Ma la prossima volta devi puntare più in alto, hai capito? Fra le gambe. Guar dice sempre che è quello il punto debole degli uomini.>>
Non riesco a fare a meno di sghignazzare. Guar, Jack, o come diavolo si chiama è pienamente consapevole di questo punto debole, visto che io, quattro anni fa, gli diedi un calcio proprio sul tallone d'Achille che tutti gli uomini hanno in comune, minacciandolo di renderlo asessuato a vita.
Una delle mie soddisfazioni più grandi.
Ma Papillon, che a differenza mia non conosce la storia, tutto è tranne che felice di ricevere simili complimenti, perciò le ringhia ancora, mostrando i suoi denti, tentando di apparire una bestia feroce, quando in realtà sembra soltanto un barboncino teneroso dal carattere un po' troppo agitato. E quando Jasmine gli sorride di nuovo, lui lancia un verso strozzato - quasi stesse soffocando - e corre in camera mia per, sicuramente, iniziare a uccidere qualche cuscino.
Dovrò cambiare di nuovo le lenzuola, domani. Per la seconda volta di fila in una settimana.
<<Mi piace il tuo cane, Anja>> dichiara alla fine Jasmine, rialzandosi in piedi e continuando a scrutare attentamente il mio appartamento. <<E anche questo posto, però è molto silenzioso. Perché non mettiamo un po' di musica? A te quale piace? Ce l'hai una chitarra? Io so suonare molto bene la chitarra, me l'ha insegnato papà. E io l'ho insegnato a Rasim, il mio fratellino, e Rasim dopo lo insegnerò a Rinkho, quando sarà più grande. Adesso è ancora troppo piccolo per poterlo fare, riesce a malapena a gattonare. Rinkho è più bello del tuo cane, però. Ha delle guance morbidose e delle labbra cicciottose e degli occhi che sono tipo due enormi zaffiri. Mi piacciono anche i tuoi, di occhi, Sophia. Sembrano due smeraldi. Potresti iniziare a farti chiamare Esmeralda, come quella de Il Gobbo di Notredame. A te piace il Gobbo di Notredame, Anja?>>
Parla così velocemente che fatico a seguire il suo discorso, le sue parole viaggiano come un missile in un iperspazio di fantasie e illusioni che un tempo conoscevo molto bene e che ora, invece, mi appare solo come un'oblio profondo e oscuro dentro cui non voglio ricadere. Quando arriva a un argomento passa ad un altro, e ad un altro ancora, senza mai fermarsi, col risultato di aumentare il terribile mal di testa che da più di una settimana sta facendo esplodere il mio cervello. <<Tesoro>> la fermo io, afferrando dall'isola della cucina il mio iphone X <<perché non mi dici il numero dei tuoi genitori, così li chiamo per avvertirli di dove sei e per farti riportare a casa?>>
<<Oh>> Jasmine spalanca gli occhi e scrolla la testa più e più volte <<noi non abbiamo cellulari.>>
La mascella mi cade a terra. No, non è possibile. Chi nel XXI secolo non ha ancora a portata di mano un telefono? Gli adolescenti di adesso lo usano come se fosse un terzo arto, non riescono a staccarsene, mentre la famiglia di Valentine non ne possiede neanche uno? <<A noi non piacciono i telefoni>> mi spiega lei, andandosi a sedere sul divano. Con mio sommo orrore, vedo il fango sul suo corpo trasferirsi sulla pelle bianca del sofà. <<No, i telefoni non servono a nulla, se non a staccarci dalle cose. Lo dice anche la nonna Lala.>>
<<Ma...>> balbetto io, ancora costernata da una simile affermazione. <<Ma... Jack aveva un cellulare...>> il solo ricordo basta per mandarmi in tilt il cervello. Quel cellulare, quel maledetto cellulare. Lo stesso strumento con cui aveva ricevuto la mail in cui Avery lo pagava per distruggere il mio armadietto e scriverci sopra E' TUTTA COLPA TUA. Lo stesso cellulare per cui io ho rischiato di castrarlo, lo stesso cellulare per cui ho rilasciato tutta la rabbia soppressa in quel periodo. Anni e anni di rancore, di dolore, di sensi di colpa esplosi in un unico istante.
<<Oh sì, Guar ha un telefono>> ammette lei, con una smorfia, balzando in piedi sopra i cuscini e iniziando a saltellarci. Oddio, il fango si sta sparpagliando ovunque! Sulla pelle, sullo schienale, per terra, sulla moquette grigia... la mia donna delle pulizie, domani, avrà un bel po' da sgobbare. <<Lo usa per lavoro e per fare cose che non ci dice. Litiga un sacco con nonna Lala per questo. Non per il cellulare soltanto. Nonna Lala gli dice "Guar, tu sei troppo superficiale" e Guar gli risponde "nonna, io sono realista". E poi si mettono a discutere perché nonna Lala inizia ad insultarlo in messicano e Guar inizia ad insultarla in rumeno e a quel punto tutti noi siamo piuttosto stanchi quindi smettiamo di ascoltare. Però poi si perdonano sempre. Perché a nonna Lala non piace litigare per simili frivolezze, quindi dice a Guar che gli vuole bene lo stesso e Guar le risponde che anche lui le vuole bene lo stesso e poi ci mettiamo a cerchio attorno al falò e iniziamo a cantare.>>
Di nuovo, è partita col suo monologo. Questa bambina soffre di un evidente problema di logorrea che nessuno, nella sua famiglia, si è preoccupato di sistemare. E temo anche che sia iperattiva, visto che continua a saltare dal divano alla poltrona accanto e dalla poltrona al divano. Non riesco a seguire né lei né le sue parole. Mi passo una mano fra i capelli in disordine e scruto preoccupata lo schermo nero del telefono. <<Jasmine>> la richiamo <<conosci il numero di... ehm, Guar?>>
Gli occhi della bambina si accendono, due fuochi d'artificio che splendono in un cielo notturno privo di stelle e di nuvole. E quando sorride, stavolta, lo fa con tutto il suo corpo. Ogni cellula si muove per esprimere al meglio l'emozione felice che sta attraversando la sua essenza. Balza ancora, stavolta per terra, e mi raggiunge quasi sculettando. Mi gira attorno, mi scruta, mi osserva, e poi ride ancora. Poi corre. Poi ride. Poi salta. Poi ride. Si guarda attorno come se ogni piccolissimo dettaglio fosse una magia. E infine, dopo altri minuti in cui sono tentata di chiamare gli assistenti sociali o, ancor meglio, la polizia, afferma: <<Sì, conosco il numero di Guar, ma non so quanto Guar sarà felice di ascoltarti, Sophia.>>
<<Potresti parlarci tu.>>
Lei va dietro l'isola e inizia a scrutare i cassetti sotto i fornelli. Li apre uno ad uno. <<Forse non dovre->>
<<Non mi piacciono i telefoni, Anja>> dichiara alla fine. Apre l'anta della credenza e tira fuori un pacchetto di patatine. <<Non mi piacciono proprio. Quando vado fuori vedo sempre gli altri bambini starci attaccati. E quando parlo con qualcuno che li usa neanche mi ascolta. I telefoni non mi piacciono proprio>> ripete ancora una volta, aprendo la busta e porgendomela. <<Mangia Anja, ti farà bene.>>
<<Non ho fame>> ribatto, stringendo il pacchetto fra le mani e posandolo sopra il frigo, dove lei non potrà arrivare.
<<Ah! Perché, tu mangi quando hai fame? Non si mangia perché si ha fame, Anja, si mangia perché si è felici. Si mangia perché si è in compagnia. Si mangia per festeggiare.>>
Un moto di dolore mi attraversa. <<E cosa dovremmo festeggiare?>>
Jasmine, per l'ennesima volta, sorride. Da un orecchio all'altro. <<Tutto! Tutto quanto! Come il fatto che io sono qui e tu sei qui, no?>>
Sono confusa, sempre più confusa, ma lei non mi ascolta. <<Tesoro>> provo a richiamarla <<puoi darmi il numero di tuo fratello? Proverò a parlarci io.>>
<<Uff>> sbuffa lei <<ma così dovrò parlarci anche io, perché Guar non si fiderebbe mai sentendo solo te. Comunque va bene, credo sia questo.>>
Una volta essermi fatta dettare il numero, Jasmine corre nella mia camera per poter giocare con Papillon. O, per lo meno, per provarci. Come se fosse possibile! Sento dei latrati e delle grida di gioia provenire dalla stanza, segno che lei lo sta inseguendo e lui sta scappando per non esser acciuffato da un metro e quaranta di pura dolcezza.
Per la prima volta da quando l'ho preso, inizio a provare una certa pietà nei confronti di Papillon.
Ma, pietà o non pietà, il sentimento che più mi turba, in questo momento è l'assoluto disagio che mi invade quando il mio pollice trascina il bollino verde che avvia la chiamata. Farmi una chiacchierata con Jack Valentine a proposito del bullismo ingiusto che sua sorella minore ha subito e a cui io per caso ho assistito non rientrava nelle mie prospettive di vita.
Ma posso farlo. Devo farlo. Devo esser forte, e devo esser coraggiosa.
E devo essere una guerriera.
Perciò inspiro a fondo, poso il telefono all'orecchio e respiro a fondo non appena il suono della chiamata si avvia, per avvertirmi che ormai non posso più ritornare indietro. E va bene così, non voglio farlo. Niente più rimpianti, niente più rammarichi.
Aspetto, aspetto, aspetto.
All'ottavo squillo, sono quasi sicura di esser stata di nuovo ingannata da quella piccola fatina furfante che ora sta urlando CAGNOLINOOOOOOOO dalla mia stanza, ma con mio sommo (d)spiacere il rumore della chiamata si interrompe, sostituito, invece, da una voce che non vorrei ricordare ma che, purtroppo, conosco fin troppo bene.
<<Chi parla?>>
Dal cellulare, il suo tono baritono appare distorto, meno profondo, più sottile e affilato. Il mio cuore fa una capriola di paura e dolore, mentre mi costringo ad aprire le labbra, a far fuoriuscire la voce. <<Valentine, sono Sophia King.>>
Silenzio.
Per due secondi.
Due soltanto.
Due secondi netti che spezzano, che distruggono e costruiscono.
<<Che diavolo vuoi, King?>>
Immaginavo non fossi nella sua lista di persone preferite, ma la sua voce è così irritata, così arrabbiata, da farmi incazzare a mia volta. L'irritazione sale, e sale, e sale, un vulcano di sentimenti repressi che rischia di esplodere da un momento all'altro. <<Sono qui con tua sorella, Jasmine, l'ho dovut->>
<<Che cazzo hai fatto a mia sorella?>>
L'urlo quasi mi perfora l'orecchio, i nervi tesi saltano in aria come una bomba che non sono riusciti a disinnescare in tempo, e il diavoletto tentatore, il crudele essere che mi porta ad odiare e ad odiarmi, mi pizzica sul collo, pronto per far fuoriuscire tutto quanto. <<Io non ho fatto proprio niente! E non permetterti di urlarmi in questo modo, capito?>>
Dalla porta della mia stanza sbuca la testolina di Jasmine, i capelli spettinati ricadono sul suo viso magro, una treccina lunga scivola dal collo per raggiungere la fine della schiena, e quando mi guarda, quando mi scruta, riesco a notare una luce mai vista attraversare i suoi occhi. <<Perché diavolo sei con mia sorella, King?>>
<<Perché l'ho aiutata! Ecco perché! L'ho aiutata, capito, stupido infante? E non urlarmi in que->>
<<Guar!>> Jasmine mi raggiunge correndo e, con mio sommo stupore e orrore, stringe con un braccio un Papillon tremante sotto la sua stretta. L'esser stato catturato da quella bambina è per lui motivo di così grande vergogna da non avere il coraggio di guardarmi in faccia, tanto è umiliato. Sembra un cucciolo di panda disperato a cui hanno tolto la sua canna di bambù preferita.
Nota per il futuro: quando Papillon tornerà a fare lo stronzo, chiederò aiuto a Jasmine per rimetterlo al suo posto.
<<Guar!>> ripete lei che, con un balzo, mi strappa di mano il telefono. Lo afferra con diffidenza, forse temendo che possa esplodergli fra le dita, e cautamente lo posa al suo orecchi. <<Guar! Anja mi ha aiutata! Mi ha aiutata! E ha una bellissima casa, Guar! E un bellissimo cane che mi piace un sacco!>>
E probabilmente è l'unica a cui piace, visto che persino io, la sua padrona, fatico a non ucciderlo avvelenandogli i croccanti. Lei si allontana, gioca coi suoi piedi, finge di fare l'equilibrista su una fune, continuando a parlare con Valentine, stavolta nella loro lingua che mai ho compreso e che probabilmente mai comprenderò. Papillon, ancora ancorato al suo braccio sinistro, ringhia paralizzato, incapace di accettare questa sconfitta che gli rovinerà per sempre la reputazione di cane bastardo ingrato che vuole conquistare il mondo e schiavizzare l'umanità. <<Okay, Guar, lo farò, te lo prometto. Oh, okay, sì, Guar. No, Guar. Oh, che belloooooo. Naahhhhhh, non mi va bene. Lo potete fare solo voi grandi, lo voglio fare anche io. Sììììì. Oh, okay, te la ripasso. A dopo, Guar!>> prima che possa anche solo chiederle di cosa abbiano parlato, mi rilancia il telefono e io, presa dal panico, rischio di farlo cadere per terra, correndo il pericolo di distruggere la spesa di milleduecento dollari. <<Guar vuole parlare con te, Sophia!>> E, di nuovo, mi sorride, felice di essersi staccata da quello strumento che, ai suoi occhi, appare quasi come la reincarnazione del demonio.
E pensare che, fino a poco tempo fa, ero piuttosto sicura che ad esserlo fosse Papillon.
<<Valentine?>>
<<Grazie.>>
Rischio di cadere a terra per lo stupore. Mi aggrappo al bordo dell'isola, le grida di Jasmine, stavolta, mi arrivano attutite. <<Come?>>
<<Hai sentito bene, principessa. Ti sto ringraziando. Jasmine mi ha raccontato quello che hai fatto. Hai davvero detto a quei bambini che il tuo cane aveva la rabbia e che per colpa loro ora sarebbero morti entro tre giorni?>>
Sento le guance tingersi furiosamente di rosso, i vasi sanguigni sugli zigomi esplodono tutti insieme, accalorandomi. Mi schiarisco la gola e mi affretto a raggiungere il bagno per riempire l'enorme vasca idromassaggio. <<Sì, l'ho fatto. E ha funzionato, quindi non osare prendermi in giro.>> Be', non è del tutto vero, il fatto che Papillon avesse azzannato la gamba di uno dei due nel tentativo di strappargliela a morsi è stato un incentivo ancor più forte che ha spronato quelle due piccole carogne a tornarsene a casa gridando "mammaaaa" con la coda fra le gambe.
<<Be', grazie.>>
Mi sforzo di rimanere inflessibile, mentre apro i rubinetti dell'acqua calda. Dai bordi della vasca il liquido esce da delle fessure orizzontali e sottili illuminate che rendono l'atmosfera decisamente troppo romantica. <<Mi sto emozionando, Valentine. Potresti ripeterlo di nuovo? Vorrei registrare una simile affermazione da parte tua, così da riascoltarla per gli anni a venire.>> Dopo un sospiro sommesso torno in salone, dove, con mio grande orrore, Jasmine sta facendo le acconciature a un povero Papillon che, tremante per terra, piange sofferente.
Oddio.
<<Non fomentarti troppo, King. Hai aiutato mia sorella, questo non vuol dire che ora tu sia la mia migliore amica.>>
<<Cielo, ne sono felice. Essere la migliore amica del tizio che mi ha distrutto l'armadietto renderebbe la mia vita una pessima sit-com degli anni '90>> mi sforzo di non ridere non appena scorgo la disperazione che sta crescendo sul volto di Papillon quando Jasmine gli mette un fiocco rosa in testa.
<<Ascolta>> la voce di Valentine torna ad essere quella dura e fredda di sempre <<ora sto lavorando, non posso staccare prima delle nove e mezza, e non mi fido a lasciare che Jasmine ti dia le indicazioni per portarla a casa, è molto più probabile che ti trascini in qualche posto buio e spaventoso per farti degli scherzi di pessimo gusto.>>
<<Come diavolo l'avete cresciuta?>>
<<Ehi, è nata così, noi non c'entriamo niente.>>
<<Certo, perché tu sei una persona così educata e civile...>>
Lui non nega, non può né vuole farlo. E' un uomo onesto, che rifiuta le bugie e accetta la verità per quello che è. L'esatto opposto della sottoscritta. Jack, con la sua realtà. Io, con le mie menzogne. Menzogne dentro cui vivo e per cui vivo. Menzogne che respiro ogni giorno, dagli altri e da me stessa. Menzogne per cui venderei l'anima affinché diventassero vere. <<Mia sorella mi ha già dato l'indirizzo, devi solo stare con lei fino alle dieci, il tempo di finire di lavorare, prendere la moto e arrivare da te. Credi di potercela fare, principessa?>>
<<Non mi chiamare principessa>> scandisco con rabbia. <<E ovvio che ce la posso fare, non sottovalutarmi, stupido bipede.>>
<<Ah-ah, certo. Un'altra cosa. Non che mi importi poi così tanto, ma mi sembra un modo giusto per ripagarti dell'aiuto che hai dato a mia sorella.>>
<<Cosa?>>
<<Hai presente quella... come diavolo si chiama? Cochette?>>
<<Pochette!>> esclamo disperata, battendomi una mano sulla fronte. Sia Jasmine che Papillon alzano lo sguardo per fissarmi. La prima perplessa, il secondo con evidenti desideri suicidi. <<E' una dannatissima pochette!>>
<<Be', ecco. Sta' attenta. La tua cochette è niente a quello che potrebbe veramente sgraffignare sotto il tuo naso, soprattutto nel tuo armadio. E ho come l'impressione che tu, principessa, sia una di quelle donne che ama particolarmente collezionare capi che si possono comprare con comode fette di culo e vendita di organi interni.>>
<<Ehi!>> strillo a bocca aperta. <<Io ho aiutato tua sorella e quelli sono i miei vestiti!>>
<<Cielo, principessa, sei davvero un gagio>> dichiara lui dopo una risata profonda.
<<Un cosa?>>
Jasmine solleva la testa dal corpicino traumatizzato di Papillon e mi sorride. <<Un gagio. Un credulone>> mi spiega, stringendo fra le braccia il mio cane, il cui colorito sta drasticamente scomparendo, sostituito invece da un evidente pallore color cadavere. Temo sinceramente che, una volta lasciatolo da solo nell'appartamento, lui possa buttarsi dal balcone.
Devo ricordarmi di chiudere le finestre.
<<Ehi!>> mi difendo. <<Guarda che è più che normale scandalizzarsi se- Mi ha chiuso! Mi ha chiuso in faccia!>> esplodo poi, fissando la cornetta chiusa dello schermo. <<Sei un idiota, Jack Valentine. Un tirannosauro che cerca di usare le braccia per toccarsi le palle! Un erudito della deficienza!>>
<<Sì>> Jasmine annuisce <<Jack chiude il telefono non appena può, neanche a lui piace usarlo.>>
E allora non avrebbe mai dovuto usarlo. Se lo avesse fatto sin da sempre, quel giorno non avrebbe mai scritto quelle parole sul mio armadietto.
E io avrei potuto fingere di non conoscere la verità.
****
<<Che bello questo profumo>> mormora Jasmine, con il mio vestito di flanella addosso che le arriva fino alle caviglie. Torna ad odorarsi i capelli per quella che deve essere la sesta volta. Ora che è pulita e vestita sembra un'altra persona, continua a camminare a piedi nudi lungo la cucina, mangiucchiando tutto quello che vuole. Questa bambina è un pozzo senza fondo, non ho mai visto nessuno ingurgitare così tanto cibo da quando Sasha e Pamela fecero la gara a chi mangiava più biscotti al burro. Con grande vergogna della prima, a vincere era stata proprio Pamela. Ma in fondo nessuno ne era rimasto sorpreso: proprio come Andrew, suo fratello, Pamela ha ereditato una passione irrefrenabile per gli zuccheri.
Qualsiasi tipo di zucchero.
Una passione che, in questo periodo, ho preso a mia volta, visto che nella mia credenza si possono solo trovare caramelle, marshmallow e biscotti. E Jasmine se li sta mangiando tutti quanti, uno ad uno, spronandomi a fare altrettanto. <<Mi piace questo profumo>> ripete ancora. <<Che cos'è?>>
<<Shampoo al cocco.>>
<<Ohhhh, shampoo al cocco. Okay.>> Sorride ancora e infila la mano nella busta dei marshmallow. <<Mi piace lo shampoo al cocco. A te piace, Anja?>>
<<Sì, mi piace>> ammetto, stringendomi nelle braccia. Prima che possa aggiungere altro lei si mette a sedere per terra, le gambe incrociate, masticando sette marshmallow in una sola volta. <<Tuo fratello dovrebbe essere qui fra poco. Ho messo i tuoi vestiti da lavare, ma non credo farò in tempo a darteli quando...>>
<<I miei vestiti?>> ripete, perplessa.
<<Oh, ehm sì, i tuoi vestiti.>>
Non sembra capirmi, come se il concetto di proprietà sia per lei un mondo del tutto sconosciuto. Scrolla le spalle, con noncuranza. Papillon, accanto a lei, prova a sfuggire dalla presa della sua mano. Povero cucciolo, è disperato, non ne vuole più sapere di questo metro e quaranta di pura vivacità e entusiasmo. Vorrebbe solo tornare a comportarsi come un cane da guardia pronto a sbranare tutto e tutti. <<Perché Anja?>> mi ritrovo a chiederle alla fine, sedendomi accanto a lei.
<<Oh>> mi scruta con occhi sospettosi. L'attimo dopo mi sorride. <<Non posso dirtelo, Anja.>>
Spalanco la bocca. <<Come? Perché no?>>
<<Non credo che Guar voglia che tu lo sappia.>>
Che gran bastardo.
<<Jack ti ha detto di non dirmelo?>>
<<No, no, no, non me l'ha detto, però conosco Guar, e so che è divertito quando ti chiama Anja, perciò se vuoi sapere cosa significhi dovrai chiederlo a lui. E perché la cosa ti dà tanto fastidio, Anja? E' solo un nome.>>
<<Perché il mio nome è...>> Prudence, ma non lo ammetterò mai ad anima viva, men che meno alla sorella di Valentine o a Valentine stesso. Riesco già a immaginarmi il suo sorrisetto di scherno alla scoperta del mio nome di battesimo, e il solo pensiero basta per farmi saltare i nervi . <<Sophia, il mio nome è Sophia.>>
<<Mi piace Sophia, come nome, perciò posso chiamarti anche io Sophia, Anja, ma comunque non dovresti prendertela così tanto. Un nome è solo un nome.>>
<<No, un nome ti permette di distinguerti dagli altri.>>
<<No, un nome è solo un nome>> ripete lei. <<Puoi averne uno o centomila, ma rimarrà comunque un semplice nome. Noi ne abbiamo tanti, o nessuno. Non importa il nome, Sophia, importa quello che fai. Il nome è solo una parte del tuo aspetto, una parte di te, ma non sei te, capisci?>> Inclina leggermente la testa e mi sorride. <<Nonna Lala ce lo dice sempre. Mi piace nonna Lala, dovresti conoscerla, Sophia. A te piacerebbe nonna Lala, e tu piaceresti a lei. Perché non mangi, Sophia? Su, forza, mangia. Oh, potremmo giocare a qualcosa, non credi?>>
<<Perché chiami Jack Guar, allora?>>
<<Oh, è solo uno dei suoi tanti nomi. Io lo chiamo Guar perché nonna lo chiama Guar. E lei lo chiama Guar perché Jack vuole sempre vincere, vuole essere un campione. Lo rimprovera spesso per questo.>>
<<Perché non riesce a vincere?>>
<<No, no, no, no>> scuote la testa con sguardo rammaricato. <<Perché vince sulle cose sbagliate, quindi non vince veramente. Sai chi è che vince, Sophia?>>
<<Chi è forte?>>
<<Chi è felice.>>
Il suono del campanello, per fortuna, mi impedisce di assimilare tutte le informazioni che mi ha dato e di andare a scavare a fondo sul significato delle sue ultime parole. Jasmine balza in piedi con un grido acuto e inizia a saltellare per tutto l'appartamento, rifugiandosi in camera mia con Papillon per strappazzarlo di coccole prima che suo fratello la porti via.
E così è giunto il momento della sfida finale.
Non mi sentivo così turbata da un sacco di anni, non mi sentivo così nervosa da ancor più tempo. Prendo un grosso respiro e mi avvicino incerta alla porta, controllando dallo spioncino chiunque si trovi sul corridoio, ma il mio visitatore è praticamente incollato ad esso, e tutto ciò che riesco a vedere è una camicia sporca in tinta scozzese che a giudicare da quelle macchie non viene lavata da un bel po'. <<Valentine?>>
<<In persona.>>
Giro la maniglia, ed eccolo qui, il signor Valentine, Jack, Guar o come diavolo si chiama, proprio in piedi di fronte a me, il volto sporco di fuliggine, le mani nere. La camicia è in condizioni peggiori di quelle che avevo intravisto dalla spioncino, i jeans sono strappatiPuzza di benzina e di olio di motore, come se avesse passato le ultime ore dentro una macchina. I suoi occhi, azzurri come il ghiaccio, mi trafiggono da parte a parte. L'angolo sinistro delle sue labbra si alza verso l'alto quando nota la mia vestaglia di seta bianca, e la cicatrice si piega per questa sua mossa, arcuandosi leggermente così da sembrare più profonda di quanto già non sia. <<Principessa, quanto tempo.>>
<<Fa' poco lo sbruffone, Valentine>> lo richiamo. <<Tua sorella sta inducendo il mio cane al suicidio.>>
<<Guar! Guar! Guar!>> Jasmine esce vittoriosa dalla mia stanza, con Papillon ancora fra le mani, sorride alla vista del fratello, per poi mostrargli con orgoglio il barboncino piangente che serra al suo petto come se fosse un cuscino. <<Non è bellissimo? Non è bellissimo? Non è bellissimo?>>
Jack scruta il volto disperato di Papillon con cinismo. <<Un barboncino, eh?>> mormora fra sé e sé, quasi avesse avuto conferma ad un suo sospetto.
<<E' un animale da compagnia più che lecito>> mi affretto a difendermi. <<Jasmine, ti prego, lascia andare Papillon, se continui così c'è il serio rischia che muoia di crepacuore.>>
Con mio grande sollievo, Jasmine sembra concorde con le mie parole, e lascia andare a terra Papillon che, ancora tremante, zampetta con la coda bassa fino a raggiungere le mie gambe. Riesco a intravedere la sua anima staccarsi dal corpo e spirare in cielo, tanto è distrutto. Ha ancora tutti i fiocchetti in testa. Più tardi manderò una foto a Sasha, sarà felice di vederlo in simili condizioni. <<Jasmine>> la richiama Valentine <<su, forza, andiamo.>>
<<Ooooookaaaaay>>
Il mio corpo si rilassa nel sentire simili affermazioni. Avere a che fare con una piccola palla di energia, entusiasmo e voglia di vivere mi ha privata di ogni forza. Non è per la sua vivacità, nè per il suo sorriso, bensì per quella dolce consapevolezza di dover camminare sul mondo in punta di dita, per quella melodiosa filosofia di vita che permette a questa bambina di apprezzare la sua realtà come io non ho mai apprezzato la mia. Per quella che è. Per quella che non è. E non per quella che è stata, per quella che avrebbe potuto essere.
<<Grazie mille, Anja, dico davvero>> la voce di Valentine è ferma e sicura mentre prende in braccio la sua sorellina come Aaron e Bill hanno fatto un sacco di volte con me, quando eravamo più piccoli.
<<Non l'ho fatto per te>> ammetto alla fine, tornando a guardarmi i piedi nudi. O, almeno, non l'ho fatto solo per la sua famiglia. L'ho fatto per me stessa, per redimermi, per tentare di perdonarmi. Temo di essere molto più egoista di quanto temessi.
Dopo aver preso un grosso respiro scruto il volto ancora sorridente di Jasmine. Il volto di una fatina birichina. Il volto di un'anima felice, vittoriosa. <<Mi hai preso qualcosa, vero?>> le domando, intuendo subito il significato di quel fuoco nei suoi occhi.
Valentine scoppia in una fragorosa risata, Jasmine sorride ancora di più. <<Sei brava, Anja, bravissima. Però non so che cosa ti ho fregato, non ho capito che cos'era. L'ho trovato nel tuo cassetto delle mutande.>>
Jack inarca un sopracciglio, perplesso quasi quanto me, Jasmine si infila le mani sotto la vestaglia per restituire la refurtiva la cui identità non è stata ancora riv-
Cassetto delle mutande.
Camera mia.
Oddio. Nononononono.
Il mio cuore smette letteralmente di battere non appena i neuroni tornano a fare due più due.
L'anno scorso per il mio compleanno Pamela e Sasha mi fecero un regalo piuttosto particolare.
Un regalo che ho usato varie volte.
Un regalo che nessun bambino dovrebbe mai vedere.
<<A cosa serve questo coso, Guar? Sembra una piccolissima mazza da baseball. Ma perchè c'e un coniglietto alla base?>>
Mi copro il volto con le mani, sento il mio cervello esplodere e il fuoco divampare nelle vene non appena anche Jack posa lo sguardo sul vibratore rosa pastello che Jasmine tiene in mano con l'innocenza di chi non ha la più pallida idea di dove si metta quell'oggetto.
Vibratore rabbit, il meglio del meglio per una single frustrata che si rifiuta di avere altre relazioni al di fuori di quella avuta col fidanzato morto.
Gli occhi di Jack si spalancano, e un sorriso compare sulle sue labbra. E più si allarga, quel sorriso, più io muoio cerebralmente, raggiungendo lo stesso stato catatonico di Papillon.
<<Jasmine, a te non servirebbe questo qui>> dichiara con voce maliziosa lui, prendendo il mio amico con la mano e porgendomelo con quel sorrisetto che mi fa desiderare la morte <<credo che la nostra amica ne abbia invece molto bisogno. Non è così, Coniglietta?>>
Guar o Jack che sia, ora più che mai ha guadagnato una bella vittoria.
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