La principessa e il babydoll bianco

"La principessa e il babydoll bianco"

Avery oggi sembra stare meglio del solito, ha ancora le occhiaie e il volto emaciato, ma il pallore del suo viso è meno preponderante, segno che forse le medicine hanno iniziato a farle effetto prima del previsto. Piega il suo origami con una facilità quasi innaturale, ignorando del tutto la mia presenza. «Ti avevo detto di non venire mai più.»

«Ti avevo detto che me ne frego altamente di quello che vuoi» ribadisco con forza, seduta sulla poltrona di fronte a lei, separata da quest'assassina solo dal tavolino in vetro pieno di fogli colorati.

Lei si stringe nelle spalle, continua a non guardarmi, i suoi occhi sono rivolti unicamente alla carta che sta piegando. «Vuoi tormentarmi, Sophia? Vuoi distruggermi? Non ti devi preoccupare. Ci ho già pensato da sola.»

«Non abbastanza.»

Non sembra sorpresa, né infastidita dalle mie parole. Sta creando quello che sembra un piccolo tirannosauro. Mi domando che se ne faccia, di tutti questi animali di carta. Li userà come collezione? Ci giocherà come una bambina gioca con le sue bambole?

«Andrew mi parlava sempre di te».

Sussulto, un colpo al cuore. E' terribilmente doloroso sentirla pronunciare il suo nome con così tanta naturalezza, nonostante lei sia il motivo per cui ora non potrò più chiamarlo come prima. «Ti amava davvero tanto, lo sai?»

«Perché mi stai dicendo queste cose?»

«E' solo la verità.»

«Lo sapevo. L'ho sempre saputo.» Non ho mai messo in dubbio l'amore di Andrew nei miei confronti, neanche quando credevo che si fosse suicidato. Neanche quando pensavo che si fosse buttato da solo da quella finestra, senza più pensare a me. Sapevo che mi amava, sapevo che mi custodiva. Lo avrebbe fatto per sempre.

«Sei un'egoista, Sophia King.» La sua voce è scarna, quasi trasparente.

«Io sarei un'egoista?»

«So perché sei qui» ribatte, prendendo un altro foglio azzurro. «Vuoi farmi sentire in colpa, vuoi che io soffra, vuoi che io stia male e ti supplicchi piangendo di perdonarmi, così che tu possa sputarmi addosso tutta la rabbia che stai covando dentro. Vuoi uccidermi per davvero, non è così? Perché non hai il coraggio di affrontare il tuo dolore.»

«Non hai il diritto di rimproverarmi per questo, e comunque dovresti esser malata, ma sembra che i tuoi ragionamenti siano più lucidi che mai.»

«Sono pazza, non stupida.»

Stringo con violenza la mascella.

«Cosa vuoi da me, Sophia?» mi domanda di nuovo, la sua voce sembra quasi esasperata. «Non posso ridarti indietro Andrew. Fidati, se potessi lo farei. Io lo amavo.»

Non volevo sentirle dire queste parole. Non volevo che mi dicesse questo. La consapevolezza che i miei sentimenti e i suoi fossero gli stessi mi tormenta anche durante il sonno. «Tu lo hai ucciso.»

«L'ho fatto» ammette con una risata amara. «E quindi? Cosa vuoi che faccia? Che mi uccida a mia volta? E' questo, quello che speri? Di indurmi al suicidio?»

Vorrei poter rispondere che sì, è proprio questo il mio desiderio. Che sì, è questo il mio sogno nel cassetto. Vorrei dirle "sì, devi morire, non meriti questa vita dopo che ti sei portata via quella del ragazzo che amavo", ma non posso. Non riesco ad essere così crudele. La principessa è ancora parte di me, Cenerentola non vuole andarsene, e io non so come cancellarla per sempre dalla mia esistenza.

Il campanello della sala suona, segno per lei che è ora di tornare nella sua stanza e per me che è giunto il momento di andarmene. Afferro la mia pochette e mi sollevo dalla poltrona, Avery, invece, non si sposta dalla sua.

«Sophia» mi richiama «non venire mai più qui. Non troverai nulla, qua. Solo un mostro.»

«Non importa» mormoro «ormai anche io sono diventata quel mostro.»

***

Ho sempre vissuto con i miei fratelli. Sin da quando siamo stati piccoli siamo cresciuti insieme, solo noi tre. I nostri genitori non sono mai stati presenti nella nostra vita, nemmeno una volta, durante i periodi più importanti, nonostante mio padre fosse il preside del mio liceo e mia madre una top model che adora partecipare alle cene di beneficenza. Nessuno dei nostri creatori si è mai preoccupato di chiederci come stessimo, cosa facessimo e quanto lavorassimo. Loro hanno sempre e solo preteso dei risultati da noi, di modo che potessimo mantenere alto il nome della famiglia King.

Sia io che Bill siamo riusciti a mantenere le loro aspettative, io con legge, Bill entrando in una delle squadre di football più importanti del paese. Abbiamo sempre avuto la strada spianata per quanto riguardava le prospettive del futuro: la consapevolezza che i soldi della nostra famiglia ci avrebbero aperto centinaia di porte ci ha sempre accompagnati da quando eravamo bambini.

L'unico ad essere uscito da questo loop crudele è malizioso, di cui forse, in realtà, non ha mai fatto parte, è stato Aaron. Ma, d'altro canto, non c'è nulla da sorprendersi. Perché mio fratello, pur essendo terribilmente serio e severo, ha sempre avuto il coraggio di affrontare gli ostacoli insormontabili della vita, con il petto gonfio e la testa alta, fiero di quello che era e non era. Felice di essere Aaron e basta. Nessun King.

Siamo sempre stati solo io, Aaron e Bill. Soprattutto dopo la morte del nonno. Soprattutto dopo la morte di Andrew. Noi tre, legati da un filo intagliabile e al tempo stesso divisi dalla mannaia della vita. Io con Andrew, Bill con Pamela, Aaron con Sasha.

Ognuno di noi, per qualche strano, imprescindibile motivo, si è ritrovato a dover fare i conti con se stesso. Con i propri demoni, con i propri incubi.

Ma mentre Bill è riuscito a scavalcarli con l'ignoranza, ed Aaron è riuscito ad accettarli con la perseveranza, io sono rimasta l'unica ferma e bloccata nel passato. Mi piacerebbe dire che è per opera del destino, ma sarebbe una bugia. E' stata per mia piena volontà. E' stata la mia scelta.

Se non posso avere Andrew, allora non avrò nessuno.

L'ho deciso da sola, completamente lucida, quando ho scoperto la verità. Quando Avery ci ha raggiunti in palestra e mi ha minacciata con un taglierino, pochi attimi prima di impazzire, raccontarci la verità e tentare di uccidersi.

E non appena i miei occhi si sono posati su di lei e ho visto in che stato quel bullismo malsano l'aveva ridotta, ho capito che le sue emozioni dovevano essere quelle che aveva provato Andrew, quelle che mi aveva nascosto per tutto il tempo. Ho pensato "se non sono stata in grado di proteggerlo quella volta, allora non ho il diritto di esser felice con qualcun altro".

Un'altra cosa che ha sempre caratterizzato la mia famiglia, ovvero i miei fratelli, è la capacità di comprenderci l'un l'altro senza il bisogno di troppe parole. Forse perché siamo tre gemelli, forse perché abbiamo vissuto in un simile contesto privo di affetto genitoriale, o forse perché ci vogliamo bene e basta, non saprei dirlo.

Ma quando Aaron o Bill mi nascondono qualcosa, il mio istinto inizia a pizzicare, così come il loro quando io mi rifiuto di rivelare qualche verità scottante. E' sempre stato così, e lo sarà sempre, eternamente, fino alla fine dei nostri giorni.

Perciò quando Aaron solleva lo sguardo dal suo giornale, seduto comodamente sul mio divano, ancora in giacca e cravatta, pronto per andare a lezione, so già quello che mi sta per dire, prima ancora che muova le labbra.

Provo a ignorare il suo sguardo fiero, lo sento addosso, sulla schiena, che dà fuoco alla mia pelle. Tento disperata di concentrare tutte le mie attenzioni su Papillon, che mi sta latrando perché si rifiuta di mangiare nella sua ciotola. E dentro di me non posso fare a meno di supplicare Dio, Allah, Buddha o chiunque altro ci stia là sopra di risparmiami la predica da papà preoccupato che ha sempre caratterizzato il più serio dei miei due fratelli.

Ovviamente invano.

«Dobbiamo parlare.»

Ugh.

Avevo già avuto dei sospetti quando stamani, mentre facevo colazione, si è presentato nel mio appartamento con una tranquillità pazzesca e gli occhi che già urlavano a squarciagola "SEI NEI GUAI, SORELLINA". Speravo che una simile visione fosse provocata dall'incubo vissuto stanotte, e non dalla realtà dei fatti.

Evidentemente mi sbagliavo. Come sempre, d'altronde. Perché Aaron rimarrà per sempre Aaron: un fratello severo, gentile e terribilmente apprensivo. L'uomo dei sogni di molte donne, l'incubo più grande di altrettante.

Tiro l'orlo del mio babydoll bianco-trasparente in basso, sperando di scaricare la tensione provocata da due simili parole. Papillon abbaia ancora, tampona le mie orecchie con i suoi latrati, stavolta rivolti a mio fratello che, in tutta risposta, si limita a fissarlo con il suo solito sguardo privo di emozioni: impassibile a tutto.

Uno stoccafisso.

«Se si tratta dell'ultimo esame che ho dato, sappi che devo ancora...»

«No, non è quello» scuote la testa e si alza lentamente, stiracchiandosi le dita. Il suo metro e novanta si impone su di me come una montagna, ma con un'eleganza e una magistrale temperanza che non mi potrebbe mai spaventare, dopo aver visto la versione arrogante e menefreghista di Jack Valentine.

Jack.

Oddio, lo ha scoperto? No, ti prego, ti prego, spero sinceramente di no. Se accadesse, c'è il serio rischio che corra da lui per picchiarlo. Non lo ha mai perdonato per quello che ha fatto al mio armadietto, e ancor di più non lo ha mai perdonato per aver insultato la nostra famiglia più e più volte, ripetutamente. «Ho parlato con Sasha.»

E' stata lei? Lei è la spia? Che grandissima stronza! Non avrei mai dovuto fidarmi di quella ragazza! Probabilmente ha iniziato a cinguettare tutta la storia non appena Aaron le ha offerto un panino extralarge al salame.

Ma Aaron non si muove, e non parla, la vena sul suo collo sta pulsando con vivace inquietudine, segno che sta reprimendo il suo nervosismo. Riconoscerei questi segnali anche lontano un miglio: sopracciglia leggermente aggrottate, labbra chiuse, volto impassibile, dita che tremolano leggermente.

E' incazzato.

E' incazzato nero.

«Ascolta, Aaron...»

«Lo so che mi stai nascondendo qualcosa» mi blocca subito lui, e un fiume di acqua ghiacciata mi travolge in pieno. «Non rispondi più al telefono, non ti trovo quasi mai a casa, scompari per ore e ore e ti rifiuti di dire a me o a Bill dove sei andata. Tre quarti dei tuoi vestiti sono spariti!»

Maledizione, quindi lo ha notato, eh? E' inutile, non riesco a negarlo. Ogni volta che vado a trovare la famiglia di Jack, "misteriosamente" scompare qualcosa che mi sono portata dietro. Sospetto che sia tutta opera di Jasmine. «Non sono affari tuoi» inspiro a fondo, tentando di mantenere la calma.

«Sono tuo fratello, diamine! Anche Bill è preoccupato!»

Dannazione, è per questo che ieri mi ha chiamata ripetutamente? Avrei dovuto immaginarlo. Nascondere qualcosa ai miei fratelli è praticamente impossibile. «E so che quando non ti confidi con noi, di solito lo fai con Sasha o Pamela.»

«Dio santo, Aaron, hai davvero fatto il terzo grado alla tua ragazza e alla mia migliore amica?» la voce esce stridula dalla mia gola. Non dovrei esserne così sorpresa, effettivamente, ma rimane comunque un gesto inquietante, per quanto fraterno possa rimanere.

«Sì, l'ho fatto. Sono preoccupato per te, e lo sai. Non me ne vuoi parlare, non mi vuoi dire come ti senti, so che hai paura di dare il peso della tua sofferenza sulle nostre spalle, Sophia, ma siamo i tuoi fratelli, sai che possiamo farcela. E comunque, Pamela non sa ancora nulla, visto che non ti vede da parecchio, mentre Sasha...»

Oddio.

Già me lo immagino.

"All'inizio si è rifiutata di parlarmi, ma non appena le ho detto che quando andremo a vivere insieme non mangeremo mai un panino al salame ha iniziato a cantare come un canarino".

Finirò per uccidere quella ragazza.

E' così che finiscono le storie d'amore più belle.

Con un panino al salame.

«Si è messa a ridere!»

Per poco non calpesto la coda di Papillon, la sorpresa è stata così grande da farmi perdere l'equilibrio. Il mio cane, dal canto suo, mi graffia la caviglia con la sua unghietta, prima di correre verso la mia stanza per andare a stuprare qualche povero cuscino.

Ancoro le mani all'isola della cucina, usandola come ringhiera per reggermi in piedi, e guardo Aaron a occhi spalancati.

Ora non è più neanche Stoccafisso, è talmente indignato che le sue sopracciglia si uniscono sopra il naso. La vena sul suo collo riprende a pulsare molto più velocemente. «Non ha neanche provato a mentirmi dicendo di non sapere nulla, si è messa a ridere e mi ha detto, e cito testualmente, "se te lo dicessi ti incazzeresti così tanto che in confronto io in modalità berserk sembro un bambino che sta giocando ai gavettoni"»

Maledizione, Sasha!

«Be', sì, è vero» sono costretta ad ammettere. «Quindi non te lo dirò, né ora né mai.»

«Sophia...»

«No! Non osare farmi la predica da paparino imbestialito, Aaron! Ti ricordo che sei nato solo dieci minuti prima di me, e che questo non ti dà il diritto di trattarmi come se io fossi tua figlia!» Gli punto l'indice contro e prendo un grosso respiro. «Sto bene! Sto bene! Dico davvero! Anzi, per la prima volta dopo molto tempo mi sento più libera... più...» non riesco a trovare le parole, e il silenzio, per qualche istante, riempe il mio appartamento moderno e lussuoso.

«Sai chi dice queste parole? Le persone che hanno iniziato a drogarsi!»

Spalanco la bocca, esterrefatta. «Non ho iniziato a drogarmi!»

«Questa è la seconda cosa che dicono sempre le persone che iniziano a drogarsi!»

Non riesco a crederci. «Non mi drogo! Non mi faccio di nessun stupefacente! A stento bevo dell'alcool, e solo perché la tua fidanzata adora la birra dopo aver fatto palestra!»

«Hai iniziato ad andare in palestra con Sasha?!»

Santo guacamole, perché diavolo non tengo la mia bocca zitta, una volta tanto? «Sì, per tenermi in forma! Sono ingrassata! Di due chili!»

Lui non ci crede, lo leggo nel suo sguardo. «Sasha si farebbe fare una tracheotomia piuttosto che aiutarti a perdere dei chili in più che non hai.»

«Dettagli.»

«Ti prego, dimmi che non le hai chiesto di insegnarti a picchiare la gente.»

Il rossore si diffonde sul mio volto prima che possa fermarlo, dando conferma ai suoi timori più grandi. Il suo volto si rabbuia, uno sguardo omicida che è il preannuncio di una bufera in arrivo. Sia per me che per Sasha. «Aaron, devi smetterla, okay? Dovete smetterla, sia tu che Bill! Non sono una principessa! Non ho bisogno di esser scortata e protetta! Non voglio che vi preoccupiate sempre per me! Avete i vostri problemi!»

«Siamo i tuoi fratelli» ribadisce lui. «Ci preoccuperemo sempre per te, Sophia. Sempre. Perché ti vogliamo bene.»

«Ma non così!» mi lascio andare a un sospiro, esasperata più che mai. «Non voglio che vi preoccupiate per me ogni secondo. Non mi sto drogando, non ho iniziato la strada dell'alcolismo, sto cercando di capire, sto cercando di ritornare a vivere. Fidati, se avessi bisogno di qualcosa, te ne parlerei, se volessi parlartene allora io...» mi blocco, priva di fiato.

Aaron scuote la testa, stanco quasi quanto me. «Devo andare a lezione» mormora alla fine. «Devo parlare della mia tesi con il professore, ma la conversazione non finisce qui, Sophia.»

Dallo sguardo furioso che ha, in questo momento, intuisco che non sono l'unica a cui indirizzerà la rabbia. E vorrei dire che provo un po' pena nei confronti di Sasha, ma no, proprio non ce la faccio.

Lo accompagno a piedi nudi fino alla porta, Aaron infila le mani dentro la tasca, alla ricerca, probabilmente, delle chiavi della macchina, quando apro il portone per poterlo far uscire, il suono di qualcosa che rimbalza per terra mi distoglie dall'irritazione momentanea.

«Merda» lo sento imprecare. Il suo corpo si volta nella direzione da cui è provenuto il rumore. E a pochi passi da noi, sul parquet liscio, un piccolo cofanetto in velluto rosso risplende grazie ai raggi del sole. E' piccolo, cubico, e ricorda terribilmente la confezione di una gioielleria, la scritta dorata a lato che recita POPPY'S (l'oreficeria più famosa del paese) non fa altro che confermare i miei sospetti.

Oh mio Dio.

Oh. Mio. Dio.

Aaron impreca di nuovo, si affretta ad afferrare il pacchetto, ma ormai è troppo tardi, e quando si volta per guardarmi, intuisce dal mio sguardo stupefatto che ho scoperto la verità. Le sue orecchie si tingono di un leggero, delicato rossore che raramente mi è capitato di vedergli in viso.

Un cofanetto.

Una gioielleria.

Un grido acuto fuoriesce dalla mia gola, né io né lui facciamo in tempo a fermarlo. «Per la miseria, Aaron!» esclamo. «Perché non me l'hai detto? Oh mio Dio, non ci posso credere!» La frenesia è talmente tanta da farmi battere ripetutamente i piedi sul pavimento, come una bambina che ha appena ricevuto il suo regalo di compleanno. «E' per Sasha, vero? E' un anello, vero? Fammelo vedere, ti prego! Oh mio Dio, quando vuoi chiederglielo? Da quanto? Come ti è venuta l'idea? Lo sai vero che non tollererà mai un diamante grosso, non è così? E perché non me l'hai detto prima? Bill lo sa? E Luke? Oh mio Dio, lo hai detto a Luke? Sono sicura che...»

«Sorellina» mi blocca lui, massaggiandosi le tempie. «Ti prego, una domanda alla volta.»

Prendo un grosso respiro.

«E' per Sasha, vero?»

Aaron sospira e alza gli occhi al cielo. «Sì.»

«Un anello, vero?»

«Sì.»

«Di fidanzamento, vero?»

«Sì.»

Stavolta, quando sorrido, Aaron fa altrettanto. La rabbia ormai quasi del tutto scomparsa.

«Niente diamanti grossi, vero?»

«E me lo chiedi pure? Se glielo dessi lei lo andrebbe subito a rivendere.»

Non riesco a fermare il mio sorriso, iniziano a farmi male le guance.

«Quando hai deciso di chiederglielo?»

«Da quando abbiamo deciso di andare a vivere insieme.»

«E Luke?»

«A chi credi che abbia chiesto il permesso, prima?»

Scoppio in una fragorosa risata. E' così da Aaron un simile gesto di galanteria.

«Bill lo sa?»

«Ah-ah.»

«Lo hai detto a Bill e non a me?»

Sono sinceramente sconvolta.

Aaron si irrigidisce. «Non volevo... sai... darti...» si ferma per qualche secondo. «Non voglio che tu pensa che solo perché io stia con Sasha, allora tu abbia perso la tua famiglia.»

Per quanto deviato sia un simile pensiero, non posso fare a meno di provare calore a queste parole. Il mio grande, grosso, severo e rigido fratellone. L'emozione serra la mia gola, non riesco a parlare, le mie braccia si tendono verso di lui e lo stringono in un abbraccio che lo stritola e al tempo stesso lo diverte. «Oh mio Dio, Aaron, sono così felice per te.» Ed è vero, non mento, non c'è nulla di falso in queste mie parole. Solo perché la mia favola non si è realizzata, non significa che non debba realizzarsi quella degli altri.

«Aspetta a festeggiare, non ho ancora chiesto nulla a Sasha.»

«Sai che ti dirà di sì.»

«Sai che con lei non esistono simili certezze.» Si allontana leggermente da me, prima di baciarmi sulla fronte. «Tienilo segreto a tutti, okay? Nessuno lo deve sapere.»

Annuisco, entusiasta. «Sarò muta come uno stoccafisso. Parola di scout.»

Aaron scoppia a ridere e mi accarezza delicatamente il capo. Dopo qualche altro minuto di saluti, congratulazioni e emozioni, richiude la porta dietro di sè e io corro in camera da letto, dove Papillon sta stuprando, per l'appunto, un mio cuscino. Afferro il mio cellulare dal comodino e digito in fretta il numero.

Tre squilli dopo, la voce di Pamela risuona impastata ancora dal sonno. «Sono ancora le otto di mattina, Sophie...» si lamenta. «Sono stata a lavoro fino alle quattro di notte, lasciami dormir-»

«AARON CHIEDERA' A SASHA DI SPOSARLO!»

Un rumore, una caduta, e poi: «PORCA MISERIA, NON MI STAI PRENDENDO PER IL CULO, VERO, PRUDENCE SOPHIA KING?»

«NO!»

«OH MIO DIO!»

«OH MIO DIO!»

«TI HA DETTO QUANDO LO FARA'?»

«NO, MA OH MIO DIO CI PENSI? LORO DUE SPOSATI?»

«CHE VESTITO PRENDIAMO? SECONDO TE SASHA CI FARA' FARE DA DAMIGELLE? IO CREDO DI SI'! ODDIO, CHE CHIESA DOVREMMO PRENOTARE?»

«NON PENSO CHE LEI VOGLIA UN MATRIMONIO IN GRANDE, QUINDI MAGARI QUALCOSA COME UN POSTO INTIMO POTREBBE ANDAR-» Il suono del campanello interrompe il mio sproloquio, entrambe stiamo urlando talmente tanto che è terribilmente possibile che qualche vicino sia venuto per lamentarsi.

Oddio, no, l'unico che potrebbe esser venuto qua è Aaron. Forse ha dimenticato qualcosa, e se è così allora potrebbe aver sentito... maledizione! Proprio adesso, fratello? Stavo iniziando a decidere i nomi per i miei nipotini!

«Aaron!» esclamo non appena apro la porta, senza neanche guardare. «Ti giuro che non sto parlando del tuo matrimonio con Pam. Stiamo litigando, in realtà, perchè lei dice che il vibratore rabbit è fuori moda, mentre io sono più che sicura che sia il migliore di tutta la...» la voce viene a mancarmi quando a inchiodarmi sul posto non sono i caldi occhi verdi di mio fratello, ma quelli azzurri e ghiacciati di Jack Valentine.

In felpa e jeans.

Con i jeans che cadono in basso e lasciano vedere solchi di pelle ben attrezzata.

Con il tessuto della maglia che aderisce perfettamente ai suoi pettorali.

Con un sorrisetto malizioso sulle labbra.

«Sophie?» mi richiama la voce di Pam. «Tutto okay?»

«Continua pure, Anja» mi sprona lui divertito. «Sono davvero mooolto curioso di scoprire la tua opinione a proposito dei vibratori rabbit. Scommetto che è molto positiva, non è così, Coniglietta

Cazzo.

«Che... che ci fai qui, Guar?»

«Ho bisogno di una mano» mi risponde lui con nonchalance. «Tu te ne intendi di vestiti e di roba simile, non è così? Domani è il compleanno di Jasmine. Devi accompagnarmi a fare shopping per farle un regalo.»

«Con chi stai parlando, Sophie?»

«Devo andare, Pamela. Ti richiamo fra poco.» Chiudo velocemente la chiamata, il mio volto ormai a fuoco. «Avresti potuto... avvisarmi.»

«E perdermi così la dolce visione di vederti in babydoll bianco mentre parli dell'utilità dei vibratori? Scordatelo.»

Il babydoll.

Mio Dio, il babydoll!

Non ci ho neanche pensato, con Aaron e Bill l'ho sempre indossato senza farmi troppi problemi, ma questo babydoll è veramente... scoperto. Un vestitino che supera a stento le ginocchia e si apre a metà del seno per mostrare al vento gli slip coordinati, con il tessuto semitrasparente.

Il maledettissimo babydoll!

E Jack lo sta guardando. Per la precisione sta guardando spudoratamente la scollatura del mio seno, senza dare il minimo accenno di imbarazzo. I suoi occhi sono fuoco puro che riscaldano la mia pelle, e scivano sotto, fino al pizzo delle mutandine, per poi risalire e fermarsi sulla fascia che nasconde la mia coppa C.

«Credo di non avertelo mai detto, Anja, ma sei un incanto vestita in questo modo» mi prende in giro lui, più divertito che mai dal mio imbarazzo.

Cazzo!

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